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Montebelluna - Wikipedia

Montebelluna

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Stub Comuni
Questa voce fa parte dei comuni della regione Veneto ancora da sviluppare: ampliala seguendo le linee guida del progetto Comuni.


Montebelluna
[[Immagine:{{{panorama}}}|300px|Panorama di Montebelluna]]
Montebelluna - Stemma
Nome ufficiale: {{{nomeUfficiale}}}
Stato: bandiera Italia
Regione: Veneto
Provincia: stemma Treviso
Coordinate: 45°46′31″N 12°2′20″E / 45.77528, 12.03889
Altitudine: 109 m s.l.m.
Superficie: 48.98 km²
Abitanti:
30.354 31-12-07
Densità: 620 ab./km²
Frazioni: Busta, Biadene, San Gaetano, Sant'Andrea, Mercato Vecchio, Caonada, Contea, Posmon, La Pieve, Guarda, Pederiva 
Comuni contigui: Altivole, Caerano di San Marco, Cornuda, Crocetta del Montello, Trevignano, Vedelago, Volpago del Montello
CAP: 31044
Pref. tel: 0423
Codice ISTAT: 026046
Codice catasto: f443 
Nome abitanti: montebellunesi 
Santo patrono: B.V.M. Immacolata 
Giorno festivo: 8 dicembre 
Comune
Posizione del comune nell'Italia
Sito istituzionale
Portale:Portali Visita il Portale Italia
Vista di Santa Maria in Colle
Vista di Santa Maria in Colle

Montebelluna, Montebełuna in veneto, è un comune di 30.354 abitanti della provincia di Treviso.

Indice

[modifica] Geografia

[modifica] Clima

Per approfondire, vedi la voce Stazione meteorologica di Montebelluna.

[modifica] Storia

[modifica] Età Protostorica e Romana

Le prime tracce di attività umana risalgono all'età della pietra e del bronzo (Paleolitico medio). La nascita di un vero insediamento si ha però verso il IX secolo a.C.. Il suo sviluppo fu favorito dalla strategica posizione geografica all'imboccatura della valle del Piave, collegamento tra la pianura e l'area prealpina. Con il tempo diventerà il più importante centro del Veneto preromano. Tali informazioni ci sono date dai numerosi rinvenimenti di aree cimeteriali presso le località di S. Maria in Colle e Posmon. L'area continua ad essere abitata durante il periodo romano (dalla romanizzazione del Veneto tra il II-I sec. a.C. fino al II sec. d.C.). Montebelluna entrerà a fare parte della centuriazione del municipio romano Acelum (Asolo). Non è accora accertata come ipotesi, tantomeno quella che Montebelluna fosse un centro residenziale (presso S. Maria in Colle) o un castra romano a difesa dei reticolati di Asolo e Treviso.

[modifica] Età Medievale

L'esistenza documentaria della pieve di Montebelluna coincide con l’esistenza, abbondantemente documentata a partire dal 1100, del castello medioevale, attraverso la concessione imperiale di Ottone III a Rambaldo II conte di Treviso e poi divenuto feudo vescovile allorché, nel 1047 e nel 1065, Enrico III e Enrico IV lo confermeranno rispettivamente ai vescovi Rotario e Volframmo. Attorno al feudo prenderà vita il Comune rurale. Il prologo è del 1107, anno in cui l’avogaro (avvocato) vescovile Guglielmino gastaldo del castello di Montebelluna concede in livello il forte e le sue pertinenze. La sanzione giurisdizionale arriverà poco dopo. Nel 1129 il vescovo Gregorio rinnova la concessione a livello assieme alla facoltà per i sudditi locali di darsi autonomi gastaldi, giurati, attribuendo diritti di custodia e amministrazione propria con potere di pronuncia di sentenze (facere laudamentum) e diritti di composizione su reati comuni (mittere compositiones de scandalis et furtis). Il citatissimo diploma di Federico I arriverà a cose fatte, nel 1152, e concernerà il solo reddito del foro privilegiato (cioè la riscossione delle tasse sul movimento merci del mercato) al vescovo Ulrico, il quale, nel 1170, rinnoverà ai vicini e castellani di Montebelluna l’affitto ventinovennale.

La Pieve di Montebelluna nasce così indissolubilmente legata al fortilizio (cum castro curte et pertinentiis suis). E non c’è dubbio che il colle fosse profondamente connaturato all’immagine che delle sue cinte murarie ci restituisce la registrazione dello Scoti, nella quale è il castrum a connotare il loco qui dicitur montebelluna cum muro et frata et fossatis circumdatum. E sarà sempre la rocca, da lì in avanti -ossia dalla concessione in affitto del beneficio mercantile all’interno della cerchia del castello- a rappresentare lo scenario -per quel che gli compete- delle tumultuose vicende che dal 1200 a metà del ‘300 sconquasseranno l’intera Marca. Passato così sotto la tutela del Comune di Treviso, il forte subirà l’escalation drammatica delle lotte per il potere (Ezzelino, Caminesi, Della Scala) e verrà più volte manomesso se non distrutto e altrettante ricostruito, sino al colpo mortale della seconda metà del XIV secolo. La realtà dell’evidente ruina spingerà il Vescovo ad assegnare a livello ai communisti le sopravvivenze delle fratte e i muri fratti e le fosse circuenti il castello, presto interrate. A causa dell’insolvenza della Comunità vennero presto vendute anche le porte e i resti della cinta. Del castello, un presidio, affidato, come prescrivevano gli Statuti cittadini, a due capitani in carica per sei mesi e adeguatamente stipendiati, e a sei custodi equipaggiati e armati più o meno sino ai denti, sul finire del Cinquecento, rimaneva solo la celebre descrizione del Bonifacio che val la pena di riportare:

La Rocca s’innalzava nel mezzo del Castello di Montebelluna grande e popolato assai; indi, poco discosto, erano due Gironi, l’un detto della Cisterna, e l’altro del Capitano; perché quello ad una bella cisterna era vicino, e in quest’altro il capitano del luogo dimorava: di dentro s’aggirava una spaziosa strada vicina alla muraglia, che con alcune torri era stata assai alta fabbri¬cata: di fuori era un’ampia fossa che abbracciava il Castello, at¬torno al quale era una lunga strada; poi circondavano per buon spazio le Cerchie, che da un’altra fossa erano attorniate: e avea questo Castello tre porte: l’una dalla Chiesa a questo Santo con¬sacrata, di S.Cristoforo si chiamava; l’altra era detta di sotto dal Girone; e la terza Bagnalasino. (G.BONIFACIO, Istoria di Tre¬vigi, p.187)

La prima volta che il nome Montebelluna compare nei documenti ufficiali si può considerare datata attorno all'anno 1000. Nel 1062 è Enrico IV che assegna a Volfango, vescovo di Treviso, la Pieve di Montebelluna, concedendole nel 1063 larghe immunità; nel 1129 è Guglielmo , avogadro del vescovo, che dà il livello - Castrum et suae pertinentieae- al comune rurale di Montebelluna, e la falcoltà di nominare gastaldi, giurati, giudici liberamente scelti. Concede inoltre al Comune di amministrare la giustizia, riservandosi la metà delle multe. La comunità rurale del territorio montebellunese era: Montebelluna con i villaggi di Caerano di San Marco, di Trevignano e Falzé, con i borghi di Guarda, Posmon, Visnà di sopra, Visnà di sotto e Pederiva; Biadene, Ciano, Volpago del Montello, Cornuda, Pederobba, Rovigo(Onigo), Coste Crespignaga, Casella, Giavera del Montello, Sovilla, Nervesa della Battaglia. Sorta all'incrocio di importanti vie di comunicazione, si sviluppò in modo celere, grazie al mercato, al quale giungevano genti e merci dalle zone bellunesi, feltrine, trevigiane e padovane. La Rocca che s'innalzava nel mezzo del Castello di Montebelluna era grande e molto popolata. Circondata da due Gironi, uno detto della Cisterna, e l' altro del Capitano, vicino all'alta muraglia con torri scorreva una strada spaziosa, al di fuori delle mura c' erano dei fossati. Per accedervi c'erano tre porte. Dal 1200 al 1350 circa la sorte del castello subirà più volte rovinosi attacchi uscendone spesso rovinato e anche distrutto, fu sempre ricostruito fino al colpo mortale della seconda metà del XIV secolo. A causa dei debiti della comunità, furono vendute anche le porte e i resti della cinta. La fondazione del Mercato di Montebelluna si può considerare risalente al decimo secolo, poiché esso era già fiorente quando, nel 1157 Federico Barbarossa aveva concesso il "reddito" al vescovo di Treviso. Nel 1268, il Mercato di Montebelluna riceve dal Comune di Treviso il privilegio di fare il mercato senza pagare il dazio. Il mercato si svolgeva sulla piazza centrale e si spandeva sulle quattro vie che salgono da dolci declivi fino al colle.

[modifica] Rinascimento

Il secolo XIV è stato per Montebelluna e il suo mercato un grande arco di tempo in cui si è sviluppata una civiltà e una cultura non indifferente. Al tempo di Barbarossa e del vescovo Uldarico, era ritenuta la prima diocesi, sia per benessere che per moralità, era portata come esempio di saggezza. così tra una guerra civile e l'altra, pur essendo martoriata da parte dei daziarii e dalle truppe forestiere, Montebelluna si espanse fuori dalla cerchia del Castello e aveva cinto con alte mura le vigne e gli oliveti, fin da allora celebri per i vini bianchi dolcissimi e l'olio gustoso, che davano abbondanti guadagni. Si continuò a fare "mercato", non solo , ma anche in una pausa di pace, innalzò in mezzo alla piazza delle biade, una "snella colonna", sopra un semplice basamento, di tre gradini, sormontata dalla statua della Vergine, simbolo di fede in quei tempi perduti, quasi a presidio dei deboli in quei tempi bellicosi e a difesa dei commerci.

Il Mercato Franco di Montebelluna Come è ormai abbastanza noto, il mercato franco di Montebelluna era sicuramente l'emporio più importante delle regioni pedemontane e prealpine (buona parte del traffico si indirizzava verso il feltrino e il bellunese). Ciò infastidiva tutta una serie di soggetti pubblici (corporazioni cittadine, Camere Fiscali, Treviso) e privati. Lo spazio "pubblico" del mercato, gestito dall'organo di amministrazione laico della chiesa (Fabrica), i cui spazi (box) venivano affittati per la vendita, attirò infatti l'interesse di famiglie locali importanti (Pellizzari,Lorenzato, Galante, Vendramini)e poi quella di emergenti forestieri (Van Axel). L'inesorabile e spregiudicata opera di penetrazione del privato ottenne agli inizi del '700 significativi risultati e più di un quarto dello spazio mercantile, quello maggiormente prestigioso del cosiddetto Casteler, venne sottratto alla comunità. La difesa in ogni caso continuò e produsse un'infinità di contenziosi con Treviso che prendevano la strada delle magistrature venete. Venezia sanzionava la tradizione dell'esenzione, anche e soprattutto per motivi politici (la fedeltà dei fedelissimi rustici contava molto di più degli infidi ceti urbani). E poi non si trattava solo di principi e tradizioni. Va infatti ribadito che gestire lo spazio esente del mercato sul colle assicurava alte rendite alla comunità e sicuro prestigio agli amministratori. Per governare la Fabrica bisognava essere eletti e quindi anche tale funzione amministrativa rientrava nell’alveo, sia pur discutibile, della cosiddetta democrazia diretta delle comunità rurali. Ma, contrariamente ad altre cariche locali come quella di mariga (sorta di sindaco eletto a rotazione tra i capi di casa dei rispettivi communi) governare la Fabrica era ambìto, talmente ambìto da spingere all’uso di clientele diffuse e determinate dalla rete dei rapporti di dipendenza economica. I contadini ricchi erano quasi sempre grossi prestatori di denaro e sostanzialmente degli usurai. I più arrembanti (i Dalla Riva, i Lorenzato, i Vendramini, i de Bettini, i Pellizzari) riuscivano a legare a sé decine di famiglie sui cui membri indebitati essi stendevano protezioni e procure, riscatti e ipoteche, un ombrello a larghe tese persino morali (padrini, tutele), sino all’inevitabile e legittima acquisizione dei patrimoni vincolati. I protagonisti di queste ascese patrimoniali erano, di fatto, gli amministratori della fabbriceria, una decina di persone fra loro legate da interessi economici e politici, un’alleanza sanzionata e rafforzata, non a caso, dalle strategie matrimoniali.


La crescita di Montebelluna proseguirà con linearità per tutto il Settecento. Il territorio si arricchirà di nuove ville e di nuove attività artigianali e produttive. Ma la fine del secolo segnerà anche la crisi, che diventerà inesorabile, del vecchio mercato. La popolazione si era ormai da tempo insediata in piano, là dove si concentrava la vita attiva, là dove cominciava ad affacciarsi un certo dinamismo sociale e economico. La crisi del mercato sarà però soprattutto la crisi del sito: strade impervie, fangose, poco transitabili; spazio esiguo e per di più finito; condizioni igieniche pessime, mancanza d’acqua, continue lamentazioni dei mercanti costretti a disertare, più o meno in massa, prima di tutto un’intera tradizione che faceva del marcà di Montebelluna il mercato per antonomasia. Ci vorranno alcuni decenni e un nuovo Stato prima di prendere atto della realtà. Sarà necessario anche un cambio amministrativo, un sindaco di rottura come Domenico Zuccareda, coraggioso e sufficientemente immune alle pesantissime accuse di anticlericalismo, un sindaco capace di fare e di ripassare la mano senza drammi all’eterno Clarimbaldo Cornuda, fortunato progenitore di una serie lunga di sindaci eterni. E Sarà necessario un giovane ingegnere come Giovan Battista Dall’Armi, geniale autore del cosiddetto nuovo mercato agli inizi degli anni settanta dell’Ottocento, volano della nuova città degli scambi e dei commerci.

[modifica] Ottocento

Quando alla fine del 18° secolo tramontò la Repubblica della Serenissima, la stessa fu venduta agli austriaci da Napoleone Bonaparte, anche Montebelluna con il suo Mercato passò nelle mani austriache. La comunità deliberò di rifare più agevoli le quattro strade che conducevano al Mercato, cioè quella per Biadene "Groppa", quella della Pieve "Rampera", quella per Caerano di San Marco e quella per Posmon, Chiamata "Porcellera" perché in quella via si vendevano i maiali. Nel momento in cui l'Italia si è costituita in Regno, la millenaria Montebelluna aveva il suo centro storico, lassù, a quello che oggi è Mercato Vecchio. Appoggiate al dolce declivio delle Rive erano alcune ville setteottocentesche ed alcuni palazzi già vetusti erano dentro le antiche mura del Castrum dov'erano gli uffici statali e comunali. Il centro di Mercato Vecchio, non aveva però, le prerogative, né le poteva pretendere a causa della sua infelice ubicazione, lontana dalle vie di grande comunicazione, per diventare il capoluogo di un vasto territorio intercomunale. Così nel 1868 dopo varie richieste di alcuni abitanti e mercanti, i quali richiedevano la sistemazione del selciato delle strade in quanto pericoloso per il trasporto delle merci con carri, fu costituita una commissione, la quale concordò che il Mercato andava deperendo per l'abbandono in cui era lasciato. La piazza e le piazzole erano insufficienti per contenere i compratori, l'acqua per l'abbeveraggio del bestiame era scarsa e mancavano anche i servizi igienici. Per la sistemazione fu calcolato che spesa sarebbe stata enorme, e si iniziò a prendere in considerazione la possibilità di spostare il Mercato Franco al piano. Il 22 maggio del 1869, il Consiglio Comunale delibera il trasporto del Mercato, dal monte al piano. La domenica del 8 settembre 1872 si inaugurò il nuovo mercato di Montebelluna.

[modifica] Novecento

LA MODERNITA'

Come detto, la posizione di centralità dell’area nella circolazione dei beni e delle persone continuò e si rafforzò nel passaggio al Comune moderno di età napoleonica e austriaca. Tale ormai consolidata vocazione sarà all'origine delle prime forme di manifattura e di commercializzazione della calzatura, attività che, seppur presente sin dal medioevo, si afferma in modo deciso solo nella seconda metà dell'Ottocento (dai dieci calzolai del 1808 si passa ai 36 degli anni trenta, ai 55 del 1873 per arrivare ai 200 di inizio Novecento).

Il trasporto del mercato al piano (1872) e la conseguente nascita del centro urbano segnano il passaggio alla modernità, dando alla cittadina i suoi tratti ancora riconoscibili (le grandi piazze, gli edifici). Montebelluna conta allora 7100 abitanti che, nel 1885, saliranno a 9008 per superare i 10.000 nei primi anni del ‘900. Sempre negli anni ’60 dell’800 gli alunni iscritti all’insegnamento elementare erano 150 e saliranno a 900 all’inizio del secolo

Nonostante l'alto tasso di emigrazione, fenomeno ben noto in tutto il Veneto, è in questo periodo, tra la seconda metà del XIX secolo e i primi decenni del '900, che la città vive la sua fase più intensa di sviluppo, anche grazie all'arrivo della ferrovia (la tratta Treviso-Montebelluna viene inaugurata il primo aprile 1884). Rimane da ricordare la delibera del 1886 per la presa stabile del canale irriguo Brentella (l’opera verrà però realizzata solo nel 1929), la linea ferroviaria Padova-Montebelluna del 22 luglio 1886 e nel novembre dello stesso anno la Treviso-Belluno, l’elettrificazione del 1903, l’acquedotto di San Giacomo di Fener nel 1901, i lavori pubbici (costruzione delle carceri nel 1884), la decisa e imponente sistemazione della viabilità, l’istituzione della Banca Popolare (1877), la ragguardevole espansione edilizia e, ben dentro il ‘900, l’inizio dei lavori per la tratta ferroviaria Montebelluna-Susegana nonché l’elaborazione del progetto che porterà , ben dentro al ‘900, della tramvia elettrica.

All’inizio del secolo si insediano le prime aziende industriale di media portata e già nel 1904 il distretto di Montebelluna occupava il quarto posto in Provincia per potenza istallata. La rapidità dello sviluppo è peraltro confermata dal fatto che, ancora nel 1885, l’unica attività non agricola di una certa rilevanza erano le sette filande di bozzoli che davano lavoro a 140 donne. L’industrializzazione dei primi del ‘900 annovera così la Filatura Cotonifici Trevigiani, il Cascamificio Bas (poi Filatura del Piave), gli stabilimenti in via Piave per la produzione dei perfosfati e solfati di rame e acido solforico, le manifatture tessili di Biadene e Pederiva, l’industria alimentare (i pastifici di Biadene, il molino “Cerere”) e si allarga progressivamente alla lavorazione del legno e allo sviluppo dei duecento laboratori del calzaturiero.

Alla crescita economica si accompagnarono le prime forme associazionistiche. In particolare la Società Popolare di Mutuo Soccorso fondata nel 1870 da una classe dirigente illuminata e responsabile. Dalle iniziali e consuete finalità di assistenza a operai e artigiani, la Società Operaia si trasformò progressivamente in un volano di civiltà e di iniziativa culturale. Nel suo ambito si promosse l’iscrizione dei soci alla cassa nazionale della Previdenza Sociale, l’istituzione nel 1901 di una Scuola di Disegno applicato alle Arti e Mestieri, la promozione della Biblioteca Circolante “A. Fogazzaro” nel 1911, la Scuola Tecnica nel 1920. In questo contesto va sicuramente ricordata la costituzione, nel 1897, della Società per la costruzione e la gestione di un Teatro Sociale.

Un paese vitale dunque, come testimonia, almeno in parte, il noto Resoconto Economico-Morale del 1909 nel quale vengono riportate con enfasi le conseguenze dei primi insediamenti industriali e il continuo sviluppo commerciale della città imperniato sul volano mercantile.

[modifica] Luoghi d'interesse

[modifica] Ville Venete

  • Villa Pisani: Villa Pisani di Biadene si trova ai piedi del Montello e si raggiunge da via Feltrina imboccando poi via Consolata. Il corpo centrale della Villa è arretrato in mezzo a due ali perpendicolari ai lati che portano nella testata gli stemmi a fresco dei Correr e di Pisani. Ragguardevole edificio della seconda metà del XVII secolo costruito da Angelo Correr, procuratore di San Marco. La struttura, articolata e imponente, mantiene parte della decorazione interna, ma ha perduto progressivamente arredi e statue del giardino. Parte integrante della villa, la cappella che ospita l’Assunta del soffitto attribuita al giovane Giovambattista Tiepolo.

All'interno molti affreschi e decorazioni furono asportati o lasciati andare in rovina. La Villa fu utilizzata da varie famiglie e istituzioni: Grimani, Erizzo, Pigazzi, Maffei-Fenerolli, Marchesi, Vescovo di Treviso, PP. Missionari della Consolata. Durante le due guerre mondiali e nel periodo intermedio fu ospedale militare e asilo antimalarico. A partire dal 1979 Villa Pisani passa sotto la proprietà del Comune di Montebelluna per diventare la sede di diverse associazioni nonché teatro di numerose manifestazioni di carattere artistico, culturale e ricreativo. Attualmente è in via di attuazione, grazie all'intervento di un' ente bancario, il progetto di ristrutturazione del complesso che riporterà la villa al suo antico splendore.

  • Villa Guillon-Mangilli:

Il territorio montebellunese è una vasta distesa urbanistica che riflette l’originaria dispersione dei suoi colmelli, ora denominate anche se non coincidenti- frazioni. Le frazioni di Biadene, Pederiva e Caonada situate a ridosso della fascia pedecollinare del Montello appaiono piuttosto defilate dal centro. Ciò ha dato loro una fisionomia abbastanza definita, in particolare nel senso di appartenenza dei residenti. A Biadene, oltre alle citate, spiccano le presenze di altri edifici residenziali legati alla presenza dell’aristocrazia locale e veneziana. È il caso divilla Monterumici, Dametto, Garioni e ciò che rimane dell’antica osteria del Mal Capelo, perno del transito lungo la Feltrina e luogo di incontro nei secoli per locali e foresti. A Pederiva villa Guillon Mangilli, seppur risultato di almeno un paio di stratificazioni rispetto all'originaria villa Bressa, si segnala soprattutto per le notevoli dimensioni, imponente riferimento in passato delle articolate (piano e monte) distese rurali dei proprietari. Villa Guillon-Mangilli è soprannominata anche "la casa del francese" e si trova in località Pederiva. Fu costruita alla fine del XVI sec. dalla famiglia Bressa, ricca e potente,e passò poi alla nobile famiglia Mangilli da cui assunse il nome. L'ultima erede Lucrezia, sposata al conte Benetto Valmarana, rimasta vedova, s'innamorò del ospite Roberto Guillon, n musicista francese e quindi lasciò tutta la sostanza al giovane. Questi ammodernò e ridusse alla forma attuale la villa verso i primi dell'800. a villa ha una grande barchessa ad archi ribassati, un parco immenso con laghetto ed un oratorio rifatto verso la metà dell'800.


A Posmon (considerando anche l'antica villa di Visnà) il quattrocentesco insediamento residenziale favorito dal passaggio del Brentella ha prodotto un proliferare di dimore signorili, a partire dalle antiche proprietà dei Pola (con lo splendido barco quattrocentesco dei paladini), dei Contarini (con le importantissime vedute di San Marco e Piazza dei Signori a Treviso di primo Cinquecento), e dei Cicogna. Per dimensioni e qualità urbana e architettonica, ricordiamo almeno:

Villa Mora (ora Morassutti) - Splendida costruzione settecentesca vicina ai modi del Tirali e caratterizzata da interventi successivi di Massari. Si caratterizza per una struttura articolata (barchesse e chiesetta a sud prospiciente su via Mora) e per essere immersa in un vasto parco. Pressoché inaccessibile -alle visite, alla vista dall’esterno e alle informazioni di ogni tipo- non si conoscono, allo stato, né il livello di manutenzione, né la portata dell’arredo e delle opere d’arte che contiene.

Villa Giustinian - Edificio dei primi del Seicento, dalla struttura complessivamente pesante, ma che era al centro di un luogo di delizie di notevole rilevanza nonché perno fondamentale dell'assetto urbano della villa di Posmon. Interessante l’adiacenza che termina con una chiesetta che dà sulla strada provinciale. Gli interni sono praticamente spogli. Rimane, nel retro, il sito dell’antico giardino delle meraviglie di Giustinian.

A Guarda troviamo: Villa Barbarigo (ora Museo Civico) - Barchessa superstite di un complesso imponente del Seicento, del quale sopravvivono gli antichi locali del fattore, ora sede degli uffici del museo. La barchessa è stata restaurata di recente e ha recuperato parte della patina originaria, intonata su stilemi di un certo interesse stilistico.

Villa Mazzolenis (ora Polin) - Semplice ma interessante edificio di villa della fine del Seicento. Impostato su un interessante corpo centrale, l’edificio appare asimmetrico a causa di una divisione confinaria dovuta alla costruzione dei due corpi laterali in epoche diverse. XVII secolo per il corpo di destra (oggi Villa Mazzolenis), XVIII secolo per il corpo di sinistra (oggi Villa Mazzolenis, Polin).

Cappella di San Vigilio - Si tratta di ciò che rimane di una struttura chiesastica medioevale risalente al '200 e appartenente al complesso residenziale vescovile intitolato a San Vigilio.

Villa Amistani e Guerresco. Solidi e semplici edifici di metà Ottocento appartenenti al vasto patrimonio immobiliare della famiglia Polin

A Pieve: Villa Burchielati, poi Ferro, Binetti-Zuccareda. - Edificio profondamente alterato da una profonda trasformazione grammaticale nell’Ottocento. Deve la sua riconoscibilità alla felicissima posizione che ne ha fatto una quinta iconica del montebellunese. E’ ora sede della Fondazione del Museo dello scarpone.

Palazzo Municipale – Costruito a metà dell'Ottocento su progetto di Giuseppe Legrenzi senior. Loggia dei Grani – Saggio architettonico di GioBatta Dall'Armi e perno del sistema di piazze progettato in occasione del trasporto dell'antico mercato. Palazzi cittadini. Si tratta di una serie di edifici ottocenteschi di nobile e dignitosa fattura costruiti negli anni immediati successivi alla nascita del nuovo centro urbano (1872). Da ricordare almeno palazzo Bolzon, Morassutti, Sarri Dall'Armi e Polin.


Tra Visnà e Posmon: Villa Corner, poi Pullin - Curioso e interessante edificio della seconda metà del XVII secolo, recentemente restaurato e destinato a nuove, seppur incongrue, funzioni. L’interesse per l’originalità delle linee della fronte si fonde con il carattere emblematico di una struttura edilizia e architettonica molto diffusa nel territorio: quella della casa da statio, della casa di campagna dei ceti abbienti.

[modifica] Musei

  • Museo di Storia naturale e Archeologia: (Villa Biagi)
  • Villa Binetti-Zuccareda: Villa Binetti-Zuccareda è situata a fianco dell'antica chiesa di Santa Maria in Colle. Vi si accede per una lunga gradinata che conduce ad un'ampia facciata a due piani, con frontone ricurvo e decorazioni di fine '800. In origine fu la casa di campagna di Bartolomeo Burchielati (1548-1632), poi, caduta in abbandono, venne restaurata dall'avvocato Giovanni Ferro famoso oratore. Successivamente passò in proprietà al conte Domenico Zuccareda e , per successione, alla nobile famiglia Binetti. All'interno nelle sale di questa cinquecentesca dimora, sono ora esposti tutti i tipi di calzature usate dall'uomo e gli strumenti utilizzati dal "vecchio calzolaio". Dal 1984 è la sede del Museo dello Scarpone e della calzatura Sportiva, che, fin dalla sua fondazione, si è posto l'obbiettivo di custodire la memoria storica non solo di un prodotto ma dell'intera comunità.

[modifica] Chiese

Vecchio cimitero a S. Maria in Colle
Vecchio cimitero a S. Maria in Colle
  • Chiesa dei SS. Lucia e Vittore: (XVIII secolo), Biadene. Al suo interno è presente il primo affresco del pittore Gian Battista Tiepolo (datato circa tra 1716 e 1719), raffigurante l’incoronazione della Vergine e la gloria dei santi Lucia e Vittore.
  • Chiesa di Santa Maria in Colle:La chiesa prepositurale di S. Maria in Colle

La precoce vocazione alla dispersione spaziale che caratterizza Montebelluna sembra trovare conferma nel sito di S. Maria in Colle. La chiesa è infatti situata lungo l'ascesa al colle del mercato è in posizione assolutamente inconsueta e anomala per una parrocchiale. Si potrebbe ribattere che le sue funzioni plebane giustificavano la sua separazione dal territorio, ma sarebbe osservazione puerile. La prepositurale era, di fatto, la chiesa parrocchiale dei cinque Communi (nei quali c’era solo e non sempre qualche piccolo oratorio) ed era fonte battesimale dei Communi autonomi circostanti di Biadene e Caonada, dotati per l’appunto di propria parrocchiale.

In realtà, la centralità eminente e visiva di Santa Maria in Colle rivelava ragioni più articolate: 1. La mancanza in piano di un centro evidente e naturale; 2. La continuità sacra del sito, da sempre luogo di culto, area sepolcrale, recinto memoriale paleoveneto e altomedioevale. E’ infatti assai verosimile che la cristianità si sia sovrapposta, in questo come in molti altri frangenti, all’esistente, all’esercizio millenario della religiosità. La storia dell’istituzione comincia sin dalle investiture vescovili del XII secolo, ma la presenza di un edificio chiesastico è registrabile con certezza a partire solo dall’inizio del XIV secolo e passa attraverso la prima, per quel che è dato sapere, consacrazione del 1432, in occasione della ristrutturazione generale della struttura precedente. I lavori di rifabbrica del complesso, che si riferiscono all’inizio del ‘400, furono di una certa consistenza e coinvolsero la torre campanaria addossata alla struttura, le soluzioni della facciata e la costruzione integrale di un portico.

Ma il volto di Santa Maria in Colle è quello che il complesso assume con la grande stagione edilizia ed esornativa del Sei e Settecento. Nonostante il terribile colpo di un paio di recenti carestie, all’inizio del XVII secolo la comunità di Montebelluna è in evidente crescita economica e demografica. La chiesa quattrocentesca è molto probabilmente inadeguata a contenere la popolazione; la nuova aristocrazia contadina ritiene sia giunto il momento di dar corso alle ripetute ordinanze vescovili di riatto e decide di andare oltre il necessario: l’obiettivo è la riverenza sociale che si deve a coloro che lasciano di sé la memoria nelle cose.

La classe dirigente che si forma nell’ultimo decennio del ‘500, inaugura la stagione degli interventi con il restauro dell’antica cappella del mercato intitolata a San Biagio e divenuta, nel frattempo, l’edificio di culto della confraternita di Carità dei Battuti. Si tratta, in particolare, di un nuovo altare, decorato e nobilitato da una pala di Ludovico Pozzoserato, del quale si conservano i pagamenti e i rimborsi delle trasferte. Gli amministratori della confraternita sono gli stessi che, a distanza di qualche anno, prenderanno su di sé l’onere di dar vita alla grande iniziativa di ricostruzione della prepositurale.

Nell’estate del 1609, la comunità dei cinque colmelli decide così di “restaurar, refabricar et eriger” la nuova S. Maria in Colle. Una serie di delibere e di procure autorizzano l’inizio dei lavori e l’accensione dei primi prestiti. L’edificio si deve alla progettualità semplice e funzionale di una famiglia di capomastri luganesi, i de Sardi, dignitosi prosecutori della tradizione secolare di un sapere edilizio itinerante. Alla morte del patriarca Baldissera e a quella sul posto di lavoro di altri membri della famiglia, la direzione del cantiere viene assunta dal giovane Pier Antonio, il cui radicamento a Montebelluna è peraltro testimoniato dal matrimonio con una ragazza locale. Il notevole numero di maestranze locali impiegate dimostra la rilevanza strutturale della ricostruzione, imperniata su un cantiere che metterà a dura prova le risorse della comunità e che rimarrà aperto per quasi quindici anni.

Immediatamente dopo si diede mano alla lunga stagione degli arredi e degli addobbi interni. Si cominciò con l’altare di San Pietro (1623), si proseguì con l’altare maggiore, il tabernacolo e la pala di pietra, opere che coinvolsero la famiglia di tagliapietra dei Possa (Pietro, Lorenzo, più avanti i discendenti Nicolò e Gerolamo). Si noti che gli interventi interni venivano affiancati da importanti sistemazioni esterne concernenti il sistema degli assetti viari, allo scopo evidente di accrescere la rilevanza scenica e ambientale dell’edificio, elementi dei quali -come attestano le fonti- gli amministratori avevano piena coscienza (ad honore ed augumento del culto divino è stata edificata dalla Comunità di Montebelluna.con gran spesa una maestosa chiesa che fuori di città non ha pari si per le sue qualità come per il sito in che rimira et prospeta), a testimonianza della natura celebrativa di un’impresa che, alla fine, avrebbe contribuito in modo determinante alla formazione dell’icona di Santa Maria in Colle. Intorno alla metà del secolo si definiscono le cantorie, si commissiona il nuovo organo al celebre costruttore Antonio Colonna, si costruisce il nuovo, costosissimo, altare in pietra viva dei Battuti affidato alla celebre mano dello scultore Matteo Allio, si arricchisce l’interno di nuove dotazioni come quella del pregiato lavello. Negli anni sessanta del secolo, il cantiere registra la presenza dei fratelli Comin, un terzetto nel quale spicca l’importante Francesco, ideatore ed esecutore, con il marangone locale Paolo Della Mistra, del bellissimo coro ligneo, recentemente restaurato. La facitura degli interni segna un’ulteriore tappa nel 1683, allorché il tagliapietra Cristoforo Scala progetta e realizza l’altare del Nome di Gesù. Ulteriori interventi si avranno nel ‘700 con la nuova scalinata dell’altare maggiore (Pietro Tonin da Possagno) e con l’erezione dell’altare della Beata Vergine del Rosario, le cui linee esecutive vennero affidate all’altarista trevigiano Matteo Garelli. La prepositurale era, in definitiva, ben fornita di altari, a cominciare dai piccoli e laterali di S.Eurosia e S.Giovanni Battista, per proseguire con quelli del Rosario, della Madonna, di San Pietro e del Nome di Gesù, tutti o quasi arricchiti di statue e marmi. L’austerità della navata, ricca di pietra e di cordoli, venne in parte attenuata dal notevole affresco La Gloria del Paradiso del pittore veneziano Francesco Fontebasso e, soprattutto, dall’importante stagione ottocentesca di acquisti d’opere d’arte da parte dei prevosti Dalmistro e Berna. La Prepositurale si arricchì così delle statue di Andrea Buora, della Pietà (proveniente da S.Margherita di Treviso) di Giuseppe Bernardi, della Natività dell’altare maggiore di Ascanio Spineda, di tele del Frigimelica e dei da Ponte. L'aspetto forse più rilevante della ricostruzione seicentesca è però quello legato ai lineamenti definitivi che l’area assume tra Sei e Settecento. La spinta del cantiere chiesastico conduce infatti ad una serie importante di iniziative solo apparentemente secondarie. A metà del secolo, al posto di un cason devastato da un incendio, si costruisce la cosiddetta casa del campanaro, l’interessante, ancorché degradato, edificio a nord della chiesa. Nel 1671 si dà incarico ai mureri Zuanne e Zanbattista Bolzon di costruire ai piedi della scala d’accesso una casa a beneficio dei padri predicatori itineranti, costruzione progettata addirittura dal prevosto Francesco Grossi. Ciò che va notato -in questo come per tutti gli altri casi, compresa la chiesa- è l’intensa relazione tra la pietas popolare e la riconoscibile simplicitas della prassi edilizia comunitaria. La presenza di un nuovo edificio spinse i deputati di Montebelluna ad allargare la strada d’accesso. Nel maggio del 1689 la Fabrica delibera di ricostruire completamente l’alloggio del curato, demolendo il piccolo e antico edificio preesistente che si intravede nel disegno che accompagna la precedente richiesta di terreno. Il progetto e la direzione dei lavori vengono affidati a Paolo Della Mistra, quarantunenne marangon di mercato vecchio, già celebre per l’impresa del coro ligneo realizzato assieme a Francesco Comin. Dopo una prima fase di difficoltà tra il progettista e le maestranze, si delibera nuovamente in settembre e questa volta si affidano al Della Mistra pieni poteri direttivi. In ottobre si stipula il contratto con Giambattista Bolzon che si impegna ad eseguire il progetto del proto Della Mistra. Tre anni dopo gli amministratori sono costretti, come già accaduto per la chiesa e gli altari, alla ricerca di un prestito per vedere almeno perfetionate due o tre camere nella casa già principiate per il bisogno del reverendissimo Preposto et per decoro della propria Patria. E’ significativo notare come il finanziatore dei 300 ducati richiesti fosse il facoltoso mercante padovano Giovan Maria Renier, discendente degli stessi finanziatori di inizio secolo in occasione della rifabbrica della prepositurale. I lavori hanno comunque termine nel 1695, anno in cui comincia l’impresa del nuovo campanile.

Giorgio Massari a Montebelluna

La vicenda del nuovo campanile di Santa Maria in Colle, al di là del suo pregio squisitamente architettonico non diverso da molte altre torri campanarie di campagna, costituisce soprattutto uno straordinario capitolo di storia comunitaria. Una storie di incidenti e di peripezie, di soste e di riprese, di imprevisti umani e di interventi fatali. Alla fine del '600, l’irrecuperabilità della struttura lesionata dal terremoto del '95, suggerisce di procedere ad una nuova edificazione. L’incarico di progettazione viene ancora una volta conferito al Della Mistra. L’impresa si rivela da subito molto dispendiosa e gli amministratori sono ancora una volta costretti a ricorrere a prestiti consistenti per fronteggiare soprattutto l’alto costo delle nuove campane fuse dal maestro Bortolo Poli, alloggiate in una struttura lignea provvisoria.

Dopo lo scavo delle fondamenta ad opera dei fratelli Dea (un’altra famiglia di muratori locali), all’inizio del ‘700 si dà incarico ai tagliapietra Fossa di Fener di realizzare l’imponente piedistallo in pietra sui disegni di Paolo Della Mistra, autore della dettagliatissima relazione tecnica che restituisce la conoscenza grammaticale del linguaggio architettonico di un artigiano elevato al rango di proto. Del Della Mistra si conservano anche le stime e le misurazioni analitiche delle pietre lavorate, dei fregi, delle cimase e, insomma, di tutti gli elementi del lessico architettonico destinati a conferire al rugolon (basamento) qualità e pregio. A causa di un gran numero di difficoltà, all’inizio del 1707 l’ambiziosissima fabrica del campanil si erge per soli sei metri da terra; sei metri costati -secondo il conteggio delle numerosissime ricevute rinvenute- la bellezza di quasi 2.000 ducati, vale a dire 250 ducati annui. Se si considera che le entrate della Fabbriceria (cioè gli affitti del mercato) erano pari a circa 200 ducati, si può misurare l’entità degli sforzi finanziari che si riteneva di dover sostenere per Santa Maria in Colle.

Sempre nel 1707 i lavori si interrompono per gravissime ragioni di ordine tecnico e strutturale. Il fusto era stato costruito male e rischiava di crollare. Padre Pietro, un domenicano di S.Nicolò incaricato della perizia strutturale, rilevò, infatti, che, a partire da circa tre metri di altezza, la porzione di muro presentava “tutti quattro li cantoni fuori di traguardo niun eccettuato”. Il perito scagiona il Della Mistra da ogni responsabilità avendo il progettista lasciato la direzione dei lavori dopo i primi tre metri di erezione a causa dei contrasto con i muratori Dea, ai quali viene dunque addossata ogni colpa del pasticcio statico. Il risultato di tante disarmonie è l’abbandono del cantiere da parte del Della Mistra, il licenziamento dei Dea e il conferimento di un nuovo incarico costruttivo ai murari trevigiani Domenego e Giacomo Zambianchi. I due, nel giro di un paio d’anni (1709-1710) correggono le distorsioni precedenti e decidono di proseguire seguendo il progetto del Della Mistra. Ma, ancora una volta, i lavori si fermano: questa volta proprio per questione di soldi.

Si riprende sei anni dopo, con il reintegro nell’incarico di Paolo Della Mistra e la conferma degli Zambianchi che terminano il fusto. La responsabilità del Della Mistra si estende alla stesura dei dettagliatissimi capitolati d’appalto, nei quali compaiono straordinari allegati zeppi di istruzioni tecniche, di misure e particolari costruttivi e decorativi che provano una competenza progettuale ormai matura. La cosa si ripete con l’accordo concernente il marangon Adamo Fontebasso, autore della facitura delle scale e soprattutto con quello, articolatissimo, stipulato con i tagliapietra Bortolo, Pietro, Angelo e Antonio Tonin. L’intervento dei Tonin riguardò il cosiddetto terzo livello, quello chiamato adornamento del campanil alle campane, la parte più delicata e preziosa della torre.

Dopo un’altra serie di controversie (anche gli Zambianchi abbandonano il cantiere) i lavori murari e lapidei giungono al termine nel 1722. L’inopinata rottura delle campane fuse dal Poli all’inizio del secolo costringe gli amministratori a una nuova e imprevista spesa. Le nuove campane verranno commissionate al celeberrimo fonditor di Ceneda Domenico Zambelli che non riuscirà comunque a sottrarsi al sortilegio giacché la sua campana più grande, già giudicata di cattiva qualità materiale ed estetica, si romperà solo dopo due anni e tra lo sconcerto generale. In ogni modo, il campanile c’era e funzionava. Per la cupola a cipolla di coronamento si dovrà attendere in ogni caso sino al 1737, quando l’opera venne affidata ad un’équipe di fabbri bellunesi.

Nel 1742, infine, con l’alloggio dell’importante orologio commissionato al noto Bortolo Ferracina di Solagna, si chiude il lungo capitolo dei primi cantieri del campanile: dal 1696 al 1746 la comunità di Montebelluna ha speso la bellezza di quasi 40.000 lire venete, ad una media annuale di 163 ducati. Una cifra che può dire ora molto poco, ma la cui entità è facilmente verificabile confrontando le tabelle sui costi della vita di un buon saggio di storia economica.

Pochi anni dopo, nel 1761, il campanile precipitò nuovamente al suolo e per ragioni che sono tuttora oscure. E pensare che solo due anni prima, nel giugno del 1759, si era deciso di rifare completamente il soffitto della chiesa e di ridefinire la facciata secondo stilemi più aggiornati affidandosi all’altissima professionalità del famoso architetto veneziano Giorgio Massari, piuttosto pratico del posto, da lui frequentato in occasione dei progetti per villa Mora, Fietta e Lattes. La contabilità di questo ennesimo intervento, più importante di quanto appaia a prima vista, ci è pervenuta grazie al registro minuziosissimo del massaro Garbujo, dal quale si ricavano anche i più minuti spostamenti dell’anziano architetto. Nel mese si settembre si stipulava il consueto analitico capitolato di lavoro con le maestranze, alle quali veniva imposto di realizzare il soffitto secondo le intenzioni del celebre architetto signor Giorgio Massari. Le spese per il rinnovamento strutturale e estetico dell’edificio (compreso l’affresco del Fontebasso) ammontarono a più di 12.000 lire. In questo quadro intervenne il nuovo disastro statico della torre campanaria. Superata la fase, sempre piuttosto lunga, di sconcerto, si decideva per l’ovvia ricostruzione servendosi ancora dei pareri del Massari che consegnò il 14 luglio 1765 il progetto della pianta. Ma i lavori si fermarono e il cantiere riaprì solo nell’ultimo decennio del secolo (nel frattempo venne alzata la solita struttura lignea). Il nuovo cantiere, diretto dal massaro Serena, venne affidato per la parte operativa al capomastro Antonio Franceschini e al tagliapietra Andrea Bettio. Alla luce della abbondantissima documentazione ottocentesca c’è da supporre che il cantiere del Serena abbia potuto operare poco e per breve tempo.

L’attuale campanile di Santa Maria in Colle è, infatti, una realizzazione tipicamente ottocentesca, nei moduli stilistici e costruttivi e nella realtà delle carte d’archivio. L’alacre cantiere ottocentesco (1815-27) è talmente ricco di dati e di informazioni da consentire una lettura pietra per pietra della struttura. La torre venne ricoperta ma l’insieme risultò così sgradito (il pretore per protesta portò la pretura a Biadene!) da richiedere un ulteriore intervento a fine secolo (1896) che desse una cuspide agile e snella ad una torre tozza e grave. La cuspide di coronamento venne progettata dall’ingegnere Guido Dall’Armi, del quale rimane il contratto d’appalto per la fornitura della pietra viva. Lo stesso Dall’Armi, tre anni prima, aveva completato una lunga stagione di piccoli interventi nella prepositurale (scale, sagrato, muretti, strade) con l’apertura di una galleria attorno al coro che slanciasse la struttura liberando spazio per le due piccole sacrestie.


  • Duomo della Beata Vergine Immacolata: Grandioso edificio costruito in stile neogotico a partire dal 1908. Progettato dall’ingegnere montebellunese Guido Dall’Armi per volere del prevosto mons. Giuseppe Furlan, il Duomo di Montebelluna vide una gestazione molto lunga, dovuta alle numerose difficoltà che incontrò la “fabbrica”, a partire dai problemi derivanti dal terreno paludoso che richiese una notevole quantità di terra di riporto per la bonifica. L’avvento della Prima Guerra Mondiale, il cui fronte era a pochi chilometri dalla città,
    L'interno del Duomo di Montebelluna
    L'interno del Duomo di Montebelluna
    rappresentò l’unico momento di stasi della fabbrica, tanto che il Duomo, ancora incompiuto, venne utilizzato come deposito per munizioni. Dopo la fine della Grande Guerra si proseguì senza interruzioni e la chiesa attorno ai primi anni Quaranta del Novecento si poté dire conclusa, anche se gli ultimi lavori di sistemazione del presbiterio si conclusero solo negli anni Sessanta. L’esterno si presenta incompiuto, a causa del mancato completamento della facciata: in una vetrata del braccio destro del transetto è possibile vedere come il progetto originale del Dall’Armi prevedesse la realizzazione di una serie di rifiniture (galleria con statue, guglie e portali in marmo) mai realizzate. Interessanti, tuttavia, sono i tre portali in ferro sbalzato, opere di notevole pregio della ditta Fagherazzi di Venezia. Di notevole impatto l’interno. Tra le opere più importanti che vi si conservano, troviamo le statue dei dodici Apostoli, sculture realizzate nei primi anni del Cinquecento da Giovanni Buora e Bartolomeo di Domenico Lombardo. Interessanti anche le numerose vetrate, realizzate tra il 1936 ed il 1949 dalle ditte Caron e Saggiorato di Vicenza e da Fontana Arte e Veder Art di Milano; di particolare interesse la composizione del rosone nella controfacciata (La Natività) e dell’abside (Glorificazione dell’Immacolata). All’interno troviamo anche degli altari barocchi di pregevole fattura, trasportati dalla vecchia prepositurale di Santa Maria in Colle nonché un imponente organo a tre manuali della ditta Tamburini di Crema.

[modifica] Posmon

Posmon è un quartiere del comune di Montebelluna, posto a occidente dell'abitato. Il nome deriva da "Pos-Bon", cioè pozzo buono, perché ha la peculiarità di avere una falda acquifera che scorre sotto la sua superficie. La frequentazione del luogo sia ha già parecchi millenni indietro, ma soprattutto dal IX sec. a.C. con la popolazione dei Veneti. Numerosi sono i ritrovamenti archeologi che coprono un arco cronologico che va dal IX se. a.C. al II sec. d.C.. Durante la dominazione della Serenissima vi furono erette diverse ville.

  • Villa Pola: Di questa splendida dimora è rimasta soltanto una modesta barchessa con portone ad arco ma, il fatto straordinario è che questo manufatto di fine '44 è interamente decorato da una fascia a fresco sulla linea di gronda e, più in basso, dalle immagini di Carlo Magno e dei dodici paladini.
  • Villa Morasutti (CàMora)(CONTEA): Villa Morassutti si erge al centro di un parco meraviglioso ed elegante, uno dei più belli e ben tenuti della provincia di Treviso. La costruzione originaria risale alla fine del 1300 ed ha successivamente subito varie modifiche, comprese le barchesse laterali dal disegno monumentale.
  • Villa Cicogna:
  • Villa Loredan Van Axel:
  • Villa Giustiniani:


[modifica] Contea

La Chiesa di Contea esisteva prima del 1369, fu rinnovata nel 1427 e nel 1566: era intitolata a S. Martino. Nel 1776 fu dedicata alla Madonna della Salute. L'attuale campanile risale agli inizi del '900. La forma strana della Chiesa come si presenta oggi è dovuta a recenti aggiunte laterali per accrescerne la capienza. Contea Quartiere di recente istituzione. Sorge a cavallo del canale Brentella su area del reticolo romano d’Asolo. I toponimi stanno a testimoniare i passati insediamenti. Apparteneva alla regola di Posmon. Probabilmente l'agglomerato si andò addensando gradualmente attorno al primitivo oratorio. Si sviluppò successivamente con lo scavo del canale Brentella e la costruzione dei mulini. Nel passato l'area è stata preminentemente destinata all'agricoltura. Recentemente vi si sono sviluppate attività commerciali e zone residenziali. Dotato di modeste infrastrutture, vi sono anche costruite le piscine comunali.

A Contea fin dal 1369 esiste la chiesa, fu rinnovata nel 1427 per “legato” eseguito da “Donna Cherubina”. Dal 1491 in questa chiesa campestre officiava un cappellano ed era intitolata a San Martino di Tours, nato a Sabaria (Ungheria) nel 316 o 317 e morto a Candes (Francia) nel 397. Famosissimo l’episodio di Martino a cavallo che con la spada divide in due il mantello donandone metà ad un mendicante. Questo fatto è ricordato da un affresco, purtroppo molto rovinato e sbiadito, nell’attuale chiesa che ha abbracciato i principi fondamentali, validi ancor oggi, di questo grande santo che sono: la condivisione e la carità verso tutti specie se abbandonati ed emarginati. La chiesa fu restaurata dai “Pace” nel 1566; nel 1766 i “Revedin”, nuovi proprietari, in seguito ad un voto fatto con la popolazione perché cessasse una terribile pestilenza dedicarono la chiesa alla MADONNA DELLA SALUTE. Attorno al 1780 passò ai “Van Axel” che la cedettero alla popolazione. Divenne parrocchia con decreto del Vescovo Mons. Antonio Mistrorigo il 2 aprile 1978. Il 21 novembre è la ricorrenza della “Madonna della salute” festeggiata oltre che con le messe anche con la sagra parrocchiale, sagra che è famosa soprattutto per le “creme”.

[modifica] Economia

Dove il terreno sale dolcemente verso le colline del Montello in un panorama ampio e disteso appare Montebelluna (centro principale della zona) che, nel corso degli ultimi decenni, si è espansa rapidamente con uno sviluppo urbanistico non sempre preordinato. Lo sviluppo di questa città si è realizzato soprattutto in piccole e medie industrie, in laboratori artigianali indirizzati verso produzioni di consumo a buon livello tecnologico, ad alta intensità di lavoro e creatività facendo di Montebelluna un centro industriale noto a livello internazionale. La grande ripresa economica che si è verificata in questi decenni, con una diffusione straordinaria di imprese nel territorio, conta oggi circa un'azienda ogni 10 abitanti. L'inventiva imprenditoriale non teme confronti ed il pullulare di attività più o meno piccole si misura con successo in tutti i settori produttivi. La sua fama è legata soprattutto alle calzature, in particolare allo scarpone, alla scarpa e all'abbigliamento sportivo, per questo detiene la leadership mondiale, infatti tutte le aziende più prestigiose risiedono nel suo territorio e rispondono con una produzione che porta la qualità delle industrie, la fantasia dei suoi designer e il "made in Italy" in tutto il mondo. Gli elementi portanti di questo fenomeno vanno ricercati oltre che nella operosissima manodopera, nell'eccezionale capacità imprenditoriale che ha saputo prevenire o superare momenti di recessione rispondendo alle esigenze innovative del mercato, creando stabilità nell'occupazione, benessere e tranquillità sociale. Un segno tangibile del percorso evolutivo compiuto dall'imprenditoria locale è il Museo dello Scarpone, che testimonia la trasformazione delle piccole botteghe artigiane in grandi gruppi industriali. Anche l'agricoltura segue l'evoluzione dei tempi; soprattutto la viticoltura vanta vigneti ben curati che danno vini pregiati. Dal 1977 esiste la D.O.C. Montello e i Colli Asolani, riservata ai vini prosecco, merlot e cabernet prodotti in gran parte nelle colline dell'Asolano e del Montello, una dorsale collinosa, lunga e bassa, tra Treviso, Montebelluna e il Piave. Il Consorzio di tutela di questi vini ha sede momentanea presso la Pro Loco di Montebelluna. Ma non è solo attività imprenditoriale, commerciale, agricola ma è anche e soprattutto un paesaggio vivo, luminoso, colorato, ricco di fascino da cui traspare la laboriosità della gente di oggi come la sofferenza, la grandezza, il mistero del suo passato che continua ad esserci rivelato attraverso i reperti ritrovati nelle sue necropoli paleovenete: oggetti che analizzati da occhio esperto, dimostrano il senso dell'arte e della cultura della sua gente.


MONTEBELLUNA SPORTSYSTEM

La storia dello Sportsystem si può dividere in diversi periodi e ciascuno di essi rappresenta una tipologia di distretto.


Il 1800 è stato il tempo delle stagioni, della Chiesa, del contadino e dell’artigiano. Il cuore economico di Montebelluna era il mercato. Il distretto era composto da tanti piccoli laboratori, con 1-5 addetti ciascuno: un maestro calzolaio, uno e più aiutanti e apprendisti. Produzione limitata, fatta a mano; vendita diretta al mercato. Rapporti orali e informali basati sui valori della famiglia e del vicinato. Forte senso dell’onore. Fiducia nella parola data.

  • DISTRETTO ARTIGIANO-INDUSTRIALE(1911-1954)

Nel 1951 sono 10 i COMUNI che formano il nucleo storico: Montebelluna, Pederobba, Arcade, Cornuda, Nervesa della Battaglia, Caerano San Marco, Trevignano, Volpago del Montello, Maser, Giavera del Montello. Abitanti 62.324


Il tempo e lo spazio si dilatano con l’emigrazione e la guerra. Alcuni laboratori si trasformano in aziende dove si attua la divisione del lavoro. Vengono introdotte le prime macchine, anche se persiste una netta prevalenza della manualità. I marchi cominciano a far pubblicità con i primi cataloghi. Le scarpe da montagna e gli scarponi da sci si affermano nel mercato italiano e scoprono quello europeo. I rapporti tra padrone e operai continuano ad essere quelli paternalistici della tradizione artigiana. Con la conquista del K2 (1954) con scarponi Dolomite, la scarpa da montagna raggiunge una fama mondiale.

  • DISTRETTO CONCORRENZIALE-METALMEZZADRO(1954-1974)

Concorrenziale rappresenta la struttura delle aziende; metalmezzadro definisce le caratteristiche degli operai.

Il miracolo economico segna il tempo della plastica, delle diversificazioni produttive, del benessere e del consumismo. Le olimpiadi di Cortina (1956) sono un formidabile trampolino di lancio per il made in Montebelluna. La crescita, dovuta al boom economico italiano, fa aumentare la domanda di scarponi da sci, che diventano il prodotto leader del Distretto. Le innovazioni tecnologiche culminano con la rivoluzione della plastica. Il Distretto diventa il maggior produttore mondiale di scarponi da sci (75%) e con il decentramento produttivo modifica la sua struttura, dando vita a moltissime aziende terziste. La gerarchia del Distretto è ormai netta: alcuni grandi marchi, qualche decina di piccoli e medi marchi, ed una miriade di subfornitori. L’introduzione della plastica è all’origine di una serie di diversificazioni produttive che arricchiscono la gamma di calzature sportive del Distretto. Il grande sviluppo industriale determina l’arruolamento di molti contadini che abbandonano la campagna. I rapporti tra datore di lavoro e dipendenti sono ancora di carattere personale. Poco significativa la presenza del sindacato.


  • DISTRETTO INTERNAZIONALE(1974-1989)

1985 – COMUNI (10): Nucleo storico : Montebelluna, Pederobba, Arcade, Cornuda, Nervesa della Battaglia, Caerano San Marco, Trevignano, Volpago del Montello, Maser, Giavera del Montello. Abitanti 1977 76.648 COMUNI (15): Asolo, Altivole, Castelcucco, Vedelago, Istrana

La proprietà delle aziende non è più solo locale. La vendita della Caber alla Spalding apre le porte alle multinazionali. Il Distretto assume la fisionomia che lo rende peculiare nel panorama italiano e mondiale. Le diversificazioni produttive favoriscono la nascita di numerose altre piccole aziende. Il doposci è una gallina dalle uova d’oro. Lotto e Diadora introducono prodotti estivi (scarpe da tennis e da jogging); in competizione con le multinazionali tedesche ed americane, cominciano a delocalizzare nel Far East. La cultura industriale, con la plastica, attinge a nuovi settori, particolarmente a quello metalmeccanico. Cresce il ruolo dei manager; ai primi apparsi alla Nordica, si aggiungono quelli delle multinazionali. Gli operai metalmezzadri, legati al mondo agricolo, diminuiscono. I tecnici sono portatori di una più schietta cultura industriale. Il caso polinevrite, malattia professionale che colpisce diversi addetti a contatto con collanti, rende più incisivo il ruolo dei sindacati e fa scoprire alle amministrazioni comunali la realtà del Distretto. Parole nuove: marketing e sponsorizzazioni. La Valanga Azzurra vince nella coppa del mondo e alle Olimpiadi con gli scarponi made in Montebelluna. Le diversificazioni continuano: ora si parla di vestire l’atleta ed il consumatore della testa ai piedi. Non c’è fiera di prodotti sportivi (Ispo di Monaco, Las Vegas, etc) in cui non siano presenti massicciamente le aziende dello Sportsystem.


  • DISTRETTO GLOBALIZZATO(1989-2005)

1999 Abitanti del Nucleo storico 86.057 2005 – COMUNI (26): Nucleo storico + Asolo, Altivole, Vedelago, Istrana + Valdobbiadene, Cavaso del Tomba, Monfumo, Castelcucco, Fonte, Vidor, Castello di Godego, Castelfranco Veneto, Ponzano Veneto, Villorba, San Biagio di Callalta, Arcade. Abitanti nel 2004 (su 23 comuni) 221.727

Con gli anni '90 la globalizzazione avviluppa nella sua rete tutte le aziende del Distretto, che vive una profonda metamorfosi. Si allenta il rapporto con il territorio di origine. Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dei regimi comunisti nell’Europa Orientale, la delocalizzazione coinvolge anche le PMI con marchio e addirittura l’indotto. Parti significative della produzione si spostano nell’Est europeo ed in Asia. La concorrenza dei paesi emergenti si fa più dura. Molte grandi aziende assumono le caratteristiche di commerciali. L’arrivo degli extracomunitari, non più solo manager e tecnici, ma operai, trasforma i paesi veneti del Distretto in una variopinta comunità multiculturale. Il fenomeno delle concentrazioni, avviato con l’acquisto della Nordica da parte della Benetton, sconvolge gli antichi equilibri del Distretto, che accentua la sua verticalizzazione. Si assottiglia il numero dei laboratori e cresce il peso della delocalizzazione. Con il nuovo Millennio il distretto vede ulteriormente intensificarsi il fenomeno delle concentrazioni. Nel distretto si forma il più importante gruppo mondiale per prodotti sulla neve, costituito dai marchi Nordica, Dolomite, Tecnica, Lowa (a cui si aggiunge Rollerblade). Grande successo delle scarpe da città con i marchi Geox, Stonefly. La definizione tradizionale di distretto (un territorio, un prodotto specifico, delle relazioni informali, etc...) negli ultimi anni si è molto modificata. Il territorio è diventato il mondo; i prodotti sono una gamma molto varia e continuano a crescere; le relazioni sono completamente cambiate. Pensiamo alla lingua. Fino a qualche anno fa tutti parlavano lo stesso dialetto; oggi in certe aziende la presenza degli stranieri obbliga ad usare l’inglese come lingua comune.

[modifica] Sport

  • A.S. Montebelluna nuoto sito
  • A.S.D. Montebelluna Basket sito
  • Circolo scacchi "VERGANI" sito
  • San Gaetano calcio sito
  • Sci Club Montebelluna sito
  • U.S. Montebelluna volley sito
  • A.S.D Archery Club Montebelluna sito
  • Arte Scherma A.S.D. sito


Il 31 maggio 2001 la 12^ tappa del Giro d'Italia 2001 si è conclusa a Montebelluna con la vittoria di Matteo Tosatto.

[modifica] Folclore

In questa città ogni anno, la prima domenica di settembre, le contrade di Montebelluna (Biadene, Busta, Caonada, Centro, Contea, Guarda, Mercato Vecchio, Pederiva, Posmon, San Gaetano e Sant'Andrea) si sfidano in una vera e propria gara a squadre tirando un carro agricolo di 380 kg per 1990 m lungo il percorso in salita dal Municipio fino a Mercato Vecchio.Questa è la strada che i mercanti un tempo dovevano faticosamente percorrere per arrivare a vendere la loro merce al mercato dell'attuale Mercato Vecchio. Oggi, infatti, quei carretti vengono caricati di prodotti tipici della propria contrada. Questa manifestazione è chiamata "Il Palio del vecchio mercato".

Dal 2000 è stato anche istituito l'Europalio, manifestazione interna a quella del Palio in cui gareggiano le città gemellate con Montebelluna contro una squadra di montebellunesi.


[modifica] Evoluzione demografica

Abitanti censiti

[modifica] Variazioni

La circoscrizione territoriale ha subito le seguenti modifiche: nel 1928 aggregazione di territori del soppresso comune di Caerano di San Marco; nel 1946 distacco di territori per la ricostituzione del comune di Caerano di San Marco (Censimento 1936: pop. res. 3348). [1]

[modifica] Note

  1. ^ Fonte: ISTAT - Unità amministrative, variazioni territoriali e di nome dal 1861 al 2000 - ISBN 88-458-0574-3

[modifica] Amministrazione

Sindaco: Laura Puppato (L'Ulivo) dal 12/06/2007
Centralino del comune: 0423 6171
Email del comune: sindaco@comune.montebelluna.tv.it

[modifica] Personaggi

[modifica] Cittadinanze onorarie

[modifica] Gemellaggi

Montebelluna è gemellata con:

[modifica] Galleria fotografica

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