Legge Bossi Fini
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La Legge Bossi Fini è l'espressione d'uso comune che indica la legge della Repubblica italiana 30 luglio 2002, n.189, varata dal Parlamento italiano nel corso della XIV Legislatura, di modifica del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, ovvero il D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. La legge prende il nome dal leader di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, e da quello della Lega Nord, Umberto Bossi, primi firmatari della legge, che nel governo Berlusconi II ricoprivano, rispettivamente, le cariche di vicepresidente del Consiglio dei ministri e di ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione, per regolamentare le politiche sull'immigrazione e sostituisce ed integra la precedente modifica, la c.d.Legge Turco-Napolitano, ovvero la legge 6 marzo 1998, n. 40, confluita poi nel predetto Testo Unico.
Essa prevede che l'espulsione, emessa in via amministrativa dal Prefetto della Provincia dove viene rintracciato lo straniero clandestino, sia immediatamente eseguita con l'accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica. Gli immigrati clandestini, privi di validi documenti di identità, vengono portati in centri di permanenza temporanea, istituiti dalla legge Turco-Napolitano, al fine di essere identificati.
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[modifica] Diritto di asilo
Come Amnesty International ha evidenziato nel Rapporto Annuale 2006[1], nonostante l'Italia aderisca alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, la legge Bossi-Fini (che ha emendato la precedente normativa sull’immigrazione) non è considerabile una legge specifica e completa sul diritto di asilo, in quanto si limita a modificare taluni aspetti della Legge Martelli (legge 28 febbraio 1990, n. 39, conversione del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, recante Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi presenti nel territorio dello Stato), ancora oggi il testo base nel merito. L'istituzione dei centri di identificazione per la detenzione dei richiedenti asilo e di una procedura veloce per la determinazione del diritto di asilo per i richiedenti detenuti, "genera preoccupazione" per:
- l’accesso alle procedure di asilo, per la detenzione dei richiedenti asilo in violazione degli standard previsti dalla normativa internazionale e per la violazione del principio del non-refoulement (non respingimento) che vieta di rimpatriare o espellere forzatamente i richiedenti asilo verso Paesi in cui potrebbero essere a rischio di gravi abusi dei diritti umani.
- la possibilità che molte delle migliaia di migranti e richiedenti asilo giunti in Italia via mare, principalmente dalla Libia, siano stati respinti verso Paesi in cui erano a rischio di violazioni dei diritti umani (tra gennaio e ottobre 2005 almeno 1.425 persone sono state trasferite in Libia).
[modifica] Ammissibilità costituzionale
I tribunali di Genova, Torino, Bologna, Ancona (sezione distaccata di Jesi), Gorizia, Trieste, Milano, Terni e Verona avevano sollevato una questione sulla legittimità costituzionale della norma chiedendo un giudizio di legittimità costituzionale in merito alla pena della reclusione da 1 a 4 anni prevista per gli stranieri che non rispettano i decreti di espulsione e rimangono illegalmente sul territorio italiano.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 22/2007[2], ha sancito che il rapporto reato-pena previsto nella legge Bossi-Fini non viola il canone della ragionevolezza e ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate.
[modifica] Note
- ^ Amnesty International: Rapporto annuale 2006
- ^ Sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 22 gennaio 2007