Utente:Franco aq/sandbox5
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Indice |
[modifica] Keran di Lampron
Keran di Lampron , il suo nome era Anna, a partire dal 1270 fu chiamata Kir Anna "Signora Anna" abbreviato poi in Keran. (circa – 28 luglio 1285), fu regina della Piccola Armenia, in quanto moglie di Leone III d'Armenia.
Era la figlia di Hetum IV, signore di Lampron.
Molte parole di elogio furono proferite circa la Regina Keran dai suoi contemporanei. Suo figlio Hethum proclamò che "lei ha una splendida anima ed un bel corpo". Lo scriba e cronista Avetis, la descrisse come "una buona amica di suo marito nelle difficoltà e nella gioia".
[modifica] Matrimonio e discendenza
Il matrimonio con Leone fu celebrato il il 15 gennaio 1262, ebbero sedindici figli:
- un figlio nato verso la fine del 1262.
- Costantino d'Armenia (nato a Mamistra nel 1265, morto giovane).
- Principessa Eufemia d'Armenia (nata c. 1266).
- Hetum II (nato attorno al 1266 - assassinato ad Anazarbe il 7 novembre 1307) re dal 1289 al 1293, dal 1294 al 1297 e dal 1299 alla morte.
- Principessa Zabel (c.1269 - pre 1273).
- Thoros III (Mamistra, ottobre 1270 - assassinato a Partzepert il 23 luglio 1298) re dal 1293 alla morte, fu sepolto a Trazerg.
- Principe Ruben d'Armenia (nato c.1272 morto giovane).
- Principessa Zabel (c. 1273 - ante 1276)
- Sempad (c. 1276 gemello di Zabel - 1310) re dal 1297 al 1299.
- Principessa Zabel (c. 1276 gemella di Sempad - assassinata a Sis nel maggio 1323), sposò Amalrico di Tiro.
- Costantino III (c. 1277 - post 1308) re nel 1299 e nel 1307.
- Rita (c. 1278 gemella di Theofano - luglio 1333) sposò il 16 gennaio 1294 Michele IX Paleologo - co-imperatore dell' Impero bizantino con suo padre Andronico II Paleologo - furono i genitori di Andronico III Paleologo; a Bisanzio fu conosciuta con il nome di Maria; divenne suora prendendo il nome di Xene; fu sepolta nel Convento di Santa Marta a Costantinopoli.
- Principessa Theofano d'Armenia (c. 1278 gemella di Rita - 1296); fidanzata a Teodoro Angelo, figlio di Giovanni Ducas) morì durante il viaggio verso Costantinopoli e fu sepolta a Salonicco.
- Principe Nerse d'Armenia (c. 1279 - 26 maggio 1301) fu sepolto a Trazarg.
- Oshin (c. 1283 gemello di Alinakh - assassinato il 20 luglio 1320) re dal 1308 alla morte; fu sepolto a Trazarg.
- Principe Alinakh d'Armenia (c. 1283 gemello di Oshin - 28 agosto 1310) fu sepolto a Trazarg.
Duriante i ventun anni di matrimonio Keran diede a Leone otto figli e sette figlie; due bambini e due bambine morirono in tenera età. Cinque dei suoi figli salirono al trono, spesso lottando l'un l'altro. Il maggiore, Hetum II d'Armenia, abdicò dopo quattro anni in favore del fratello più giovane Thoros III d'Armenia, ma fu rimesso sul trono nel 1294. Nel 1296 il loro fratello Sempad strangolò Thoros ed accecò Hetum allo scopo di prendere il potere. Nel 1298 Sempad fu rovesciato dal loro fratello minore Costantino III d'Armenia, che fu rimpiazzato dal fratello maggiore Hetum, che nel 1305 abdicò in favore del figlio di Thoros Leone IV. In seguito fu Oshin a regnare ed infine il trono fu ereditato dal figlio di Zabel e di Amalrico.
[modifica] La morte
Dopo la nascita del suo ultimo figlio, Keran si fece suora ed entrò nel Monastero di Drazark, assumendo il nome di Theophania. Morì il 28 luglio 1285 e fu sepolta nel monastero.
[modifica] Bibliografia
- Hayk Khachatrian. Queens of the Armenians: 150 Biographies Based on History and Legend. (in inglese) Yerevan, Amaras, 2001. ISBN 0-9648787-2-0
[modifica] Voci correlate
[modifica] Collegamenti esterni
- Charles Cawley. (EN) Armenia - Chapter 3. KINGS of ARMENIA (CILICIAN ARMENIA) (FAMILY of HETHUM) - A. KINGS of ARMENIA 1226-1341. Foundation for Medieval Genealogy, (luglio 2006). URL consultato il 08-06-2008.
[modifica] Trattato di Devol
Il Trattato di Devol fu un accordo concluso tra Boemondo I d’Antiochia e l’Imperatore bizantino Alessio I Comneno, nel 1108 all’inizio della Prima crociata. Con esso si intendeva porre il Principato d'Antiochia in posizione di vassallaggio rispetto all’Impero bizantino, ma non fu immediatamente applicato,
All’inizio della Prima crociata gli eserciti Crociati si riunirono a Costantinopoli e promisero di restituire all’Impero bizantino ogni territorio che avessero conquistato. Tuttavia Boemondo, figlio del vecchio nemico di Alessio, Roberto il Guiscardo, reclamò per se stesso il Principato d'Antiochia. Alessio non riconobbe la legittimità del Principato e Boemondo tornò in Europa a cercare rinforzi, poi si lanciò in una guerra aperta contro Alessio, ma fu presto costretto ad arrendersi ed a negoziare con Alessio nell’accampamento imperiale a Diabolis (Devol), dove il Trattato fu sottoscritto.
Secondo i termini del Trattato, Boemondo accettò di divenire un vassallo dell’Imperatore e di difendere l’Impero quando necessario. Egli inoltre accettò la nomina di un Patriarca Greco Ortodosso. In cambio ricevette il titolo di sebastos e dux (duca) di Antiochia, e gli fu garantito il diritto di passare ai suoi eredi la Contea di Edessa. Dopo di ciò Boemondo si ritirò in Puglia dove morì. Suo nipote, Tancredi, che era reggente di Antiochia, rifiutò di accettare i termini del Trattato. Antiochia entrò temporaneamente sotto l’influenza Bizantina nel 1137, ma solo nel 1158 divenne effettivamente vassalla dell'Impero.
Il Trattato di Devol è considerato un tipico esempio della tendenza bizantina a comporre le dispute per via diplomatica piuttosto che militare, e fu sia un risultato che una causa della sfiducia tra i Bizantini ed i loro vicini dell’Europa occidentale.
[modifica] Scenario
Nel 1097 gli eserciti crociati si riunirono a Costantinopoli dopo aver viaggiato in gruppi verso oriente, attraverso l’Europa. Alessio I, che aveva chiesto solo qualche cavaliere occidentale mercenario per contribuire a combattere i Turchi Selgiuchidi, bloccò questi eserciti nella città, e non intendeva permettere loro di partire fino a quando i comandanti non avessero giurato di restituire all’Impero qualsiasi territorio, precedentemente appartenuto all’Impero stesso, che i Crociati avessero conquistato lungo la via per Gerusalemme.[1] I Crociati alla fine pronunciarono questo giuramento, individualmente piuttosto che a gruppi; alcuni, come Raimondo IV di Tolosa, forse furono sinceri, ma altri, come Boemondo, probabilmente non ebbero mai intenzione di onorare le loro promesse. In cambio, Alessio diede loro delle guidie ed uan scorta militare.[2]
I Crociati furono tuttavia esasperati dalle tattiche Bizantine, come quando fu negoziata la resa di Nicea con i Selgiuchidi mentre era ancora sotto assedio da parte dei Crociati, che speravano di saccheggiarla per contribuire a finanziare la loro spedizione. I Crociati, sentendosi traditi da Alessio, che fu abile nel recuperare diverse importanti città ed isole ed in effetti la maggior parte della parte occidentale dell’Asia Minore, continuarono sulla loro strada senza l’aiuto dei Bizantini. Nel 1098, quando Antiochia fu espugnata dopo un lungo assedio ed i Crociati furono a loro volta assediati nella città, Alessio mosse con le sue truppe per aiutarli, ma sentendo da Stefano di Blois che la situazione era disperata, egli tornò a Costantinopoli.[3] I Crociati, che avevano inaspettatamente sconfitto gli assedianti, credettero che Alessio li avesse abbandonati e considerarono i Bizantini totalmente inaffidabili.[4] Di conseguenza considerarono invalidati i loro giuramenti.[5]
Nel 1100 c’erano diversi Stati crociati, incluso il Principato di Antiochia, fondato da Boemondo nel 1098. Ci fu chi sostenne che Antiochia avrebbe dovuto tornare ai Bizantini, nonostante il supposto tradimento di Alessio,[6] ma Boemondo la reclamò per se stesso.[7] Alessio, ovviamente, non era daccordo; Antiochia aveva un importante porto, era un centro per i commerci con l’Asia ed una fortezza della Chiesa cristiana ortodossa, con un importante Patriarca Greco Ortodosso. Era stata persa dall’impero solo qualche decennio prima, a differenza di Gerusalemme che da secoli non era più in mani bizantine. Alessio, quindi, non riconobbe la legittimità del Principato, ritenendo che esso avrebbe dovuto essere restituito all’Impero come previsto dal giuramento fatto da Boemondo nel 1097; egli quindi decise di cacciare Boemondo da Antiochia.[7]
Boemondo aggiunse un ulteriore insulto sia ad Alessio che alla Chiesa Ortodossa, nel 1100 quando egli nominò Bernardo di Valence Patriarca Latino e contemporaneamente espulse il Patriarca Greco Ortodosso Giovanni l’Ossita, che fuggì a Costantinopoli.[8] Poco dopo, Boemondo fu catturato dai Danishmendidi di Siria e fu tenuto prigioniero per tre anni, durante i quali gli antiocheni scelsero suo nipote Tancredi come reggente. [9] Dopo il rilascio di Boemondo egli fu sconfitto dai Selgiuchidi alla Battaglia di Harran del 1104;[10] questa sconfitta portò a rinnovate pressioni su Antiochia sia dai Selgiuchidi che dai Byzantines. Boemondo lasciò a Tancredi il controllo di Antiochia e tornò in occidente, girando l’Italia e la Francia in cerca di rinforzi. Egli ottenne la protezione di Papa Pasquale II[11] ed il supporto del re di Francia Filippo I, di cui Boemondo sposò la figlia. Non è chiaro se questa spedizione può essere definita una crociata.[7]
I normanni dell’Italia meridionale, parenti di Boemondo, erano stati in conflitto con l’Impero bizantino per oltre 30 anni; suo padre Roberto il Guiscardo fu uno dei più forti nemici dell’Impero. Mentre Boemondo era lontano, Alessio inviò un esercito a rioccupare Antiochia e le città della Cilicia. Nel 1107, avendo a disposizione un nuovo esercito, organizzato per la sua progettata crociata contro i musulmani in Siria, Boemondo invece iniziò una guerra aperta contro Alessio, attraversando l’Adriatico per assediare Durazzo, la più occidentale delle città dell’Impero.[12] Come suo padre, anche Boemondo non fu capace di ottenere significativi risultati contro l’Impero; Alessio evitò lo scontro diretto e l’assedio di Boemondo fallì, anche a causa di un’epidemia che si sparse tra i suoi uomini.[13] Boemondo si trovò presto in una posizione impossibile, isolato di fronte a Durazzo e con la via di fuga per mare chiusa dai Veneziani, Pasquale II revocò il suo appoggio.[9]
[modifica] Gli accordi
Nel settembre 1108, Alessio chiese che Boemondo negoziasse con lui nell’accampamento imperiale a Diabolis (Devol). Boemondo, con l’esercito non più in grado di sconfiggere Alessio in battaglia a causa dell’epidemia che lo aveva colpito, non ebbe altra scelta che accettare.
Egli ammise di aver violato il giuramento del 1097,[14] ma rifiutò di riconoscere che questo fatto fosse rilevante nelle presenti circostanze poiché, dal punto di vista di Boemondo, anche Alessio aveva violato gli accordi tornando indietro mentre i crociati erano assediati in Antiochia, nel 1098. Alessio accettò di considerare nulli i giuramenti del 1097.[15] I termini specifici del trattato furono negoziati dal generale Niceforo Briennio, e furono registrati da Anna Comnena:[16]
- Boemondo accettò di diventare vassallo ed homo ligius (o ἄνρωπος λίζιος) dell’imperatore, ed anche del figlio ed erede di Alessio Giovanni;[17]
- egli accettò di contribuire alla difesa dell’impero, in qualunque momento ed in qualunque luogo gli fosse richiesto in cambio di un pagamento annuale di 200 talenti per questo servizio;
- gli fu dato il titolo di sebastos e quello di dux (duca) di Antiochia e gli furono assegnate, come feudi imperiali, Antiochia ed Aleppo (quest’ultima non era controllata né dai Crociati né dai Bizantini, ma era sottinteso che Boemondo avrebbe tentato di conquistarla);
- egli accettò di restituire Laodicea ed altri territori della Cilicia ad Alessio, e di non attaccare i territori armeni;
- egli accettò la nomina da parte di Alessio di un Patriarca Greco-Ortodosso, scelto "tra i discepoli della grande chiesa di Costantinopoli" (la restaurazione del Patriarca Ortodosso fu un segno di sottomissione all’impero, ma sollevò dei problemi di diritto canonico di difficile soluzione[18]).[19] ;
- se uno dei vassalli di Boemondo - in particolare il suo nipote Tancredi di Lecce – avesse rifiutato di onorare il trattato, Boemondo avrebbe dovuto fargli intendere ragione.
I termini furono negoziati in conformità alla cultura occidentale di Boemondo, così egli si vide come vassallo feudale di Alessio, con tutti gli obblighi che questo implicava secondo le usanze occidentali: egli era tenuto ad assistere militarmente l’Imperatore, ad eccezione delle guerre nelle quali era coinvolto egli stesso, ed a servirlo contro tutti i suoi nemici in Europa ed in Asia.[20]
Anna Comnena ha descritto la procedura con dettagli molto ripetitivi, con Boemondo che di frequente precisava i propri errori ed elogiava la benevolenza di Alessio e dell’Impero; il tutto fu probabilmente piuttosto umiliante per Boemondo. D’altra parte l’opera di Anna aveva lo scopo di celebrare suo padre (Alessio) ed i termini del trattato potrebbero non essere del tutto esatti.
"I swear to thee, our most powerful and holy Emperor, the Lord Alessio Komnenos, and to thy fellow-Emperor, the much-desired Lord Giovanni Porphyrogenitos that I will observe all the conditions to which I have agreed and spoken by my mouth and will keep them inviolate for all time and the things that are for the good of your Empire I care for now and will for ever care for and I will never harbor even the slightest thought of hatred or treachery towards you [...] and everything that is for the benefit and honor of the Roman rule that I will both think of and execute. Thus may I enjoy the help of God, and of the Cross and of the holy Gospels." |
Oath sworn by Boemondo, concluding the Trattato di Devol, as recorded by Anna Comnena[21] |
Gli accordi verbali furono scritti in due copie, una per Alessio e l’altra per Boemondo. Secondo quanto riportato da Anna, i testimoni venuti dal campo di Boemondo che sottoscrissero la sua copia del trattato furono: Mauro De Monte vescovo di Amalfi e Legato pontificio, Renard vescovo di Tarentum ed il clero minore che li accompagnava; l’abate del monastero di S. Andrea in Brindisi insieme a due dei suoi monaci ed un certo numero di pellegrini senza nome (probabilmente soldati dell’esercito di Boemondo). Testimoni del trattato per la corte imperiale di Alessio furono il sebastos Marino di Napoli, Ruggero figlio di Dagoberto, Pietro Aliphas, Guglielmo di Gand, Riccardo di Salerno, Goffredo di Mailli, Hubert figlio di Raoul, Paolo Romano, gli ambasciatori Peres e Simon dall’Ungheria, e gli ambasciatori Basilio l’Eunuco e Costantino.[22] Molti dei testimoni di Alessio erano occidentali che avevano importanti posizioni nell’esercito bizantino e nella corte imperiale;[23] Basilio e Costantino erano ambasciatori al servizio dei parenti di Boemondo in Italia meridionale.
Nessuna delle due copie è sopravvissuta. Erano scritte in latino o greco: entrambe le ipotesi sono ugualmente probabili dato il numero di occidentali presenti, molti dei quali dovevano conoscere il latino; forse furono usate entrambe le lingue.
Non è chiaro fino a che punto la notizia delle concessioni di Boemondo si diffuse attraverso l’Europa poiché solo pochi cronisti accennano al trattato; Fulcherio di Chartres dice semplicemente che Boemondo ed Alessio si riconciliarono.[24]
[modifica] Analisi
Il Trattato era sbilanciato in favore di Alessio e prevedeva l’assorbimento finale di Antiochia e del suo territorio nell’Impero.[25] Alessio, vista l’impossibilità di scacciare Boemondo da Antiochia, tentò di assorbirlo nella struttura di governo bizantina e di farlo lavorare per il bene dell’Impero.[25]
Boemondo poteva tenersi Antiochia fino alla morte con il titolo di dux, a meno che l’Imperatore (Alessio o, in futuro, Giovanni) decidesse per qualsiasi ragione di rinnegare l’accordo. Alla morte di Boemondo il Principato sarebbe tornato sotto il controllo diretto bizantino. Boemondo quindi non avrebbe potuto iniziare una dinastia in Antiochia, mentre gli fu concesso il diritto di lasciare ai suoi eredi la contea di Edessa ed ogni altro territorio che fosse riuscito ad acquisire nell’entroterra siriano.[25]
I possedimenti di Boemondo includevano San Simeone e la costa, le città di Bagras ed Artah, ed i possedimenti Latini nel Jebel as-Summaq. Laodicea e la Cilicia invece tornarono sotto il governo diretto bizantino.
Come puntualizzato da Thomas Asbridge, la gran parte di quello che l’Imperatore concesse a Boemondo (inclusa la stessa Aleppo) era ancora in mano musulmana, e né Boemondo né Alessio controllavano Edessa, in quanto all’epoca Tancredi era reggente sia lì che ad Antiochia, ciò si contrappone alla valutazione di Lilie secondo il quale per Boemondo il Trattato fu un risultato positivo.[26] René Grousset definisce il Trattato un "diktat" mentre Jean Richard sottolinea che le regole del feudalesimo alle quali Boemondo dovette sottomettersi "non erano in nessun modo umilianti."[20]
Secondo John W. Birkenmeier, il Trattato segnò il momento in cui Alessio aveva sviluppato un nuovo esercito e nuove dottrine tattiche per il suo utilizzo, ma non fu un successo politico bizantino; "la libertà di Boemondo fu scambiata con una signoria dell’Italia meridionale che non avrebbe mai potuto essere effettiva e con un’occupazione di Antiochia che non avrebbe mai potuto essere realizzata."[27]
I termini del Trattato sono stati interpretati in vari modi. Secondo Paul Magdalino e Ralph-Johannes Lilie, "il Trattato così come riprodotto da Anna Comnena mostra una sorprendente familiarità con i costumi feudali occidentali; che sia stato scritto da un Greco o da un Latino al servizio dell’Impero esso mostra sensibilità e considerazione per il punto di vista occidentale sullo status quo nel mediterraneo orientale."[28] Stesse caratteristiche ebbero le iniziative diplomatiche intraprese da Alessio per ottenere il rispetto del Trattato da parte di Tancredi (come il trattato che stipulò con Pisa nel 1110–1111 ed i negoziati per l’unione della Chiesa con Pasquale II nel 1112).[29] In opposizione, Asbridge ha recentemente sostenuto che il Trattato deriva da precedenti Greci tanto quanto occidentali, e che Alessio desiderava considerare Antiochia come ricadente sotto l’ombrello del sistema della pronoia.[26]
[modifica] Conseguenze
Questo trattato segnò la fine di Boemondo d’Altavilla di Taranto e d'Antiochia, figlio di Roberto il Guiscardo, una delle più splendide e potenti personalità fra i principi della prima crociata; egli non tornò mai più in Terra Santa, andò in Sicilia dove morì nel 1111.
Le clausole accuratamente costruite del Trattato non furono mai applicate;[30] il nipote di Boemondo, Tancredi, rifiutò di onorare il Trattato.[10] Egli pensava che Antiochia fosse sua per diritto di conquista e non vedeva nessun motivo per consegnarla a qualcuno che non aveva partecipato alla Crociata ma che in effetti aveva attivamente operato contro di essa (come i Crociati credevano). Sembra che i Crociati ritenessero che Alessio aveva ingannato Boemondo per ottenere Antiochia; essi inoltre consideravano Alessio ingannevole ed inaffidabile ed il Trattato può aver rafforzato tale convinzione. Il Trattato si riferiva a Tancredi come a colui che deteneva illegalmente Antiochia, ed Alessio si aspettava che Boemondo lo scacciasse o che lo controllasse in qualche modo. Tancredi inoltre non permise ad un Patriarca greco di entrare in città; invece un Patriarca Greco fu nominato a Costantinopoli e nominalmente tenne il potere là.
La questione di Antiochia e delle adiacenti città della Cilicia turbarono l’Impero per molti anni. Il Trattato di Devol non fu mai applicato ma fornì le basi legali dei i negoziati bizantini con i Crociati per i successivi trent’anni e per le pretese imperiali su Antiochia durante i regni di Giovanni II e Manuele I.[31] Giovanni II tentò di imporre la sua autorità nel 1137, movendo verso Antiochia con il suo esercito ed assediando la città.[32] I cittadini di Antiochia tentarono di negoziare, ma Giovanni chiese la resa incondizionata della città.[33] Dopo aver ottenuto l’autorizzazione del re di Gerusalemme, Folco, il Principe di Antiochia Raimondo aprì le porte della città a Giovanni.[33] L’accordo per cui Raimondo fece atto di "omaggio feudale" a Giovanni, fu esplicitamente basato sul Trattato di Devol , ma andò oltre: Raimondo, che fu riconosciuto come vassallo imperiale per Antiochia, diede all’Imperatore il diritto di libero accesso ad Antiochia, e si impegnò a cedere la città in cambio dell’investitura per Aleppo, Shayzar, Homs ed Hama non appena queste ultime fossero state conquistate ai musulmani. Poi, Raimondo avrebbe governato le nuove conquiste ed Antiochia sarebbe tornata sotto il diretto controllo imperiale.[34]
La campagna alla fine fallì, in parte perchè Raimondo e Joscelin II, Conte di Edessa, che erano stati obbligati ad unirsi a Giovanni in quanto suoi vassalli, non fecero la loro parte. Quanto, al loro ritorno ad Antiochia, Giovanni insisté per prendere possesso della città, i due principi organizzarono una rivolta.[35] Giovanni si ritrovò assediato nella città e fu costretto ad andarsene nel 1138, richiamato a Costantinopoli.[36] Egli accettò diplomaticamente le assicurazioni di Raimondo e Joscelin di non aver avuto nulla a che fare con la ribellione.[37] Giovanni ritentò l’operazione nel 1142, ma egli inaspettatamente morì, e l’esercito bizantino si ritirò.[36]
Fu sono nel 1158, durante il regno di Manuele I, che Antiochia divenne realmente un vassallo dell’impero, quando Manuele costrinse Rinaldo di Chatillona giurargli fedeltà come punizione per l’attacco di Rinaldo alla bizantina Cipro.[38] Il Patriarca Greco Ortodosso fu restaurato, e restò in carica contemporaneamente al Pagtriarca Latino.[39] Antiochia si indebolì a causa di reggenti privi di poteri dopo la cattura di Rinaldo da parte dei musulmani nel 1160, rimase uno stato vassallo bizantino fino al 1182 quando le divisioni interne che seguirono la morte di Manuele nel 1180 impedirono all’Impero di imporre i suoi diritti.
Sulla frontiera balcanica il Trattato di Devol segnò la fine della minaccia normanna al litorale Adriatico meridionale durante il regno di Alessio ed anche in seguito; l’efficacia delle difese di frontiera scoraggiarono ulteriori invasioni attraverso Durazzo per la maggior parte del XII secolo.[40]
[modifica] Note
- ^ Spinka, Latin Church of the Early Crusades, 113
- ^ Anna Komnene, The Alexiad, X, 261
- ^ Runciman, The First Crusade, 182-3
- ^ Runciman, The First Crusade, 183
- ^ Anna Komnene, The Alexiad, XI, 291
- ^ Raimondo di Aguilers (III, 67) riporta che Raimondo di St.-Gilles si oppose alle pretese di Boemondo su Antiochia asserendo "noi giurammo all’Imperatore sulla Croce del Signore e la Corona di Spine, e su molti altri oggetti sacri, che non avremmo tenuto contro la sua volontà nessuna città o fortezza di quelle che appartenevano al suo Impero." Nondimeno, dopo la conquista di Antiochia, il giuramento di alleanza fu alla fine ripudiato (Spinka, Latin Church of the Early Crusades, 113).
- ^ a b c M. Angold, The Byzantine Empire, 1025-1118, 251
- ^ Giovanni IV di Antiochia inizialmente restò ad Antiochia dopo la conquista da parte dei Crociati, presiedendo sia sul clero Greco-ortodosso che su quello Latino. Più tardi litigò con Boemondo, fuggì a Costantinopoli ed abdicò (T.M. Kolbaba, Byzantine Perceptions of Latin Religious "Errors", 126).
- ^ a b Runciman, The First Crusade, 232
- ^ a b J. Norwich, Byzantium:The Decline and Fall, 46
- ^ Gli studiosi moderni ritengono che l’attacco all’Epiro progettato da Boemondo fu tenuto segreto al Papa, che pensava che egli intendesse lanciare una campagna nel Levante (J.G. Rowe, Paschal II, 181; J. Holifield, Tancred and Bohemond, 17).
- ^ Anna Komnene, The Alexiad, XII, 317
* M. Angold, The Byzantine Empire, 1025-1118, 251
* Norwich, Byzantium:The Decline and Fall, 47 - ^ Norwich, Byzantium: The Decline and Fall, 48
- ^ Anna Komnene, The Alexiad, XIII, 348-349
* Norwich, Byzantium:The Decline and Fall, 48 - ^ L’unica clausola dei precedenti accordi tra Alessio e Boemondo che non fu dichiarata nulla fu l’atto di "omaggio feudale" da parte di Boemond ad Alessio (Anna Komnene, The Alexiad, XIII, 349).
- ^ Anna Komnene, The Alexiad, XIII, 348-358
- ^ Anna Komnene, The Alexiad, XIII, 349-350
* Norwich, Byzantium:The Decline and Fall, 48 - ^ J. Richard, The Crusades, c.1071 - c.1291, 131
- ^ Anna Komnene, The Alexiad, XIII, 354-355
* Norwich, Byzantium:The Decline and Fall, 48 - ^ a b J. Richard, The Crusades, c.1071 - c.1291, 130
- ^ Anna Komnene, The Alexiad, XIII, 357
- ^ Anna Komnene, The Alexiad, XIII, 357-358
- ^ A. Kazhdan, Latins and Franks in Byzantium, 93-94
- ^ Fulcherio di Chartres, Expedition to Jerusalem, XXXV
- ^ a b c P. Magdalino, The Empire of Manuel I Komnenos, 31-32
- ^ a b A. Jotischky, Crusading and the Crusader States, 69
- ^ J.W. Birkenmeier, The Development of the Komnenian Army, 46
- ^ P. Magdalino, The Empire of Manuel I Komnenos, 31-32
A. Jotischky, Crusading and the Crusader States, 69 - ^ P. Magdalino, The Empire of Manuel I Komnenos, 32
- ^ S. Runciman, The First Crusade, 232
* P. Stephenson, Byzantium's Balkan Frontier, 183 - ^ J.W. Birkenmeier, The Development of the Komnenian Army, 46
* R.-J. Lilie, The Crusades and Byzantium, 34 - ^ J. Norwich, Byzantium:The Decline and Fall, 77
- ^ a b J. Norwich, Byzantium:The Decline and Fall, 78
- ^ A. Jotischky, Crusading and the Crusader States, 77
* P. Magdalino, The Empire of Manuel I Komnenos, 41 - ^ Gli abitanti di Antiochia erano contrari alla prospettiva di passare sotto il governo bizantino, che sembrava loro un’inevitabile conseguenza (J. Richard, The Crusades, c.1071 - c.1291, 151).
- ^ a b J. Richard, The Crusades, c.1071 - c.1291, 151
- ^ J.W. Birkenmeier, The Development of the Komnenian Army, 48
* P. Magdalino, The Empire of Manuel I Komnenos, 41
* A. Stone, John II Comnenus (A.D. 1118-1143) - ^ B. Hamilton, William of Tyre and the Byzantine Empire, 226
* J. Norwich, Byzantium:The Decline and Fall, 121
* Guglielmo di Tiro, Historia, XVIII, 23 - ^ J. Norwich, Byzantium:The Decline and Fall, 122
- ^ P. Stephenson, Byzantium's Balkan Frontier, 183
[modifica] Fonti
[modifica] Fonti primarie
- (EN) Anna Komnene. Books X-XIII in The Alexiad translated by Elizabeth A. S. Dawes . Medieval Sourcebook.
- (EN) Fulcher of Chartres. Chapter XXXV in A History of the Expedition to Jerusalem 1095-1127 (translated in English by Frances Rita Ryon, edited with an introduction by Harold S. Fink [The University of Tennessee Press, 1969)] .
- (EN) Guglielmo di Tiro, Historia Rerum In Partibus Transmarinis Gestarum (A History of Deeds Done Beyond the Sea), translated by E. A. Babock and A. C. Krey (Columbia University Press, 1943). Vedi il testo originale in Latin library.
[modifica] Fonti secondarie
- Michael Angold. The Byzantine Empire, 1025-1118 in Rosamond McKitterick (a cura di) The New Cambridge Medieval History. Cambridge University Press, 2005.
- John W. Birkenmeier. Historical Overview of the Eleventh- and Twelfth-Century Byzantium in The Development of the Komnenian Army: 1081–1180. Brill Academic Publishers, 2002.
- Bernard Hamilton. William of Tyre and the Byzantine Empire in Porphyrogenita: : Essays on the History and Literature of Byzantium and the Latin East in Honor of Julian Chrysostomides edited by Charalambos Dendrinos, Jonathan Harris, Eirene Harvalia-Crook and Judith Herrin. Ashgate Publishing, Ltd., 2003. ISBN 0-754-636968
- Jessica Holifield. Tancred and Bohemond: Brothers-in-arms or Arch Rivals? in University of Leeds (School of History). URL consultato il 2007-09-12.
- Andrew Jotischky. Crusade and Settlement, 1095-c. 1118 in Crusading And The Crusader States. Pearson Education, 2004.
- Alexander Kazhdan. Latins and Franks in Byzantium: Perception and Reality from the Eleventh to the Twelfth Century in Angeliki E. Laiou - Roy Parviz Mottahedeh (a cura di) The Crusades from the Perspective of Byzantium and the Muslim World. Washington, D.C., Dumbarton Oaks Research Library and Collection, 2001.
- Tia M. Kolbaba. Byzantine Perceptions of Latin Religious Errors (Themes and Changes from 850 to 1350) in Angeliki E. Laiou - Roy Parviz Mottahedeh (a cura di) The Crusades from the Perspective of Byzantium and the Muslim World. Washington, D.C., Dumbarton Oaks Research Library and Collection, 2001.
- Ralph-Johannes Lilie. The Crusades and Byzantium in Khalil I. Semaan (a cura di) The Crusades: Other Experiences, Alternate Perspectives. Global Academic Publishing, 2003.
- Paul Magdalino. The Empire of Manuel I Komnenos, 1143–1180. Cambridge University Press, 2002.
- John Norwich. Byzantium:The Decline and Fall. Penguin, 1995.
- Jean Richard. From the First to the Second Crusade in The Crusades, C. 1071-c. 1291 (translated by Jean Birrell). Cambridge University Press, 1999.
- Rowe, John G. (1966-67). Paschal II, Bohemond of Antioch and the Byzantine Empire. Bulletin of the John Rylands Library 44: 165-202. URL consultato il 2007-09-12.
- Steven Runciman. The First Crusade. Cambridge University, 1980.
- Spinka, Matthew (June 1939). Latin Church of the Early Crusades. Church History 8 (2): 113-131. URL consultato il 2007-09-20.
- Peter Stephenson. The Rise of the West, I: Normans and Crusaders (1081-1118) in Byzantium's Balkan Frontier: A Political Study of the Northern Balkans, 900-1204. Cambridge University Press, 2000.
- Andrew Stone. John II Comnenus (A.D. 1118-1143) in Online Encyclopedia of Roman Emperors. URL consultato il 2007-09-11.
[modifica] Ulteriori letture
- (EN) Thomas S. Asbridge, The Creation of the Principality of Antioch, 1098–1130. The Boydell Press, 2000.
- (EN) Jonathan Harris, Byzantium and the Crusades. Hambledon and London, 2003.
- (EN) Ralph-Johannes Lilie, Byzantium and the Crusader States, 1096–1204. Trans. J.C. Morris and J.C. Ridings. Clarendon Press, 1993.
- (EN) Kenneth M. Setton, ed., A History of the Crusades, Vols. II and V. Madison, 1969–1989.
[modifica] Battaglia di Marj es-Suffar
Battaglia di Marj es-Suffar | |||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Parte della Guerra tra Crociati e Selgiuchidi | |||||||
|
|||||||
Schieramenti | |||||||
Crociati | Buridi di Damasco | ||||||
Comandanti | |||||||
Baldovino II di Gerusalemme | Toghtekin | ||||||
Effettivi | |||||||
Sconosciuti | Sconosciuti | ||||||
Perdite | |||||||
Pesanti | Sconosciute |
Guerra tra Crociati e Selgiuchidi 1097–1127 |
---|
Nicea – Dorylaeum – Antiochia – Ma'arrat – Melitene – Crociata del 1101 – Harran – Artah - III battaglia di Ramla – Tripoli – Shaizar – Al-Sannabra – Sarmin – Ager Sanguinis – Hab – Azaz – Marj es-Suffar |
La Battaglia di Marj es-Suffar fu combattuta il 25 gennaio, 1126 tra un esercito crociato condotto da Baldovino II di Gerusalemme e l'Emirato selgiuchide di Damasco, che era governato da Toghtekin. I musulmani spinsero fuori dal campo di battaglia i Crociati che non riuscirono a conseguire il loro obiettivo, la conquista di Damasco.
[modifica] La battaglia
Dopo la vittoria nella battaglia di Azaz, a nord-est di Antiochia, Baldovino II condusse un esercito cristiano all'attacco di Damasco, era l'inizio del 1126. L'esercito di Baldovino era costituito dai soliti cavalieri e soldati a cavallo supportati da lancieri ed arcieri a piedi. A Marj es-Suffar essi incontrarono l'esercito di Damasco, che diede battaglia fuori dalla città. All'epoca Damascoera governata da Toghtekin, il fondatore della dinastia buride.
Della battaglia si conoscono solo pochi dettagli. Le fonti sono contrastanti sui dettagli relativi alla tattica, ma concordano sul fattoche i Crociati non riuscirono a prendere Damasco. I cristiani persero molti uomini in un combattimento molto ravvicinato cotro gli arcieri turchi. "Ma, alla fine della giornata, con un forte attacco conseguirono una sofferta vittoria. Il loro successo tattico li lasciò non in grado di conquistare Damasco, che era l'obiettivo della campagna."[1] A causa delle forti perdite i Crociati furono costretti a ritirarsi.[2] Questa fu una vera a e propria vittoria pirrica, così costosa da non poter esere sfruttata dai vincitori.
Nel 1129, i cristiani attaccarono di nuovo Damasco, ma il loro assedio alla città non ebbe successo.
[modifica] Note
[modifica] Bibliografia
- Smail, R. C. Crusading Warfare 1097-1193. New York: Barnes & Noble Books, (1956) 1995. ISBN 1-56619-769-4
- France, John. Western Warfare in the Age of the Crusades, 1000-1300, Cornell University Press; New Ed edition, maggio 1999, 912 pagine. ISBN 978-0801486074
[modifica] Terremoto in Cilicia del 1268
Il terremoto in Cilicia del 1268 fu uno dei più tremendi, morirono oltre 60.000 abitanti[1] di quello che, all'epoca era il Regno armeno di Cilicia, nell'attuale Turchia.
[modifica] Note
[modifica] Bibliografia
- Cornelius Walford. The Famines of the World, Past and Present . (in inglese) Manchester, Ayer Publishing [1879], 1970. ISBN:0833736698 URL consultato il 2008-06-03.
[modifica] Collegamenti esterni
- (EN) Most deadly earthquakes in history. 04-06-2008
[modifica] Selgiuchidi
I Selgiuchidi (oppure Turchi Selgiuchidi [1], (TR) Selçuklular ; Persiano: سلجوقيان Ṣaljūqīyān; (AR) سلجوق Saljūq oppure السلاجقة al-Salājiqa ); è stata una dinastia turca [2] e persiana, [3] di religine Musulmana Sunnita che governò parte dell'Asia centrale e del Medio Oriente dal XI al XIV secolo. Essi crearono l'Impero Selgiuchide che si estendeva dall'Anatolia al Punjab e fu l'obiettivo della Prima crociata. The dynasty had its origins in the Turcoman tribal confederations of Central Asia and marked the beginning of Turco power in the Medio Oriente. After arriving in Persia, the Seljuqs adopted the Persian culture [4] [5] [6] and language [7] [8] , and played an important role in the development of the Turko-Persian tradition which features "Persian culture patronized by Turkic rulers." [9] Today, they are remembered as great patrons of Persian culture, art, letteratura, and persiana [7] [8] [10] and are regarded by some as the cultural ancestors of the Western Turks - the present-day inhabitants of Azerbaigian , Turchia, and Turkmenistan.
[modifica] Note
- ^ "Turchi Selgiuchidi" in varie pubblicazioni
- ^
- Jackson, P. (2002). Review: The History of the Seljuq Turks: The History of the Seljuq Turks.Journal of Islamic Studies 2002 13(1):75-76; doi:10.1093/jis/13.1.75.Oxford Centre for Islamic Studies.
- Bosworth, C. E. (2001). Notes on Some Turkish Names in Abu 'l-Fadl Bayhaqi's Tarikh-i Mas'udi. Oriens, Vol. 36, 2001 (2001), pp. 299-313.
- Dani, A. H., Masson, V. M. (Eds), Asimova, M. S. (Eds), Litvinsky, B. A. (Eds), Boaworth, C. E. (Eds). (1999). History of Civilizations of Central Asia. Motilal Banarsidass Publishers (Pvt. Ltd).
- Hancock, I. (2006). ON ROMANI ORIGINS AND IDENTITY. The Romani Archives and Documentation Center. The University of Texas at Austin.
- Asimov, M. S., Bosworth, C. E. (eds.). (1998). History of Civilizations of Central Asia, Vol. IV: The Age of Achievement: AD 750 to the End of the Fifteenth Century, Part One: The Historical, Social and Economic Setting. Multiple History Series. Paris: UNESCO Publishing.
- ^
- Josef W. Meri, "Medieval Islamic Civilization: An Encyclopedia", Routledge, 2005, p. 399
- Michael Mandelbaum, "Central Asia and the World", Council on Foreign Relations (May 1994), p. 79
- Jonathan Dewald, "Europe 1450 to 1789: Encyclopedia of the Early Modern World", Charles Scribner's Sons, 2004, p. 24: "Gli eserciti Turcomanni provenienti da oriente spinsero i bizantini fuori dalla maggior parte dell’Asia Minore ed instaurarono il sultanato persianizzato dei Selgiuchidi."
- ^ Ram Rahul. "March of Central Asia", Indus Publishing, pg 124:"The Selgiuchidi conquest of Persia marked the triumph of the Sunni over Shii but without a decline in Persian culture. The Selgiuchidis eventually adopted the Persian culture.
- ^ C.E. Bosworth, "Turkish expansion towards the west", in UNESCO HISTORY OF HUMANITY, Volume IV: From the Seventh to the Sixteenth Century, UNESCO Publishing / Routledge, p. 391: "While the Arabic language retained its primacy in such spheres as law, theology and science, the culture of the Selgiuchidi court and secular literature within the sultanate became largely Persianized; this is seen in the early adoption of Persian epic names by the Seljuq Rulers (Qubad, Kay Khusraw and so on) and in the use of Persian as a literary language (Turkish must have been essentially a vehicle for every days speech at this time). The process of Persianization accelerated in the thirteenth century with the presence in Konya of two of the most distinguished refugees fleeing before the Mongols, Baha al-din Walad and his son Mawlana Jalal al-din Rumi, whose Mathnawi, composed in Konya, constitutes one of the crowning glories of classical Persian literature."
- ^ Mehmed Fuad Koprulu, "Early Mystics in Turkish Literature", Translated by Gary Leiser and Robert Dankoff, Routledge, 2006, pg 149: "If we wish to sketch, in broad outline, the civilization created by the Selgiuchidis of Anatolia, we must recognize that the local, i.e. non-Muslim, element was fairly insignificant compared to the Turkish and Arab-Persian elements, and that the Persian element was paramount/The Selgiuchidi rulers, to be sure, who were in contact with not only Muslim Persian civilization, but also with the Arab civilizations in al-jazlra and Syria - indeed, with all Muslim peoples as far as India — also had connections with {various} Byzantine courts. Some of these rulers, like the great 'Ala' al-Dln Kai-Qubad I himself, who married Byzantine princesses and thus strengthened relations with their neighbors to the west, lived for many years in Byzantium and became very familiar with the customs and ceremonial at the Byzantine court. Still, this close contact with the ancient Greco-Roman and Christian traditions only resulted in their adoption of a policy of tolerance toward art, aesthetic life, painting, music, independent thought - in short, toward those things that were frowned upon by the narrow and piously ascetic views [of their subjects]. The contact of the common people with the Greeks and Armenians had basically the same result. [Before coming to Anatolia], the Turks had been in contact with many nations and had long shown their ability to synthesize the artistic elements that thev had adopted from these nations. When they settled in Anatolia, they encountered peoples with whom they had not yet been in contact and immediately established relations with them as well. Ala al-Din Kai-Qubad I established ties with the Genoese and, especially, the Venetians at the ports of Sinop and Antalya, which belonged to him, and granted them commercial and legal concessions. Meanwhile, the Mongol invasion, which caused a great number of scholars and artisans to flee from Turkistan, Iran, and Khwarazm and settle within the Empire of the Seljuqs of Anatolia, resulted in a reinforcing of Persian influence on the Anatolian Turks. Indeed, despite all claims to the contrary, there is no question that Persian influence was paramount among the Seljuqs of Anatolia. This is clearly revealed by the fact that the sultans who ascended the throne after Ghiyath al-Din Kai-Khusraw I assumed titles taken from ancient Persian mythology, like Kai-Khusraw, Kai-Ka us, and Kai-Qubad; and that. Ala' al-Din Kai-Qubad I had some passages from the Shahname inscribed on the walls of Konya and Sivas. When we take into consideration domestic life in the Konya courts and the sincerity of the favor and attachment of the rulers to Persian poets and Persian literature, then this fact [i.e. the importance of Persian influence] is undeniable. With- regard to the private lives of the rulers, their amusements, and palace ceremonial, the most definite influence was also that of Iran, mixed with the early Turkish traditions, and not that of Byzantium."
- ^ a b O.Özgündenli, "Persian Manuscripts in Ottoman and Modern Turkish Libraries", Encyclopaedia Iranica, Online Edition, (LINK)
- ^ a b Encyclopaedia Britannica, "Seljuq", Online Edition, (LINK): "... Because the Turkish Seljuqs had no Islamic tradition or strong literary heritage of their own, they adopted the cultural language of their Persian instructors in Islam. Literary Persian thus spread to the whole of Iran, and the Arabic language disappeared in that country except in works of religious scholarship ..."
- ^ Daniel Pipes: "The Event of Our Era: Former Soviet Muslim Republics Change the Middle East" in Michael Mandelbaum,"Central Asia and the World: Kazakhstan, Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan, Turkemenistan and the World", Council on Foreign Relations, pg 79. Exact statement: "In Short, the Turko-Persian tradition featured Persian culture patronized by Turcophone rulers."
- ^ M. Ravandi, "The Seljuq court at Konya and the Persianisation of Anatolian Cities", in Mesogeios (Mediterranean Studies), vol. 25-6 (2005), pp. 157-69