Hitori musuko
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Figlio unico | |
Titolo originale: | Hitori musuko |
Lingua originale: | giapponese |
Paese: | Giappone |
Anno: | 1936 |
Durata: | 85' |
Colore: | b/n |
Audio: | sonoro |
Genere: | drammatico |
Regia: | Yasujiro Ozu |
Soggetto: | Yasujiro Ozu |
Sceneggiatura: | Tadao Ikeda e Masao Arata |
Casa di produzione: | Shochiku |
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Fotografia: | Shojiro Sugimoto |
Musiche: | Senji Ito |
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Figlio unico (Hitori musuko) è un film diretto nel 1936 dal regista giapponese Yasujiro Ozu.
[modifica] Trama
Per sostenere il figlio negli studi, Otsune ha venduto la casa e i terreni a coltura ed ora dorme nel dormitorio della fabbrica tessile di Shinshu in cui lavora. Quando, dodici anni dopo la separazione, lo andrà a trovare a Tokyo, lo troverà sconfitto, nelle sue ambizioni, dalla crudeltà della metropoli. Ma la dignitosa povertà di Ryosuke, la sua generosità e solidarietà nei confronti dei vicini, l'armonia nei rapporti con la moglie e il figlioletto, lo riscatteranno ai suoi occhi.
[modifica] Commento
Nella produzione di Yasujiro Ozu, negli anni '30, è predominante il genere shomingeki, film di ambiente familiare che, nel suo caso, privilegiano il rapporto genitori-figli. Figlio unico è un film esemplare, di questo periodo, dal punto di vista sia narrativo, sia stilistico.
Nel rapporto genitore-figlio si registra una frattura. Lei lo rimprovera di essere un vigliacco e gli rinfaccia le privazioni che ha dovuto subire. Ma la vicenda si risolve in un livello più maturo di comprensione reciproca - la madre che, nel finale, spossata dal lavoro, guarda un cancello, inesorabilmente sbarrato.
Sul versante stilistico, oltre allo sviluppo della ripresa dal basso, con la cinepresa appositamente adattata, per meglio adattarsi agli interni giapponesi (Tokyo-Ga di Wim Wenders) va segnalata una sempre maggiore sobrietà ed essenzialità del regista nell'utilizzo delle forme espressive.
I riferimenti storici all'asse Tokyo-Berlino - un manifesto della Germania nazista appeso al muro e la visione di un film tedesco dell'epoca - non fanno altro che enfatizzare, se ce ne fosse stato bisogno, la distanza tra un autentico precursore del neorealismo e certa produzione propagandistica e retorica del periodo.
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