Magnitudine apparente
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La magnitudine apparente (m) di una stella, pianeta o di un altro oggetto celeste è una misura della sua luminosità apparente, ovvero quella rilevabile dal punto d'osservazione. È importante notare che un oggetto estremamente luminoso può apparire molto debole, se si trova ad una grande distanza. Infatti se chiamiamo L0 la luminosità intrinseca di una sorgente, un osservatore a distanza d misurerà una luminosità L data da:
Per superare questo problema dato dalle diverse distanze a cui si trovano gli oggetti celesti, si può introdurre il concetto di magnitudine assoluta.
Indice |
[modifica] Cenni storici
Mag. app. | Oggetto celeste |
---|---|
-26,8 | Sole |
-12,6 | Luna piena |
-4,4 | Luminosità di Venere al suo massimo |
-2,8 | Luminosità di Marte al suo massimo |
-1,5 | Sirio, la stella più luminosa |
-0,7 | Canopo, la seconda stella più luminosa |
+6,0 | Le stelle più deboli osservabili ad occhio nudo |
+12,6 | Il quasar più luminoso |
+30 | Gli oggetti più deboli osservabili col Telescopio Spaziale Hubble |
(vedi anche Lista delle stelle più luminose) |
La scala con cui sono misurate le magnitudini affonda le sue radici nella pratica ellenistica di dividere le stelle visibili ad occhio nudo in sei magnitudini. Le stelle più luminose erano dette di prima magnitudine (m = +1), quelle brillanti la metà di queste erano di seconda magnitudine, e così via fino alla sesta magnitudine (m = +6), al limite della visione umana (senza un telescopio o altri aiuti ottici). Questo metodo piuttosto rozzo di indicare la luminosità delle stelle fu reso popolare da Tolomeo nel suo Almagesto, e si pensa che sia stato inventato da Ipparco. Il sistema prendeva in considerazione solo le stelle, e non considerava la Luna, il Sole o altri oggetti celesti non stellari.
Nel 1856, Pogson formalizzò il sistema definendo una stella di prima magnitudine come una stella che fosse 100 volte più luminosa di una stella di sesta magnitudine. Perciò, una stella di prima magnitudine si trova ad essere 2,512 volte più luminosa di una stella di seconda. La quinta radice di 100 (2,512) è conosciuta come rapporto di Pogson. La scala di Pogson fu fissata in origine assegnando alla stella Polare una magnitudine di 2. Gli astronomi hanno in seguito scoperto che la Polare è leggermente variabile, e non è quindi all'altezza del compito. Oggi Vega viene usata come stella di riferimento.
Il sistema moderno non è più limitato a sei magnitudini. Oggetti molto luminosi hanno magnitudini negative. Per esempio Sirio, la stella più brillante della sfera celeste, ha una magnitudine apparente posta tra -1,44 e -1,46. La scala moderna include la Luna e il Sole. La prima, quando è piena, è di magnitudine -12, mentre il secondo raggiunge la magnitudine -26,7. Il Telescopio Spaziale Hubble e il Telescopio Keck hanno registrato stelle di magnitudine +30.
[modifica] Definizione formale
La magnitudine apparente in una determinata banda x (vedi più avanti per i dettagli) è definita tramite la formula di Pogson:
mx = -2,5 log10(Fx) + C
dove Fx è il flusso osservato nella banda x, e C è una costante che dipende dalle unità usate. Si vede subito dalla definizione che più un oggetto è debole più la sua magnitudine è alta, contrariamente al senso comune. La seconda cosa da notare è che la scala è logaritmica: il rapporto fra le luminosità di due oggetti corrisponde quindi alla differenza delle loro magnitudini. Per esempio, una differenza di 3,2 significa che un oggetto è circa 19 volte più luminoso di un altro, perché il rapporto di Pogson elevato alla potenza di 3,2 è 19,054607... La natura logaritmica della scala è dovuta al fatto che l'occhio umano ha esso stesso una risposta logaritmica. Vedi anche legge di Weber-Fechner.
[modifica] Metodi di misura
La misura della magnitudine viene complicata dal fatto che gli oggetti celesti non emettono radiazione monocromatica, bensì distribuita su un proprio caratteristico spettro. Per questo è importante sapere in quale regione di tale spettro stiamo osservando. Nel tempo si sono affermate tre principali bande in lunghezza d'onda: U (centrata attorno a 350 nm, nell'ultravioletto vicino), B (circa 435 nm, nel blu) e V (circa 555 nm, nel mezzo dell'intervallo di sensibilità dell'occhio umano). La banda V è stata scelta perché fornisce magnitudini molto simili a quelle viste dall'occhio umano, e quando un valore di magnitudine apparente è fornito senza altre spiegazioni, si tratta in genere di una magnitudine V, chiamata anche magnitudine visuale. La banda B è invece rappresentativa della sensibilità delle pellicole fotografiche. Tuttavia le stelle più fredde, come le giganti rosse e le nane rosse, emettono poca energia nelle parti blu ed UV del loro spettro, e la loro luminosità viene spesso sotto-stimata nella scala UBV. In effetti, alcune stelle di tipo L e T avrebbero una magnitudine UBV superiore a 100 perché emettono pochissima luce visibile, ma sono molto più luminose nell'infrarosso. L'originario sistema UBV è stato quindi integrato con due nuovi "colori", R ed I, centrati rispettivamente a 797 e 1220 nm (sistema di Johnson-Cousin). Una volta scelta la banda su cui osservare, bisogna anche ricordare che ogni rilevatore utilizzato per raccogliere la radiazione (pellicole, sensori CCD, fotomoltiplicatori...) ha una diversa efficienza al variare della frequenza del fotone incidente: dovremo quindi tenere conto anche di queste caratteristiche curve di risposta quando vogliamo risalire alla luminosità di un oggetto osservato.
Nella pratica il passaggio dalle magnitudini strumentali a quantità di effettivo significato astrofisico avviene attraverso il confronto con opportune stelle standard, oggetti scelti come riferimento di cui si conosce la luminosità e la distribuzione spettrale.