Vittorino da Feltre
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vittorino de' Rambaldoni, conosciuto come Vittorino da Feltre (Feltre, 1373 o 1378 – Mantova, 2 febbraio 1446), è stato un umanista, filosofo e pedagogista italiano.
Vittorino de' Rambaldoni, detto "da Feltre" nacque nel 1378 o, più probabilmente, nel 1373. Era figlio di uno scrivano di nobili origini essendo stati i Rambaldoni i possessori del castello di Fianema, nella pieve feltrina di Cesio. Ben presto dimostrò di avere una mente molto aperta ed una insaziabile fame di apprendere: compi i primi studi nella città natale con grandi difficoltà, per la povertà del padre, ma ciò contribuì in modo molto importante a forgiare in lui un carattere forte e deciso che lo avrebbe aiutato a continuare gli studi e lo avrebbe poi sostenuto in ogni sua iniziativa. Proprio a causa di queste difficoltà, Vittorino lasciò Feltre e scese a Padova per frequentare l'"Università", dove le lezioni erano gratuite ed aveva modo di ascoltare tutti i più grandi " dottori " del suo tempo.
Ma anche a Padova, si trovò nuovamente in difficoltà per il prezzo dei libri, allora costosissimi e benché avesse un appoggio nei suoi stretti parenti Enselmini, che erano agiati, preferì sopperire alle proprie necessità da solo, facendo il " magister puerorum ", il maestro di grammatica, occupazione privata per la quale non occorrevano gradi universitari. E quando, dopo aver appreso le discipline letterarie e la filosofia, volle approfondire anche la conoscenza della matematica, Vittorino si trovò di fronte in tali difficoltà che solo il suo carattere poté affrontare: Biagio Pelacani, illustre matematico si faceva pagare assai care le lezioni che dava in privato, e Vittorino, pur di apprendere, si abbassò anche a fare il lavapiatti al maestro. Presto, però, stanco delle vessazioni del Pelacani, decise di abbandonarlo e trovò un nuovo maestro in Jacopo della Torre da Forlì, sotto la cui guida apprese anche la fisica e l'astrologia.
Soggiornò a Padova per più di un ventennio, il periodo certo più proficuo per la formazione integrale del suo spirito e per l'affermarsi della vocazione che renderà così illustre il suo nome: l'insegnamento.
Subì l'influsso di Pier Paolo Vergerio il vecchio, il primo pedagogista dell'Umanesimo, di Giovanni Conversini da Ravenna, di Gasparino Barzizza, il più grande latinista del suo tempo, e di Paolo Nicoletti per la dialettica, la filosofia morale e la teologia. Quando il Guarino, di ritorno da Costantinopoli, aprì una scuola di greco a Venezia, egli vi si recò subito (1415), e fu proprio là che, accostandosi al patrizio veneziano, ebbe inizio la sua carriera di maestro. Tenne a sua volta scuola a Venezia per qualche anno e fu molto apprezzato. Tornò così a Padova con una grossa fama, ed aprì una scuola convitto, con organizzazione di tipo familiare, per i giovani che abitavano lontano dalla città, e continuò a curarla anche dopo che nel 1421 ebbe accettato la carica di retorica. Nel 1422 lasciò la cattedra e tornò a Venezia dove aprì un'altra scuola convitto con studenti di tutta Italia. Tale sistemazione, che dovette sembrargli definitiva, non era invece destinata a durare a lungo, perché l'arresto del suo cugino padovano Enselmino degli Enselmini per reati politici, lo indusse ad accettare l'invito del signore di Mantova Gian Francesco I Gonzaga che gli offriva l'incarico di precettore dei suoi figli. Subito (1423) fondò, lungi dalle agitazioni della corte, in una villa che il Gonzaga, valido collaboratore, gli mise a disposizione, la prima scuola realizzatrice degli ideali umanistici fusi con lo spirito cristiano, a cui diede il nome di "Ca' Gioiosa ".
La " Ca' Gioiosa " era posta presso un lago, circondata da splendidi panorami; era davvero un soggiorno ideale. La sua fama si diffuse con grande velocità e di pari passo aumentarono anche le richieste di ammissione, a tal punto che si rese necessaria la costruzione di un secondo edificio, per far fronte alle iscrizioni. Anche nell'accettare nuovi alunni, il Vittorino non si smentì: preferì studenti poveri, accettati per carità, a figli di signori che dimostrassero un carattere superbo e caparbio. Questo proprio perché la "Ca' Gioiosa" era organizzata in modo tale da mantenere una disciplina di uguaglianza per tutti, di rispetto della personalità, di fraternità, di ordine, in cui il castigo stesso, del resto rarissimo, era riportato all'interiorità della coscienza.
Alla "Ca' Gioiosa" la giornata trascorreva in un intenso lavoro, in cui l'esercizio mentale si alternava alle pratiche ginniche. Proprio in questo sta uno dei meriti più grandi di Vittorino: essere stato uno dei primi a realizzare un tentativo di armonico sviluppo mentale e corporeo!
L'insegnamento si basava ancora sulle arti del trivio e quadrivio, ma Vittorino lo curava moltissimo soprattutto nell'approfondimento delle conoscenze. Nondimeno, egli voleva che terminato lo studio, questo fosse lasciato da parte, di modo che la mente potesse ritemprarsi: per questo motivo egli si curava molto anche degli esercizi ginnici, della lotta, delle escursioni al vicino lago di Garda, alle stesse Alpi.
Gli svaghi quindi non mancavano, ma non mancava neppure una rigida disciplina, di cui Vittorino si mostrava custode, ottenuta con mezzi semplici, primo fra tutti la religiosità. Infatti Vittorino si preoccupò moltissimo di formare non solo giovani eruditi, ma soprattutto anime rette ed integre, per cui aggiungeva alla preparazione scolastica in cui era coadiuvato da maestri scelti da lui stesso, una intensa pratica religiosa, basata soprattutto sulla Messa e, sulla preghiera.
Coerentemente con questa sua figura, Vittorino aveva praticamente abolito ogni punizione corporale, limitando i castighi alla perdita della benevolenza o del sorriso del maestro. Si mostrava inesorabile solo con la bestemmia e il turpiloquio: a tal punto che non esitò a schiaffeggiare pubblicamente il duca Carlo Gonzaga, che, giocando alla palla, aveva bestemmiato. Chiunque altro avrebbe pagato uno scotto assai grave per una tale imprudenza, Vittorino non ne subì mai le conseguenze, né il giovane Carlo si dimostrò mai astioso col maestro.
Del resto Vittorino fu un personaggio molto particolare nella sua vita privata; di carattere facile all'ira, pretendeva da se stesso ancor più che dai suoi alunni, perché conscio del fatto che per ottenere dal prossimo, bisogna innanzitutto ottenere da se stesso. Vittorino non cercava né d'incantare, né d'intimorire: solo metteva in soggezione tutti coloro che alla sua presenza si sentivano in errore. Egli non conosceva che cosa fosse lo ozio, occupando ogni istante del suo tempo con azioni che riuscissero di comune utilità. In due cose dovette lottare particolarmente con se stesso: da giovane contro i suoi desideri più intimi, in ogni età contro la naturale iracondia. Non si volle mai sposare, quantunque gli si fosse presentato un partito assai ambito, per potersi dedicare completamente ai suoi figli: gli alunni. Tuttavia dal fatto che acconsentì a educare le figlie e la cognata del Gonzaga, possiamo facilmente capire che egli non considerava la donna un essere inferiore, né era misogino, semplicemente riteneva che alla sua missione di educatore convenisse il celibato, per una maggiore libertà di azione.
Nella vita privata egli manteneva il suo contegno, cercando di sanare le inimicizie, facendosi promotore di una lotta costante contro le ingiustizie, e non esitava nemmeno a dar torto allo stesso Gonzaga, se aveva compiuto alcuni atti riprensibili.
Da tutto questo quadro generale ne risulta una persona estremamente coerente e capace che seppe affermare la propria personalità e la propria volontà anche a costo di grandi sacrifici. In fondo, il segreto che sostenne per tanti anni Vittorino, è da ricercarsi proprio in quel suo profondo spirito di sacrificio, spirito che lo accompagnò fino alla morte, avvenuta a 68 anni, il 2 febbraio 1446.