Piero Gobetti
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« Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell'opera loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio posto sarebbe dalla parte che ha più religiosità e spirito di sacrificio » | |
(Piero Gobetti, lettera ad Ada Prospero, 1920)
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Piero Gobetti (Torino, 19 giugno 1901 – Parigi, 15 febbraio 1926) è stato un giornalista, politico e antifascista italiano.
Fu il fondatore e direttore delle riviste Energie Nove, La Rivoluzione liberale e Il Baretti.
Indice |
[modifica] Biografia
Nasce a Torino il 19 giugno 1901 da una famiglia di origine contadina. Già studente del liceo classico "Vincenzo Gioberti", dove conosce la futura moglie Ada, a diciassette anni fonda la sua prima rivista, «Energie Nove». Sostiene le idee liberali di Luigi Einaudi, restando vicino nel contempo alla rivista «L'Unità» di Gaetano Salvemini; tuttavia rimane profondamente colpito e influenzato dalla Rivoluzione d'Ottobre in Russia, interpretandola come "liberale" e apprezzandone la spinta verso il nuovo.
La rivista cessa le pubblicazioni nel 1920. Si appassiona ai problemi del proletariato e alle esperienze dei Consigli di Fabbrica a Torino, avvicinandosi ad Antonio Gramsci, che dirige la rivista «Ordine nuovo» e fa parte della minoranza comunista del Partito Socialista Italiano nella quale militano anche Palmiro Togliatti e Umberto Elia Terracini. Condanna duramente, fin dall'inizio, il fascismo.
Si laurea in giurisprudenza all'Università di Torino nel luglio 1922, con Gioele Solari.
[modifica] «La rivoluzione liberale»
Nel febbraio 1922 fonda una nuova rivista, «La Rivoluzione liberale» della quale sono collaboratori personalità prestigiose come lo stesso Gramsci, Luigi Sturzo e Giustino Fortunato. La rivista è molto combattiva nella lotta anti-fascista: nel biennio 1923-1924 Gobetti viene arrestato più volte e la rivista sottoposta a diversi sequestri.
Nel 1924 Gobetti fonda una nuova rivista, di argomento culturale e letterario, «Il Baretti», alla quale collaborano, tra gli altri, Benedetto Croce e Eugenio Montale, del quale Gobetti pubblica anche la raccolta di poesie «Ossi di seppia» tramite la casa «Piero Gobetti editore». Per questi tipi, nel 1924 esce la traduzione de «La Libertà» di John Stuart Mill, con prefazione di Luigi Einaudi.
[modifica] «La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia»
Le tematiche liberali maggiormente sentite trovano una prima, ma anche ultima sistemazione in «La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia», frutto maturo delle esperienze giornalistiche precedenti, dato alle stampe nel 1924. L'opera è divisa in quattro parti: - L'eredità del Risorgimento - La lotta politica in Italia - La critica liberale - Il fascismo
La prima parte è la meno amalgamata. La fretta con cui vuol dare alle stampe questo libro di lucida analisi politica gli impedisce di curare bene le parti marginali. Così succede che L'eredità del Risorgimento venga solo abbozzata: "Il problema italiano non è di autorità, ma di autonomia: l'assenza di una vita libera fu attraverso i secoli l'ostacolo fondamentale per la creazione di una classe dirigente, per il formarsi di un'attività economica moderna e di una classe tecnica progredita". Un Risorgimento calato dall'alto, che di popolare non aveva nulla. La sfida era riempire di liberalità le istituzioni liberali create. Nel primo dopoguerra Gobetti assiste a qualcosa di assolutamente nuovo: la nascita dei partiti di massa (PPI e PC saranno una prima versione dei due partiti più importanti della cosiddetta Prima Repubblica). Ma questo non basta. "Per quattro anni la lotta politica non riuscì a dare la misura della lotta sociale". Una cosa erano le questioni politiche, un'altra le esigenze sociali.
La seconda parte si divide in 6 capitoli. Ciascun capitolo è un fattore della lotta politica: sono presenti liberali e democratici, popolari (sviluppate le figure di Giuseppe Toniolo, Filippo Meda e Luigi Sturzo), socialisti, comunisti (grande spazio dato a Antonio Gramsci), nazionalisti (emblematico il pensiero di Alfredo Rocco) e repubblicani.
La terza parte è il cuore pulsante del saggio. Una proposta concreta per fare politica senza dimenticare la società. La lotta di classe è per Gobetti strumento di formazione di una nuova élite, una via di rinnovamento popolare. Insomma, la lotta politica deve essere lotta sociale. In politica ecclesiastica Gobetti si rifà alla pregiudiziale cavouriana della laicità. Una necessità da mantenere (cosa che verrà esattamente negata dai Patti Lateranensi). Per la discussione sulle modalità d'elezione, Gobetti è convinto fautore della proporzionale. Il collegio uninominale aveva corrotto il rappresentante in tribuno. Solo con la proporzionale gli interessi si organizzano, così che l'economia venga elaborata dalla politica. Di grandissima attualità è la parte dedicata al problema dei contribuenti: "Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L'imposta gli è imposta. [...] Una rivoluzione di contribuenti in Italia in queste condizioni non è possibile per la semplice ragione che non esistono contribuenti". Diventava necessaria una maturità economica che oggi stiamo tutt'ora aspettando (anziché ricercarla). In politica estera prospettava un ruolo importante per l'Italia a Versailles. Ed infine richiamava attenzione sul problema scolastico: in un mondo fatto per grossa parte da analfabeti o semianalfabeti, la questione era fondamentale. Mancava un numero sufficienti di maestri, perciò si sarebbe dovuto mobilitare chiunque in grado di saper insegnare (anche preti, massoni, bolscevichi e così via). La questione non evitava di trattare l'aspetto economico: contro il parassitismo Gobetti pensava fosse utile tagliare stipendi e investimenti, così da distinguere la vocazione all'insegnamento dalla vocazione al parassitare.
Quarta e ultima parte, una rapida esposizione del perché Gobetti si oppone con ogni mezzo al fascismo. Si è detto che per l'autore la lotta sociale deve essere portata in Parlamento e dar vita ad una lotta politica efficiente ed efficace. Ebbene. Benito Mussolini nel primo decennio pensò bene di soffocare la lotta politica, quando questa più di ogni altra cosa necessitava all'Italia. Così il Duce per Gobetti era l'eroe rappresentativo di questa stanchezza e di questa aspirazione di riposo che si esplicava nel tacito consenso della popolazione allo sradicamento di ogni lotta politica nella nazione.
Il saggio è fortemente militante. Nella nota a conclusione dell'edizione Gobetti è chiaro: cerca collaboratori, non lettori.
[modifica] L'esilio e la morte
Il 5 settembre 1925 Gobetti subisce un ultimo pesante pestaggio da parte di squadristi fascisti, che gli provocano ferite molto gravi. In seguito a ciò, decide di espatriare in Francia, a Parigi, ma non si riprenderà mai totalmente. Muore il 15 febbraio 1926, assistito da Luigi Emery e da Giuseppe Prezzolini, nell'ospedale di Neuilly presso Parigi dov'era stato ricoverato tre giorni prima per polmonite.
Un telegramma di Benito Mussolini che ordina al prefetto di Torino di "rendere la vita difficile a Piero Gobetti, insulso oppositore del governo e del fascismo" viene diffuso dopo la sua morte dai quotidiani antifascisti e suscita una grande emozione nell'opinione pubblica internazionale.
La sua tomba si trova a Parigi nel cimitero di Père Lachaise.
[modifica] Pensiero politico
Gobetti vuole la “rivoluzione liberale”, cioè un nuovo liberalismo; scrive mentre si sta affermando il regime fascista, ha un’avversione contro il fascismo anche perché non è qualcosa di nuovo ma, anzi, il risultato di coloro che hanno governato l’Italia: condanna della classe dirigente liberale. Il fascismo nasce dall’invadenza del cattolicesimo e dalla demagogia dell’Italia liberale: “Fascismo come autobiografia della nazione”, il fascismo è, insomma, solo l’incancrenirsi dei mali tradizionali della società italiana. La società tradizionale italiana reagisce sostenendo una forza conservatrice come quella del fascismo, in realtà qualcosa di buono nell’Italia del primo dopoguerra vi era stato: il proletariato (torinese) che assume su di se la responsabilità di mutare lo stato delle cose. La borghesia ha perso ogni funzione propositiva, è una classe parassita che si è adagiata e aspetta tutto dallo Stato; si blocca così ogni istanza di rinnovamento: la funzione liberale e libertaria è assunta dal proletariato. Le considerazioni politiche di Gobetti risentono della sua opinione sulla storia italiana, in “Risorgimento senza eroi” Gobetti descrive questo periodo come un'epopea patriottarda di cui simbolo è Giuseppe Mazzini (tante parole, pochi fatti): al Risorgimento sono mancati il pragmatismo e il realismo. Ci sono due eroi nel Risorgimento per Gobetti e sono Carlo Cattaneo e Cavour, sono due figure assai distanti tra loro ma accomunabili per il loro pragmatismo: Cattaneo piace a Gobetti per la sua volontà di operare, per la capacità di propugnare istanze pragmatiche e vuote di retorica; Cavour è uomo che media per raggiungere degli obbiettivi, è lungimirante, ha mire di lungo periodo. Il risorgimento di Cattaneo è sconfitto, non quello di Cavour; entrambi, però, hanno instillato nella società italiana lo spirito della competizione e l’ideale di assunzione di responsabilità. La società italiana si regge su ruoli e cariche già predefiniti, è statica e stagnante: il proletariato, però, si ribella a ciò, rifugge situazioni già prestabilite per costruire una società nuova in cui ciascuno sarà libero di esprimersi. Sono ovvie le obiezioni di commistione con il comunismo mosse a Gobetti, vanno però considerate la sua giovane età e le sue umili origini.
[modifica] Bibliografia
- Gaspare De Caro, Introduzione a La rivoluzione liberale di Piero Gobetti, Einaudi, Torino, 1964
- Piero Gobetti, La Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, a cura di Ersilia Alessandrone Perona, con un saggio di Paolo Flores d'Arcais, Torino, Einaudi, 1995
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