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Silvano Girotto - Wikipedia

Silvano Girotto

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Silvano Girotto , più noto con il soprannome di Frate Mitra (Caselle3 aprile 1939) è un religioso e guerrigliero italiano, personaggio controverso legato alle vicende delle Brigate Rosse.

Indice

[modifica] Biografia

[modifica] I primi anni: nella Legione Straniera

Figlio di un maresciallo dei Carabinieri, spinto da curiosità e sete di avventura si recò in Francia passando clandestinamente il confine. Fermato dai gendarmi del vicino paese e rischiando l'arresto per immigrazione clandestina accettò, diciassettenne, di arruolarsi nella Legione straniera, finendo in Algeria, dove l'esercito francese era impegnato in una guerra sanguinosa contro i guerriglieri del Fronte di Liberazione Nazionale. Dopo pochi mesi di servizio disertò per ripugnanza verso la pratica corrente della tortura nei confronti dei patrioti algerini catturati.

Al rientro in Italia venne coinvolto in un furto in una tabaccheria con una banda giovanile e, quantunque il suo fosse stato un ruolo marginale, finì con i coetanei (tutti adolescenti) nelle carceri torinesi. In carcere maturò la scelta religiosa e successivamente entrò nell'Ordine francescano, indossando il saio il 10 ottobre 1964 e assumendo il nome di padre Leone (uno dei più fedeli compagni di San Francesco).

L'attività pastorale, svolta tra giovani estremamente politicizzati, e la sua vicinanza agli operai in una zona come quella di Omegna, caratterizzata da una forte presenza del Partito Comunista, gli fecero guadagnare la fama di "prete rosso", a causa della quale gli fu poi tolta l'autorizzazione a predicare dal vescovo di Novara Placido Maria Cambiaghi.

Nel 1969 contribuì a sedare la rivolta nelle Carceri Nuove di Torino facendo il mediatore, quindi chiese ai suoi superiori di essere inviato come missionario nel Terzo Mondo.

[modifica] Sud America

Missionario in Bolivia, uno dei paesi più poveri dell'America latina, il 21 agosto 1971 nella capitale La Paz, durante un sanguinoso colpo di stato militare contro il regime progressista di Juan José Torres, si schierò con i contadini, operai e studenti che tentavano di reagire. Fu espugnato un deposito militare e con le armi così ottenute le forze popolari ingaggiarono feroci combattimenti, che si conclusero con la vittoria dell'esercito dopo l'intervanto risolutivo del reggimento blindato "Tarapacà", unitosi anch'esso ai golpisti. Ci furono centinaia di morti e feriti tra cui lo stesso Girotto, che dovette darsi alla macchia, entrando nelle file dell'opposizione armata al dittatore colonnello Hugo Banzer Suarez.

La guerriglia boliviana aveva basi logistiche a Santiago, capitale del Cile, e Girotto, militante con il nome di battaglia di David, si trovava casualmente in quella città quando si produsse il golpe di Pinochet. Partecipando ai tentativi di resistenza popolare, fu ferito dai militari e dovette rifugiarsi nell'ambasciata italiana, venendo rimpatriato a fine dicembre 1973 assieme ad un gran numero di profughi politici cileni che avevano cercato rifugio nella sede diplomatica.

Durante la sua latitanza armata in Sudamerica venne espulso dall'Ordine francescano nello stesso anno, tramite un decreto emesso dalla curia provinciale dell'ordine dei frati minori di Torino, in cui era espressamente citata la sua partecipazione alla lotta armata.

Per questo motivo e per la sua militanza nella guerriglia sudamericana all'inizio degli anni settanta venne soprannominato nelle cronache giornalistiche di quegli anni Frate Mitra.

[modifica] Contro le BR

Nel luglio del 1974 Silvano Girotto, rientrato da poco dal Cile, si era presto convinto, grazie alle esperienze maturate fino ad allora, che l'iniziativa messa in atto dalle Brigate Rosse in un contesto come quello italiano fosse un colossale errore che avrebbe causato lutti inutili e rovinato le vite di molti giovani. Si ripropose dunque, qualora ne avesse avuto l'occasione, di agire contro di loro. L'occasione venne quando un articolo dell'onorevole Giorgio Pisanò apparve sulla rivista di estrema destra Candido. In tale articolo, Pisanò indicava Girotto come un estremista comunista a conoscenza dei segreti delle Brigate Rosse, quindi in grado di fornire un contributo per salvare il magistrato Mario Sossi, che era stato rapito dai brigatisti.

Incuriositi dalle affermazioni di Pisanò, i Carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ritenendo possibile che un personaggio con il suo passato potesse avere a che fare con l'eversione armata, vollero interrogarlo, venendo così a scoprire la totale avversione di Girotto nei confronti dei brigatisti. Chiesero allora la sua collaborazione ed egli decise di servirsi dei Carabinieri per fermare le BR, che avevano in quei giorni compiuto un sanguinoso salto di qualità con un duplice omicidio a sangue freddo e il rapimento del magistrato Sossi.

Il punto di partenza della sua ricerca fu l'intuizione che la sua fama di guerrigliero enfatizzata in modo romanzesco secondo il costume giornalistico dell'epoca potesse essere un'utile esca capace di indurre i brigatisti ad incontrarlo. Si fece vedere in alcuni ambienti dell'estrema sinistra, trovando quasi immediatamente riscontro positivo alle sue intuizioni: le BR volevano un contatto ed egli si dichiarò disponibile. Al primo incontro nella città di Pinerolo si presentò Renato Curcio, capo e fondatore dell'organizzazione, che sondò le intenzioni di Girotto, giudicandole genuine. Ci fu, qualche settimana dopo, un secondo incontro con la presenza di Mario Moretti; in quell'occasione fu proposto a Girotto l'ingresso nelle file brigatiste con compiti direttivi e lo specifico compito di addestrare i militanti alla guerriglia urbana. L'arruolamento avrebbe dovuto concretizzarsi nel terzo incontro, fissato per l'8 settembre sempre a Pinerolo, ma in quell'occasione Girotto si presentò assieme ai Carabinieri (che su sua richiesta avevano seguito tutti i movimenti precedenti). Furono così arrestati Renato Curcio e Alberto Franceschini, entrambi capi e fondatori delle BR.

Quantunque la sua azione sia stata impropriamente definita "infiltrazione", Girotto non entrò mai a far parte delle BR ma si limitò a contattarne i capi e a farli arrestare. A chi giudicò in seguito affrettati quegli arresti, il generale Dalla Chiesa precisò che a quel punto c'era il pericolo che a Frate Mitra fosse chiesto di partecipare ad azioni delittuose e che un rifiuto da parte sua avrebbe potuto destare sospetti nei brigatisti, mettendolo così in pericolo. Girotto commentò in seguito quelle affermazioni dichiarando che, seppure i timori del generale fossero fondati, egli avrebbe comunque preferito continuare per rendere possibile una retata più completa e definitiva.

In un'intervista del 1975 Silvano Girotto, "Frate Mitra", affermò:

« ...non è stato facile per me agire in quel modo. Ho dovuto superare la ripugnanza istintiva ma irrazionale verso comportamenti che a tratti mi apparivano come disonesti ma ho superato le titubanze riflettendo con sensibilità cristiana e sacerdotale che mi fanno vedere con chiarezza assoluta l'iniziativa della lotta armata nel contesto italiano attuale come un'avventura tragica e senza sbocchi. Io non sono concettualmente contrario alla lotta armata (...) ma lo sono quando essa non è necessaria. La mia avversione alla lotta armata è qui, in Italia... non c'è stato alcun cambiamento di linea politica da parte mia, ancora oggi se tornassi in America latina riprenderei il mitra perché so che purtroppo laggiù non esiste alternativa ma è desolante vedere che anche nel mio paese si vuol arrivare a quel tipo di situazione quando invece è ancora evitabile. »

[modifica] Vita normale

Dopo l'arresto dei capi brigatisti Girotto si fece assumere come operaio presso l'Amplisilence di Robassomero alle porte di Torino, dove fu anche eletto sindacalista e fece parte del consiglio di fabbrica.

Nel 1978 si presentò spontaneamente a testimoniare contro le Brigate Rosse nel processo in corso a Torino. Dopo il processo alle Brigate Rosse, andò a lavorare per qualche anno come capo tecnico impiantista negli Emirati Arabi e poi nello Yemen, per ritornare in Italia nel 1981 e stabilirsi a vivere e lavorare in una grande azienda alberghiera nel Piemonte.

Il 10 febbraio 2000 venne ascoltato nella 62a seduta della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi,[1] a cui aveva fornito una bozza del libro autobiografico che pubblicò due anni dopo.

Nel 2002, in procinto di partire come volontario in una missione cattolica al servizio dei poveri in Etiopia, volle riprendere contatto con coloro che aveva fatto arrestare e che erano ormai liberi dopo aver scontato pesanti condanne. L'incontro fu reso possibile da Suor Teresilla Barillà.[2] Renato Curcio, pur non manifestando rancore, mantenne un atteggiamento riluttante, mentre Alberto Franceschini accettò l'incontro, stabilendo con lui un rapporto amichevole.

[modifica] Note

[modifica] Bibiliografia

  • Silvano Girotto. Mi Chiamavano frate mitra, Ed. Paoline 2002, ISBN 8831523139

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni


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