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Léon Degrelle - Wikipedia

Léon Degrelle

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

«  Se avessi un figlio, vorrei che fosse come Lei. »
(Adolf Hitler, copertina della rivista Signal nel 1944)

Léon Joseph Marie Ignace Degrelle

Léon Joseph Marie Ignace Degrelle (Bouillon15 giugno 1906 – Málaga31 marzo 1994) è stato un politico belgafu il fondatore del rexismo, movimento nazionalista belga di ispirazione cattolica, e in seguito combatté nel contingente vallone delle Waffen-SS.

Al termine della seconda guerra mondiale, fu una delle principali figure neofasciste europeee.

Indice

[modifica] Biografia

Degrelle nasce a Bouillon, un borgo medievale immerso nelle foreste delle Ardenne.

Durante il periodo di studi a Lovanio, alla fine degli anni venti, lavora come giornalista all'Avant Guarde.

Nel 1929 diventa redattore capo del quotidiano di Bruxelles Il XX Secolo. Viaggia in Italia, conosce il fascismo e l' Azione Cattolica. Viaggia per il mondo, arriva negli Stati Uniti degli anni trenta, ma resta colpito soprattutto dal Messico e dalle vicende dei Cristeros su cui scriverà un reportage.

[modifica] Periodo rexista

Tornato in patria, milita inizialmente nelle fila dell'Azione Cattolica; nel 1935 fonda il movimento nazional-popolare "Rex", caratterizzato dal misticismo cristiano e da una visione aristocratica e corporativa dello Stato; da qui la sostanziale adesione all'ideologia fascista di Degrelle.

Alle elezioni legislative del 1936 il suo partito riscuote un notevole successo, ottenendo ventuno deputati e dodici senatori; il movimento rexista possiede anche un proprio giornale, dal titolo Le Pays réel: tra i suoi obiettivi, fungere da sostegno spirituale per i militanti e da organo d'informazione politica.

[modifica] La guerra

Nel 1940, dopo l'occupazione del Belgio da parte tedesca, Degrelle è fautore di un'intesa con la Germania che assicura la supremazia del movimento rexista.

[modifica] Soldato semplice

L'8 agosto 1941 parte volontario con duecento giovani valloni, perlopiù costituita dai giovani rexisti, per il fronte dell'Est, come semplice soldato.

Tra il 1941 ed il 1943, combatte in Caucaso e diventa un comandante delle Waffen SS. Conduce la 28. SS-Freiwilligen-Grenadier-Division der SS Wallonien nell'operazione Barbarossa contro l'Unione Sovietica.

Mentre è in vacanza a Bouillon, sua città natale, il sacerdote si rifiuta di dargli la comunione e lui decide di imprigionarlo in una cantina da dove verrà liberato dai tedeschi. Da nazifascista convinto, tanto anticomunista quanto anticapitalista, proprio a riguardo della spedizione in Russia affermerà: "Non è per salvare il capitalismo che noi ci battiamo in Russia. È per questo che i soldati al fronte hanno una tale fiducia (...) Se l'Europa deve essere ancora questa, se deve ritornare ad essere l'Europa dei banchieri, di questa grande borghesia corrotta, della facilità e dell'infiacchimento, ebbene, noi altri, lo diciamo senza giri di parole, preferiamo ancora che il comunismo avanzi e faccia saltare tutto per aria. Auspichiamo che tutto salti piuttosto di vedere ancora rifiorire questo marciume (...) Noi altri guarderemo i caricatori, e dopo aver sbaragliato la barbarie bolscevica, affronteremo i plutocrati, per i quali abbiamo riservato le nostre ultime munizioni".

[modifica] La scomunica

Quando il vescovo di Namur lo scomunica, allora si volge alla spiritualità delle SS, all'interno delle quali prosegue la sua scalata gerarchica frequentando la scuola di formazione di Bad Tölz.

[modifica] Fronte russo

Tornato in Russia si distingue rompendo l'accerchiamento sovietico a Tcherkassy.

Quello dei valloni è l'ultimo reparto a ritirarsi, retroguardia della divisione Wiking, non cede fino a quando gli viene esplicitamente ordinato di ritirarsi; dei duemila volontari inizialmente costituenti la brigata Wallonie, alla fine dell'agosto 1944 ne restano appena un centinaio, che comunque bloccano l'avanzata sovietica verso Tallinn; lo stesso Léon Degrelle resta ferito e, divenuto comandante della brigata, viene decorato con la Croce di Ferro con fronde di quercia, fu tra i pochi non tedeschi a ricevere questa medaglia.

Ottenuta la Ritterkreutz, la sua popolarità in Germania sale alle stelle, al punto da farlo considerare il delfino del Führer [1]. [2].

[modifica] Dopoguerra

Appena finita la guerra, in fuga dall'Europa occupata dagli Alleati, Degrelle ed alcuni suoi camerati fuggono prima in Danimarca, poi in Norvegia, zone ancora sotto il controllo tedesco. Proprio partendo dalla Norvegia effettuano una folle fuga con un Heinkel He 111 fornito loro da Albert Speer. Nonostante riescano a superare le linee nemiche ed evitare la caccia e la contraerea alleata, il carburante non è sufficiente a coprire tutto il percorso, per cui si rende necessario un atterraggio di fortuna appena al di là del confine francese, sulla spiagga basca della baia di San Sebastian in Spagna dove Degrelle viene raccolto da alcuni bagnanti con varie fratture, anche alla colonna vertebrale.

Dopo le cure in ospedale, si stabilisce a Malaga ottenendo asilo politico dal Governo spagnolo di Francisco Franco.

Con la Liberazione, Degrelle è chiamato in giudizio per tradimento e condannato a morte in contumacia. Le domande di estradizione non avranno esito positivo, perché Degrelle ha rinunciato alla nazionalità belga per prendere, sotto il falso nome di José Leon de Ramirez Reina, la nazionalità spagnola. I suoi genitori e suo fratello vengono però processati e condannati a pesanti pene detentive, forse con l'intenzione di forzarlo a rientrare in patria. Vengono effettuate anche ricerche per scoprire il suo nascondiglio in Spagna, rapirlo e ricondurlo in Belgio ma la sua falsa identità e l'appoggio del governo spagnolo rendono impossibile questa operazione.

Comincia il suo dopoguerra, fra alti e bassi finanziari ma sempre fermo nella sua duplice fede, il cattolicesimo integralista e il nazismo.

Fino alla morte, Degrelle esalterà i piani di Hitler e del regime nazionalsocialista. Convinto revisionista, dubiterà soprattutto dell' esistenza e della materialità dell' olocausto e in generale la concretezza dei crimini contro l'umanità imputati al regime hitleriano.

Prosegue l'opera di proselitismo: scrive libri e tiene conferenze e comizi in tutto il mondo. A Bariloche nel 1980 concede un'intervista al giornalista Marco Dolcetta.

« Noi abbiamo lottato fino alla fine, finché abbiamo potuto, in condizioni orribili; più si avvicinava l'ora della disfatta, più era dura. L'esercito russo era immenso e soprattutto aveva materiale americano immenso, perché sono stati gli americani a vincere in Russia, non i russi. Se ci fossero stati solo i sovietici non ci avrebbero mai sconfitti, mai. Abbiamo combattuto ma alla fine non avevamo veramente più niente; negli ultimi mesi di guerra, durante l'ultima offensiva nel febbraio 1945, avevamo tre obici per cannone, poi ne è rimasto uno solo ... Quando abbiamo sferrato l'ultima offensiva camminavo come sempre davanti ai miei soldati ma avevo preso un bastone per mostrare che non dovevamo aver paura anche se avevamo poche armi. Tutto questo aveva un accento epico, si sapeva che andavamo a morire - abbiamo perso la metà dei nostri uomini nelle ultime settimane e continuavamo pur sapendo che la guerra era persa, perché i russi non invadessero il nostro Paese. È proprio il colmo che ora ci oltraggino, mentre invece senza di noi sarebbero stati perduti. »

Muore in Spagna nel 1994.

[modifica] Scritti

Nel 2008 Jonathan Littell ha pubblicato un saggio (Le sec et l'humide) in cui analizza La campagne de Russie di Degrelle alla luce delle tesi di Klaus Theweleit (in particolare quelle esposte in Fantasie virili, 1977). Secondo Littell, il testo di Degrelle rivela un'impressionante serie di opposizioni strutturanti, tipiche della mentalità del soldatischer Mann messa in luce da Theweleit (secco/umido, duro/molle e così via): non avendo riuscito la separazione dalla madre, questo tipo di invididuo non ha potuto costruirsi un Io in senso freudiano. Staccatosi solo parzialmente, egli è comunque capace di interagire, di vivere "normalmente", ma solo perché si costruisce, o si fa costruire (con disciplina, dressage, esercizio fisico) un Io esteriorizzato che prende la forma di una sorta di "armatura muscolare". Il solo terrore vissuto dall'uomo-soldato, di cui Degrelle sarebbe un esempio particolarmente eloquente, sarebbe la dissoluzione dei propri limiti corporei. Non gli resta che esteriorizzare ciò che lo minaccia dall'interno, e il pericolo assume le sembianze dell'informe, del liquido, del femminile. Per strutturare il mondo, al fascista non resterebbe pertanto che uccidere, annientare tutto quanto è diverso da lui. Al saggio di Littell fa seguito una postfazione di Theweleit. Il testo è accompagnato da numerose immagini (fotografie, manifesti, documenti vari) in relazione a Degrelle, prima, durante e dopo il secondo conflitto mondiale.

[modifica] Figlio mancato di Hitler

Léon Degrelle può essere considerato - con Benito Mussolini - l'unico non tedesco che Hitler stimasse profondamente. Degrelle è un cattolico, esponente di quella linea della Chiesa secondo cui fra comunismo e capitalismo giudaico-pluto-massonico, il male minore è il nazifascismo.

È il simbolo di una mentalità latina impregnata di superomismo romantico e di una avversione profonda per la democrazia.

Degrelle si dimostra leader di incontestabile personalità: oratore, giornalista, poeta, deputato, soldato, entra nella mitologia nazionalsocialista sopratutto in quanto portatore di una forte compenente di Geist, di Spirito.

[modifica] Note

  1. ^ Marco Delcetta, Gli spetti del quarto Reich, Bur Rizzoli, 2007, ISBN 9788817013635
  2. ^ Arrigo Petacco, La nostra guerra, 1940-1945, Mondadori, 1995

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

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