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Paradiso - Canto primo - Wikipedia

Paradiso - Canto primo

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Beatrice vista da Dante Gabriel Rossetti
Beatrice vista da Dante Gabriel Rossetti

Il canto primo del Paradiso di Dante Alighieri si svolge nella sfera del fuoco, all'ingresso del Paradiso; siamo appena dopo il mezzogiorno del 13 aprile 1300, o secondo altri commentatori del 30 marzo 1300.


Indice

[modifica] Temi e contenuti

  • Protasi e invocazione - versi 1-36
  • Ascesa al cielo - vv. 37-81
  • Primo dubbio di Dante chiarito da Beatrice - vv. 82-93
  • Secondo dubbio; Beatrice lo chiarisce rifacendosi all'esistenza di un ordine universale vv. 94-142

[modifica] Sintesi

La cantica si apre, secondo il canone classico, con un proemio costituito di due parti: la protasi e l'invocazione. La prima introduce quello che Dante andrà a trattare nel resto del poema: il Paradiso, ove maggiormente risplende "la gloria di Colui che tutto move" (v. 1: si noti come questo verso, che apre il Paradiso con la menzione di Dio, rimandi circolarmente all'ultimo verso dell'opera, XXXIII, 145, "l'Amor che move il sole e l'altre stelle"). Emerge il tema dell'ineffabilità, ovvero dell'impossibilità per Dante di raccontare quello che vede e che prova nel Paradiso per via del fatto che la memoria fa fatica a ricordare e per l'insufficienza del mezzo della poesia nell'affrontare un tema così elevato.

Segue l'invocazione al dio della poesia, Apollo - Dante nell'Inferno aveva invocato le Muse e nel Purgatorio Calliope- cui il poeta chiede di essere fatto vaso, cioè ricettacolo, della sua ispirazione, con chiaro riferimento a san Paolo detto vas electionis, cioè "vaso della scelta (di Dio)" quando fu ammesso ad accedere all'oltretomba. Dante si identifica idealmente anche in un altro personaggio, Marsia, il cui mito brutale è qui ricordato simmetricamente a un altro mito, presente nel proemio del Purgatorio (quello delle Piche che sfidarono le Muse, mentre Marsia sfida Apollo), tratto dal dio "dalla vagina delle membra sue", cioè in senso letterale dalla pelle, ma in senso allegorico dal corpo, proprio come Dante che come anima ascende al Paradiso. Emerge infine in questa invocazione un altro tema che sarà predominante nel resto del poema, e cioè il richiamo alla decadenza dei tempi presenti in cui troppi pochi imperatori o poeti aspirano all'alloro, la corona poetica, perché desiderano invece solo beni terreni e quindi effimeri, annotazione sulla quale si innesta la consueta polemica politico-sociale.

Al v. 37 inizia la narrazione vera e propria, con un'ampia perifrasi astronomica che descrive la stagione in cui ci si trova, cioè la primavera. In questo momento Beatrice fissa il sole, e di rimando anche Dante lo fissa (e ci riesce perché nel Paradiso terrestre, fatto apposta per il genere umano nella sua perfezione originaria, molte cose sono lecite al contrario che sulla terra): allora gli pare che la luce del giorno raddoppi, e Dante si sente trasumanare (letteralemente "andare oltre l'umano") come Glauco quando si metamorfosò in divinità. È l'ascesa attraverso la sfera del fuoco (che separa il cielo dalla terra), grazie alla quale Dante e Beatrice accedono al Paradiso.

La novità del suono (Dante inizia a udire i primi canti paradisiaci?) e la grande luce — nei versi precedenti il poeta ha infatti descritto il lago di luce che gli si accende di fronte — fanno sorgere in Dante parecchi dubbi, e in primo luogo il desiderio di conoscerne la ragione: a questo Beatrice risponde, senza bisogno che il poeta formuli a parole la domanda, spiegando che i due non si trovano più sulla terra, ma sono ascesi alla loro sede primaria — il cielo — più veloci della folgore quando invece la lascia. Ma queste parole suscitano in Dante un secondo dubbio, e cioè come il suo corpo pesante possa trascendere i "corpi lievi" dell'aria e del fuoco: al che Beatrice inizia una spiegazione più ampia e completa.

Esiste infatti un ordine fissato da Dio nelle cose secondo il quale tutto tende ad andare verso il proprio creatore, come il fuoco che sale verso la Luna, come la terra che grazie a questa forza rimane unita e compatta, e che muove gli esseri irrazionali e quelli dotati di ragione. Un solo luogo rimane sempre immobile e uguale a sé stesso, in quanto non tende verso nulla poiché già perfetto grazie alla divina Provvidenza, e si tratta dell'Empireo attorno al quale si muove il più veloce dei cieli, il Primo mobile, conferendo il movimento circolare agli altri cieli sottostanti (ricordiamo che secondo la concezione aristotelico-tomistica il cielo era suddiviso in nove cieli, i primi sette dominati da un pianeta — Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno — e gli ultimi due essendo rispettivamente il cielo delle Stelle fisse e il Primo mobile). È a questo luogo immobile, perfetto, che tende l'uomo, anche se, dato il libero arbitrio, capita che egli invece si volga altrove, cioè ai beni terreni, sprofondando verso il basso nell'Inferno come il fuoco che cade dalle nuvole invece di salire (= i fulmini). In conseguenza di questa spiegazione Dante non deve più stupirsi di salire verso l'alto, ora che è libero dal peso del peccato, come non si stupirebbe di vedere l'acqua di un ruscello scorrere a valle, ma dovrebbe invece stupirsi se un fuoco nel mondo materiale rimanesse fermo e non salisse verso l'alto.

Terminato il discorso, Beatrice rivolge nuovamente il viso al cielo.

[modifica] Analisi del canto

Le prime dodici terzine del canto vengono, come si è detto, dedicate al proemio, elaborato e costruito secondo la tradizione retorica in protasi (esposizione del contenuto dell'opera) e invocazione: l'estensione di questa prima parte molto ci permette subito di misurare l'importanza dell'argomento trattato, confrontandola con la singola terzina introduttiva dell'Inferno, I e con i dodici versi del Purgatorio, I. È qui messa in luce, sia nel proemio che nelle spiegazioni teologiche di Beatrice, l'esistenza di una gerarchia interna all'universo, prima ancora dell'enunciazione del contenuto del testo. La visione dantesca viene descritta nei termini di un excessus mentis in Deum, "trasporto della mente verso Dio", mediante una delle sue caratteristiche fondamentali, cioè l'ineffabilità, l'indicibilità e inesprimibilità con i consueti strumenti linguistici umani.

[modifica] Bibliografia

  • Commenti della Divina Commedia:
    • Umberto Bosco e Giovanni Reggio, Le Monnier 1988.
    • Anna Maria Chiavacci Leonardi, Zanichelli, Bologna 1999.
    • Emilio Pasquini e Antonio Quaglio, Garzanti, Milano 1982-20042.
    • Natalino Sapegno, La Nuova Italia, Firenze 2002.
    • Vittorio Sermonti, Rizzoli 2001.
  • Andrea Gustarelli e Pietro Beltrami, Il Paradiso, Carlo Signorelli Editore, Milano 1994.
  • Francesco Spera (a cura di), La divina foresta. Studi danteschi, D'Auria, Napoli 2006.

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