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Aterosclerosi - Wikipedia

Aterosclerosi

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Aterosclerosi
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Malattia rara
Codici di esenzione
SSN italiano {{{RaraIT}}}
Classificazione e risorse esterne
ICD-9-CM (EN) 440
ICD-10 (EN) I70
Sinonimi
Eponimi


L'aterosclerosi è una malattia infiammatoria cronica delle arterie di grande e medio calibro che si instaura a causa dei fattori di rischio cardiovascolare: fumo, ipercolesterolemia, diabete mellito, ipertensione, obesità, iperomocisteinemia; si sospetta che possano esservi anche altre cause, in particolare di natura infettiva e immunologica. Anatomicamente, la lesione caratteristica dell'aterosclerosi è l'ateroma o placca aterosclerotica, ossia un ispessimento dell'intima (lo strato più interno delle arterie, che è rivestito dall'endotelio ed è in diretto contatto con il sangue) delle arterie dovuto principalmente all'accumulo di materiale lipidico (grasso) e a proliferazione del tessuto connettivo.

Clinicamente l'aterosclerosi può essere asintomatica oppure manifestarsi, di solito dai 40-50 anni in su, con fenomeni ischemici acuti o cronici, che colpiscono principalmente cuore, encefalo, arti inferiori e intestino.

Il termine aterosclerosi è stato proposto da Marchand nel 1904 per sottolineare la presenza dell' ateroma (dal greco athere, che significa "pappa", ad indicare il materiale grasso, poltaceo, contenuto nelle placche). Le lesioni, che hanno come caratteristica specifica la componente lipidica più o meno abbondante, si evolvono con il tempo: iniziano nell'infanzia come strie lipidiche (a carattere reversibile) e tendono a divenire vere e proprie placche aterosclerotiche, che nelle fasi avanzate possono restringere (stenosi) il lume arterioso oppure ulcerarsi e complicarsi con una trombosi sovrapposta, che può portare ad una occlusione dell'arteria.

Per arteriosclerosi si intende invece un indurimento (sclerosi) della parete arteriosa che compare con il progredire dell'età. Questo indurimento arterioso è la conseguenza dell'accumulo di tessuto connettivale fibroso a scapito della componente elastica.

Indice

[modifica] Patogenesi

Gli eventi iniziali nella formazione dell'aterosclerosi (aterogenesi) vanno identificati nel danno dell'endotelio (danno funzionale o disfunzione endoteliale ) e nell'accumulo e successiva modificazione (aggregazione, ossidazione e/o glicosilazione) delle lipoproteine a bassa densità (LDL) nell'intima delle arterie, due eventi che si influenzano a vicenda.

L'accumulo delle LDL è dovuto non solo all'aumento della permeabilità dell'endotelio funzionalmente o anatomicamente danneggiato, ma anche al loro legarsi ai costituenti della matrice extracellulare dell'intima; legame che aumenta il tempo di residenza in loco delle lipoproteine. Un fattore importante che causa un aumento della matrice connettivale intimale (ispessimento dell'intima) è rappresentato dall'attrito della corrente sanguigna sulla superficie vasale (stress emodinamico), che è particolarmente accentuato in corrispondenza delle ramificazioni e delle curvature dei vasi, sedi che risultano particolarmente predisposte alla sviluppo delle lesioni aterosclerotiche.

La disfunzione/attivazione endoteliale, ad opera dei fattori di rischio cardiovascolare, è seguita dall'adesione e migrazione di monociti e linfociti T nell'intima in risposta all'espressione sulla superficie endoteliale di molecole adesive (Selettine, VCAM-1, ICAM-1) e ai segnali chemiotattici (MCP-1) emessi dall'endotelio danneggiato (vedi endotelio: fisiologia dell'endotelio).


disfunzione endotelio


I macrofagi fagocitano le lipoproteine infiltrate ed ossidate nell'intima e si trasformano nelle cellule schiumose, che caratterizzano le strie lipidiche (fatty streaks). La secrezione di citochine e di fattori di crescita, principalmente di derivazione macrofagica, induce la migrazione delle cellule muscolari lisce dalla media nell'intima, dove proliferano, si differenziano nel fenotipo “sintetico” e sintetizzano matrice extracellulare, determinando la trasformazione delle fatty streak nelle lesioni avanzate. Alla crescita delle lesioni può contribuire l'adesione di piastrine all'intima denudata e il formarsi di trombi intramurali, conseguenti alla erosione/ulcerazione delle placche aterosclerotiche. Quindi, nella patogenesi dell'aterosclerosi intervengono l'endotelio, i leucociti, le cellule muscolari lisce e le piastrine e rivestono un ruolo fondamentale l'infiltrazione lipidica della parete arteriosa e l'azione meccanica del flusso sanguigno sulle pareti dell'arteria.

Questa teoria unificata dell'aterosclerosi è il frutto di una lunga serie di teorie patogenetiche, ciascuna delle quali ha di volta in volta posto l'attenzione su l'uno o l'altro dei molteplici fattori patogenetici, a cominciare dalle teorie della “insudazione” [Virchow (1856), Anitchkov e Chalatov (1913)] e della “incrostazione” [Rokitansky (1842), Duguid (1946)] fino ad arrivare alle più recenti teorie della “risposta alla lesione endoteliale” (Ross e Glomset, 1973 e 1986) o della “risposta alla ritenzione” di K. J. Williams e I. Tabas (1995), nella quale viene attribuita maggiore importanza come fenomeno iniziale delle lesioni all'intrappolamento delle LDL nell'intima, piuttosto che ad un iniziale danno endoteliale.


patogenesi aterosclerosi


Contrariamente alla prima formulazione dell'ipotesi della “risposta al danno endoteliale” (Ross e Golmset,1973), oggi è generalmente accettato che l'inizio dell'aterosclerosi non richieda un danno endoteliale nella forma di desquamazione focale, con denudamento dell'intima e adesione piastrinica. Piuttosto, un evento precoce dell'aterogenesi è identificato nell'alterazione funzionale (disfunzione) dell'endotelio da parte delle noxae patogene. La compromissione della attività endocrino-paracrina dell'endotelio è responsabile della disfunzione endoteliale. L'alterazione funzionale si manifesta con l'espressione di molecole adesive alla superficie cellulare e con la secrezione di sostanze biologicamente attive (citochine, fattori di crescita, radicali liberi), che sono responsabili dell'adesione dei leucociti, ma anche di turbe delle proprietà emostatiche dell'endotelio, della permeabilità alle proteine plasmatiche e del controllo del tono vasale.

Anche se la disfunzione riguarda tutte le funzioni endoteliali, la diagnosi di disfunzione endoteliale avviene valutando solo alcuni aspetti significativi di essa, come l'entità della vasodilatazione endotelio-dipendente nelle coronarie o nelle arterie brachiali, utilizzando l'infusione intra-arteriosa di agonisti ed antagonisti endoteliali come il L.NMMA, inibitore della sintesi di ossido nitrico (NO), a dosi che non determinano effetti sistemici, oppure misurando la vasodilatazione flusso-indotta. Il termine “attivazione endoteliale” designa un tipo di disfunzione endoteliale caratterizzato dall'acquisizione (per effetto di vari stimoli, citochine in primo luogo) di nuove proprietà funzionali ed antigeniche riguardanti soprattutto l'interazione con i leucociti (De Caterina: European Heart Journal 2003, 5 (Suppl. A), A15).

[modifica] Ruolo delle LDL ossidate

Il ruolo fondamentale nello sviluppo della reazione infiammatoria cronica dell'intima è svolto dalla ossidazione delle LDL, che restano intrappolate nella matrice extracellulare dello spazio subendoteliale. L'ossidazione delle LDL è dovuta ad enzimi e metaboliti ossidanti prodotti dalle cellule della parete arteriosa, soprattutto dai monociti-macrofagi reclutati nell'intima in conseguenza del danno endoteliale a varia eziologia.

Inizialmente, si ha la perossidazione della componente lipidica delle LDL, che interferisce scarsamente sull'interazione delle LDL con il recettore ApoB-E (o LDL-R); tali MM-LDL (LDL minimamente ossidate) sono “cavalli di Troia” (Hajjar: Journal of Biological Chemistry 1997, 272,22975), fisicamente simili alle LDL, ma con un carico di macromolecole bioattive, che viene introdotto nella cellula con la endocitosi delle MM-LDL.

Nelle fasi successive, si generano prodotti dei lipidi perossidati e prodotti aldeidici (malondialdeide, MDA; 4-idrossinonenale), che possono modificare covalentemente la componente proteica delle LDL; queste OX-LDL “sabotatori cellulari” non vengono più riconosciute da LDL-R, ma si legano agli "scavenger receptors" (SR: SR-A, CD36 e CD68). Poiché gli SR non sono soggetti a regolazione a feedback-negativo, le OX-LDL non solo introducono nelle cellule che le fagocitano macromolecole attive, ma in aggiunta causano l'accumulo intracellulare di esteri del colesterolo, responsabile della trasformazione in cellule schiumose o foam cells, caratteristiche del tessuto aterosclerotico.

L'interazione con i corrispondenti recettori LDL-R e SR (e la conseguete generazione di messaggeri intracellulari, in particolare i radicali liberi dell'ossigeno o ROS) e l'introduzione nella cellula di prodotti ossidati sono la base biochimica dell'azione patogena delle LDL. Le OX-LDL attivano nelle cellule (endotelio, macrofagi, cellule muscolari lisce), alcuni fattori di trascrizione (es. NF-kB), che inducono l'espressione di geni che codificano per molecole adesive, citochine e fattori di crescita e che danno l'avvio alla risposta infiammatoria.

Ad esempio, nell'endotelio, i geni per le molecole adesive ICAM-1, VCAM-1 e E selettina, per il fattore chemiotattico MCP-1 e per il Fattore Tessutale sono sotto il controllo del fattore di trascrizione redox-sensibile NF-kB. Kume N nel 1991 ha suggerito che le cellule endoteliali assorbono le OX-LDL attraverso una via recettoriale che non coinvolge gli scavenger receptors. Sawamura, T., N. Kume, e altri nel 1997 hanno identificato il primo recettore delle cellule endoteliali per le Ox-LDL, che è stato denominato LOX-1 (lectinlike Ox-LDL receptor-1).

Gli studi sperimentali hanno attestato che le LDL ossidate possiedono numerose attività biologiche sulle cellule della parete arteriosa, inclusa un'azione citotossica diretta e un'azione mitogena su cellule muscolari lisce, macrofagi, fibroblasti e cellule endoteliali. Nell'endotelio inducono l'espressione di molecole adesive per i leucociti; stimolano la produzione di sostanze chemiotattiche (che in parte rimangono legate alla superficie endoteliale e in parte sono liberate nel subendotelio) e favoriscono la sintesi di fattori di crescita per i monociti/macrofagi e per le cellule muscolari lisce; stimolano la sintesi di PAI-1 (plasminogen activator inhibitor-1) e di fattore tessutale, promuovendo la coagulazione; stimolano la produzione di endotelina e inibiscono quella di NO, inibendo la vasodilatazione endotelio-dipendente. Sui macrofagi esercitano un effetto chemiotattico diretto; determinano la trasformazione in cellule schiumose; stimolano la produzione di citochine, fattori di crescita e metalloproteasi. Nelle cellule muscolari lisce inducono la sintesi di MCP-1. Infine le LDL ossidate attivano le piastrine e ne provocano l'aggregazione.

[modifica] Anatomia patologica

Macroscopicamente l'aterosclerosi si manifesta fondamentalmente con tre lesioni elementari, che rappresentano le fasi evolutive della malattia:

  1. stria lipidica
  2. placca fibrosa
  3. lesione complicata

Le strie lipidiche sono strie allungate di 1-2 mm, ma talora raggiungono 1 cm o più, di colore giallastro e bordi netti, che spiccano sul colore biancastro dell'intima; sono di solito piatte e presentano una superficie liscia e continua. Si tratta di lesioni reversibili: in presenza dei fattori di rischio cardiovascolare possono progredire nelle lesioni più avanzate, ma se questi mancano possono regredire. Infatti le strie lipidiche dell'aorta sono estremamente frequenti anche nelle aree geografiche dove l'incidenza dell'aterosclerosi avanzata è bassa, e strie lipidiche compaiono nell'aorta di tutti i bambini che abbiano più di 1 anno, senza differenze razziali, geografiche ed ambientali; possono essere presenti anche alla nascita. Nello studio di New Orleans (1952-1957) compiuto da Strong e McGill sulle aorte di 526 soggetti deceduti fra 1 e 40 anni, le strie lipidiche aumentavano rapidamente di estensione durante la pubertà. Nelle coronarie le strie lipidiche compaiono verso la pubertà. Nello studio autoptico di Stary (1979-1986) sono state esaminate le arterie coronarie di 560 soggetti tra 0 e 29 anni. Le strie lipidiche coronariche erano visibili dopo i 10 anni, con una incidenza del 50% nei bambini tra 10 e 15 anni.

La placca fibrosa consiste di un ispessimento circoscritto, sporgente sul piano dell'intima, di colorito bianco perlaceo o lievemente giallognolo, di dimensioni varie, da qualche millimetro a diversi cm. La superficie è liscia o alquanto scabra ma continua, la consistenza è dura. Alla sezione, l'aspetto può essere omogeneo oppure variegato per la presenza di un centro decisamente giallo, molle o poltaceo, unto e asportabile (la cosiddetta pappa ateromasica), ricoperto verso l'intima da un rivestimento fibroso, detto cappa, duro e biancastro. Le placche ateromatose hanno nell'uomo una distribuzione abbastanza costante: in ordine decrescente sono interessate: aorta addominale, fino alla biforcazione delle arterie iliache, con maggiore gravità intorno agli osti delle diramazioni maggiori; arterie coronarie, di solito entro i primi 6 cm; arterie poplitee, femorali e aorta toracica, in particolare intorno agli osti delle arterie intercostali; carotidi interne. Sono invece di solito risparmiati i vasi delle estremità superiori.

Le placche fibrose possono poi andare incontro ad ulteriori complicazioni (ulcerazione, emorragia, trombosi, calcificazione), determinando così il terzo e più grave stadio aterosclerotico, le lesioni complicate.

[modifica] Fisiopatologia

Le manifestazioni cliniche dell'aterosclerosi compaiono in genere dopo i quaranta-cinquanta anni di età e sono dovute alla ischemia (riduzione del flusso ematico) nel letto vasale dipendente dall'arteria lesa. La riduzione del flusso dipende sia dal restringimento del lume arterioso in corrispondenza delle lesioni aterosclerotiche sia dalla presenza di meccanismi di compenso insufficienti. Il principale meccanismo di compenso è rappresentato dall'instaurasi di circoli collaterali, che consentono al sangue di raggiungere i territori ipoirrorati attraverso i vasi adiacenti.

Le manifestazioni croniche sono conseguenti ad un restringimento stabile dell'arteria colpita, che rende il flusso ematico fisso, cioè incapace di aumentare quando le condizioni funzionali lo richiedono, come ad esempio durante gli sforzi fisici. Di conseguenza la sintomatologia, in particolare il dolore, tende ad essere assente a riposo e a presentarsi in occasione di esercizio fisico più o meno intenso, a seconda della gravità dell'ostruzione arteriosa e dell'efficienza dei circoli collaterali. Tipiche sindromi croniche sono: angina pectoris stabile, angina abdominis, claudicatio intermittens, nella quale il dolore insorge durante la deambulazione e scompare tipicamente dopo pochi minuti di riposo.

Le manifestazioni acute sono invece il risultato di una improvvisa riduzione del lume arterioso, che provoca una brusca riduzione del flusso ematico nel territorio dipendente. In genere l'occlusione arteriosa è causata dalla rottura (fissurazione) di una placca aterosclerotica, con conseguente trombosi in corrispondenza della ulcerazione. Raramente alla base delle manifestazioni acute vi può essere uno spasmo vasale, che viene chiamato in causa quando gli esami angiografici non rilevano alterazioni dei vasi. Sono sindromi ischemiche acute: angina pectoris instabile, infarto miocardico, infarto intestinale, ictus ischemico.

I fattori responsabili della fissurazione della placca ateromatosa sono molteplici e complessi, ma due fenomeni sembrano di particolare importanza: l'infiammazione della placca e la presenza di una'abbondante componente lipidica, che renderebbero la placca meno resistente all'urto della corrente ematica. Le cellule infiammatorie e soprattutto i macrofagi producono enzimi idrolitici (metalloproteasi), capaci di lisare il collagene della cappa fibrosa, che diviene cosi meno resistente agli stress emodinamici.


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