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Liberismo - Wikipedia

Liberismo

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Il liberismo è una teoria economica, filosofica e politica che prevede la libera iniziativa e il libero commercio (abolizione dei dazi) mentre l'intervento dello Stato nell'economia si limita al massimo alla costruzione di adeguate infrastrutture (strade, ferrovie ecc.) che possano favorire il commercio.

Il liberismo è considerato da molti come l'applicazione in ambito economico delle idee liberali, sulla base del concetto "democrazia vuol dire libertà economica" coniato da Friedrich von Hayek.

I filosofi del diritto di orientamento liberista, come a esempio Bruno Leoni, si considerano in antitesi con il pensiero del filosofo del diritto Hans Kelsen, che definiscono "statalista". Ovviamente il liberismo è supportato da economisti, filosofi e politici che avversano profondamente comunismo e fascismo che ambedue teorizzano sistemi economici controllati da un potere politico totalitario.

Indice

[modifica] Liberismo e liberalismo

Sebbene per entrambi si usi spesso l'aggettivo liberale, nella lingua italiana c'è differenza tra liberismo e liberalismo: mentre il primo è una dottrina economica che teorizza il disimpegno dello stato dall'economia (perciò un'economia liberista è un'economia di mercato solo temperata da interventi esterni), il secondo è un'ideologia politica che sostiene l'esistenza di diritti fondamentali e inviolabili facenti capo all'individuo e l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (eguaglianza formale). Nella lingua inglese i due concetti tendono a sovrapporsi nell'unico termine liberalism. Alcuni danno come analogo inglese di liberismo il termine free trade (libero commercio). Un termine francese spesso usato in modo equivalente è laissez faire (lasciar fare).

[modifica] Liberismo e capitalismo

Tutte e due seguono la logica del profitto con la differenza che il capitalismo certe regole le accetta mentre il liberismo, per sua stessa natura, non le vuole ma le reclama, se vuole sopravvivere, perché la globalizzazione ha falsato le regole del gioco con le sostanziali diseguaglianze retributive.-

[modifica] Liberismo e anarchismo

Il liberismo, in una sua accezione, è affine all'anarcocapitalismo.


[modifica] Cenni storici

Il liberismo fu abbozzato durante la Rivoluzione Francese, si sviluppò ampiamente nel corso dell'Illuminismo scozzese e all'interno della scuola detta "fisiocratica", ma trovò forse la sua formulazione più compiuta in Inghilterra nel corso del XIX secolo, spinto dalla rivoluzione industriale, dagli studi di Adam Smith, dalle battaglie per la pace e per il libero commercio condotte da Richard Cobden, nemico di ogni forma di nazionalismo economico e di ogni imperialismo coloniale.

[modifica] Il neoliberismo

Entrato in difficoltà in seguito alla crisi del 1929 e al diffondersi delle teorie keynesiane e più in generale con il diffondersi di visioni collettiviste, il liberismo ha conosciuto una rinascita negli ultimi anni del XX secolo (neoliberismo) in seguito all'affermazione della globalizzazione e - ancor più - con la rinascita della cosiddetta Scuola austriaca (Carl Menger, Ludwig von Mises, Bruno Leoni, Murray N. Rothbard, Friedrich von Hayek). Da notare che tra gli ultimi due ci sono significative differenze: von Hayek sostiene che lo stato deve intraprendere azioni per consentire la concorrenza, mentre Rothbard punta ad una forma estrema di liberismo detta anarco-capitalismo.

[modifica] Cenni teorici

Il liberismo afferma la tendenza del mercato (la mano invisibile) ad evolvere spontaneamente verso la struttura più efficiente possibile, che è poi il "mondo migliore" sia per il produttore che per il consumatore. Quindi, per il liberismo il sistema-mercato tende verso una situazione di ordine crescente.

Al liberismo si associa la nozione di libero scambio, come sistema-mercato non si considera un sistema isolato, una nazione chiusa in un'economia protezionistica (o al limite autarchica), ma un'economia aperta e globalizzata.

[modifica] Il legame con il monetarismo

In alcuni autori, tra i quali il più famoso è Milton Friedman (Premio Nobel per l'economia nel 1976), il liberismo economico si associa al monetarismo, il quale svolge un ruolo che non è esattamente di governo, ma almeno di regolazione dell'economia liberista.

[modifica] Il liberismo in Italia

Storicamente una prima forma limitata di liberismo e capitalismo si verificarono negli antichi Stati italiani e nei liberi comuni con l'organizzazione delle prime importanti banche quindi l'avvento dei primi banchieri o capitalisti nel XIV secolo tra i quali noti furono alcuni membri delle famiglie Frescobaldi, Bardi e Peruzzi; nel secolo successivo noti furono Datini, Pazzi e Medici che con i loro notevoli prestiti finanziari a sovrani francesi e inglesi diedero impulso agli scambi commerciali europei. Facoltosi mercanti italiani contribuirono molto allo sviluppo del commercio nordeuropeo: difatti, nel 1487 Anversa si dotò di un edificio costruito per stabilirvi la prima borsa valori del mondo frequentata prevalentemente da operatori italiani. Poi il liberismo non ebbe modo di svilupparsi ulteriormente in Italia ed Europa a causa delle numerose guerre e politiche economiche protezionistiche adottate dalle più ricche nazioni europee comunque nel XVIII secolo economisti e filosofi di vario tipo pubblicarono libri che teorizzavano sistemi liberisti, non usando il termine liberismo ma l'espressione liberi scambi commerciali internazionali, che poi furono approvati dall'economista Vilfredo Pareto, il quale però successivamente analizzò i punti deboli del libero scambio e quelli dell'economia pianificata di tipo socialista elaborando una sua originale teoria. Ovviamente solo una parte di politici seppe capire e promuovere i programmi liberisti. La parola liberismo, indicante un preciso sistema economico, fu usata per primo da Giovanni Sartori (politologo). Tra illustri esponenti del liberismo italiano ricordiamo:

  • Gaetano Mosca (1858 - 1941), conservatore, politico e filosofo, fu sostenitore di un liberismo moderato.
  • Giovanni Agnelli (senior) (1866 - 1945), imprenditore industriale.
  • Luigi Einaudi (1874 - 1961), economista e politico, fu pure sostenitore del liberismo. Fu il secondo presidente della repubblica italiana, dal 1948 al 1955.
  • Bruno Leoni (1913 - 1967), filosofo del diritto ed editorialista, fu sostenitore delle idee liberiste in Italia nonché teorico politico riconosciuto come tale soprattutto negli Stati Uniti.
  • Mario Pannunzio (1910 - 1968), giornalista e politico.
  • Giovanni Malagodi (1904 - 1991), economista e politico.

Nell'Italia dell'ultimo dopoguerra il liberismo ha avuto un ostacolo notevole costituìto dalla politica economica fondata sulle partecipazioni statali che dipendevano da un appòsito ministero istituìto nel 1956 e abrogato da un referendum nel 1993. Poi la cultura economica del liberismo ha avuto un certo sviluppo che s'è concretizzato nella vendita di numerose aziende statali ad altrettanti imprenditori.

Attualmente in Italia i maggiori esponenti degli studi liberali e liberisti provengono dall'Istituto Bruno Leoni.

[modifica] Il liberismo nel mondo

[modifica] Critiche

Pesanti critiche al liberismo sono state mosse dal Premio Nobel per l'economia Amartya Sen, il quale avrebbe dimostrato l'impossibilità del rispetto contemporaneo dell'efficienza paretiana e del liberismo. Una risposta a Sen è venuta dal filosofo della politica Anthony de Jasay che ha contestato il teorema dell'impossibilità del liberale paretiano.

Delle visioni liberiste può essere considerato un critico anche Joseph E. Stiglitz, soprattutto relativamente alle modalità (ispirate a idee neoliberiste) con la quale le istituzioni internazionali hanno gestito la globalizzazione.

[modifica] L'obiezione di Gomory e Baumol

Nel 2000, MIT Press pubblicò "Commercio globale ed interessi nazionali in conflitto" di Ralph Gomory e William Baumol. L'articolo mostra che esiste un termine di correlazione positivo fra la produzione e produttività di una nazione in un certo settore industriale e quelle delle aziende del settore considerato. La teoria del vantaggio comparato afferma che la ricchezza delle nazioni cresce con lo scambio e la specializzazione della produzione nazionale in alcuni settori e la concentrazione in ogni nazione della produzione mondiale di alcuni settori.

Se un'azienda si espande o investimenti stranieri aprono nuove realtà, produzione e produttività della nazione nel settore crescono; se le industrie emigrano in altre nazioni, l'offshoring ha un impatto negativo sulla produttività del settore.

Se un'impresa apre una realtà produttiva in un altro Paese, la produttività nazionale nel relativo settore crescerà anche se l'azienda nel Paese di origine presentava una produttività inferiore a quella del luogo in cui delocalizza. Questo significa che la produttività dell'azienda si allinea con quelle delle altre presenti sul territorio.

Perciò, un'azienda che vuole migliorare la sua produttività, delocalizzerà nella nazione in cui c'è la maggiore produttività nel settore di riferimento. Analogamente, le altre concorrenti delocalizzeranno nel solito territorio, creando "spontaneamente" una concentrazione della produzione mondiale. La nazione che registra la maggiore produttività in un settore, avrà anche la più alta quota della produzione mondiale nel settore di riferimento.

La presenza di un fattore di costo o di qualità che favorisce l'offshoring, crea un vantaggio che vale per tutte le società che operano in un dato settore, e produce nuovamente una specializzazione nazionale e una concentrazione della produzione mondiale nel territorio che offre tale vantaggio.

L'obiezione al libero scambio sollevata è che la presenza di un fattore di costo favorevole induce una delocalizzazione non solo delle società di un settore, ma di tutti i settori, e una concentrazione della produzione mondiale in genere in un solo territorio. In un modello semplificato di due nazioni produttrici e tre merci, la situazione finale è quella "degenere" di una nazione che produce tutto, e l'altra che non esporta niente. Il fattore non è di un solo settore, ma è comune a tutti i settori dell'economia: l'esempio è il fattore del lavoro a basso costo in Cina, che non genera una specializzazione di Cina e Stati Uniti in settori diversi e un libero scambio fra i due, ma una delocalizzazione dagli USA e una concentrazione in Cina della produzione mondiale un po' in tutti i settori.

Interventi governativi come sussidi e altri aiuti di Stato arrivano per compensare i profitti persi dalle aziende che scelgono di non delocalizzare; il costo di questi incentivi è più che ripagato dalla produzione e dalla competitività del settore, che ne sarebbero altrimenti colpite.

I sussidi divengono controproducenti se ogni Stato replica le stesse misure a difesa della propria economia; come non vede trasferimenti di industrie all'estero, nemmeno vedrà più investimenti stranieri nel proprio territorio.

Il commercio globale per una stessa situazione di crescita della ricchezza mondiale, ammette molteplici equilibri nella distribuzione dei profitti e allocazione della produzione fra i Paesi coinvolti nel libero scambio. Tali equilibri sono stabili e perdurano anche dopo la fine di un intervento volto a rendere il Paese il "low-cost global producer". Chi ottiene un vantaggio di costo blocca gli altri Paesi e finisce per attrarre la produzione mondiale di settore; un prezzo pù basso aumenta la vendita di beni di quel Paese, accresce le economie di scala e il vantaggio di costo nei settori a monte e a valle di quello coinvolto.

Non necessariamente la produzione si sposta nel Paese più produttivo e il vantaggio di costo deriva dalla migliore tecnologia. Ottiene il vantaggio di costo il Paese che per primo inzia ad abbassare la sua curva di costo, stimolando la domanda interna, oppure la produzione e delocalizzazione dall'estero tramite sussidi.

[modifica] Inefficienza allocativa di reddito e prodotto finito

Il liberismo è criticato anche per le inefficienze nella distribuzione del reddito e dei prodotti finiti, ossia per la cumulazione di beni invenduti. I marxisti rilevano l'importanza delle crisi da sovrapproduzione e di guerre periodiche per risollevare la domanda e la produzione ai massimi livelli, e prima ancora per trovare uno sbocco sul mercato alla ricchezza prodotta e non venduta.

[modifica] Errata previsione della domanda

Causa di un incontro inefficiente fra domanda e offerta di mercato, e conseguente accumulo di scorte, può essere un livello di domanda inferiore all'offerta e una domanda poco elastica rispetto al prezzo, al limite a causa di un mercato saturo di un determinato prodotto, generando una situazione in cui nemmeno abbassando i prezzi al costo di produzione e contraendo al minimo i suoi profitti, il produttore riesce a vendere la sua merce.

[modifica] Massimizzazione del profitto

Un'altra causa di accumulo a scorta può essere il fatto che il produttore ha interesse a creare una carenza artificiale del bene perché la domanda spinga i prezzi al rialzo, o a mantenerli ai livelli alti raggiunti, evitando che un eccesso di offerta abbassi il prezzo. Può convenire non soddisfare interamente la domanda e accumulare a scorta.

Se la domanda è un dato ed è il mercato che esercita un ruolo guida, è anche vero che il produttore sceglie la combinazione del prodotto prezzo-quantità, che massimizza il suo profitto. L'incontro fra domanda e offerta avviene quando il produttore decide la quantità da immettere nel mercato e il relativo prezzo. Per disegnare la curva di offerta e stabiilire il prezzo ottimale, si intende che il produttore già dispone della quantità necessaria a coprire quella massima rappresentata nella curva di offerta, e che i costi totali sono costi affondati al momento dell'incontro domanda-offerta. Essendo i costi totali un dato, massimizzare il profitto significa massimizzare il fatturato, ovvero il prodotto prezzo-quantità.

D'altra parte, anche l'incontro fra domanda e offerta, quando avviene nel mercato puro, secondo la teoria liberista, riguarda un'infinità di piccole imprese che hanno una stessa struttura di costo minimo non migliorabile.

[modifica] Scorte e utilizzo delle economie legate alla quantità

Il produttore potrebbe lanciare in produzione solamente la quantità che massimizza il suo fatturato, in modo da perseguire questo obiettivo senza avere delle scorte. La presenza delle scorte non è solo legata all'imprevidibilità della domanda, che è nota in modo sufficiente solo dopoché si è iniziato a produrre.

Il produttore ha talora interesse a produrre a scorta, anche merci deperibili che andranno distrutte dopo un certo tempo, pur di sfruttare economie di scala, di scopo e di apprendimento negli approvvigionamenti di materie prime ed energia, e nel fattore lavoro. L'abbattimento dei costi fissi e di taluni variabili sono talmente rilevanti da ripagare il costo variabile (e la perdita) dei prodotti messi a scorta.

[modifica] Interesse a colludere

È dimostrato che le imprese hanno interesse a colludere, che il profitto del monopolista si colloca più in alto del duopolio, seguito dall'oligopolio e dalla concorrenza monopolistica, mentre la concorrenza è associata ai profitti più bassi.

Nel modello delle 5 forze competitive di Porter, l'asprezza della competizione è data dal numero di concorrenti ed è collegata ad una contrazione dei profitti.

Se l'impresa tende a massimizzare il profitto, tenderà ad un comportamento anticoncorrenziale, volto a ridurre il numero di concorrenti, e al limite ad arrivare al monopolio. Se questo non le è possibile, la collusione di prezzo e quantità prodotta, garantisce un profitto maggiore del libero mercato, anche fra un numero elevato di imprese come avviene in regime di concorrenza perfetta.

Proprio l'ipotesi di razionalità e simmetria informativa formulate per la concorrenza perfetta, garantiscono che i produttori, ancorché in numero elevato, non hanno grandi difficoltà a conoscere i prezzi dei concorrenti e a colludere, allineandosi con quello più alto presente sul mercato.

[modifica] Critica alla situazione italiana

Con la caduta del muro di Berlino, tornarono in auge delle politiche liberiste, sostanzialmente indipendenti dai governi. In quegli anni si sostenne che le liberalizzazioni e privatizzazioni avrebbero grandemente avvantaggiato i consumatori, grazie alla discesa dei prezzi provocata dalla concorrenza. Solo che si privatizzarono e liberalizzarono settori a domanda rigida dove è l'offerta che fa il prezzo mentre la domanda subisce il prezzo, comportando grandissimi guadagni per gli offerenti e grandi disagi per il resto della collettività. Alcuni esempi di domanda rigida privatizzata e "liberalizzata" si ebbero in particolare:

  • la liberalizzazione del prezzo della benzina;
  • la liberalizzazione delle assicurazioni per responsabilità civile;
  • la liberalizzazione del sistema bancario;
  • la privatizzazione dell'energia elettrica (con suddivisione tra produzione e distribuzione);
  • la privatizzazione delle infrastrutture, autostrade in primis.

Alcuni ritengono indicativo, a tale proposito, che sia stato un governo guidato da un ex comunista, Massimo D'Alema, a consentire in Italia la scalata di un gruppo ex pubblico come Telecom Italia senza far uso della golden share che era a disposizione del ministero del Tesoro.

Altrettanto indicativo è che anche il precedente governo di sinistra guidato da Romano Prodi si fosse distinto per lo zelo nell'opera di liberalizzazioni e privatizzazioni.

[modifica] Bibliografia

  • Anthony de Jasay & Hartmund Kliemt, "The Paretian Liberal, His Liberties and His Contracts", Analyse Und Kritik, 1996(18) / 1.
  • Ludwig von Mises, "Human Action: A Treatise on Economics", New Haven: Yale University Press, 1949.
  • Amartya K. Sen, "The Impossibility of a Paretian Liberal", Journal of Political Economy, n. 78, 1970, pp 152-157.
  • Amartya K. Sen,"The Impossibility of a Paretian Liberal: Reply", Journal of Political Economy, n. 79, 1971, pp 1406-1407.
  • Murray N. Rothbard, "Toward a Reconstruction of Utility and Welfare Economics", in Mary H. Sennholz (ed.), On Freedom and Free Enterprise: Essays in Honor of Ludwig von Mises, Princeton, NJ: D. Van Nostrand Co., 1956, pp. 224-262.
  • Articolo di Gomory e Baumol

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