Delocalizzazione (economia)
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La delocalizzazione rappresenta l'organizzazione della produzione dislocata in regioni o stati diversi. Il mercato globale, oltre a consentire l'acquisto di merci in luoghi diversi da quelli usuali, ragionando sul mercato delle offerte a livello planetario e non più nazionale o regionale, ha consentito di pensare che alcune funzioni produttive possano essere totalmente delocalizzate in luoghi ritenuti più adatti.
[modifica] Ragioni per delocalizzare
Le ragioni sono molteplici, anche se tutte riferentesi alla convenienza economica. Per prima anzi tutto l'economicità, che deriva dalla ricerca di Paesi in cui ci sia un concreto vantaggio comparato rispetto ad altri, vale a dire un insieme di regole, situazioni, usi e consuetudini che rendono quel tipo di lavoro meglio realizzabile lì piuttosto che altrove. Per esempio, una produzione in cui la parte focale sia costituita dalla mano d'opera rispetto al valore intrinseco delle merci in trasformazione, viene realizzata in un luogo in cui il costo del lavoro sia minimo, per esempio la Cina. Una produzione in cui sia necessario un notevole apporto di know-how e software a buon mercato, viene realizzata in India dove sono presenti alte professionalità ad un prezzo orario limitato. Un call-center, in cui il costo principale sia derivante dal personale può essere tecnicamente realizzato dove sia possibile trovare personale professionalizzato, a basso costo, in grado di parlare un buon italiano, per esempio in Romania. In secondo luogo, oltre al vantaggio comparato naturale, esistono incentivi alla delocalizzazione per ragioni di politiche economiche di sviluppo. Abbiamo allora una delocalizzazione regionale, per esempio quando ci sono incentivi alla produzione in una regione italiana piuttosto che in un'altra, oppure una delocalizzazione internazionale, quando un paese si dota di politiche sistemiche in grado di attirare gli investimenti diretti esteri ( vedi anche IDE ). Notevole contributo a questo settore è fornito dalla Comunità Europea che attraverso finanziamenti strutturali erogati tramite la Banca Europea degli Investimenti, facilita l'insediamento di nuove industrie in zone o stati ritenuti politicamente da sviluppare, creando i presupposti economici e legali per crearvi nuovi insediamenti produttivi. Attualmente, per esempio, il paese europeo in cui risulta più conveniente delocalizzare una produzione industriale è la Bulgaria, grazie a normative che annullano l'imposta sul reddito delle società che investono, la presenza di numerose zone franche per l'applicazione dell'IVA, notevoli investimenti strutturali e logistici per la creazione di distretti industriali, una buona professionalità delle risorse umane disponibili, tenendo presente che uno stipendio medio bulgaro è intorno ai 250 euro mensili. Una terza ragione per delocalizzare, propedeutica in un certo senso alle altre, è la possibilità organizzativa di delocalizzare, cioè avere una organizzazione del lavoro per cui è possibile "staccare" una parte o la totalità di una certa produzione e realizzarla altrove. Abbiamo quindi il caso, per semplificare, di una industria automobilistica che produce determinati modelli in Italia e determinati altri in un diverso stato europeo, succede per esempio con la Fiat che ha alcuni modelli in produzione in Polonia. In questo caso, il diverso costo del lavoro incide in maniera diversa se si sta costruendo una Croma oppure una Panda. Tecnicamente è realizzabile dato che tutto l'impianto produttivo per la costruzione di una berlina è diverso da quello per la costruzione di un'utilitaria e poche sono le componentistiche comuni. Nel caso invece in cui il distacco sia parziale, abbiamo la produzione di semi-lavorati magari con alto valore intrinseco, ma in cui è notevole l'apporto manuale umano, che vengono composti in un luogo in cui il costo del lavoro è minimo, e poi vengono finiti di assemblare e valorizzati in Italia. Per esempio è noto che la pelletteria di lusso viene assemblata in Cina per la parte strutturale e da cucire, per poi venire importata in Italia per la fine lavorazione in cui vengono apposti manici, borchie o altri connotati estetici tra cui il marchio della griffe. Questo è anche possibile perché la normativa italiana consente la parziale lavorazione di un prodotto all'estero, purché la valorizzazione finale avvenga in Italia, consentendo quindi l'applicazione del marchio "made in Italy".
[modifica] Effetti della delocalizzazione
Dal punto di vista economico la delocalizzazione rappresenta la ricerca di fattori di produzione a minor prezzo, ma crea comunque effetti sia sul territorio che perde produzioni che su quello che le riceve. Il territorio che perde produzioni subisce una contrazione dei lavoratori impiegati in quel settore e perde competitività strutturale, giacché se prima delocalizzare significava solo dare all'esterno funzioni semplici (un-skilled in inglese), attualmente si delocalizzano funzioni importanti (ingegneria, software, progettazione) che vanno sicuramente ad incidere negativamente sul sistema economico e sociale. Se è comunque difficile creare nuovo lavoro per lavoratori non professionalizzati ma comunque flessibili, è ancora più complicato trovarne per professionisti laureati, sicuramente meno flessibili. A lungo andare anche il tessuto produttivo si modifica, dato che una singola produzione necessita anche di un back-ground di subforniture che, ovviamente, perdono di ragione economiche ad esistere, cioè il cosiddetto "indotto" tende a scomparire. Diversa è la situazione per il paese che riceve la delocalizzazione, dato che ottiene posti di lavoro, investimenti e strutture che creano un aumento di ricchezza in quel territorio. Non si creano però i presupposti per uno sviluppo generalizzato, perché gli investimenti, e quindi i ritorni economici, sono veicolati e riscossi dalle aziende nel paese che delocalizza, e sono comunque legati ad una forzatura legale e finanziaria che, qualora avesse termine, riporterebbe la situazione ad un livello simile, se non peggiore, al preesistente.
