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Centro di permanenza temporanea - Wikipedia

Centro di permanenza temporanea

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

I centri di permanenza temporanea (CPT) sono strutture istituite dall'articolo 12 della legge Turco-Napolitano (n° 40/1998), per tutti gli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile".

I CPT sono da intendersi come i terminali delle politiche migratorie italiane ed europee. Poiché essi hanno la funzione di consentire accertamenti sull'identità di persone trattenute in vista di una possibile espulsione, ovvero di trattenere persone in attesa di un'espulsione certa, il loro senso politico si traccia in relazione all'apparato legislativo sull'immigrazione nella sua interezza.

Nell'ordinamento italiano i CPT costituiscono una grande novità: prima non era mai stata prevista la detenzione di individui a seguito della violazione di un semplice illecito amministrativo (quale il mancato possesso di un documento).

Indice

[modifica] La legislazione sull'immigrazione e i CPT

I CPT non sono solo un fenomeno italiano. Sono invece uno strumento diffuso in tutta Europa in seguito all'adozione di una politica migratoria comune con gli accordi di Schengen del 1995. Accordi ispirati da una parte a una netta chiusura nei confronti dei crescenti flussi migratori, dall'altra a una sorta di tolleranza zero per i migranti irregolari. In questo contesto, si fanno sempre più forti le restrizioni al diritto di asilo, tradizionalmente riconosciuto da ogni carta costituzionale.

Nel 1998, dal primo governo di centrosinistra, viene approvata la prima legge organica sull'immigrazione, la cosiddetta Turco-Napolitano (la numero 40 del 1998), con la quale vengono istituiti i CPT. La legge è incardinata su due principi: da una parte le quote degli ingressi regolari (un numero fissato ogni anno sulla base di un documento programmatico triennale, con una parte delle "quote" riservata ai lavoratori dei paesi con cui l'Italia ha stipulato accordi bilaterali, i quali trattati disciplinano anche la riammissione degli irregolari nel loro paese di origine); dall'altra un ruolo centrale assegnato alla disciplina delle espulsioni, compresa la legittimità di trattenere fino all'atto dell'espulsione l'immigrato irregolare.

Il governo di centrodestra, nel luglio 2002, approva una nuova legge sull'immigrazione, la numero 189, nota come Bossi-Fini. La nuova legge da una parte riduce drasticamente le possibilità di ingresso regolare (sia quanto ai casi di concessione dei visti d'ingresso, sia quanto al ricongiungimento familiare); dall'altra precarizza la condizione del migrante, riducendo la durata dei permessi di soggiorno, e legando rigidamente il permesso al contratto di lavoro. Con la Bossi-Fini, l'accompagnamento coattivo alla frontiera diviene la sua forma ordinaria di esecuzione dell'espulsione amministrativa, laddove invece prima era applicata solo quando le autorità valutassero un concreto pericolo che lo straniero disobbedisse all'ordine.

La legge ha introdotto, inoltre, il reato di clandestinità, ovvero la possibilità di arresto e di detenzione laddove chi abbia già ricevuto un provvedimento di espulsione venga nuovamente fermato senza documenti. Se infatti dopo cinque giorni dall'uscita dal CPT lo straniero viene fermato ancora una volta, viene accusato di "mancato rispetto di un ordine impartito dall'Autorità", ciò che implica l'arresto da sei mesi a un anno. Dopodiché, se a discrezione dell'autorità dovrà essere rimpatriato, finirà ancora una volta in un CPT. Rispetto alla Turco-Napolitano, la Bossi-Fini ha allungato i tempi di detenzione da trenta a sessanta giorni e ha allargato i casi passibili di trattenimento. Inoltre ha previsto la creazione di nuovi centri, e la conversione dei vecchi centri di accoglienza in nuovi CPT. Con la Bossi-Fini il trattenimento diviene da facoltativo a obbligatorio, fatta salva la disponibilità di posti nei centri. Nella prassi, poi, avviene che spesso si decidano retate di "clandestini" proprio a seconda delle disponibilità di posti.

Se l'espulsione è convalidata, allora scatta un periodo di interdizione di dieci anni dall'area di Schengen. Il trattenimento dura sessanta giorni. In realtà la legge dice che dovrebbe durare trenta giorni più eventuali altri trenta giorni di proroga. La proroga, insomma, dovrebbe essere l'eccezionalità. Invece, accade che la proroga viene disposta automaticamente nella totalità dei casi (per cui accade che nel 2002, per fare un esempio, il 33,9% dei migranti trattenuti ha lasciato i CPT per scadenza del termine massimo). Se entro i sessanta giorni il trattenuto non viene rimpatriato, viene rilasciato. Deve però lasciare l'Italia entro cinque giorni. Nel caso in cui risulti inadempiente, scatta il reato di clandestinità. Contro l'ordine di espulsione è possibile appellarsi entro sessanta giorni a un giudice di pace, il quale deve pronunciarsi entro venti giorni. Il ricorso, però, non sospende l'espulsione. Insomma si può essere espulsi, e poi, una volta rimpatriati, vedersi riconosciuto il proprio diritto a non essere rimpatriati.

[modifica] I CPT attualmente in funzione

Bari: San Paolo, viale Europa.
Bologna: ex caserma Chiarini, via Mattei.
Brindisi: Contrada Restinco.
Caltanissetta: Contrada Niscima, Pian del Lago.
Crotone: Sant' Anna, Isola Capo Rizzuto.
Gradisca d'Isonzo: ex caserma Polonio, via Udine.
Lamezia Terme: Malgrado Tutto, Pian del Duca.
Lampedusa: Nuovo CSPAII (Centro di Soccorso e prima accoglienza immigrati irregolari) Contrada Imbriacola nel sito ex Caserma EI, costruito ex novo secondo criteri dedicati.
Milano: via Corelli.
Modena: via Sant'Anna.
Ragusa: ex-Somicem Agip, via Colajanni.
Roma: Ponte Galeria.
Torino: corso Brunelleschi.
Trapani: Serraino Vulpitta.

A questi si aggiungano i CPT adesso chiusi:

Agrigento: ASI/Contrada San Benedetto.
Lecce: San Foca, Regina Pacis.

Essendo sorti per far fronte a un'emergenza piuttosto che secondo un piano razionale, i singoli sono estremamente difformi tra loro quanto a strutture e gestione. I centri non costruiti ex novo si trovano in edifici, appositamente convertiti, che precedentemente erano caserme (come a Bologna), fabbriche dimesse (nel caso dei capannoni industriali di Agrigento), centri di accoglienza (il Regina Pacis di San Foca), ospizi (il Vulpitta di Trapani). La maggior parte dei centri sono gestiti dalla Croce Rossa Italiana. Il resto viene gestito dalla Confraternita delle Misericordie d'Italia (Modena, Lampedusa), da cooperative (Lamezia Terme, Restinco, Gradisca d'Isonzo) e associazioni ad hoc (Caltanissetta).

[modifica] Le voci critiche

Possiamo tracciare schematicamente le violazioni più gravi riscontrate nei centri sia dal rapporto del 2003 di Medici Senza Frontiere che da molteplici testimonianze di avvocati, parlamentari e altre Ong. Decisamente inadeguate sono le strutture dei centri. Come afferma anche Amnesty International nel suo rapporto sui centri, troppe volte i detenuti sono sistemati in container (come succede permanentemente a Torino) e in altri tipi alloggi inadeguati a un soggiorno prolungato, esposti a temperature estreme, in condizioni di sovraffollamento. Alcuni centri hanno uno spazio aperto troppo angusto, quando non manca del tutto. Vi sono notizie di condizioni igieniche carenti, di cibo scadente, e soprattutto di mancate forniture di vestiti puliti, biancheria, lenzuola. Non esistono ambienti separati per i richiedenti asilo, né vengono previste aree separate per gli ex-carcerati: quest'ultimo fatto, che fa del CPT una semplice estensione del sistema carcerario, determina da una parte problemi di convivenza che sorgono tra normali lavoratori irregolari e persone uscite da anni di carcere in cui hanno appreso le regole proprie del paradigma carcerario, dall'altra mette a contatto persone prive di ogni status giuridico e di ogni assistenza a contatto con ambienti che invece possono fornire una possibilità di sopravvivenza (i CPT insomma, invece di diminuire la delinquenza, tendenzialmente è in grado di incrementarla).

L'assistenza medica nei centri è del tutto inadeguata (inesistenza di assistenza psicologica e psichiatrica, assenza di reparti per categorie vulnerabili, carenza nella gestione di cartelle cliniche e nelle misure per prevenire il diffondersi di epidemie). In particolare, molto frequente è l'eccessiva prescrizione di sedativi e tranquillanti. E sono frequentissimi, tra i detenuti, i casi di autolesionismo. Ma nonostante la deprivazione psicologica non è fornito alcun tipo di assistenza.

Sono state riscontrate gravi violazioni quanto al diritto di asilo. MSF aveva verificato ad esempio che - quando ancora non era stato emanato il regolamento che istituisce il trattenimento nei CPT dei richiedenti asilo - i detenuti che avevano fatto richiesta di asilo, invece di essere rilasciati in attesa dell'audizione da parte della commissione come era previsto dalla legge, continuavano a essere trattenuti nei centri. Sono stati testimoniati casi in cui stranieri con un regolare permesso di soggiorno sono stati egualmente detenuti nei centri, e la loro detenzione è stata convalidata dal giudice durante l'udienza (a riprova di quanto siano garantiti i diritti legali dei detenuti). In altri casi c'è stato il trattenimento illegale di minori non accompagnati e di donne incinte.

È stato verificato come siano ben pochi i centri ad aver steso un regolamento interno, come richiesto dal ministero, e come la "carta dei diritti e dei doveri" consegnata ai detenuti all'ingresso nei centri – non essendo spesso tradotta nelle lingue dei detenuti, e mancando un adeguato servizio di informazione legale (spesso svolto da personale non specializzato dell'ente gestore) – sia insufficiente allo scopo previsto. Così, come emerge da tantissime testimonianze, il migrante si trova chiuso in una prigione senza sapere nulla né del perché si trova lì dentro, né di cosa gli accadrà in seguito. E spesso, come si è detto, non ha alcuna informazione sulle sue possibilità di presentare richiesta d'asilo. Gli enti gestori, poi, talvolta fanno il possibile per dissuadere i detenuti dal nominare certi avvocati molto attivi per sostenere i diritti dei migranti in favore di altri "fidati" i quali poi non mostrano alcun impegno.

Decisamente rilevante, a questo rispetto, è la difficoltà di essere ammessi dentro le strutture per parlamentari, rappresentanti di Ong (non è mai stata ammessa la stessa Amnesty International), avvocati (con relative difficoltà per ricevere la nomina degli assistiti potenziali, e di incontrare gli assistiti effettivi), giornalisti (di fatto mai ammessi).

Citando il rapporto di Amnesty International: "C'è stato un certo numero di denunce di abusi di matrice razzista, aggressioni fisiche e uso eccessivo della forza da parte degli agenti di pubblica sicurezza e da parte del personale di sorveglianza, in particolare durante proteste e in seguito a tentativi di evasione. Vari procedimenti penali sono in corso laddove i detenuti sono stati in grado di sporgere querela. (…). Raramente c'è chiarezza fra i detenuti su come e a chi dovrebbe essere rivolta una denuncia, o una preoccupazione riguardo al trattamento da parte del personale, dei compagni di prigionia o degli agenti di pubblica sicurezza; la maggior parte di loro non avrebbe pieno accesso a meccanismi di denuncia né a consulenze indipendenti. Talvolta, ad alcuni detenuti che intendevano denunciare qualcosa è stata offerta la possibilità di accedere al sistema di giustizia penale da parte di avvocati, Ong o parlamentari in visita, ma la maggior parte delle presunte vittime sarebbe riluttante a sporgere denunce per abusi mentre si trova ancora nei Cpta, per paura di ritorsioni".

L'analisi di molti gruppi marxisti e libertari identifica i CPT come strumento necessario al capitale per regolare la quantità di "forza lavoro eccedente", cioè disoccupati e lavoratori saltuari. È un dato oggettivo, infatti, che oggi una parte irrinunciabile della manovalanza nei paesi europei è costituita da immigrati che lavorano in nero, ai limiti della legalità, a progetto o a termine, per di più spesso in assenza del rispetto delle normative di sicurezza. Ma perché questi possano accettare di lavorare in tali condizioni, è necessario che siano anche estremamente ricattabili. Per questo motivo il capitale deve far sì che siano clandestini o provvisti di un permesso di soggiorno la cui precarietà sia ancor più precaria del loro lavoro (se il lavoro termina, il permesso di soggiorno non viene rinnovato).

Sostengono inoltre che il termine tecnicamente corretto per identificare i CPT sia campo di concentramento. Tali strutture infatti (nella Germania nazista come in altri contesti storici) erano luoghi in cui venivano rinchiuse persone che non avevano commesso un reato degno di nota, ma erano considerate potenzialmente pericolose. Tale presunta pericolosità spesso deriva proprio dalla nazionalità di provenienza o dall'etnia dei reclusi. In Italia nessun sostenitore dei CPT ha mai fornito una giustificazione differente da quella di tutti gli altri campi di concentramento: gli irregolari, secondo questi sostenitori della carcerazione amministrativa, devono essere rinchiusi e rispediti in patria perché in caso contrario potrebbero commettere alcuni reati.

A queste critiche, gli anarchici e i libertari aggiungono un rifiuto incondizionato di ogni tipo di reclusione. Essi negano qualunque funzione punitiva e rieducativa di ogni tipo di struttura di contenzione. Aggiungono poi che tali strutture sono parte integrante, o meglio punta d'iceberg, di una struttura repressiva che crea le brutture che purtroppo conosciamo bene (stupri, serial killer...), ma che sono sconosciute dalle società meno alienate, che proprio per questo abbiamo bisogno di definire primitive (quando presenti, queste brutture sono nate in seguito al contatto con la nostra civiltà).

[modifica] I campi di concentramento libici

I gruppi che con più fervore e costanza si oppongono ai CPT estendono la loro critica ai campi di concentramento libici. Gli immigrati di origine africana che vengono espulsi dall'Europa, infatti, vengono deportati in tali strutture. I tre campi attualmente esistenti sono stati parzialmente finanziati dal governo italiano. Il primo è stato costruito nel 2003 e si trova nel nord del paese. I due successivi hanno visto stanziamenti nella finanziaria 2004-2005 e si trovano rispettivamente ad Al kufr (al confine con l'Egitto) e uno a Sebha.

Tutti e tre si trovano comunque nel deserto. Durante il tragitto da e verso tali campi, moltissimi sono i casi accertati di decessi. Inoltre persone che vi sono state e che sono riuscite a fuggire testimoniano che i secondini forniscono ai detenuti un piatto di riso al giorno e acqua ogni due giorni. All'interno si trovano molte famiglie e molti bambini orfani.

[modifica] Bibliografia

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni


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