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Esodo istriano - Wikipedia

Esodo istriano

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Storia d'Italia
Posizione della penisola italiana
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Categoria: Storia d'Italia

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Con la definizione esodo istriano o esodo giuliano-dalmata la storiografia intende quel notevole fenomeno di diaspora che si verificò al termine della seconda guerra mondiale da Istria, Quarnaro e Dalmazia da parte della maggioranza dei cittadini di lingua italiana e di coloro che diffidavano del nuovo governo iugoslavo, in seguito all'occupazione di tali regioni da parte dell'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia del Maresciallo Josip Broz Tito e alla conseguente assegnazione di questi territori, in seguito a trattati di pace, alla nuova Federazione Jugoslava.

I motivi politici che portarono all'esodo centinaia di migliaia di italiani erano soprattutto legati all'interesse jugoslavo per la zona, che erano stati chiaramente presenti sin dalla fine del XIX secolo. Per l'attuazione del programma di annessione di queste zone, espresso dal titoismo nel 1943, la presenza italiana risultava più che scomoda. Per ottenere questo scopo il regime comunista di Tito procedette a eliminare velocemente la parte della popolazione più scomoda e a instaurare un clima di terrore mediante rappresaglie, processi sommari, infoibamenti e altri atti di violenza contro l'incolumità della persona, come succedeva anche nelle altre zone occupate dalle truppe comandate da Tito. Chi rimaneva doveva fare i conti con l'angoscia di restare in territori non più italiani, sotto un regime repressivo, o addirittura di rimanere apolide. Inoltre lo stesso Stato italiano non garantiva protezione contro l'intolleranza o la discriminazione etnica; per questo un numero di persone, che secondo le stime più affidabili poteva aggirarsi tra minimo 200.000 e massimo 350.000 persone, [1] fu costretto ad abbandonare i luoghi di residenza e le relative proprietà. Anche La Commissione storico-culturale italo-slovena, formata nel 1993 dai rispettivi governi per chiarire alcune divergenti vedute sui contenziosi storici tra i due popoli, ha fornito, nel suo rapporto finale del 2000, stime simili per la Venezia Giulia istriana e dalmata. Gli esuli di nazionalità italiana, provenienti invece solo dalla zona giuliana oggi appartenente alla Repubblica di Slovenia sono stati, sempre secondo tale Commissione, 27.000 circa, cui andrebbero aggiunte alcune migliaia di sloveni. Si consideri che l'esodo si sviluppò, in massima parte, in un lasso di tempo non breve: compreso tra il 1943 e 1956. I massacri delle foibe e il conseguente esodo sono stati stigmatizzati dal Presidente della Repubblica Italiana Napolitano che - citando autorevoli storici - ne ha così tratteggiato le caratteristiche: <<nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell'autunno del 1943, si intrecciarono "giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento" della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica">>[2].


Moltissimi profughi si stabilirono in Italia, soprattutto nel Nord-Est. Altri emigrarono in Europa e nel resto del mondo.
Tra gli esuli, insieme agli Italiani, vi furono anche Sloveni e Croati, cittadini già italiani, che non volevano, o potevano, vivere sottomessi alla dittatura d'ideologia comunista che si stava sviluppando in Jugoslavia: il loro numero fu comunque limitato e le stime solitamente non superano le decine di migliaia d'unità; secondo lo storico Raoul Pupo furono circa 20.000.
Dal 2005 ogni 10 febbraio è stato indicato come Giorno del Ricordo dedicato alla commemorazione dei morti e dei profughi italiani poiché in tale giorno, nel 1947, il trattato di Parigi assegnò l'Istria, Fiume e Zara alla Jugoslavia quindi s'intensificò l'esodo di massa già iniziato negli anni precedenti.

La vicenda storica

Per approfondire, vedi le voci Istria#Storia e Dalmazia#Storia.

Origine delle parlate italiane e slave in Venezia Giulia e Dalmazia

Mappa dell'Adriatico nel 1560
Mappa dell'Adriatico nel 1560

Per comprendere i fatti che portarono all'esodo istriano, è necessario compredere come si originarono le etnie italiane e slave nella Venezia Giulia (compresa, Istria, Trieste, Gorizia e Fiume) e nella Dalmazia. Per questo è necessario risalire ai tempi delle invasioni barbariche. Fu in tale periodo che si verificarono le prime migrazioni di popolazioni slave nei Balcani.

Dalmazia

In Dalmazia le popolazioni latine furono sospinte nelle città della costa (Spalato, Ragusa, Zara, Traù, ecc.), che pur rimanendo formalmente bizantine, si organizzarono in liberi comuni. La parlata originale di queste città era il dalmatico.
A partire dal X sec. la Repubblica di Venezia estese il suo dominio su tutta la costa adriatica; gradualmente il veneziano si sostituì al dalmatico in tutta la Dalmazia costiera. Nella Repubblica di Ragusa si sviluppò un caratteristico dialetto, che pur influenzato dal veneto, aveva caratteristiche proprie; nella stessa città fu gradualmente introdotto il dialetto serbocroato dell'entroterra. L'uso dell'italiano si mantenne tuttavia vivo fino al XX sec. ed è tutt'ora parlato da una ristretta minoranza.
Le parlate slave, introdotte nel VII secolo, si mantennero nell'entroterra dove furono semmai rinforzate dall'immigrazione delle popolazioni serbocroate che fuggivano dai turchi.

Venezia Giulia (Trieste, Istria e Fiume)

Nell'Istria interna, la presenza slava comincio a farsi sentire a partire dal IX secolo, soprattutto nelle parti settentrionali della penisola. La regione tuttavia conservò a lungo un carattere prevalentemente italiano-romanzo, con parlate friulane, istriote e venete (pre-veneziano). Nella parte meridionale dell'Istria veneta la presenza slava rimase comunque marginale sino al XV secolo, quando guerre e pestilenze uccisero gran parte della popolazione. Per ripopolare la regione la Repubblica di Venezia vi fece insediare immigranti di origine slava (di varia provenienza), greca e albanese, che col tempo si amalgamarono tra di loro adottando un comune dialetto serbo-croato. Nelle città istriane della costa sopravvisse il dialetto veneto che andò via via venezianizzadosi ed estendendosi, anche a città non soggette al dominio di Venezia come Trieste e, successivamente, Fiume e Pisino. Nell'Istria meridionale, sopravvisse il dialetto istrioto.

La distribuzione delle lingue vernacolari alla caduta della Repubblica di Venezia

Alla caduta della Repubblica di Venezia si era pertanto originata, da Trieste fino a Cattaro, il dualismo linguistico che vedeva da un lato città (e costa) italiane e dall'altro campagne (e entroterra) slave.

Sarebbe un errore pensare che a tale divisione corrispondessero diversi sentimenti nazionali, in quanto tal concetto era ancora al di là da venire. Risulta pertanto sterile attribuire una precisa nazionalità (italiana, slovena, croata o serba) alle persone che erano vissute fino a questo periodo. Nei fatti, anche la divisione etnica era molto sfumata.

L'italiano come unica lingua di cultura

È importante sottolineare che la divisione linguistica riguardava solo la lingua parlata (o "vernacolo"), poiché fin dal XV sec. la lingua ufficiale e di cultura era dovunque l'italiano. L'esistenza di una lingua croata all'epoca, non era ancora stata teorizzata.

E' vero che molti letterati dalmati si cimentarono in poesie "dialettali (v. letteratura vernacolare) nei locali dialetti del serbocroato (detto allora "illirico"), come ad es. il celebre Giovanni Gondola (in Croato: Ivan Gundulić) di Ragusa. Gli stessi tuttavia non espressero mai il senso di appartenenza ad una "nazione" croata o serba. Molti di loro appartenevano oltretutto alle classi dominanti "italiane", che era in molti casi bilingui (italiano e slavo).
D'altra parte la scelta generalizzata dei dalmati di usare l'italiano per tutte le loro opere (tecniche, scientifiche, giuridiche, ecc., non deve essere pure vista come una scelta di nazionalità, in quanto l'illirico, utilizzato alla stregua di un moderno dialetto, non poteva certo essere usato in contesti ufficiali.

Periodo Asburgico: la genesi del conflitto nazionale fra italiani e slavi

Nel 1797 con la dissoluzione della Repubblica Veneta in seguito al Trattato di Campoformio la Repubblica passò sotto il governo asburgico quindi la Dalmazia e l'Istria vennero incluse nell'Austria; nel 1807 fu la fine anche della fiorente Repubblica di Ragusa. Il XIX secolo fu caratterizzato dall'avvento del concetto di nazionalità e Stato nazionale.
La coscienza nazionale si risvegliò dapprima negli italiani nell'ambito del risorgimento. I serbi che avevano costituito un loro stato nazionale, miravano ad unificare tutte le popolazioni di lingua serbocroata in un unico stato nazione. A partire dagli anni '40 si nacque una coscienza nazionale croata, contrapposta a quella serba, e slovena (vedi anche panslavismo). Questi processi generarono le tendenze nazionaliste slovene e croate e l'aspirazione a creare i propri stati. Si generò così il conflitto con l'irredentismo italiano che puntò, dopo il 1861, ad un'unione con il Regno d'Italia.
Questo contrasto causò un aumento della tensione tra le varie fazioni, tensione che sfociò talvolta anche in episodi di violenza. La borghesia, soprattutto mercantile, essendo cittadina era fin a quel momento italiana. I ceti rurali delle campagne erano formati soprattutto da contadini slavi, che spesso lavoravano la terra appartenente alla stessa borghesia cittadina. In tal modo alla divisione etnica venne a coincidere anche una divisione sociale, con gli italiani delle città mediamente più ricchi e istruiti rispetto al contando slavo. L'apertura delle scuole slave permise agli slavofoni di migliorare il loro livello culturale ed entrare nella borghesia, classe sociale in cui gl'ideali nazionalistici avevano maggior presa.

Mappa dell'Adriatico nel 1911 poco prima della I guerra mondiale
Mappa dell'Adriatico nel 1911 poco prima della I guerra mondiale

L'oppressione della minoranza italiana nell'Austria asburgica

Dopo la prima guerra di indipendenza italiana, crebbe la diffidenza austriaca verso la componente italiana, che costituiva un pericolo per l'integrità dell'Impero Asburgico. Fu per questo motivo che il governo austriaco favorì, soprattutto dopo l'incorporazione del Lombardo-Veneto all'Italia (1859-1866), il formarsi di una coscienza nazionale slovena e croata, allo scopo di contrastare il nazionalismo italiano. Si voleva allo stesso tempo contrastare l'espansionismo serbo che considerava tutti gli slavi del sud parte di un'unica nazione serba. Fu per questo che, in contemporanea all'apertura di scuole slave, si verificò una sistematica chiusura delle scuole italiane. Inoltre in Dalmazia fu in tutti i modi favorito l'affermarsi dei partiti croati, per cui in questa regione nel giro di pochi decenni la consistenza numerica degli italiani crollò. Antonio Bajamonti, che fu il sindaco di Spalato che rappresentó e difese meglio la causa dei Dalmati italiani, ne uscí distrutto economicamente ed amareggiato. Rimane famosa la sua frase, detta nel 1888: A noi Italiani di Dalmazia non resta che soffrire.[4]

Mappa delle maggioranze etniche dell'impero Austro-Ungarico nel 1911 (in base alla lingua parlata). Gli italiani sono indicati come maggioritari in Trentino, nelle zone costiere e in parte di quelle interne dell'Istria. Zara non appare, erroneamente, a maggioranza italiana
Mappa delle maggioranze etniche dell'impero Austro-Ungarico nel 1911 (in base alla lingua parlata). Gli italiani sono indicati come maggioritari in Trentino, nelle zone costiere e in parte di quelle interne dell'Istria. Zara non appare, erroneamente, a maggioranza italiana

Prima guerra mondiale e primo dopoguerra

Aree di lingua italiana (istrioto e veneto) in arancione e di lingua istrorumena/morlacca in blu, in Istria e Quarnero nel 1910
Aree di lingua italiana (istrioto e veneto) in arancione e di lingua istrorumena/morlacca in blu, in Istria e Quarnero nel 1910

L'irredentismo italiano era stata una delle cause che aveva spinto l'Italia a partecipare alla prima guerra mondiale. L'unificazione della popolazione italiana del Trentino, della Venezia Giulia (con l'Istria) e della Dalmazia fu la spinta verso l'alleanza con Francia ed Inghilterra. Come conseguenza del trattato di Londra l'Italia ricevette appunto il Trentino e l'Alto Adige, la Venezia Giulia e l'Istria, mentre la Dalmazia, pur promessa dagli Stati della Triplice Alleanza per attirare l'Italia alla loro coalizione, venne inserita nel neocostituito Regno di Jugoslavia, così come voleva la Francia. Fece eccezione la città di Zara che, con quattro isole adriatiche, venne annessa all'Italia. Tale decisione provocò un primo esodo di italiani dalla Dalmazia (dove la popolazione di lingua italiana rappresentava, secondo il censimento del 1910, appena il 3% della popolazione complessiva). Questo mancato riconoscimento della regione balcanica, appartenuta per un lungo periodo storico a uno degli antichi Stati italiani, favorì la causa della vittoria mutilata mantenendo agguerrito quel movimento irredentista che, in parte, si sarebbe poi unito al fascismo primitivo. Comunque, specialmente nella città di Spalato, rimase una modesta comunità italiana che continuò a godere di una certa "autonomia culturale" per tutto il periodo interbellico.
L'annessione della Venezia Giulia all'Italia provocò, al contrario, un esodo di tedeschi e slavi calcolabile su alcune decine di migliaia di unità.

L'italianizzazione fascista

Ripartizione degli italofoni nei comuni catastali istriani secondo il censimento austriaco del 1910
Ripartizione degli italofoni nei comuni catastali istriani secondo il censimento austriaco del 1910

Dopo l'avvento del regime fascista (1922) fu varata un politica di italianizzazione, che andò a colpire tutte le minoranze linguistiche che vivevano in Italia. Tale ingiustificabile politica non fu prerogativa del fascismo italiano, come talvolta si crede, simili politiche di "omoegeneizzazione etnica" furono praticate anche da altri stati europei, quali la Francia (specie in Alsazia), la Polonia, la Grecia e la stessa Jugoslavia. Infatti quasi 30.000 Dalmati Italiani, originari delle zone della Dalmazia andate alla Iugoslavia, si rifugiarono a Zara, Fiume ed Istria negli anni venti ed alimentarono cosí la reazione del Fascismo contro gli Slavi nella Venezia Giulia.

Si stima che fra il 1919 e il 1943 in conseguenza sia della politica del governo italiano, sia della depressione economica che colpì la regione, decine di migliaia di sloveni e croati furono costretti ad abbandonare la Venezia Giulia (secondo la Commissione storico-culturale italo-slovena). A seguito della chiusura di scuole italiane a Spalato e Lissa da parte del governo iugoslavo, nel 1923 fu vietato l'insegnamento delle lingue slovena e croata e successivamente fu progressivamente smantellato il sistema scolastico slavo nella VeneziaGiulia. Fu introdotta la forzata italianizzazione dei cognomi e dei toponimi, il divieto dell'uso pubblico delle lingue slave, e - a partire dalla fine degli anni venti - di una brutale persecuzione politica. Tale politica d'italianizzazione forzata, voluta dal fascismo e fortemente sostenuta da Mussolini stesso, causò un forte risentimento contro gli italiani da parte delle popolazioni di lingue croata e slovena. Già dalla fine degli anni venti, la resistenza passiva delle popolazioni slave alla politica del regime sfociò (specialmente tra gli sloveni del Goriziano e dell'entroterra triestino) in un vero e proprio movimento sovversivo e irredentista di tendenza antifascista e principalmente antiitaliana (si pensi all'azione violenta dell'organizzazione TIGR), sostenuto in alcuni casi dal basso clero locale e finanziato in parte dai servizi segreti del vicino Regno di Jugoslavia. Ciò provocò una ancor più forte repressione da parte del regime, esacerbando il sentimento antiitaliano della popolazione slava (in particolar modo tra gli sloveni).

Seconda guerra mondiale e resistenza jugoslava

Per approfondire, vedi le voci Operazione 25 e Resistenza jugoslava.

In seguito all'aggressione militare dei Balcani, iniziata il 6 aprile1941 da Italia, Germania, Ungheria e Bulgaria, appoggiate da forze interne alla Jugoslavia, come gli Ustascia croati, vennero ridisegnati i confini della zona. L'entità statale jugoslava, fortemente divisa all'interno da conflitti etnici e sociali, si sfaldò. La Croazia, che ottenne la sua autonomia con il nome di Stato Indipendente di Croazia, nonché il Montenegro, che riottenne l'indipendenza, divennero due protettorati italiani, ma la Croazia di fatto era autonoma. Gran parte della Dalmazia fu annessa all'Italia. La Slovenia venne divisa tra Italia, Germania e Ungheria.

Nel 1941 iniziò un movimento di resistenza iugoslava, che comunque fu molto diviso a causa delle differenti etnie e ideologie politiche che originarono anche una feroce guerra civile sia tra serbi e croati sia tra comunisti e monarchici. Contro l'occupazione italiana fu attivo un movimento guidato in un primo tempo dall'OF sloveno (Fronte di liberazione, di dirigenza comunista) che operò anche nella zona di Trieste e a tale movimento aderirono, dopo il 1943, molti antifascisti italiani. La risposta dell'esercito italiano fu la costituzione di un tribunale militare che comminò numerose condanne a morte nonché l'organizzazione di campi d'internamento e di concentramento in cui vennero deportati partigiani e civili slavi. Inoltre si eseguirono operazioni di rappresaglia con incendio di villaggi e fucilazioni sul posto, a seguito di uccisioni di militari italiani.

Armistizio e primi infoibamenti

Come nel resto dell'Italia e nei territori da questa controllati, l'8 settembre 1943, in conseguenza dell'armistizio, l'esercito italiano si trovò allo sbando a causa della mancanza di ordini e di direzione. Una parte dei militari italiani stanziati in Jugoslavia passò tra le file della resistenza dando corpo alle divisioni partigiane Garibaldi e Italia, inquadrate nell'Armata Popolare Jugoslava controllata dal maresciallo Tito, sino al loro scioglimento e rimpatrio nel 1945. A partire da questo momento, mancando un controllo militare, si registrarono i primi casi di rappresaglia nei confronti degli italiani che rappresentavano il potere politico e militare (gerarchi, podestà, membri della polizia, ma anche impiegati civili della Questura) nonché alcuni esponenti della borghesia mercantile e gli operatori commerciali: queste azioni consistevano in omicidi, infoibamenti e altri generi di violenze. Alcuni storici hanno voluto vedere in questi atti, quasi tutti verificatisi nell'Istria meridionale (oggi croata), una sorta di jacquerie, quindi di rivolta spontanea delle popolazioni rurali, in prevalenza slave, come vendetta per i torti subiti durante il periodo fascista; altri, invece, hanno interpretato il fenomeno come un inizio di pulizia etnica[3]nei confronti della popolazione italiana. Comunque queste azioni furono un preludio all'azione svolta in seguito dall'armata jugoslava. Alcuni storici (come il francese Michel Roux) asserirono che vi era una similitudine tra il comportamento contro gli italiani nella Venezia Giulia ed a Zara e quello promosso da Vaso Cubrilovic (che divenne ministro di Tito dopo il 1945) contro gli Albanesi della Iugoslavia [5].

Istria e Dalmazia dopo l'armistizio

Posizioni di alcune Foibe.
Posizioni di alcune Foibe.

Il 23 settembre 1943 si costituì la Repubblica Sociale Italiana e poco dopo i bombardamenti aerei statunitensi-britannici diventarono massicci nonché incessanti sull'intera regione istriana. Il Terzo Reich annesse la Venezia Tridentina e la provincia di Belluno che costituirono la Zona d'Operazione delle Prealpi, il Friuli e la Venezia Giulia (con Gorizia, Trieste, l'Istria e Fiume) che costituirono la Zona d'Operazione del Litorale Adriatico.
I primi episodi del vero e proprio eccidio delle foibe avvennero a Zara. Il 31 ottobre 1944 la città, che nel frattempo era stata distrutta da ben 54 bombardamenti aerei alleati promossi da Tito e che uccisero circa 2.000 persone, fu occupata dall'armata partigiana iugoslava e nuovamente si ripeterono rappresaglie verso gli italiani considerati occupanti e collaboratori dei tedeschi. Un numero imprecisato di italiani vennero arrestati e poi annegato in mare.
Nel frattempo anche i rapporti tra resistenza italiana e iugoslava, che sino allora avevano operato insieme contro il nemico comune, si erano deteriorati, influenzando i rapporti anche all'interno della resistenza italiana. Fu in questo contesto che maturò l'eccidio di Porzus.
Nel gennaio 1945, quando ormai si profilava la conclusione della guerra, la Jugoslavia ribadì i suoi intenti di portare i suoi confini verso occidente, fino a comprendere Monfalcone, Cormons, Cividale e Pontebba.
In primavera i partigiani iugoslavi puntarono direttamente verso Trieste, Gorizia e Udine per raggiungerle prima degli Alleati. Solo successivamente furono occupate Fiume e Pola. L'obiettivo era di occupare il maggior territorio possibile onde imporre una situazione di fatto agli Alleati. Infatti, dopo l'occupazione di Trieste e dell'Istria, ebbe inizio una seconda persecuzione (con moltissimi fenomeni di infoibamenti) che mirava a terrorizzare, per indurre i cittadini di sentimento pro-italiano all'esodo. In tal modo favorendo l'interpretazione iugoslava sui nuovi confini con l'Italia.
Nel giugno 1945 però Gorizia, Trieste e Pola furono sgomberate dalle forze di Tito e poste sotto il controllo delle truppe angloamericane che avevano varcato l'Isonzo il 3 maggio.

L'esodo

Le foibe e l'inizio dell'esodo

Per approfondire, vedi la voce Foibe.

L'arrivo, nella primavera del 1945, delle forze iugoslave preluse a una nuova fase d'infoibamenti che, secondo certi studiosi, questa volta ebbero meno la valenza di pulizia etnica e più quella di pulizia politica.[4]Furono eliminati, principalmente, militari della RSI, poliziotti, impiegati civili e funzionari statali nonché furono internati tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alle rivendicazioni jugoslave sulla Venezia Giulia compresi membri del movimento antifascista italiano. Tali azioni spinsero la maggior parte della popolazione di lingua italiana a lasciare la regione nell'immediato dopoguerra. L'esodo era comunque già iniziato prima della fine della guerra per diversi motivi che andavano dal terrore sistematico provocato dai massacri delle foibe, annegamenti, deportazioni dei civili italiani in campi di sterminio operato dalle forze di occupazione jugoslave, al timore di vivere sottomessi alla dittatura comunista in terre non più italiane. Indubbiamente gli italiani erano esposti a violenze e rappresaglie da parte delle autorità iugoslave ma in quel periodo, ossia subito dopo l'8 settembre 1943, non era chiara quale fosse la priorità per Tito e i suoi seguaci: priorità nazionalistica per una pulizia etnica, priorità politica ossia contro gli oppositori anticomunisti, priorità ideologica ossia contro i reazionari, priorità sociale ossia contro i borghesi. Si consideri che nella prima metà del 1946 il Bollettino Ufficiale jugoslavo pubblicò ordinanze secondo le quali si conferiva al Comitato Popolare locale il diritto di disporre delle case e di cederle ai cittadini croati; si sequestravano tutti i beni del nemico e degli assenti; si considerava nemico e fascista, quindi da epurare, chiunque si opponesse al passaggio dell'Istria alla Iugoslavia.[5]

Lungamente si è discusso sulla volontà epuratrice delle autorità jugoslave: se cioè l'esodo fosse voluto o meno. Gli effetti della politica delle nuove autorità, statali e locali, di fatto condussero ad esiti molto simili a quelli di una pulizia etnica, eppure mancano dei documenti assolutamente probanti sulla volontà di Tito e dei suoi sodali di espellere gli italiani in quanto tali, cosa che invece esiste con riferimento alle espulsioni dei tedeschi dalla Jugoslavia[6]. Vi è però una molteplicità di indizi coincidenti in tal senso, fra i quali una celebre autoammissione di responsabilità contenuta all'interno di un'intervista rilasciata da Milovan Gilas (già braccio destro di Tito) al settimanale Panorama del 21 luglio 1991: "Ricordo che nel 1946 io ed Edward Kardelj andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana. Si trattava di dimostrare alla commissione alleata che quelle terre erano jugoslave e non italiane: ci furono manifestazioni con striscioni e bandiere". Ma non era vero? "Certo che non era vero. O meglio lo era solo in parte, perché in realtà gli italiani erano la maggioranza solo nei centri abitati e non nei villaggi. Ma bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni d'ogni tipo. Così fu fatto".

Fasi dell'esodo

Come si è già precedentemente accennato, la prima fase dell'esodo si verificò dopo l'armistizio del 1943 poiché molti funzionari e collaboratori del regime fascista, dopo i primi casi di infoibamenti per vendetta, pensarono bene di allontanarsi il più possibile: questo fu il cosiddetto esodo nero, considerando il colore simbolico del fascismo.

Storia a parte la fa l'esodo da Zara, ove la maggioranza della popolazione sfollò in Italia per sfuggire ai bombardamenti degli alleati iniziati nell'autunno del 1943 e occupata dai partigiani di Tito nel 1944. Alle uccisioni di rito si accompagnò anni dopo - nel pieno della questione di Trieste nel 1953 - la chiusura dell'ultima scuola italiana e il trasferimento forzato degli studenti nelle scuole croate, che costrinse gli ultimi italiani rimasti a Zara ad esodare o ad assimilarsi con la maggioranza.

Ancor più particolare la storia dell'esodo delle popolazioni italofone dal resto della Dalmazia (Governatorato di Dalmazia) annessa all'Italia nel 1941, ultimi epigoni di una storia millenaria: la comunità italiana di Spalato - la maggiore dopo Zara, con circa 1.000 italiani autoctoni all'inizio della guerra - subì le vendette partigiane: vennero uccisi 134 italiani fra agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie carcerarie ma anche civili come Giovanni Soglian, originario di Cittavecchia di Lesina e al tempo Provveditore agli Studi della Dalmazia. Altre famiglie italiane di Spalato scelsero l'esodo e partirono via mare. Fra di essi, il giovane Enzo Bettiza[7].

A partire dal maggio del 1945 iniziò l'esodo massiccio, spontaneo e disorganizzato degli Italiani d'Istria e di Fiume.
Un caso particolare fu quello di Pola, che dopo essere stata occupata dagli iugoslavi, era stata posta sotto l'amministrazione alleata. Dopo la strage di Vergarolla molti andarono via e il 27 gennaio 1947, quando apparve chiaro che le speranze del ritorno di questa città all'Italia erano vane, iniziò l'esodo di massa: in questo caso l'abbandono della città si svolse in modo organizzato, sotto gli occhi delle autorità anglo-americane e di alcuni emissari dello stesso governo italiano. Da Pola esodarono molti artigiani e operai specializzati dell'industria: in conseguenza di ciò si ebbe una profonda crisi economica della città.
Con la firma del trattato di pace di Parigi, 10 febbraio 1947, che prevedeva la definitiva assegnazione dell'Istria alla Jugoslavia s'intensificò l'esodo da questa zona. Il Trattato di Parigi prevedeva per chi volesse mantenere la cittadinanza italiana l'abbandono della propria terra.

In quello stesso giorno (10 febbraio 1947) Maria Pasquinelli uccise il comandante della guarnigione britannica di Pola, per protestare contro l'esodo di massa e le uccisioni degli italiani in Istria e Dalmazia.

Chi emigrava non poteva portare con sé né denaro né beni mobili (gli immobili erano comunque considerati parte delle riparazioni di guerra che l'Italia doveva alla Jugoslavia).
Riferendosi a questo periodo storico il docente universitario e storico Raoul Pupo scrive:

« essenziale per garantire l'accettazione del gruppo minoritario da parte del regime, risultava... essere fautori dell'appartenenza statuale alla Iugoslavia, di obbedienza comunista, eventualmente di ascendenza slava e comunque nemici dichiarati dell'Italia demonizzata in quanto fascista e imperialista »

quindi aggiunge:

« il punto è che in Istria un gruppo nazionale italiano che rispondesse a tali requisiti semplicemente non esisteva. »

Per questo motivo la Jugoslavia non riconosceva loro la cittadinanza e chi non rientrava in Italia rischiava di rimanere apolide. Proprio su questa condizione si pone un problema nella ridda di cifre relative all'esodo, in quanto si riporta spesso una certa cifra, ma si manca di prendere in considerazione che gli apolidi erano in maggior parte proprio Italiani.

L'ultima fase migratoria ebbe luogo dopo il 1954 allorché il Memorandum di Londra assegnò definitivamente la zona A del Territorio libero di Trieste all'Italia, e la zona B alla Jugoslavia.
L'esodo si concluse solamente intorno al 1960.
A differenza di altri fenomeni analoghi avvenuti altrove mai vi fu l'emissione di un decreto di espulsione degli italiani da parte delle autorità jugoslave e l'esodo fu il risultato di una somma di fattori che andarono dalla paura di dover vivere all'interno di un regime di tipo comunista al timore di ritorsioni per il comportamento verso le popolazioni slave durante il periodo fascista. Anche l'estrema instabilità della situazione internazionale (guerra fredda), con il confronto tra i blocchi e relativi sistemi politici favorì l'instaurarsi di una psicologia dell'esodo.
L'economia dell'Istria risentì per numerosi anni del contraccolpo causato dall'esodo.
Una piccola parte della comunità italiana, soprattutto proletari, scelse di non emigrare e s'integrò nella società jugoslava ottenendo negli anni seguenti il riconoscimento di alcuni diritti, sia pure più formali che sostanziali. Oggi vivono nell'Istria slovena intorno a 3000 membri dichiarati della comunità italiana, mentre il loro numero in Croazia - fra l'Istria, Fiume e la Dalmazia - si aggira intorno ai 25.000.

Di tutti coloro che esodarono la maggior parte, dopo aver dimorato per tempi più o meno lunghi in uno dei 109 campi profughi allestiti dal governo italiano, si disperse per l'Italia, mentre si calcola che circa 80.000 emigrarono in altre nazioni. L'esodo istriano-dalmata è inquadrabile in un fenomeno globale di migrazioni più o meno forzose di interi popoli all'indomani della seconda guerra mondiale e che comportò lo spostamento di oltre trenta milioni d'individui di tutte le nazionalità.

Stime del numero di esuli

  • Flaminio Rocchi, sacerdote esule e studioso di storia dell'esodo: circa 350.000 esuli.
  • Ermanno Mattioli, prigioniero degli jugoslavi, poi esule e studioso di storia dell'esodo: circa 350.000 esuli.
  • Enrico Miletto, storico italiano: circa 350.000 esuli.
  • Marina Cattaruzza, studiosa italiana di storia: almeno 250.000 persone (M. Cattaruzza, L'esodo istriano: questioni interpretative, [in:] Esodi. Trasferimenti forzati di popolazione nel Novecento europeo, Napoli, 2000, p. 209).
  • Raoul Pupo, storico italiano, scrive:
« Sulle dimensioni complessive dell'esodo vi è nella letteratura ampia discordanza, legata per un verso al fatto che un conteggio esatto non venne compiuto quando ciò era ancora possibile, per l'altro all'utilizzo politico delle stime compiuto sia in Italia che nella ex Jugoslavia: si oscilla così da ipotesi al ribasso di 200.000 unità - che in realtà comprendono solo i profughi censiti in Italia, trascurando i molti, che, soprattutto nei primi anni del dopoguerra emigrarono senza passare per l'Italia e comunque senza procedere ad alcuna forma di registrazione nel nostro Paese - fino ad amplificazioni a 350.00 esodati, difficilmente compatibili con la consistenza della popolazione italiana d'anteguerra nei territori interessati all'esodo. Stime più equilibrate, risalenti alla fine degli anni cinquanta e succesivamente riprese, inducono a fissare le dimensioni presunte dell'esodo attorno al quarto di milione di persone." (R. Pupo, L'esodo degli Italiani da Zara, da Fiume e dall'Istria: un quadro fattuale, [in:] Esodi. Trasferimenti forzati di popolazione nel Novecento europeo, Napoli, 2000, p. 205-106, n. 40) »
  • Giampaolo Valdevit, storico italiano, scrive: l'esodo degli italiani dall'Istria - nell'arco di un decennio farà allontanare circa 250 mila persone. (G. Valdevit, Trieste. Storia di una periferia insicura, Milano, 2004, p. 55).
  • Vladimir Žerjavić, demografo croato: 191.421 esuli solo dal territorio croato.
  • Nevenka Troha, storica slovena: 27.000 italiani dalla sola Istria slovena (1945-1954), più 10.000 - 15.000 italiani residenti nelle altre zone della Venezia Giulia slovena, perlopiù immigrati e impiegati statali, tra il 1943-1945. In 3.000 viene stimato il numero degli sloveni che lasciò la zona dopo il 1945.
  • Commissione mista storico-culturale italo-slovena: circa 30.000 esuli, compresi gli sloveni anticomunisti, dall'Istria oggi slovena.

L'esodo alla luce dei censimenti

Per valutare l'entità dell'esodo, ossia dello spopolamento degli Italiani nelle province e in alcune importanti città, sono interessanti alcuni dati di censimenti tratti dal libro I censimenti della popolazione dell'Istria, con Fiume e Trieste e di alcune città della Dalmazia tra il 1850 e il 1936 di Guerrino Perselli (Centro di Ricerche Storiche - Rovigno, Unione Italiana - Fiume, università Popolare di Trieste, Trieste-Rovigno, 1993). L'autore della ricerca specifica che tra le materie oggetto d'indagine dei censimenti austriaci fino al 1910 non figurava quella relativa alla nazionalità, in quanto al censito veniva richiesta la dichiarazione circa la lingua parlata d'uso. (p. XXIII).


Comune di Ragusa

  • 1890: serbocroata 9028 (92,7%), italiana 356 (3,7%), tedesca 273 (2,8%), altre 79, somma 9736
  • 1900: serbocroata 10266 (88,9%), italiana 632 (5,5%), tedesca 347 (3,0%), altre 306, somma 11551
  • 1910: serbocroata 10879 (89,2%), italiana 486 (4,0%), tedesca 558 (4,6%), altre 267, somma 12190

Città di Ragusa

  • 1890: serbocroata 5198 (88,8%), italiana 331 (5,7%), tedesca 249 (4,3%), altre 73, somma 5851
  • 1900: serbocroata 6100 (85,3%), italiana 548 (7,7%), tedesca 254 (3,6%), altre 247, somma 7149
  • 1910: serbocroata 6466 (87,7%), italiana 409 (5,5%), tedesca 322 (4,4%), altre 175, somma 7372


Comune di Spalato - La città di Spalato

  • 1890: serbocroata 12961 (85,3%), italiana 1971 (13,0%), tedesca 193 (1,3%), altre 63, somma 15186
  • 1900: serbocroata 16622 (93,3%), italiana 1049 (5,9%), tedesca 131 (0,7%), altre 107, somma 17819
  • 1910: serbocroata 18235 (88,8%), italiana 2082 (10,1%), tedesca 92 (0,4%), altre 127, somma 20536


Comune di Sebenico - La città di Sebenico

  • 1890: serbocroata 5881 (85,0%), italiana 1018 (15,7%), tedesca 17, altre 5, somma 6921
  • 1900: serbocroata 9031 (90,9%), italiana 858 (8,6%), tedesca 17, altre 28, somma 9934
  • 1910: serbocroata 10819 (90,1%), italiana 810 (6,7%), tedesca 249, altre 129, somma 12007


Comune di Zara

  • 1890: serbocroata 19096 (69,4%), italiana 7672 (27,9%), tedesca 568, altre 180, somma 27516
  • 1900: serbocroata 21753 (68,4%), italiana 9234 (29,0%), tedesca 626, altre 181, somma 31794
  • 1910: serbocroata 23651 (65,9%), italiana 11552 (32,2%), tedesca 477, altre 227, somma 35907

La città di Zara

  • 1890: serbocroata 2652 (24,6%), italiana 7423 (68,7%), tedesca 561, altre 164, somma 10800
  • 1900: serbocroata 2551 (20,7%), italiana 9018 (73,3%), tedesca 582, altre 150, somma 12300
  • 1910: serbocroata 3532 (26,3%), italiana 9318 (69,3%), tedesca 397, altre 191, somma 13438


Comune di Veglia

  • 1890: italiana 1449 (72,6%), serbocroata 508 (25,4%), tedesca 19, slovena 16, altre 5, somma 1997
  • 1900: italiana 1435 (70,2%), serbocroata 558 (27,3%), tedesca 28, slovena 22, somma 2043
  • 1910: italiana 1494 (69,2%), serbocroata 630 (29,2%), tedesca 19, slovena 14, altre 2, somma 2159


Comune di Fiume

  • 1880: italiana 9076 (43,3%), croata e slovena 7991 (38,0%), slovacca 9, rumena 6, rutena 3, tedesca 895, ungherese 383, altre 2618, somma 20981
  • 1890: italiana 13012 (44,1%), croata 10770 (36,5%), slovacca 24, rumena 13, rutena 4, serba 28, tedesca 1495, ungherese 1062, altre 3086, somma 29494
  • 1910: italiana 24212 (48,6%), croata 12926 (26,0%), slovacca 192, rumena 137, rutena 11, serba 425, tedesca 2315 (4,6%), ungherese 6493 (13,0%), slovena 2336 (4,7%), altre 759, somma 49806.

Riguardo ai censimenti ungheresi (il territorio di Fiume era infatti corpus separatum, direttamente pertinente alla Corona d'Ungheria), questi non rilevavano la lingua d'uso ma quella materna. Carlo Schiffrer osserva come sia difficile spiegare alcune differenze radicali tra risultati dei censimenti diversi e formula l'ipotesi che a causare queste differenze siano la magiarizzazione e l'irredentismo[8].


Comune di Parenzo

  • 1890: italiana 4904 (59,5%), serbocroata 3347 (40,3%), slovena 35, tedesca 17, somma 8303
  • 1900: italiana 7308 (72,8%), serbocroata 2650 (26,4%), slovena 65, tedesca 18, somma 10041
  • 1910: italiana 8223 (67,4%), serbocroata 3950 (32,4%), slovena 1, tedesca 34, somma 12208

La città di Parenzo

  • 1890: italiana 2999 (99,1%), tedesca 17, slovena 10, somma 3026
  • 1900: italiana 3390 (98,9%), tedesca 18, slovena 13, altre 5, somma 3426
  • 1910: italiana 3962 (99,2%), tedesca 21, serbocroata 9, somma 3992


Ancora due comuni dell'attuale Istria slovena: per rilevare il tipico contrasto fra la città italiana e la campagna slava sono segnalati i dati del principale centro abitato costiero dell'attuale Istria slovena e un comune dell'interno:

Comune di Capodistria

  • 1900: italiana 8606 (82,9%), slovena 1542 (14,8%), serbocroata 168, tedesca 68, somma 10384
  • 1910: italiana 9340 (78,8%), slovena 2278 (19,2%), serbocroata 154, tedesca 74, altre 3, somma 11849


Comune di Maresego

  • 1900: slovena 2765 (98,9%), italiana 31 (1,1%), somma 2796
  • 1910: slovena 3126 (99,9%), altre 2 (0,1%), somma 3128


QUADRO COMPLESSIVO DELL'ISTRIA (NB: secondo la lingua d'uso, compreso il castuano e la parte nord della regione)

  • 1880: tedesca 4.779 (1,7%), italiana 114.291 (40,2%), slovena 43.004 (15,1%), serbocroata 121.732 (42,8%), altre 348, somma 284.154
  • 1890: tedesca 5.904 (1,9%), italiana 118.027 (38,1%), slovena 44.418 (14,3%), serbocroata 140.713 (45,4%), altre 941, somma 310.003
  • 1900: tedesca 7.076 (2,1%), italiana 136.191 (40,5%), slovena 47.717 (14,2%), serbocroata 143.057 (42,6%), altre 1.924, somma 335.965
  • 1910: tedesca 13.279 (3,4%), italiana 147.416 (38,1%), slovena 55.365 (14,3%), serbocroata 168.116 (43,4%), altre 2.998, somma 387.174

Secondo i censimenti della Dalmazia la lingua italiana era parlata dal 12,5% nel 1865 (NB: questo censimento non venne condotto con rilevazioni sul territorio, ma su base statistica) e dal 3,1% nel 1890.

Secondo i dati del censimento riservato del Governo italiano del 1936, nella provincia istriana vivevano 294.000 cittadini dei quali gli slavofoni costituivano una minoranza non precisamente calcolabile poiché mancano dati ufficiali governativi. In dettaglio le etnie nei distretti della Venezia Giulia:

Distretto Italiani Sloveni Croati Tedeschi
Trieste 80% 20% - -
Monfalcone (TS) 98% 2% - -
Sesana (TS) 8% 92% - -
Postumia Grotte (TS) 10% 90% - -
Gorizia 80% 20% - -
Gradisca (GO) 88% 12% - -
Tolmino (GO) 7% 93% - -
Idria (GO) 7% 93% - -
Tarvisio* 22% 15% - 63%
Pola 68% - 32% -
Pisino (PO) 28% 2% 70% -
Capodistria (PO) 50% 35% 15% -
Lussino (PO) 57% - 43% -
Parenzo (PO) 72% 4% 24% -
Fiume 81% 3% 16% -
Abbazia (FM) 24% 30% 46% -


Secondo il censimento jugoslavo del 1961, nella Regione Istriana vivevano 14.354 cittadini italofoni; per avere un quadro totale della regione geografica dell'Istria bisogna aggiungere i 2.597 italiani del Capodistriano e i 197 di Abbazia, oltre agli italiani di Muggia e del comune di San Dorligo della Valle, unici centri istriani rimasti in Italia. Per un quadro ancor più completo del censimento jugoslavo del 1961, ricorderemo i 213 italiani di Cherso e Lussino e i 3.255 di Fiume [9]

Esuli in Italia e altrove

Nel testo di Marino Micich sull'esodo si legge

« la dislocazione dei profughi in Italia vide su una massa provvisoria di circa 150.000 individui, sistemarsi ben 136.116 nel Centro-Nord e solo 11.175 persone nel Sud e nelle isole. Risulta evidente come il più industrializzato Nord poté assorbire il maggior numero di esuli quindi 11.157 si fermarono in Lombardia, 12.624 in Piemonte, 18.174 nel Veneto e 65.942 nel Friuli Venezia Giulia. Appare chiaro da queste cifre che i profughi scelsero i nuovi territori di residenza sia per ragioni economiche sia per ragioni di costume e di dialetto, ma molti non si allontanarono dal confine per ragioni sentimentali e forse sperando in un prossimo ritorno che mai avvenne. Un altro dato interessante scaturì da uno studio riguardante circa 85.000 profughi, da cui si deduce che oltre 1/3 scelsero di ricostruirsi una vita nelle grandi città (Trieste, Roma, Genova, Venezia, Napoli, Firenze,ecc.). Opera Profughi, tuttavia, non mancò di appoggiare le comunità che elessero loro domicilio le province meridionali d’Italia. L’esperimento più rilevante si ebbe in Sardegna, nelle località di Fertilia, dove trovarono sistemazione oltre 600 profughi. Il programma alloggiativo dell’Opera Profughi ebbe maggior sviluppo in quelle località dove risultava più consistente l’affluenza dei profughi, come Pescara, Taranto, Sassari, Catania, Messina, Napoli, Brindisi. Gli sforzi dell’ente si concentrarono verso quelle zone che permettevano una reintegrazione più completa possibile del profugo e dove era più gradito il domicilio sia per ragioni economiche sia per ragioni sentimentali e umane. I programmi edilizi più importanti sul territorio nazionale italiano furono varati a Roma (Villaggio Giuliano-Dalmata), Trieste, Brescia, Milano, Torino, Varese e Venezia. A Venezia il programma abitativo dell’Opera arrivò a realizzare circa duemila appartamenti, a Trieste oltre tremila e in provincia di Modena fu realizzato un organizzato Villaggio San Marco a Fossoli di Carpi per accogliere soprattutto i profughi dalla zona B dell’Istria. L’Opera si prodigò molto nell’assistenza degli anziani e soprattutto dei fanciulli appartenenti a famiglie disagiate istituendo diversi istituti scolastici e organizzando soggiorni estivi. Nel caso del collocamento al lavoro l’Opera, dal 1960 al 1964, aveva potuto provvedere alla sistemazione di ben 34.531 disoccupati. Il contributo più grande a questo collocamento fu comunque dato dalle grandi industrie del nord e dalle aziende parastatali comprese nel famoso triangolo industriale tra Torino, Milano e Genova. Considerando i dati e i risultati ottenuti dall’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, si può constatare che, a partire dai primi anni cinquanta, il problema dell’inserimento sociale e lavorativo degli esuli giuliano-dalmati in Italia andò sempre migliorando. Risulta altresì chiaro che la grande prova di civiltà e di spirito di abnegazione dimostrato dal popolo dell’esodo, nonostante le sofferenze, le violenze, i disagi e i torti subiti, resterà una pagina indelebile di storia. »

Si verificarono episodi che molti hanno definito di "comportamento ignobile contro gli esuli" ma si consideri sempre il contesto storico dell'epoca e le divisioni politico-sociali che laceravano profondamente la società italiana. In diversi libri son ricordati tali episodi: in particolare si fa riferimento a un treno carico di profughi cui a Bologna gli operai rifiutarono di portare qualsiasi genere di conforto, considerando i giulano-dalmati - che fuggivano dalla Jugoslavia comunista - dei fascisti.

In America gli esuli si stabilirono prevalentemente in USA, Canada, Argentina, Venezuela e Brasile; in Australia si concentrarono maggiormente nelle città più grandi, Sydney e Melbourne. Ovunque siano andati, gli esuli hanno organizzato associazioni che si sono dedicate alla conservazione della propria identità culturale, pubblicando numerosi testi sui fatti luttuosi del periodo bellico e post-bellico.

Esodo dei cantierini monfalconesi

Per approfondire, vedi la voce Esodo dei cantierini monfalconesi 1946 - 1948.

Dopo la fine della guerra circa 2.000 operai comunisti di Monfalcone, ai quali si aggiunse un certo numero di militanti provenienti da altre parti d'Italia, nella speranza di veder realizzati i propri ideali politici e soddisfare il bisogno di manodopera qualificata dei cantieri di Fiume e Pola, emigrarono in Iugoslavia. Pochi mesi dopo il loro arrivo, Tito fu accusato di deviazionismo da Stalin e costoro, iscritti alla federazione di Trieste del Partito Comunista Italiano che aveva firmato la risoluzione antititoista del Cominform, furono considerati nemici e, in gran parte, rinchiusi nel gulag di Goli Otok-Isola Calva o in altre prigioni. Dopo mesi di durissima reclusione, i monfalconesi, una volta liberati, si aggiunsero alla massa degli altri esuli tornando in Italia. Tornati in Italia fu loro ordinato di mettersi da parte per non procurare problemi e ubbidirono. Alcuni monfalconesi ancora viventi hanno successivamente raccontato il proprio calvario che recentemente è stato pubblicato in vari testi di storia e di memorie.[10]

La questione del risarcimento

La Jugoslavia - nell'ambito della propria politica economica di stampo socialista che prevedeva la nazionalizzazione di tutti i mezzi di produzione - attuò la confisca dei beni degli italiani che avevano abbandonato i territori, giustificando tale atto come risarcitivo: infatti per quanto stabilivano i trattato di pace siglato a Parigi nel 1947 l'Italia doveva alla Jugoslavia la somma di 125 milioni di $ come riparazione per i danni di guerra subiti[11]. L'Italia accondiscese a questa sistemazione, firmando nel tempo una serie di accordi e procedento alla liquidazione di un indennizzo agli esuli, sulla base di un valore presunto dei beni, molto minore del valore reale.

Il trattato di Osimo del 1975, che concerne la definitiva suddivisione dei confini dell'ex Territorio Libero di Trieste, fa espressamente riferimento ad un accordo per risarcire i beni nazionalizzati dalla Jugoslavia in questa zona, non compresa negli accordi di risarcimento di cui sopra[12].

Negli anni che seguirono l'esodo e soprattutto dopo il 1980, anno della morte di Tito, le associazioni di esuli rinnovarono al governo italiano la richiesta di rivedere le entità di tutti i precedenti risarcimenti e una richiesta di risarcimento fu anche rivolta alla Jugoslavia.

Il 18 febbraio 1983 a Roma fu ratificato l'accordo previsto dal Trattato di Osimo, col quale la Jugoslavia s'impegnava a pagare 110 milioni di dollari per il risarcimento dei beni nazionalizzati nella ex-Zona B del Territorio Libero di Trieste.[13]
All'atto dello smembramento della repubblica iugoslava solo 18 milioni di dollari erano stati però versati e distribuiti agli esuli; Slovenia e Croazia si accordarono, in seguito, con l'Italia firmando, il 15 gennaio 1992 a Roma, un memorandum sui successivi pagamenti.

Tuttavia un trattato definitivo non venne mai stipulato.

Croazia e Slovenia si accordarono, tra loro, per versare, in percentuale del 62% per la Slovenia e del 38% per la Croazia, la restante parte della somma. La Slovenia depositò circa 56 milioni di dollari presso la filiale lussemburghese della Dresdner Bank, considerando con ciò di aver saldato il debito, ma lo Stato italiano non riconosce la legittimità del modus operandi adottato dal governo sloveno. Per questo motivo agli esuli o ai loro discendenti non sono ancora stati distribuiti questi fondi provenienti dalla Slovenia.
La Croazia non ha ancora versato alcunché, poiché spera di trattare ulteriormente con le autorità italiane. Il capo di governo croato Ivo Sanader annunciò pubblicamente la volontà del suo governo di saldare il debito dopo le elezioni politiche italiane del 2006, onde evitare strumentalizzazioni. Ma la situazione è ancora in fase di stallo.

Ulteriori elementi da prendere in considerazione sono le leggi sulla denazionalizzazione dei beni promulgate sia dalla Slovenia che dalla Croazia, con le quali si è previsto di reintegrare nei loro diritti i proprietari dei beni nazionalizzati. Dopo una prima versione delle leggi con la quale si escludevano dal beneficio i cittadini stranieri, ritenuta discriminatoria dall'Unione Europea e cassata dalle Corti Costituzionali dei due paesi, venne promulgata una seconda versione che escluse i beni già oggetto di accordi internazionali di risarcimento: in questo modo - così affermano i governi sloveno e croato - i beni degli esuli italiani continuano ad essere esclusi dal reintegro o dal risarcimento[14]

Questa dei beni però non è l'unica inadempienza o presunta tale di cui si parla nei rapporti fra l'Italia e gli stati successori della Jugoslavia: infatti i vari governi italiani succedutesi negli anni mai consegnarono i responsabili dei crimini nei Balcani, sia a causa della così detta "amnistia Togliatti"[15] intervenuta il 22 giugno 1946, sia perché il 18 settembre 1953 il governo Pella approvò l'indulto e l'amnistia proposta dal guardasigilli Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948,[16] a cui si aggiunse quella del 4 giugno 1966.[17] All'epoca soltanto la città di Belgrado (parte dell'allora Jugoslavia) chiese di imputare oltre 700 presunti criminali[18] e i generali Mario Roatta e Mario Robotti, nonostante gli accordi internazionali prevedessero la loro estradizione.[19]

Esuli famosi

Tra i tanti costretti all'esilio dall'Istria, Quarnaro e Dalmazia ricordiamo alcuni celebri esuli:

Voci correlate

Bibliografia

Saggi storici

  • L'Italia dalla dittatura alla democrazia 1919/1948 di Franco Catalano, Feltrinelli, Milano 1970
  • Istria contesa. La guerra, le foibe, l'esodo di Fulvio Molinari, Mursia, Milano 1996 - ISBN 88-424-2113-2
  • L'esodo dei 350.000 giuliani, fiumani e dalmati di Flaminio Rocchi, editore Difesa adriatica, Roma 1970
  • Storia di un esodo, Istria 1945-1956 di Cristiana Colummi, Liliana Ferrari, Gianna Nassisi, Germano Trani, editore istituto regionale di storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Trieste 1980
  • La questione giuliana 1943-1947. La guerra e la diplomazia. Le foibe e l'esodo di Paola Romano
  • L'esodo. La tragedia negata di Arrigo Petacco, editore Mondadori, Milano 1999
  • Il Trattato di Osimo di Carlo Montani, edizioni ANVGD, Firenze 1992
  • Venezia Giulia, Dalmazia - Sommario Storico - An Historical Outline di Carlo Montani, terza edizione ampliata e riveduta, edizioni Ades, Trieste 2002
  • Dove l'Italia non poté tornare (1954-2004) di Italo Gabrielli, Associazione Culturale Giuliana, Trieste 2004
  • L'esodo dalle terre adriatiche. Rilevazioni statistiche di Amedeo Colella, editore Opera per profughi, Roma 1958
  • L'emigrazione giuliana nel mondo di Carlo Donato, Pio Nodari
  • Fratelli d'Istria 1945-2000. Italiani divisi di Guido Rumici, Mursia, Milano 2001
  • Esodi. Trasferimenti forzati di popolazione nel Novecento europeo, a cura di Marina Cattaruzza, Marco Dogo, Raoul Pupo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2000
  • Il dolore e l'esilio: l'Istria e le memorie divise d'Europa di Guido Crainz, editore Donzelli, Roma 2005
  • Dal processo Zaniboni al processo Tomazic: il tribunale di Mussolini e il confine orientale, 1927-1941 di Marco Puppini e Ariella Verrocchio, editore Gaspari, Udine 2003
  • Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell'italianità sul confine orientale di Sandi Volk, KappaVu, Udine 2004
  • I Giuliano-Dalmati a Roma e nel Lazio di Marino Micich, Roma 2002

Romanzi e altre pubblicazioni

  • Esilio di Enzo Bettiza, autobiografia
  • La miglior vita di Fulvio Tomizza, romanzo storico
  • Bora di Anna Maria Mori e Nelida Milani, romanzo storico-autobiografico
  • La foiba grande di Carlo Sgorlon, romanzo storico
  • L'emigrazione slovena e croata dalla Venezia Giulia tra le due guerre e il suo ruolo politico di Aleksej Kalc, in: "Annales. Annali di studi istriani e mediterranei", Capodistria, 8/'96, p. 23-60
  • Quei giorni di Pola di Corrado Belci, ed. Goriziana 2007

Note

  1. ^ Sintesi di un testo di Ermanno Mattioli e Sintesi di un testo dello storico Enrico Miletto
  2. ^ [1] Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del "Giorno del Ricordo" (10 febbraio 2007)
  3. ^ Silvia Ferreto Clementi. La pulizia etnica e il manuale Cubrilovic
  4. ^ Paolo Sardos Albertini. "Terrore" comunista e le foibe in Il Piccolo. 2006-06-08
  5. ^ Gian Luigi Falabrino. Il punto sulle foibe e sulle deportazioni nelle regioni orientali (1943-45)
  6. ^ L'espulsione dei tedeschi dalla Jugoslavia dal sito del Museo Virtuale delle Intolleranze e degli Stermini
  7. ^ Bettiza racconterà la propria giovinezza spalatina nel suo libro Esilio, Milano, Mondadori 1996
  8. ^ C.Schiffrer, Trieste. Point névralgique de l'Europe. Les populations de la Vénétie Julienne, Fasquelle Éditeurs, Paris 1946, pp. 75 ss.)
  9. ^ AA.VV., La Comunità Nazionale Italiana nei censimenti jugoslavi 1945-1991, Fiume-Trieste-Rovigno 2001, p.66
  10. ^ Articolo dal Corriere della sera
  11. ^ Art. 74 del Trattato di pace fra l'Italia e le Potenze Alleate ed Associate - Parigi, 10 febbraio 1947
  12. ^ http://www.trattatodiosimo.it/trattato.htm ARTICOLO 4 - I due governi concluderanno, al più presto possibile, un Accordo relativo ad un indennizzo globale e forfettario che sia equo ed accettabile dalle due Parti, dei beni, diritti ed interessi delle persone fisiche e giuridiche italiane, situati nella parte del territorio indicata all'articolo 21 del Trattato di Pace con l'Italia del 10 febbraio 1947, compresa nelle frontiere della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, che hanno fatto oggetto di misure di nazionalizzazione o di esproprio o di altri provvedimenti restrittivi da parte delle Autorità militari, civili o locali jugoslave, a partire dalla data dell'ingresso delle Forze Armate Jugoslave nel suddetto territorio. A tale fine i due governi inizieranno negoziati entro il termine di due mesi a partire dalla data dell'entrata in vigore del presente Trattato. Nel corso di questi negoziati i due governi esamineranno con spirito favorevole la possibilità di lasciare, in un certo numero di casi, gli aventi diritto che faranno domanda entro un termine da stabilire, la libera disponibilità dei beni immobili sopra menzionati, i quali siano già stati affidati in uso o in amministrazione ai membri vicini della famiglia del titolare, o in casi simili.
  13. ^ Legge 7 novembre 1988 n. 518, allegato A, art.2; testo disponibile sul sito internet della Corte di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1988/lexs_304180.html
  14. ^ http://www.leganazionale.it/esodo/situazio.doc La situazione giuridica dei beni italiani in Croazia e Slovenia, Studio della Commissione di esperti istituita dalla Provincia di Trieste d'intesa con la Provincia di Roma ed il Comune di Trieste, con l'adesione di altri enti locali
  15. ^ Tale amnistia promulgata con il D.P.R. 22 giugno 1946, n. 4, il cui testo è disponibile sul sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1946/lexs_139245.html, comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il concorso in omicidio, pene allora punibili fino ad un massimo di cinque anni. I reati commessi al Sud dopo l'8 settembre 1943 e l'inizio dell'occupazione militare alleata al Centro e al Nord.[2] [3]
  16. ^ D.P.R 19 dicembre 1953, n. 922, testo disponibile sul sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1953/lexs_33552.html
  17. ^ D.P.R. 4 giugno 1966, n. 332, testo disponibile dal sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1966/lexs_39092.html
  18. ^ A tal proposito sono stati scritti libri di denuncia, come "Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)" a cura di C. Di Sante.
  19. ^ Art. 45 del Trattato di pace fra l'Italia e le Potenze Alleate ed Associate - Parigi, 10 febbraio 1947

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