Carmine Donatelli Crocco
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« ...E intorno a noi il timore e la complicità di un popolo. Quel popolo che disprezzato da regi funzionari ed infidi piemontesi sentiva forte sulla pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E chi poteva vendicarli se non noi, accomunati dallo stesso destino? Cafoni anche noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come l'erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana ed astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall'anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà... » | |
Carmine Donatelli Crocco (Rionero in Vulture, 5 giugno 1830 – Portoferraio, 18 giugno 1905) è stato un brigante italiano, nonchè tra i più noti dell'intero fenomeno del brigantaggio. Si oppose alla conquista del Sud Italia da parte dei piemontesi nel periodo che va dal 1860 al 1870.
Indice |
[modifica] L'infanzia
Carmine Donatelli Crocco nasce in una capanna di foglie e fango; Rionero in Vulture, il suo paese natale, contava all'epoca 10000 abitanti. Figlio di Francesco Crocco Donatelli, pastore presso la ricca e nobile famiglia Fortunato e di Maria Gera di Santo Mauro, massaia tutta casa e famiglia. Secondogenito di cinque figli, ha la vita segnata all'età di sei anni, quando con il fratello Donato uccise un cane reo di aver mangiato un coniglio di famiglia. Il cane apparteneva ad un signorotto del paese che sapendo dell'accaduto picchiò Donato, la disgrazia volle che la madre incinta di cinque mesi si contrappose tra il signorotto e suo figlio subendo un forte calcio al ventre che la costrinse a letto per ben tre anni. Successivamente il signorotto, tale don Vincenzo, venne colto da alcuni colpi d'arma da fuoco senza subire nessun danno fisico, incolpato di tutto fu il padre di Carmine che venne imprigionato. Questo episodio segnerà per sempre la vita di Carmine Donatelli Crocco che diventerà poi il grande Crocco ancor oggi ricordato dalla maggior parte dei cittadini lucani.
[modifica] L'adolescenza
Con il padre in carcere ingiustamente, e una madre ormai divenuta pazza il giovane Carmine con il fratello Donato va a lavorare come pastore in Puglia, più volte ritornò a Rionero in quel periodo ma la madre non lo riconobbe mai. Il padre intanto veniva scarcerato dopo 31 mesi poiché palesemente non colpevole ma la sua rimaneva comunque una libertà condizionata. Crocco ha 15 anni, quando salva dalle acque dell'Ofanto un nobile del posto che gli regala 50 scudi e gli permette di ritornare nella sua amata Rionero dopo ben 5 anni di soggiorno come pastore in Puglia. Tornato a Rionero il giovane Carmine inizia a lavorare come contadino presso la masseria di un certo Lovaglio e qua conosce il figlio di colui che picchiò sua madre. Costui offrì al giovane Carmine la possibilità di non prestare il servizio militare. Disgrazia volle che il giovane venne assassinato e quindi colui che sarebbe diventato Crocco si ritrovò nell'esercito di Ferdinando II, nel primo reggimento d'artiglieria.
[modifica] Il primo omicidio
Siamo nel 1851. Con la sorella a casa a lavorare per tante ore al giorno, Crocco riceve notizie della sua Rionero solo con le lettere della sorella stessa divenuta ormai maggiorenne. In una di questa la sorella parla di un tale don Peppino e di una certa Rosa che cercano di importunarla. Alla prima occasione utile Carmine torna a Rionero e, per vendicare quello che aveva subito la sua unica amatissima sorella Rosina, uccide con una pugnalata don Peppino. Dapprima rifugiatosi nella boscaglia, viene catturato e condannato. Da allora cominciò la sua vita da brigante.
[modifica] Brigantaggio
Nel 1852 disertò e costituì con Ninco Nanco e Vincenzo Mastronardi una banda armata, che si insediò nei boschi di Monticchio e visse di rapine e furti fino all'arresto, avvenuto il 13 ottobre 1855. Fu condannato a 19 anni di carcere da scontare nel bagno penale di Brindisi, da cui evase nella notte tra il 13 e 14 dicembre 1859 tornando nei boschi di Monticchio.
Si unì quindi ai moti liberali di Rionero il 17 agosto 1860 sperando di ricevere la grazia. Tuttavia Decio Lordi, vicegovernatore, lo fece condannare per il sequestro di Michele Anastasia, avvenuto prima dei moti risorgimentali agostani. Con l'aiuto di alcuni amici, Crocco tentò la fuga verso Corfù ma venne sorpreso a Cerignola e nuovamente incarcerato. Evase nella notte tra il 3 e il 4 febbraio 1861 con l'aiuto del movimento legittimista rionerese, movimento a cui subitò aderì, con l'incarico di reclutare soldati rimasti fedeli ai Borbone.
Riuscì a riunire 400 o 550 briganti autonominandosi “generale del Re”. Il 7 aprile occupò il castello di Lagopesole e il giorno successivo Ripacandida, deve sconfisse la guarnigione locale della Guardia Nazionale Italiana. Crocco dichiarò subito decaduta l'autorità sabauda e ordinò che fossero esposti nuovamente gli stemmi e i fregi di Francesco II. Il 10 aprile i briganti entrarono a Venosa e la saccheggiarono, uccidendo tutti quelli che si opponevano alla loro autorità (tra cui il medico Francesco Nitti, nonno di Francesco Saverio Nitti). Anche qui fu istituita una giunta provvisoria.
Fu poi la volta di Lavello ed infine di Melfi (15 aprile), dove i suoi uomini precedentemente mandati provocarono una rivolta antisabauda e dove Crocco fu accolto trionfalmente. Quegli episodi impressionarono notevolmente il governo italiano che decise di inviare nuove truppe sotto il comando del generale Della Chiesa. Dopo numerosi scontri cadde anche la città natale del brigante. Insorgono anche molti paesi del materano e del lagonegrese.
Solo due giorni dopo però l'esercito di Crocco fu costretto a ritirarsi verso l'Ofanto a causa dei massicci rinforzi alla Guardia Nazionale inviati dal governo regio. Nei giorno successivi tutti i paesi insorti e occupati furono riconquistati, ristabilendo l'autorità sabauda. Crocco e la sua banda vissero nei boschi sperando in un provvedimento di clemenza. Dopo la disfatta, avvenuta sull'Ofanto il 25 luglio, fuggì nello Stato Pontificio, che aveva sostenuto la causa legittimista. Fu invece catturato a Veroli e incarcerato a Roma. Dopo la presa di Roma fu rilasciato alle autorità italiane e a Potenza fu condannato a morte l'11 settembre 1872. La pena fu commutata nei lavori forzati a vita, da svolgersi nel carcere di Portoferraio, dove morì il 18 giugno 1905.
[modifica] Curiosità
Carmine Crocco è il personaggio principale del cinespettacolo "La Storia Bandita" che si tiene ogni anno, durante i mesi estivi, nel Parco Grancia di Brindisi di Montagna (PZ). Nel 2005, per commemorare il centenario della morte di Carmine Crocco, l'Associazione Culturale SKENÈ di Rionero ha allestito la commedia popolare dal titolo "La Ballata del generale Crocco" scritta e diretta da Mauro Corona. Un altro spettacolo - rivisitazione storica dell'epopea brigantesca - degno di nota è quello che viene riproposto ogni anno, nel mese di luglio,a Rionero denominato "La Parata dei Briganti", dove si racconta la vita dei briganti, delle loro gesta e dei processi del 1870 e 1872 presso il tribunale di Potenza a Carmine Crocco.
[modifica] Film
Il documentario Carmine Crocco, dei briganti il generale racconta la vicenda del brigante di Rionero ricostruendo il clima di quegli anni. Scritto da Antonio Esposto e Massimo Lunardelli, è stato prodotto da Niccolò Bruna per Colombrefilm nel 2008.
Il film Li chiamarono... briganti! del 1999 narra una parte della vita di Crocco.