Psicologia del lavoro
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La psicologia del lavoro o psicologia delle organizzazioni è lo studio dei comportamenti delle persone nel contesto lavorativo e nello svolgimento della loro attività professionale in rapporto alle relazioni interpersonali, ai compiti da svolgere, alle regole e al funzionamento dell'organizzazione.
In altre parole, la psicologia delle organizzazioni prende i modelli e le teorie della psicologia e li applica all'ambiente di lavoro, cercando di:
- favorire sia il massimo benessere per le persone che lavorano, sia il massimo vantaggio per l'organizzazione per cui lavorano;
- migliorare le condizioni psicologiche, la motivazione ed i rapporti con gli interlocutori di ruolo, con l'azienda e con l'ambiente di lavoro in genere.
La psicologia delle organizzazioni, quindi, utilizza molti degli aspetti propri della psicologia generale nell'ambito organizzativo-gestionale. I campi d'applicazione della psicologia delle organizzazioni sono soprattutto: la gestione del personale, la leadership, la selezione, la valutazione, la formazione professionale, la comunicazione e i rapporti, le dinamiche di gruppo, la motivazione al lavoro, il sistema premi-punizioni, lo sviluppo della carriera.
Indice |
[modifica] Denominazione
La psicologia delle organizzazioni nasce come psicologia industriale. La denominazione psicologia industriale apparve per la prima volta nel 1904, in un articolo di Bryan, come un errore tipografico al posto di psicologia individuale; negli Stati Uniti questo termine venne usato fino agli anni '70. Negli anni ’50 per indicare la psicologia del lavoro, nella letteratura anglosassone, entrò in uso l’espressione Occupational Psychology, che negli Stati Uniti era invece riferita solo allo studio dell’orientamento professionale. Fu in Italia, in un convegno del 1951, che Alberto Marzi propose di utilizzare l'espressione Psicologia del lavoro invece di psicologia industriale.
[modifica] Storia
Come già accennato, la psicologia delle organizzazioni nacque come psicologia industriale, che poi fu trasformata in "Psicologia industriale e organizzativa". La sua comparsa ufficiale si fa risalire alla pubblicazione, nel 1913, dell'opera "La psicologia e l'efficienza industriale" di Hugo Munsterberg, anche se il primo atto riconosciuto di intervento in azienda è del 1910, quando Jean Michel Lahy utilizzò per la prima volta dei test psicoattitudinali per la selezione del personale operaio.
Munsterberg era interessato all’applicazione dei tradizionali metodi psicologici ai problemi concreti dell’industria, in particolare all’organizzazione del lavoro e alla selezione del personale. Fece studi sulla monotonia, l’affaticamento, sull’adattamento all’ambiente di lavoro e le prime analisi sulla motivazione al consumo e delle tecniche di vendita.
Siamo negli anni in cui si discuteva di organizzazione scientifica del lavoro al fine di migliorare la produttività e la componente psicologica aveva solo un ruolo accessorio. Lo sviluppo del taylorismo, infatti, contribuì a sviluppare attenzione verso lo studio dei procedimenti industriali e dei comportamenti delle persone sul lavoro, ma solo da un punto di vista prettamente tecnico e razionale.
Furono gli studi e le ricerche di Elton George Mayo nel 1920 a dare alla psicologia industriale un ruolo fondamentale nell'ambito delle scienze sociali ed organizzative. Mayo, fondatore della scuola delle Human Relations, attraverso gli esperimenti condotti presso lo stabilimento di Hawthorne della Western Electric, fu il primo a documentare scientificamente il collegamento tra elementi sociali, come le relazioni nel gruppo e il gioco di squadra, con elementi tangibili come la produttività e i risultati. In particolare scoprì quello che viene definito effetto Hawthorne, fenomeno per cui lavoratori chiamati ad impegnarsi in una nuova esperienza interessante lavorano di più e meglio. Da altre sue ricerche Mayo concluse che:
- L’uomo è fondamentalmente motivato da bisogni di natura sociale, ed ottiene dal rapporto con gli altri il suo senso di identità
- In conseguenza della rivoluzione industriale e dell’organizzazione scientifica del lavoro, il lavoro stesso è privo di significato intrinseco, il quale va ricercato nei rapporti sociali che si formano sul lavoro
- Il lavoratore è più influenzato dalla forza sociale del gruppo che da incentivi e controlli della Direzione
- Il lavoratore risponde alla Direzione nella misura in cui essa ne rispetta i bisogni sociali.
Queste nuove concezioni e idee vanno ad opporsi alla vecchia immagine di Homo oeconomicus, la quale sosteneva che l’uomo è motivato anzitutto da interessi economici e che ogni sentimento o altro interesse deve essere eliminato in modo che non interferiscano con il calcolo razionale dell’interesse economico. Al concetto di uomo economico si contrappose quello di uomo psicologico. Questa nuova visione legittimava il lavoratore ad avere sentimenti ed emozioni, che fanno parte della sua prestazione lavorativa.
Il nuovo concetto di lavoro subisce l’influenza di due scuole: da quella psicoanalitica deriva l’idea di uomo come possessore di una parte inconscia e, quindi, come attore di comunicazioni non solo razionali ma anche simboliche; dalla psicologia sociale eredita la concezione di pensiero collettivo, che introduce definitivamente nella definizione di lavoro la dimensione sociale e gruppale.
Un punto critico della svolta metodologica della psicologia del lavoro si colloca sicuramente negli studi e nelle sperimentazioni svolti dalla scuola socio-analitica che a Londra, nell'immediato Dopoguerra, al Tavistock Institute of Human Relations, mise a punto un metodo di ricerca per applicare al comportamento sociale i fondamenti della psicoanalisi freudiana. Con questo modello metodologico fu realizzato un intervento per la Glacier Metal Company (1948), sotto la guida di Elliot Jaques, per la sperimentazione di nuovi metodi di gestione nell'ambito dell'organizzazione aziendale. Nello stesso periodo, l'Istituto Londinese attuò una ricerca sui metodi produttivi nelle miniere di carbone. Questi studi e sperimentazioni portarono alla definizione del modello organizzativo dell'azienda come sistema aperto, una rappresentazione dell'organizzazione semplice e ricca di sviluppi e di applicazioni sia teoriche sia pratiche.
In Italia, la psicologia del lavoro nasce tra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX, in concomitanza con la rivoluzione industriale.
Alcuni dei costrutti teorici cui la psicologia delle organizzazioni fa riferimento sono: la teoria dei sistemi, i principi della termodinamica e l'entropia, la nascente scienza della complessità.
[modifica] Definizioni e differenze
La Psicologia del lavoro e la psicologia delle Organizzazioni sono due discipline unite nel loro complesso, ma distinte da alcune peculiarità.
- La psicologia del lavoro si occupa dell'analisi psicologica delle interazioni tra individuo ed attività lavorativa. All'individuo viene richiesto lo svolgimento di un compito all'interno dell'organizzazione. Tale compito comprende al suo interno numerose variabili che vanno ad influenzare la messa in opera da parte dell'individuo stesso: il carico di lavoro, l'ambiente lavorativo, gli atteggiamenti verso l'attività lavorativa, le caratteristiche del soggetto e le sue aspettative, il clima lavorativo ecc.
- La psicologia delle organizzazioni si occupa dell'analisi psicologica del comportamento di individui e gruppi in relazione al funzionamento delle organizzazioni. In questo campo l'individuo è visto come un soggetto membro di un gruppo definito organizzazione. Vengono analizzati i sistemi di interdipendenza tra individui ed organizzazione che portano al raggiungimento di uno scopo comune e le relazioni che possono portare miglioramenti all'interno del gruppo.
[modifica] Voci correlate
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