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Politica dell'Iraq - Wikipedia

Politica dell'Iraq

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Questo articolo fornisce informazioni sulla Politica dell'Iraq degli ultimi anni, ovvero dopo la caduta della repubblica dittatoriale governata dal Partito Ba'th (detto anche Partito di Rinascita Araba Socialista) di Saddam Hussein. Il regime fu abbattuto nel 2003 a seguito di una guerra lanciata da una coalizione guidata dagli Stati Uniti; ma il paese non è ancora stato stabilizzato ed è in corso una guerra a bassa intensità che contrappone le truppe straniere, l'esercito del nuovo governo iracheno e le milizie di alcune fazioni (specialmente i Curdi ed alcuni partiti politici sciiti) a gruppi eterogenei, composti soprattutto da sunniti[1] (già al potere con il precedente regime ed ora parzialmente esclusi dai posti chiave del governo) di estrazione sia laica (ex Ba'thisti) che islamica; ad essi si aggiungono gruppi apertamente terroristici legati ad al-Quaida, spesso composti da stranieri.

Lo stato iracheno è ora una repubblica parlamentare. La nuova costituzione assegna un ruolo importante alla religione islamica, proclamata religione di stato e "sorgente fondamentale della legislazione", vietando l'imposizione di leggi che contraddicano i principi fondamentali dell'Islam. Essa prevede pure che non possano essere imposte leggi contrarie ai principi democratici ed ai diritti umani e garantisce la libertà religiosa di tutti i cittadini.

La divisione amministrativa consiste in 18 province, cui la nuova costituzione concede la possibilità di formare delle confederazioni dotate di ampia autonomia. Queste disposizioni non sono ancora state attuate, ma se la costituzione non subirà modifiche è praticamente certo che le 3 province curde nel nord del Paese costituiranno una confederazione di questo tipo; è molto probabile che il loro esempio venga seguito dalle 9 province sciite del sud, mentre il destino politico-amministrativo delle 6 province centrali (3 delle quali sono a forte maggioranza sunnita, mentre le altre 3 - fra cui la capitale Baghdad - sono miste) appare incerto.

Attualmente (settembre 2006) il capo dello stato è il curdo Jalal Talabani che è a capo di un consiglio di presidenza che include un vicepresidente sunnita (Tariq Al-Hashimi) ed un vicepresidente sciita (Adel Abdul Mahdi). Il primo ministro è lo sciita Nuri al-Maliki, del Partito Islamico Dawa, giunto al governo nella primavera del 2006.

Immagine:AyatollahSistani.jpg
Il grande Ayatollah ‘Alī al-Sistānī, principale leader religioso della popolazione sciita

Un ruolo informale molto importante è svolto dai capi religiosi, specialmente dai quattro grandi ayatollah sciiti che hanno sede nella città santa di Najaf, fra cui il più influente è ‘Alī al-Sistānī.

Indice

[modifica] La scena politica irachena all'indomani della caduta di Saddam

In teoria il regime di Saddam Hussein aveva imposto all'Iraq l'ideologia laica, nazionalista e con tendenze socialiste del partito Ba‘th. In pratica la società irachena era ancora percorsa da divisioni etniche, religiose e persino tribali. Il regime sfruttava queste divisioni e praticava discriminazioni sistematiche fra i vari gruppi, favorendo grandemente la minoranza (circa 25% della popolazione irachena) sunnita e specialmente i clan originari di Tikrit, città natale di Saddam. Gran parte delle posizioni di una certa responsabilità (dirigenti del partito, funzionari governativi, ufficiali dell'esercito ecc.) erano affidate a sunniti, possibilmente di tendenze laiche.

L'opposizione a Saddām era particolarmente forte fra coloro che erano danneggiati da queste discriminazioni, ovvero fra gli sciiti (oltre il 50% della popolazione) ed i curdi (circa il 20%).

[modifica] Gli sciiti

Nel sud sciita tutti i tentativi di rivolta (ad es. subito dopo la Prima Guerra del Golfo) erano stati repressi dal governo centrale e quasi tutti i leader politici erano dovuti fuggire in esilio. Fra questi erano particolarmente importanti l'Ayatollah Sayyed Muhammad Bāqir al-Hakīm ed Ibrāhīm al-Ja‘farī, rispettivamente a capo del Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq (noto con l'acronimo inglese SCIRI) e del Partito Islamico Da'wa (Da‘wa vuol dire "appello"), entrambi con forti legami con l'Iran.

L'unica autorità a cui il regime era obbligato a concedere una minima autonomia era quella ecclesiastica, specialmente quella dei grandi ayatollah sciiti di Najaf (città santa dello Sciismo in quanto ospita la tomba di ‘Alī ibn Abī Tālib, quarto califfo e primo Imam sciita). Ciò non impedì l'assassinio (1999) del grande ayatollah Muhammad Sādiq al-Sadr (e di due suoi figli), fondatore di un movimento politico-religioso considerato pericoloso da Saddam. Is suo assassinio non estinse il movimento sadrista, per quanto esso passasse in clandestinità e subisse una scissione: la maggioranza dei suoi membri rimase fedele a Muqtada al-Sadr (un altro figlio dell'ayatollah assassinato), mentre una consistente minoranza passò con lo sceicco Muhammad Yaqubi (amico del padre di Muqtada e appoggiato del Grande Ayatollah iraniano Kadhim al-Haeri), che avrebbe successivamente fondato il partito Fadila (virtù).

L'assassinio di al-Sadr ebbe anche la conseguenza di rendere indiscussa la preminenza religiosa del grande ayatollah ‘Alī al-Sīstānī: egli è oggi la personalitá più influente dell'Iraq.

I partiti sciiti accettarono con grande riluttanza l'occupazione americana, considerata un prezzo da pagare per poter rivendicare i propri diritti (oltre la metà della popolazione irachena è sciita). L'opposizione agli americani era particolarmente forte fra i sadristi, che fin dall'inizio li accusarono di voler trasformare l'Iraq in uno stato fantoccio se non addirittura in una colonia. Va inoltre notato che diversi di questi partiti disponevano (e dispongono) di milizie armate, fra cui le più importanti sono la Badr (dello SCIRI) e l'esercito del Mahdi (di Muqtada al-Sadr).

[modifica] I curdi

Negli anni '90 i curdi erano riusciti a stabilire nel nord quello che era quasi uno stato indipendente, nonostante i forti conflitti interni fra i due partiti maggiori, l'Unione Patriottica del Kurdistan di Jalāl Tālabānī ed il Partito Democratico del Kurdistan di Mas‘ūd Bārzānī. Entrambi questi partiti sono di tendenza relativamente laica, ma esiste pure un partito islamico curdo.

Prima dell'invasione americana l'entità curda era protetta dalla milizia dei peshmerga, che poi partecipò attivamente all'invasione stessa. I curdi sono i più fedeli alleati degli USA in Iraq, per quanto siano stati costretti da essi a rinunciare alle proprie aspirazioni di indipendenza totale, accontentandosi di una larga autonomia dal governo centrale iracheno.

[modifica] I sunniti e la guerriglia

I sunniti sono il blocco della popolazione irachena che ha visto la caduta del regime di Saddam nella luce peggiore. Essi infatti hanno controllato lo stato iracheno fin dall'istituzione della monarchia negli anni '20, spesso a spese degli altri gruppi etnico-religiosi iracheni: la caduta di Saddam ha segnato la fine di questo predominio. Inoltre moltissimi di loro erano parte dell'apparato governativo, dell'esercito o del partito Ba'th e l'epurazione o la dissoluzione di queste istituzioni li ha spesso lasciati senza lavoro. Tutto ciò si è sommato ad un nazionalismo particolarmente forte ed alla convinzione di essere vittime di un sopruso (i sunniti rifiutano di credere di non essere la maggioranza) ed ha creato un clima di ostilità diffusa nei confronti delle truppe occupanti e delle nuove istituzioni irachene.


Questo clima, unito alle competenze militari dei sunniti (ad es. gli ex ufficiali dell'esercito potevano attingere a depositi segreti di armi e munizioni disseminati da Saddam in tutto il Paese) ha portato alla formazione di numerosi gruppi armati di tendenze sia laiche (ex Ba'thisti) che islamiche. Questi si sono spesso alleati con jihadisti provenienti dall'estero e facenti parte di gruppi esplicitamente terroristici come quello di al-Zarqawi, noto impropriamente come al-Quaida in Iraq.

A livello politico, vi sono diversi gruppi che vorrebbero rappresentare i sunniti. Fra questi l'Associazione del clero musulmano, il Fronte di Accordo Nazionale (entrambi di carattere religioso) ed il Consiglio Nazionale per il Dialogo (di tendenza laica). Questi partiti sono considerati i più vicini alla resistenza.

[modifica] Gli esiliati laici

Un ruolo di una certa importanza è svolto da alcuni esiliati laici come Iyad Allawi (sunnita, ex membro del partito Ba‘th fuggito dall'Iraq durante l'ascesa al potere di Saddam e poi entrato al servizio della CIA, primo ministro fra il giugno del 2004 e l'inizio del 2005), Ahmad Shalabī (o Chalabī; finanziere sciita legato ai gruppi neoconservatori americani - e forse anche ai servizi segreti iraniani - fonte di molte delle informazioni che hanno spinto gli USA alla guerra) ed Adnān Pachachī.

[modifica] Altri gruppi

Nella politica irachena vi sono poi gruppi di importanza minore, come le piccole minoranze turca e cristiana caldea, insediate in regioni ristrette del nord del paese (come la cittá di Kirkuk), o alcuni piccoli partiti (come i comunisti) non legati a gruppi etnici, religiosi o tribali.

[modifica] Il Consiglio di governo (2003-giugno 2004)

[modifica] Il governo Allawi

[modifica] Le elezioni del gennaio 2005

[modifica] Il governo Jaafari

[modifica] La nuova costituzione

[modifica] La travagliata redazione

Il compito principale del parlamento eletto il 15 gennaio 2005 era di redigere una nuova costituzione. La Transitional Administrative Law (TAL) prevedeva che essa fosse approvata entro il 15 agosto, in modo da poterla sottoporre a referendum in ottobre. Queste scadenze si rivelarono difficili da rispettare. Un primo ostacolo fu la nomina del presidente e del nuovo governo, che occupò il parlamento fino al 29 aprile. Il problema si sposto' poi alla scelta della commissione che avrebbe redatto la costituzione, ed in particolare al numero di sunniti che avrebbero dovuto farne parte. Il boicottaggio delle elezioni del 15 gennaio aveva lasciato i sunniti con pochissimi deputati e si cercava di evitare che la loro conseguente esclusione dalla stesura della costituzione potesse esarcerbare ulteriormente gli animi. A fine giugno si arrivò al compromesso di aggiungere dei membri esterni all'iniziale commissione di 55 deputati, portando la rappresentanza sunnita a 25 membri su circa 80 (di cui 10 senza diritto di voto) [1]. La commissione cominciò a lavorare agli inizi di luglio e procedette con rapidità, salvo per due questioni fondamentali:

  • Il ruolo della religione islamica: per quanto l'ayatollah Sistani non fosse favorevole al modello iraniano in cui il clero è investito del potere di limitare le azioni del parlamento e dell'esecutivo (Sistani ritiene che l'autorità religiosa debba esercitare solo un'influenza indiretta), tutti i partiti religiosi sciiti ed anche alcuni dei sunniti erano molto favorevoli ad assegnare all'Islam un ruolo importante; a ciò si opponevano i curdi, il partito "laico" di Allawi, i rappresentanti delle minoranze e la maggioranza dei sunniti. Gli USA erano contrari a questa ipotesi.
  • La forma federale dello stato iracheno: nel timore che un forte stato centralizzato potesse ripetere gli eccessi dell'epoca di Saddam, i curdi avevano proposto che le province irachene potessero formare delle confederazioni regionali (ciascuna composta di almeno 3 province) che averbbero goduto di amplissima autonomia sia economica (trattenendo gran parte dei proventi petroliferi) che nel campo della sicurezza (ciascuna confederazione avrebbe avuto una propria polizia e forse persino un proprio esercito). A questa ipotesi si opponevano in primo luogo i sunniti (che occupano una regione povera di risorse naturali), ma anche i nazionalisti iracheni, da Allawi ad al-Sadr, che consideravano l'istituzione delle confederazioni come l'anticamera della dissoluzione dell'Iraq. Gli USA (ed anche lo SCIRI) erano favorevoli ad una versione meno estrema di quanto proposto dai curdi.

Il totale disaccordo su questi temi obbligò il Parlamento ad spostare di 2 settimane la scadenza del 15 agosto. Sciiti e curdi giunsero infine ad un compromesso, che ignorava invece le richieste dei sunniti (e vanificava i precedenti sforzi di "coinvolgerli" nella stesura della costituzione): i curdi avrebbero accettato un articolo che impedisce l'approvazione di leggi contrarie ai "principi riconosciuti dell'Islam" (oltre che ai "diritti umani" ed ai "principi democratici"), mentre gli sciiti avrebbero acconsentito alle confederazioni regionali (siapur in forma edulcorata rispetto alle proposte curde).


[modifica] Principali caratteristiche

[modifica] Ruolo dell'Islam

[modifica] Federalismo

[modifica] L'approvazione ed il referendum

La costituzione non venne mai formalmente approvata dal Parlamento iracheno, che in settembre si limitò ad un voto in cui si accettavano le decisioni della commissione; tuttavia questo voto avvenne prima che il testo definitivo fosse reso noto (modifiche furono apportate fino alla vigilia del referendum del 15 ottobre) e contrariamente alle normali prassi parlamentari non fu mai condotto un voto articolo per articolo.

Il 15 ottobre 2005 il testo fu sottoposta a referendum. Come previsto, sciiti e curdi votatono massicciamente a favore ed a livello nazionale i "sì" furono circa il 78%. I sunniti presero parte al voto, per via di una regola della TAL che prevedeva che se in 3 province i "no" fossero stati superiori ai 2/3, la costituzione sarebbe stata respinta indipendentemente dal totale nazionale. Questo tentativo fallì per poco: nelle due province di Anbar e Salahuddin i "no" furono ben superiori alla soglia dei 2/3, ma nella provincia di Ninevah la significativa presenza curda (e cristiana) ridusse i "no" al 55% dei voti della provincia.

[modifica] Le elezioni del dicembre 2005

[modifica] Le contestazioni sunnite

[modifica] La situazione di stallo

[modifica] Note

  1. ^ In questo articolo il termine sunnita verrà utilizzato nel senso di sunnita di etnia araba, escludendo quindi i Curdi (che pure sono in larga maggioranza di religione sunnita).


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