Sacco di Roma (455)
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Il sacco di Roma del 2 giugno del 455 fu il secondo dei tre saccheggi di Roma ad opera delle popolazioni barbare e fu attuato dai Vandali, allora in guerra con l'Imperatore Petronio Massimo.
[modifica] L'evento
Nel 455 il re vandalo Genserico salpò con la sua potente flotta da Cartagine, risalì il Tevere ed infine saccheggiò Roma. L'usurpazione ed uccisione dell'imperatore precedente Valentiniano III da parte di Petronio Massimo nello stesso anno fu vista da Genserico come un'invalidazione del trattato di pace del 422.
All'arrivo dei Vandali Papa Leone I implorò Genserico di non distruggere la città antica o di uccidere i suoi abitanti. Genserico acconsentì e le porte di Roma gli furono aperte. Petronio Massimo, che era fuggito per non affrontare il signore dei Vandali, fu ucciso dalla folla dei romani appena fuori la città.
Sebbene la storia ricordi il sacco dei Vandali come estremamente brutale (da cui il termine vandalismo per indicare una atto di violenza distruttiva e gratuita), in verità Genserico onorò il suo impegno di non abbattere la sua forza sul popolo romano ed i Vandali non operarono nessuna distruzione degna di nota nella città; essi comunque razziarono l'oro, l'argento e molti altri valori, con un impeto peggiore di quello dei visigoti di Alarico, autori del sacco del 410[1]. Genserico portò inoltre con sé l'imperatrice Licinia Eudossia, vedova di Valentiniano III e le sue figlie compresa Eudocia che sposò il figlio di Genserico Unerico dopo il ritorno a Cartagine. Furono presi in ostaggio anche molti altri personaggi importanti della città.
[modifica] Note
- ^ Franco Cardini e Marina Montesano, Storia medievale, Firenze, Le Monnier Università, 2006. ISBN 8800204740 pag. 64.