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Nicolò Rusca - Wikipedia

Nicolò Rusca

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Nicolò Rusca in un dipinto del 1852 ad opera di Antonio Caimi.
Nicolò Rusca in un dipinto del 1852 ad opera di Antonio Caimi.
« Odiate l’errore, non l’errante »
(Nicolò Rusca)

Nicolò Rusca (Bedano20 aprile 1563 – Thusis4 settembre 1618) è stato un religioso italiano. Arciprete di Sondrio, fu coinvolto nelle tormentate vicende religiose della Valtellina del 1600, pagando con la vita le sue posizioni.

Indice

[modifica] La vita

Nasce nel villaggio ticinese di Bedano, all'epoca sotto dominio milanese, da Giovanni Antonio Rusca e di Daria Quadrio, entrambi appartenenti a nobili famiglie dell’area lariana e ticinese. Inizia gli studi dapprima con Domenico Tarilli, curato del vicino paese di Cureglia, poi a Pavia. Studia presso il collegio gesuitico di Roma per poi trasferirsi al Collegio Elvetico di Milano, sotto l’ala di Carlo Borromeo. Si racconta che il Borromeo, positivamente colpito dal giovane seminarista, gli abbia detto: «Figliuol mio, combatti buona guerra, compi tua carriera. Per te è riposta una corona di giustizia, che ti renderà in quel giorno il giudice giusto». Ordinato sacerdote il 23 maggio 1587, il vescovo di Como Gianantonio Volpi lo colloca dapprima nel borgo di Sessa per poi eleggerlo arciprete a Sondrio.

« Sessa era un campo troppo ristretto per l'ardente zelo del Rusca, onde Iddio lo destinò ad una vigna più vasta, ma più difficile a coltivarsi e bisognosa all'estremo della sua mano. »
(Reto Cenomano, 1909)

[modifica] Arciprete a Sondrio

A Sondrio, Nicolò Rusca succede a Bartolomeo Salice, personaggio interessato più a promuovere la propria carriera che la fede cattolica. Nel capoluogo valtellinese il nuovo arciprete si trova ad occupare una posizione importante e difficile in una zona startegica al confine tra Riforma e Controriforma. La Valtellina, annessa ai protestanti Grigioni nel 1512, è una terra di tradizione cattolica che vede in quegli anni una graduale diffusione delle riforme zwingliane e calviniste provenienti dai vicini Grigioni. I protestanti godono dell'appoggio politico dei governanti grigionesi che ritengono strategico contrapporre una barriera religiosa alla dilagante presenza degli spagnoli che, nelle vesti di paladini del cattolicesimo, hanno occupato il Ducato di Milano attestandosi a Colico, alle porte della valle. Questo conduce inevitabilmente i cattolici ad associare i protestanti con i dominatori, alimentando ulteriormente i contrasti tra le due comunità religiose. Le occasioni di confronto nascono soprattutto nell’uso promiscuo delle chiese e nel mantenimento dei pastori a spese delle comunità.

Nicolò Rusca si oppone con grande vigore e forti parole al dilagare della fede protestante nelle terre valtellinesi. Secondo alcune fonti il suo zelo rasenta il fanatismo. Si trova a confrontarsi con alcuni dei numerosi esuli riformati italiani che, grazie alla libertà di culto promossa dalle leggi grigionesi, divengono attivi localmente come pastori. Tra questi il lucchese Scipione Calandrini (1540-1607) che succede nel 1570 a Ulisse Martinengo (ca. 1545-1570) divenendo dapprima pastore protestante a Morbegno e successivamente a Sondrio.

All'avanzare della Controriforma l'odio dei cattolici verso la minoranza protestante raggiunge livelli di assoluta intolleranza. Nonostante i richiami ad una pacifica convivenza da parte dei pastori protestanti, in primis Scipione Calandrini e il suo predecessore Ulisse Martinengo, la convivenza delle due fedi religiose si fa più difficile ogni giorno. I cattolici vengono fomentati dai predicatori francescani e domenicani inviati in Valtellina da San Carlo Borromeo. In questo clima si collocano gli appassionati richiami alla fede cattolica, secondo alcuni al limite dell'intolleranza, lanciati dal pulpito di Sondrio dallo stesso Nicolò Rusca.

L'arciprete di Sondrio si adopera in ogni modo per impedire il radicamento della riforma in Valtellina, muovendossi spesso al limite o al di fuori delle leggi che cercavano di mantenere un pur delicato equilibrio tra le due comunità religiose. Tra le molte iniziative in questa direzione, l'ostruzionismo totale verso l'istituzione di una scuola umanistica multireligiosa a Sondrio, profondamente voluta dai riformati. Il suo zelo è tanto forte da meritargli il soprannome di «martello degli eretici» da parte di alcuni, e di «pastore buono» da parte di altri.

[modifica] L'arresto e il processo

Chiareggio, la lapide che ricorda il passaggio di Nicolò Rusca nel 1618.
Chiareggio, la lapide che ricorda il passaggio di Nicolò Rusca nel 1618.

Un conflitto così acceso non poteva rimanere a lungo relegato alle semplici parole: pare infatti che su istigazione dell'arciprete di Sondrio, per ben due volte i cattolici provino senza successo a liberarsi dello scomodo Scipione Calandrini, tentando dapprima di ucciderlo e quindi di rapirlo con l'intento di consegnarlo all'Inquisizione.

Le autorità grigionesi, ritenendo Nicolò Rusca responsabile del tentato omicidio, decidono di farlo arrestare perché venga condotto a Thusis per essere giudicato. La notte del 24 luglio 1618, secondo il Cantù il 22 giugno, una schiera di quaranta armati, scesi in Valmalenco attraverso il passo del Muretto e comandati dal predicatore Marco Antonio Alba giungono a Sondrio e lo sorprendono nella sua camera da letto. Nicolò ha appena il tempo di indossare l'abito talare. Le guardie lo legano a testa in giù sotto il ventre di un cavallo e con l'illustre prigioniero rientrano nei Grigioni. Secondo la tradizione, sulla via del ritorno sostano a Chiareggio, nel comune di Chiesa in Valmalenco, presso la piccola Osteria del Bosco, oggi Bar ai Portoni, per un breve ristoro prima di avviarsi lungo il sentiero che si inerpica verso il passo del Muretto e l'Engadina. Una lapide ricorda ancora oggi quel lontano evento.

« Secondo una gentile tradizione un fico fiorì improvvisamente a Ponchiera al passaggio di don Nicolò Rusca. »
(Abramo Levi, 1993)

Viene tenuto prigioniero per circa un mese a Coira, sede prescelta del tribunale. Poiché la città rifiuta di ospitare il processo entro le proprie mura, Thusis viene infine designata come nuova sede dello Strafgericht, il temutissimo tribunale speciale. Il Rusca viene quindi trasportato nella cittadina svizzera per essere giudicato. Il tribunale, presieduto da Jakob Joder von Casutt, raggruppa ben 66 giudici, provenienti da tutta la svizzera. Alcuni di questi, una minoranza, sono cattolici. Sono presenti, tra i tanti, Stephan Gabriel, pastore a Ilanz, Jakob Anton Vulpius, pastore a Ftan, Caspar Alexius, rettore a Sondrio, Blasius Alexander, pastore a Traona, Georg o Jürg Jenatsch[1], pastore a Berbenno, Bonaventura Toutsch, pastore a Morbegno, Conrad Buol, pastore a Davos, Johann Porta, pastore a Zizers, Johann Janett, pastore a Scharans.

Pfäfers, dove i resti di Rusca rimasero dal 1619 al 1838
Pfäfers, dove i resti di Rusca rimasero dal 1619 al 1838

Il processo ha inizio a Thusis il 1° settembre 1618. Rusca è accusato, con Gian Paolo Quadrio e Vincenzo Gatti, di aver ordito un piano per eliminare Scipione Calandrini. Secondo l'accusa, il piano avrebbe avuto previsto l'assassinio del pastore morbegnese o, in alternativa, la rapina e la successiva consegna al di fuori dei confini elevetici alla Sacra Inquisizione per la prevedibile condanna al rogo, come già era accaduto a numerosi altri pastori protestanti. L’accusa si basa principalmente sulla deposizione di un certo Michele Chiappini di Ponte in Valtellina, resa nel 1612.

Il Rusca si difende dichiarando di avere intrattenuto sinceri rapporti di amicizia con il Calandrini, scambiando con il pastore protestante anche alcuni libri. Inoltre, l'arciprete di Sondrio viene accusato di aver fomentato l'odio tra le due comunità religiose valtellinesi in palese violazione delle leggi elvetiche che invitavano ad una pacifica convivenza basata sul reciproco rispetto. Infine, viene accusato di aver indirettamente intrattenuto rapporti con gli spagnoli che dal Forte di Fuentes nei pressi di Colico presidiavano lo sbocco della valle verso il Lago di Como e il Ducato di Milano. Dopo essersi dichiarato innocente, l'arciprete supplica che gli venga risparmiata la tortura, pratica comune nei tribunali dell'epoca. Le sue preghiere non vengono ascoltate, viene pertanto affidato alle mani dei torturatori perché gli estorcano una confessione.

[modifica] La tortura e la morte

Dopo due giorni di terribili torture, Nicolò Rusca muore senza confessare nulla. È il 4 settembre 1618. Il corpo viene sepolto sotto il patibolo e il tribunale dichiara il sequestro di tutti i beni del defunto. Lo stesso giorno il florido borgo di Piuro, posto allo sbocco della Val Bregaglia, viene travolto e distrutto da una vasta frana staccatasi dal monte Conto. L'esatta concomitanza con la morte del Rusca verrà interpretata da alcuni come un segno divino volto a rimarcare il carattere martirico da attribuirsi alla morte del prelato sondriese.

Nel medesimo processo vengono condannati i fratelli Rudolf e Pompeo Planta di Zernez, e Giacomo Robustelli, sopravvissuti alle torture. Nei mesi seguenti il tribunale di Thusis emette ben 150 sentenze, ma una sola tra le sentenze di morte viene eseguita, quella del valtellinese Biagio Piatti, riconosciuto colpevole di omicidio e di un piano per assassinare i protestanti di Boalzo, nel comune di Teglio. Tra i condannati anche un certo Nicolò Merulo colpevole di aver suonato le campane per segnalare l'arrestato dell’arciprete Rusca alla popolazione di Sondrio.

« Il ben vissuto vecchio, benché fosse disfatto di forze e di carne e patisse d'un ernia e di due fonticoli, fu messo alla tortura due volte, e con tanta atrocità che nel calarlo fu trovato morto. I furibondi, tra i dileggi plebei, fecero trascinare a coda di cavallo l'onorato cadavere, e seppellirlo sotto le forche »
(Cesare Cantù, 1832)

Nell’estate del 1619, nel corso di una notte le ossa del parroco sondriese vengono dissotterrate e segretamente trasportate all’abbazia di Pfäfers, a nord di Coira, dove giacciono fino al 1838 quando l'abbazia viene soppressa. I resti del Rusca finiscono quindi nella biblioteca cittadina dove rimangono fino al 1845, quando il vescovo di Como Carlo Romanò ottiene l'autorizzazione a trasferirli in Valtellina, presso il Santuario della Sassella, alle porte di Sondrio. Grazie al nihil obstat nel frattempo giunto dalla Santa Sede, nel 1852 le reliquie vengono infine trasportate da Antonio Maffei, arciprete di Sondrio, presso la Collegiata dei Santi Gervasio e Protasio in Sondrio, dove ancora oggi sono oggetto del culto popolare.

[modifica] Situazione della Valtellina durante la Riforma

Il Cantone Grigioni aveva aderito nel 1497-98 alla Confederazione Svizzera e il 27 giugno 1512, con il Giuramento di Teglio, aveva inglobato la Valtellina e le valli a sud delle Alpi. Tuttavia, con l'avvento della Riforma di tipo zwingliano dal 1524 in avanti, le cose si erano complicate per la convivenza di una maggioranza protestante nei Grigioni ed una maggioranza cattolica in Valtellina. La situazione era stata aggiustata con la Dieta di Ilanz del 7 gennaio 1526 nella quale era stata data a ciascun fedele il diritto di scegliere la propria confessione tra cattolica e protestante (la fede anabattista era stata bandita). Oltre a questo va anche considerato che il fattore della lingua italiana, usata nelle sei valli a sud delle Alpi del cantone (Bregaglia, Poschiavo, Mesolcina, Bormio, Chiavenna e Valtellina) favorì l'azione di esuli riformati italiani, i quali poterono agire come pastori locali. Si ricordano a riguardo Agostino Mainardi, Camillo Renato, Girolamo Zanchi, Scipione Lentulo, Pier Paolo Vergerio, Scipione Calandrini, Francesco Negri da Bassano, Ulisse e Celso Martinengo e Filippo Valentini. Ma con l'avanzare della Controriforma, l'odio dei cattolici valtellinesi verso la minoranza protestante, fomentata dai predicatori francescani e domenicani, inviati dall'arcivescovo di Milano cardinale San Carlo Borromeo (1538-1584), arrivò a livelli di elevata intolleranza, nonostante i richiami alla pacifica convivenza lanciati dai pastori Ulisse Martinengo e Scipione Calandrini (e proprio per questo motivo i cattolici, sobillati dall'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, per ben due volte, cercarono di uccidere quest'ultimo). L'episodio più significativo, ispirato da Papa Pio V (1566-1572), ex Inquisitore di Morbegno, fu il rapimento da parte dei domenicani del pastore della chiesa riformata di Morbegno, l'ex frate minorita Francesco Cellario, di ritorno da un sinodo di pastori tenuto a Coira. Cellario fu portato in catene a Roma e, dopo un lungo interrogatorio per farlo abiurare, impiccato e bruciato sul rogo a Ponte Sant'Angelo il 25 maggio 1569.

[modifica] Il Sacro Macello

Ma questo non fu niente in confronto alla rivolta dei cattolici contro i protestanti della Valtellina del 1620, che sfociò in uno spaventoso pogrom, chiamato dal celebre storico Cesare Cantù (1804-1895), il Sacro Macello di Valtellina. Il fomentatore principale fu il fanatico arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, vero agitatore delle folle cattoliche e sprezzante delle leggi che cercavano di mantenere un pur delicato equilibrio tra le due comunità. Egli fu arrestato e processato a Thusis nel 1618 per il tentato omicidio, sopraccitato, di Scipione Calandrini, ma morì durante le torture dell'interrogatorio. Nello stesso processo furono condannati, ma si rifugiarono all'estero, i fratelli Rodolfo e Pompeo Planta e il genero di Rodolfo, Giacomo Robustelli. Quest'ultimo, una volta rientrato due anni dopo, organizzò l'atroce vendetta contro i protestanti locali: nella notte tra il 18 ed il 19 luglio 1620, i congiurati trucidarono quasi tutti i protestanti di Tirano. Passarono quindi a Teglio, dove fu compiuta una strage (72 persone) direttamente nella chiesa evangelica: 17 tra uomini, donne e bambini, rifugiatisi nel campanile, bruciarono vivi per il fuoco acceso dai fanatici cattolici. Terza tappa Sondrio, dove solo un gruppo di 70 riformati con le armi in pugno poté, grazie ad una tregua, rifugiarsi in Engadina: tutti gli altri (anche di nobili famiglie) furono trucidati. In tutto si calcola che furono sterminati circa 600 persone. Questo episodio, assieme alla rivolta anti-asburgica della Boemia, portò allo scoppio della Guerra dei Trent'anni (1618-1648) e alla fine del primo periodo della guerra, nel 1639, la Valtellina venne riconsegnata al Cantone Grigioni (che lo tenne fino all'annessione alla Repubblica Cisalpina del 1797), a condizione di accettarvi solo la religione cattolica. L'esperimento di libera convivenza tra cattolici e protestanti in Valtellina era dunque finito nel peggiore dei modi.

[modifica] Beatificazione

È attualmente in corso un processo di beatificazione di Nicolò Rusca, da lungo tempo atteso. Infatti, la prima richiesta di beatificazione risale al 18 novembre 1927 e venne rivolta a papa Pio XI, su iniziativa dell'allora vescovo di Como Adolfo Pagani e dell'arciprete di Sondrio Pietro Maiolani. Tale processo inevitabilmente riporta in primo piano la due possibili e opposte interpretazioni della vita di questo personaggio storico: santo martire difensore della fede cattolica o fanatico fomentatore di conflitti religiosi?

[modifica] Associazioni

A Nicolò Rusca sono dedicate diverse associazioni in territorio valtellinese tra cui:

  • Gruppo ministranti della colleggiata di Sondrio P.C.N.R.(Piccolo clero Nicolò Rusca)

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia

  • Giovanni Battista Bajacca, Nicolai Ruscae S.T.D. Sundrii in Valle Tellina Archipresbyteri anno MDCXVIII Tuscianae in Rhetia ab Hereticis necati Vita & Mors, 1621
  • Antonio Maffei, Elogio di Nicolò Rusca, 1852 - discorso pronunciato l'8 agosto 1852 durante la cerimonia per la traslazione della salma di Nicolò Rusca dal Santuario della Sassella alla chiesa Collegiata di Sondrio.
  • Cesare Cantù, Il Sacro Macello di Valtellina. Le guerre religiose del 1620 tra cattolici e protestanti tra Lombardia e Grigioni, Milano 1832
  • I conflitti confessionali all'epoca di Nicolò Rusca, Bollettino della Società Storica Valtellinese, 55 2002
  • Giovanni Da Prada, L’arciprete Nicolò Rusca e i Cattolici del suo tempo, 1994
  • Abramo Levi, L'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, Credito valtellinese, Sondrio 1993
  • Santo Monti (a cura di), Atti della visita pastorale diocesana di F. Feliciano Niguarda vescovo di Como (1589-1593), Società Storica Comense, 1892-1898
  • Philip Schaff, The History Of The Reformation: History Of The Christian Church, Volume VIII, Kessinger Publishing, 2004, ISBN 1419124129

[modifica] Collegamenti esterni

[modifica] Note

  1. ^ Jürg Jenatsch è il protagonista del romanzo omonimo del 1876 opera dello scrittore svizzero Conrad Ferdinand Meyer (1825 - 1898). La traduzione italiana a cura di Giuseppe Zoppi è stata pubblicata da Rizzoli nel 1949 e ripubblicata nel 1993 da Edizioni Casagrande SA Bellinzona, ISBN 8877131993.
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