Giuditta con la sua ancella (Firenze)

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Giuditta e la sua ancella

Artemisia Gentileschi, 1618-19 ca.

olio su tela, 114 × 93,5 cm

Firenze, Galleria Palatina, Palazzo Pitti

Giuditta con la sua ancella è un dipinto ad olio su tela di cm 114 x 93,5 realizzato nel 1618-19 circa dalla pittrice italiana Artemisia Gentileschi. È conservato a Firenze, presso la Galleria Palatina a Palazzo Pitti.

[modifica] L'opera

In questa tela, dai toni marcatamente caravaggeschi, le due figure femminili di Giuditta e di Abra, la sua ancella, sono raffigurate da vicino, con una inquadratura stretta; stanno immerse nell’ombra, illuminate da una luce, come di candela, che viene dalla loro sinistra.

Dopo aver dipinto la cruenta Giuditta che decapita Oloferne, oggi al museo di Capodimonte a Napoli, Artemisia ritorna, con questo quadro di forte intensità drammatica e di grande sapienza narrativa, sulla storia dell'eroina biblica che uccide il generale dell'esercito nemico.

La tela mostra l'istante in cui le due donne si apprestano a lasciare la tenda di Oloferne, con la paura di essere scoperte dai soldati assiri. Abra sostiene, come se fosse il bucato, la cesta in cui è stata deposta la testa mozzata di Oloferne. Giuditta impugna ancora, appogiandola sulla spalla, la spada con la quale ha compiuto da poco la sua vendetta; con l'altra mano, posata con un gesto complice sulla spalla dell'ancella, sembra volerla trattene, come turbata da un rumore esterno.

Il dipinto si colloca tra le opere migliori di Artemisia Gentileschi. Superba è la tensione del volto di Giuditta, segnata da uno sguardo preoccupato rivolto all'uscita della tenda e da una ciocca di capelli che è sfuggita dalla raffinata acconciatura.

Una minuziosa cura – come si riscontra in tutti i suoi numerosi dipinti dedicati alla storia di Giuditta – è posta nella raffigurazione dell'elsa della spada e dei gioielli che adornano l'eroina biblica. L'ampio turbante ed il vestito di Abra, giocati sulle varie tonalità del bianco e del giallo, mostrano inconfondibilmente i segni dell'apprendistato svolto presso la bottega del padre, Orazio Gentileschi.

La critica è incerta sulla datazione del quadro, da collocarsi verosimilmente verso l'inizio del soggiorno di Artemisia a Firenze. L'impaginazione della scena presenta una stretta somiglianza con la Giuditta con la sua ancella conservata alla Nasjonalgalleriet di Oslo, che alcuni storici dell'arte attribuiscono alla mano di Artemisia, altri a quella di suo padre Orazio.