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Reattore nucleare veloce autofertilizzante - Wikipedia

Reattore nucleare veloce autofertilizzante

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Schema di un teorico reattore veloce refrigerato a Sodio di 4° generazione
Schema di un teorico reattore veloce refrigerato a Sodio di 4° generazione

Un reattore veloce autofertilizzante (o FBR, Fast Breeder Reactor) è un reattore a fissione progettato per ottenere un rapporto di conversione maggiore di uno, cioè per produrre più materiale fissile al suo interno di quanto ne consumi. I rapporti di conversione tipici dei reattori autofertilizzanti sono circa 1,2 mentre quelli dei reattori di 1°, 2° e 3° generazione sono di circa 0,6 per gli LWR (PWR, BWR) ed arrivano a circa 0,8 nei CANDU. Infine, un reattore veloce con rapporto di conversione pari ad 1 è in genere detto "convertitore".

Il termine veloce indica che i neutroni emessi dalle fissioni non vengono rallentati (moderati) ma interagiscono con i nuclei di fissile con un'energia prossima a quella che possedevano al momento della loro origine nella fissione: la loro energia cinetica è di alcune centinaia di KeV, mentre nei reattori tradizionali (a neutroni "termici", moderati) l'energia cinetica media dei neutroni è inferiore all'elettronvolt (eV).

Per quanto la ricerca si sia principalmente orientata verso reattori autofertilizzanti a neutroni veloci, il fenomeno della "autofertilizzazione" può essere ottenuto anche in reattori a neutroni termici (cioè più lenti): deve tuttavia essere utilizzato un "combustibile" differente, a base di torio anzichè diuranio. In generale, l'uso di neutroni "lenti" comporta diversi vantaggi, fra cui una molto minore sollecitazione dei materiali che compongono il reattore (problema viceversa critico per i reattri veloci).

Indice

[modifica] Struttura di un reattore autofertilizzante all'uranio-plutonio

Il nocciolo di questo tipo di reattori è diviso in una parte centrale detta seme (o seed), in cui sono contenuti gli elementi di combustibile uranio-plutonio, fortemente arricchiti, e una periferia detta mantello (o blanket) che circonda il seme e contiene elementi di combustibile normalmente di uranio naturale o depleto (impoverito), che si arricchisce lentamente di plutonio ed altri elementi pesanti. Entrambe le zone del nocciolo generano energia, ma mentre negli elementi del mantello la concentrazione di plutonio e altri elementi pesanti aumenta, in quelli del seme diminuisce, per la maggiore probabilità di avere fissione rispetto a una catture che originerà la fertilizzazione. Complessivamente, la densità di potenza di un nocciolo di un reattore veloce è più grande di quella in un reattore termico; per questo il refrigerante deve avere un alta capacità di asportare calore. Esclusa l'acqua, che modera i neutroni, storicamente ci si è rivolti verso l'impiego di metalli fusi: il più comunemente usato finora (ad esclusione dell'Unione Sovietica) è il sodio, che viene mantenuto allo stato fuso sia dal calore prodotto nel nocciolo che da appositi riscaldatori elettrici in fase di fermata dell'impianto e fatto circolare e convogliato agli scambiatori di calore tramite pompe.

I reattori veloci hanno bisogno, per il seme, di una frazione fissile molto elevata: per usare uranio come combustibile è necessario arricchirlo fino al 20% di 235U. Per questo si usa come combustibile del seme una miscela di 80% uranio naturale e 20% di plutonio, più economica. Nel mantello invece si può usare sia uranio arricchito sia uranio naturale, sia MOX o anche uranio impoverito. Periodicamente, gli elementi del seme e delseed mantello devono essere estratti e riprocessati: i primi per essere di nuovo arricchiti di plutonio, i secondi per estrarne il plutonio generato. La fissione del plutonio produce più neutroni rispetto a quella dell'uranio ed inoltre il numero di neutroni prodotti da una singola fissione aumenta all'aumentare dell'energia del neutrone che genera la fissione stessa: questo permette di farne assorbire alcuni dal mantello pur mantenendo critico ("acceso") il reattore[1].

[modifica] Vantaggi dei reattori autofertilizzanti

Il vantaggio principale di un reattore autofertilizzante è l'economia di combustibile: se un CANDU, uno dei reattori termici più efficienti, ricava energia (volgarmente "brucia")[2] da appena l'1% del "combustibile", i reattori veloci sono invece in grado di trasmutare e fissionare praticamente tutto l'uranio contenuto in essi, arrivando a valori di sfruttamento prossimi al 100%. Citazione necessaria|In termini energetici la resa di un reattore veloce è di 6.500-7.500 MWh per kg di uranio, contro i 40-55 MWh per kg di un reattore termico tradizionale.

Un altro (parziale) vantaggio consiste nel fatto che il "combustibile" esausto scaricato da un reattore di questo genere ha una radiotossicità che impiega "solo" decine di migliaia di anni a scendere al livello dell'uranio naturale di partenza, contro tempi dell'ordine del milione di anni dei reattori termici di 1°, 2° e 3° generazione; si tratta di un vantaggio parziale poiché i reattori al torio sono ulteriormente e radicalmente migliori da questo punto di vista (si veda oltre)[3]. Un terzo vantaggio è che, togliendo gli elementi del mantello e sostituendoli con le scorie dei reattori tradizionali, i reattori autofertilizzanti possono "bruciare" ulteriormente le scorie nucleari, ricavando da esse altra energia e trasmutandole in elementi leggeri (si parla in questo caso di reattori burners, non più autofertilizzanti).

[modifica] Svantaggi e rischi potenziali

Ci sono però altre considerazioni da fare. Prima di tutto, la velocità di produzione di nuovo fissile è molto bassa: il tempo di raddoppio, cioè il tempo in cui il reattore produce il doppio del materiale fissile che aveva nella sua carica iniziale, è di 15-20 anni; inoltre, come già detto, gli elementi di combustibile devono essere sostituiti spesso per mantenere alta la percentuale di plutonio nel seme e abbassarla nel mantello. Questo implica un viavai costante di elementi di combustibile da e per gli impianti di processamento[4]. Questo pone problemi di sicurezza sia in termini di possibili incidenti che di rischi di furto di materiale da parte di terroristi o altri malintenzionati.

Un secondo problema riguarda il plutonio prodotto. Il plutonio ottenuto riprocessando il combustibile dei normali reattori termici è costituito da un 25% di 240Pu, molto instabile ed estremamente difficile da separare, che lo rende inservibile per la fabbricazione di armi nucleari, ed utile solo come ulteriore combustibile nucleare. Invece, dagli elementi del mantello di un reattore autofertilizzante si può estrarre senza problemi - scegliendo opportunamente il tasso di bruciamento (burn-up) degli elementi - plutonio "nuclear grade", cioè con meno del 10% di 240Pu: se usare o no i reattori autofertilizzanti per costruire armi nucleari è quindi una scelta puramente politica.

Il terzo svantaggio è rappresentato dal sodio liquido usato come refrigerante nell'attuale generazione di reattori: infatti il sodio è chimicamente molto reattivo, pone gravi problemi di corrosione e reagisce in modo esplosivo sia con l'ossigeno dell'aria che con l'acqua, rendendo facilmente critico un eventuale incidente o una perdita del circuito primario del sodio. L'acqua è infatti usata nel circuito che contiene il generatore di vapore. Un incidente di perdita di sodio si è verificato nel reattore sperimentale di Monju in Giappone, avviato nel 1994, incidentato nel 1995 e di cui è previsto il riavvio nel 2008.

Per questi motivi ed altre difficoltà tecniche sorte nella gestione, gli esperimenti e le installazioni di nuovi reattori veloci si sono praticamente fermate durante gli anni '80, quando divenne chiaro che le scorte mondiali di uranio non erano affatto scarse come inizialmente si pensava, senza contare il costoso problema del carico iniziale di combustibile del seme necessario per questi reattori. La tecnologia dei reattori veloci è però migliorata in questi anni, e si sta registrando un nuovo interesse grazie a progetti innovativi che superano alcuni inconvenienti fra quelli presentati. Una delle prospettive più interessanti è quella di usare piombo al posto del sodio: il piombo trasporta calore quasi altrettanto bene del sodio ma non reagisce nè all'acqua nè all'aria, è un ottimo schermo biologico ed offre inoltre una serie di vantaggi in caso di incidente al reattore[5].

Attualmente (2006), reattori a sodio di questo tipo sono poco diffusi e sono utilizzati/sperimentati in USA, Francia, India e Giappone. In Germania, un reattore costruito nel 1973 non è mai stato messo in servizio a causa delle proteste. In Francia, il prototipo industriale Superphénix, messo in esercizio nel 1985, è stato chiuso nel 1997 a causa della pressione dell'opinione pubblica, dei costi elevati e di diversi problemi tecnici. Il più vecchio reattore sperimentale Phénix (1974) - di cui il Superphénix era l'evoluzione destinata alla produzione elettrica commerciale - è ancora usato per attività di ricerca, ma ne è prevista la chiusura nel 2009.[6] Per quanto riguarda l'Italia fu progettato un rettore veloce refrigerato a sodio, destinato a provare sperimentalmente gli elementi combustibile del SuperPhénix (PEC - Prova Elementi Combustibile), tale reattore, localizzato presso il centro ENEA del Brasimone, non è mai stato completato. L'ENEL e l'ENEA erano due partner coinvolti nel progetto Superphénix.

[modifica] Reattori autofertilizzanti al torio

Un altro tipo di reattori autofertilizzanti allo studio prevede l'utilizzo come materiale fertile del torio-232. In questo caso il ciclo del combustibile (proposto dal premio Nobel Carlo Rubbia) parte dal torio-232 che, assorbendo un neutrone, si trasmuta in torio-233 (instabile), il quale decade in uranio-233: quest'ultimo rappresenta l'elemento fissile che alimenta effettivamente la reazione a catena. Notare che l'uranio 233 non è presente in natura, avendo una emivita di 1,62 105 anni.[7][3] [8]. Il torio è un combustibile nucleare molto abbondante in natura, più dell'uranio, e non c'è bisogno di arricchire il torio prima di usarlo come combustibile anche se deve essere introdotto nell'elemento di combustibile un fissile inziale per mantenere la catena prima della formazione dell'uranio 233. Un reattore veloce al torio avrebbe il vantaggio di non generare plutonio ma di essere comunque in grado di "bruciarlo", se inserito nel reattore; inoltre non richiede nuove tecnologie, potendo essere costruito e gestito con le conoscenze e gli impianti già esistenti.

Un aspetto molto interessante dell'uso del torio è dato dal fatto che possono essere realizzati reattori autofertilizzanti anche non veloci, bensì utilizzanti neutroni termici (cioè "lenti"). Il ciclo del torio dovrebbe cioè essere utilizzabile anche nei reattori termici tradizionali ad acqua leggera (LWR) o pesante (HWR), con ovvie conseguenze sulla possibilità di una rapida adozione di tale "combustibile" anche in reattori di 2° o 3° generazione.[9]

Il "combustibile" esausto scaricato da un reattore veloce al torio ha una radiotossicità estremamente più bassa (di svariati ordini di grandezza) rispetto a qualunque reattore all'uranio-plutonio: dopo meno di un secolo è infatti inferiore a quella dell'uranio naturale ed addirittura, nei reattori al torio termici, è fin da subito inferiore.[3] Si noti che il "combustibile" esausto di un reattore all'uranio di 3° generazione, per ridurre la propria radiotossicità a livelli inferiori a quelli dell'uranio naturale di partenza, impiega tempi dell'ordine del milione di anni, mentre il combustibile di un reattore autofertilizzante all'uranio-plutonio decine di migliaia di anni.[3]

[modifica] Note

  1. ^ (EN) Fast Neutron Reactors, World Nuclear Association
  2. ^ Si noti che "combustibile" (così come "bruciare") è una estensione dei termini propriamente detti nell'ambito di una reazione chimica (cfr. reazione nucleare), ma in realtà non c'è nessuna combustione.
  3. ^ a b c d R. Brissot, D. Heuer, E. Huffer, C. Le Brun, J.-M. Loiseaux, H. Nifenecker, A. Nuttin, "Nuclear Energy With (Almost) No Radioactive Waste?", Laboratoire de Physique Subatomique et de Cosmologie, Grenoble, Luglio 2001
  4. ^ David Elliot, Energy, Society and Environment, Routledge, 1997, pp.73-74, ISBN 0415145066
  5. ^ Kamil Tuček, Johan Carlsson, Hartmut Wider (2006). Comparison of sodium and lead-cooled fast reactors regarding reactor physics aspects, severe safety and economical issues. Nuclear Engineering and Design 236 (14-16): 1589-1598. DOI:doi:10.1016/j.nucengdes.2006.04.019.
  6. ^ (FR) Commissariat à l'Énergie Atomique
  7. ^ El Wakil. op. cit., pag. 507
  8. ^ Brian Johnson, "Thorium for Use in Plutonium Disposition, Proliferation-Resistant Fuels for Developing Countries, and Future Reactor Designs", Oregon State University, 2006
  9. ^ [1] e [2] Presentazioni Thor Energy.

[modifica] Bibliografia

  • El Wakil. Nuclear power engineering. Mc Graw-Hill Book Company inc., 1962.

[modifica] Collegamenti esterni


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