See also ebooksgratis.com: no banners, no cookies, totally FREE.

CLASSICISTRANIERI HOME PAGE - YOUTUBE CHANNEL
Privacy Policy Cookie Policy Terms and Conditions
Storia della Sardegna sabauda - Wikipedia

Storia della Sardegna sabauda

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Voce principale: Regno di Sardegna.

Questa voce è parte della serie
Bandiera della Sardegna
Storia della Sardegna

Voci principali



[modifica]


La storia della Sardegna sabauda è l'ultima fase della parabola storica del Regno di Sardegna. Inizia nel 1720 e termina formalmente nel 1861, quando il XXIV re di Sardegna Vittorio Emanuele II proclama l'avvenuta nascita del Regno d'Italia.

Indice

[modifica] Il passaggio della corona

Tra il 1701 e il 1714 la Guerra di Successione Spagnola aveva impegnato le potenze europee in una sorta di guerra mondiale. L'estinzione della casata degli Asburgo di Spagna apriva la questione della successione sul trono iberico, conteso tra la Francia di Luigi XIV e l'Impero Asburgico, con l'Inghilterra e la maggior parte degli altri stati europei impegnati sul fronte anti-francese (dalla parte dell'Impero). Alla fine del sanguinoso conflitto, dopo intricate vicende diplomatiche e dinastiche che avevano portato al rovesciamento delle alleanze, una prima sistemazione dei regni europei, sancita dopo la pace di Utrecht con il trattato di Rastatt, vide la cessione del regno sardo dalla corona spagnola all'Impero Asburgico (1714). Tuttavia, dopo una breve presa di potere austriaca, ci fu un colpo di mano militare spagnolo, nel tentativo di riconsegnare l'Isola all'egemonia iberica. Il tentativo fu subito ridimensionato dall'ennesima trattativa diplomatica che, col Trattato di Londra (1720), decretò la cessione del regno, col relativo innalzamento al titolo monarchico, alla casa dei duchi di Casa Savoia. Vittorio Amedeo II diventò il XVII sovrano del Regno di Sardegna[1].

[modifica] I primi decenni dei nuovi monarchi

Il primo atto della nuova monarchia sabauda fu la convocazione del parlamento del regno (nei suoi tre “bracci”, o “stamenti”) davanti al quale il primo viceré piemontese, il conte di Saint Rèmi, giurò solennemente di non abrogare o modificare le leggi vigenti, ossia di rispettare i privilegi della aristocrazia e del clero e le prerogative della sette "città regie" (non infeudate). I Savoia speravano di poter comunque permutare la Sardegna con un altro territorio, pur mantenendo il titolo monarchico. Queste due condizioni comportarono il sostanziale immobilismo dell'amministrazione sabauda, in un contesto socio-economico e politico ancora fortemente condizionato dal retaggio culturale iberico.

[modifica] Feudi, fisco, condizioni economiche

A lungo rimasero del tutto immutati tanto il regime feudale, quanto le consuetudini locali. La Sardegna era ancora divisa in feudi, di estensione e giurisdizione eterogenea. Il titolare del feudo era spesso assente, risiedendo di preferenza nelle città o fuori dell'Isola. In vece del barone amministrava il feudo un suo funzionario, detto podatariu[2], preposto fondamentalmente all'esazione delle tasse e delle gabelle. Queste erano numerose e spesso molto pesanti per i vassalli, gli abitanti del feudo. In molti casi la loro riscossione era appaltata ai cosiddetti “arrendatori”, esattori privati che versavano una quota fissa e pattuita in precedenza all'amministrazione del feudo e lucravano sul surplus delle imposte. L'imposizione risultava dunque aggravata da tale pratica, con conseguenti proteste e ribellioni, negli anni di carestia. V'era poi il problema della giurisdizione, in quanto le cause penali e civili, almeno in primo grado, erano di competenza del signore. Imposizione fiscale e amministrazione della giustizia restavano dunque saldamente in mano alla classe aristocratica. Unica fonte di salvaguardia per le comunità infeudate erano i “consigli comunitativi”, una sorta di consiglio comunale locale, spesso in grado di ottenere dal feudatario o dal suo rappresentante in loco condizioni fiscali meno gravose, specie nelle zone in cui le comunità erano più coese e vantavano una tradizione di autonomia più marcata, ossia nelle zone interne a vocazione pastorale. Il mondo economico, al di là del vasto settore primario (agricoltura e allevamento), era completato dal settore artigianale (per lo più limitato alle città e organizzato in corporazioni, i gremi) e dal piccolo commercio. Quasi nulla la trasformazione. La stessa agricoltura rimaneva ad un livello di sussistenza, esposta ai capricci del tempo e alle crisi produttive, secondo le più classiche dinamiche pre-industriali. In generale, l'economia era pesantemente condizionata dall'approvvigionamento obbligatorio delle città, specie Cagliari e Sassari. Le altre città del regno (Iglesias, Oristano, Bosa, Alghero e Castelaragonese/Castelsardo) godevano a loro volta di privilegi e concessioni, derivanti dal loro status di "città regie", ossia non infeudate e sottoposte alla diretta giurisdizione reale (i rappresentanti delle città avevano un braccio del parlamento loro destinato, lo “stamento reale” appunto).

[modifica] Aspetti culturali

La classe dominante sarda continuò ad esprimersi in spagnolo e persino in catalano, il popolo in sardo. L'apparato di governo sabaudo, costituito da funzionari mediocri, spesso di mentalità ristretta e con una visione strumentale degli incarichi nell'Isola, aggiunsero alla pressione fiscale la propria rapacità personale, contribuendo a ingenerale nei sardi di tutte le classi sociali un diffuso sentimento di avversione verso i piemontesi[3]. I costumi, le feste e la lingua dell'amministrazione e della cultura rimanevano prettamente iberici, mentre i funzionari piemontesi si esprimevano in francese e, per gli usi amministrativi, usavano l'italiano (scelto da casa Savoia come lingua ufficiale dal XVI secolo, benché non fosse parlato da alcuno dei loro sudditi). L'amministrazione sabauda non si curò di gestire l'istruzione e lasciò decadere le due università dell'Isola (Cagliari e Sassari), già in fase declinante dalla fine del periodo spagnolo, impedendo di fatto che si rinnovasse il ceto intellettuale e amministrativo locale.

[modifica] Razionalizzazione amministrativa e centralismo nel secondo Settecento

Solo nella seconda metà del secolo, sotto Carlo Emanuele III, il governo piemontese diede impulso a una prima ristrutturazione amministrativa del regno. Sotto la direzione di Giovanni Battista Lorenzo Bogino (dal 1759 al 1773 ministro per la Sardegna), venne messo mano all'intero apparato pubblico, alle istituzioni educative, al credito agrario (ristrutturazione dei "monti granatici"), al commercio, ai rapporti con la Chiesa. Il tutto avvenne nell'ottica di un ammodernamento e di un accentramento amministrativo che eliminavano o indebolivano istituti e consuetudini molto radicati, senza modificare i rapporti di forza sociali e senza alterare il delicato equilibrio instaurato con la classe dominante sarda. Tuttavia, tali misure, attuate nell'arco di circa un ventennio, causarono malumori e resistenze in tutte le classi sociali [4]. A livello popolare, il ridimensionamento delle autonomie locali senza la riforma del regime feudale, privava le comunità degli unici strumenti di contrattazione posseduti fino a quel momento[5]. Le misure adottate in materia di razionalizzazione dei settori produttivi e del commercio non modificarono le dinamiche principali dell'economia sarda. La classe aristocratica, dal canto suo, vide se possibile diminuire la propria rilevanza concreta nelle decisioni politiche, essendo le cariche principali destinate in via esclusiva al personale piemontese o comunque forestiero. L'accentuazione dell'assolutismo non comportò una maggiore efficienza nella macchina amministrativa, né produsse significative migliorie nell'andamento del ciclo economico e nella condizione generale dei sudditi, che rimasero esposti all'esosità del sistema fiscale feudale e alle incertezze di un antiquato regime produttivo, oltre che alle misure repressive per cui il Bogino rimase tristemente famoso sull'Isola. Per questa serie di motivi si è parlato a proposito di questa stagione di “razionalizzazione senza riforme”[6].

[modifica] La questione della lingua

Nel contesto delle riforme “boginiane” posto particolare occupa la questione della lingua. La promozione dell'italiano fino a quel momento non era stata sistematica, né particolarmente incisiva. Allorché, anche in relazione alla ristrutturazione delle università sarde, il governo piemontese decise di procedere con più decisione in tal direzione, ne scaturì una forte resistenza da parte dell'intellettualità sarda e della classe aristocratica. La prima sosteneva che dovesse essere reso ufficiale l'utilizzo della lingua nazionale, ossia del sardo; la seconda, di costumi e mentalità iberici, non gradiva di dover abbandonare la lingua di cultura e dell'amministrazione usata per secoli, ossia lo spagnolo, a favore di una lingua totalmente straniera com'era l'italiano. Di fatto, mentre la popolazione continuò a parlare in sardo, la nobiltà continuò a usare lo spagnolo e in certi casi il catalano ancora per tutto l'arco del secolo e persino oltre [7].

[modifica] Crisi dell'antico regime e rivoluzione

Nonostante i tentativi di rendere più razionale ed efficiente l'amministrazione, le misure adottate sotto la guida del Bogino non ottennero i risultati previsti. I commentatori di parte piemontese attribuivano la causa del fallimento all'indole e al malcostume atavico dei sardi[8]. Permanevano i problemi strutturali ereditati dall'epoca precedente, aggravati dall'inerzia e dalla corruzione degli amministratori piemontesi.

[modifica] I primi segni del malessere

In Europa si diffondeva l'Illuminismo e si mostravano i primi segnali della crisi incombente (rivolte popolari, proteste, repressioni). Anche in Sardegna cresceva il malcontento e le idee nuove del secolo trovavano accoglienza nella classe borghese e nel ceto dei bottegai e degli artigiani, nel basso clero e nella nuova classe intellettuale. Nel 1780 scoppiò una rivolta a Sassari. Nelle campagne aumentarono i casi di rifiuto di versare canoni e imposte agli esattori. Molte situazioni dovettero essere risolte con la forza.

[modifica] Il tentativo di occupazione francese

Tra il 1792 e il 1793 la Francia rivoluzionaria, intenzionata a contrastare l'Inghilterra nel Mediterraneo occidentale, provò ad attaccare la Sardegna, nel tentativo di occuparla militarmente e di sollevare una ribellione generalizzata contro i piemontesi. A tale scopo, da tempo, infiltrati rivoluzionari e simpatizzanti locali diffondevano notizie, idee e scritti politici nelle città e nelle campagne. Al momento dell'attacco decisivo, benché il governo piemontese fosse stato colto di sorpresa e non predisponesse alcuna misura difensiva, gli aristocratici e il clero sardi, timorosi delle conseguenze politiche di una vittoria francese in Sardegna, finanziarono e organizzarono la resistenza, arruolando in poco tempo una milizia. Fu questo esercito popolare a respingere il tentativo francese di sbarcare sul lido di Quartu S.Elena, nel febbraio 1793. Contemporaneamente, a nord, veniva fermato il tentativo di occupazione all'isola della Maddalena (tentativo al cui comando c'era un giovanissimo ufficiale corso di nome Napoleone Buonaparte). Il successo della mobilitazione dei sardi da parte degli stamenti (i bracci del parlamento, riunitosi d'urgenza per affrontare la crisi, nell'inerzia del governo piemontese), benché sembrasse frustrare l'opera di propaganda rivoluzionaria dei mesi precedenti, fece emergere la questione dell'inadeguatezza e della mediocrità del personale di governo forestiero. I rappresentanti della nobiltà, del clero e delle città inviarono dunque al re Vittorio Amedeo III una petizione con cinque richieste: 1) convocazione delle Corti Generali (ossia appunto del parlamento, che le autorità piemontesi non avevano più convocato dal 1720); 2) conferma di tutte le leggi, consuetudini e privilegi, anche di quelli caduti in disuso; 3) Assegnazione al nativi dell'isola di tutti gli impieghi e le cariche; 4) creazione di un Consiglio di Stato da consultare su tutte le questioni relative al regno; 5) un ministero distinto per gli affari della Sardegna. Non erano richieste rivoluzionarie, tuttavia il re le respinse. Il malcontento accumulato fino a quel momento esplose dunque con un moto popolare che, il 28 aprile 1794, espulse dall'isola tutti i piemontesi e i funzionari forestieri (la giornata è oggi celebrata ufficialmente ogni anno come festa del popolo sardo, Sa die de sa Sardigna).

[modifica] 1794-6: la rivoluzione

La situazione venne presa in mano dagli stamenti e dalla Reale Udienza, la suprema corte del regno. Si confrontavano il partito dei “novatori” e quello dei “moderati”. I primi, per lo più esponenti della borghesia, intendevano approfittare del momento per ottenere riforme decisive di tipo economico, politico e sociale; i secondi desideravano semplicemente l'accettazione delle cinque richieste e per il resto il sostanziale mantenimento dello status quo. La situazione intanto tendeva a sfuggire al controllo. A Cagliari vennero linciati due esponenti dell'aristocrazia, tra i più esposti del fronte reazionario. A Sassari la nobiltà e l'alto clero si schierarono contro gli stamenti e invocarono la protezione del re, allo scopo di ottenere un'emancipazione dal governo di Cagliari e ulteriori privilegi. Nelle campagne, le popolazioni, sobillate da agitatori e dal basso clero, si ribellavano, attaccavano le sedi governative, gli istituti di credito agrario, le residenze di aristocratici e di alti prelati, rifiutando di versare le imposte e le decime. A Sassari, infine, sotto la guida di personaggi della borghesia locale di idee rivoluzionarie e filo-francesi, la popolazione si ribellò, cacciando i nobili e gli ecclesiastici anti-rivoluzionari. La situazione era diventata così grave che a Cagliari si decise di inviare nel settentrione dell'Isola uno dei personaggi più in vista della politica sarda del periodo, il magistrato della Reale Udienza, avvocato e imprenditore Giovanni Maria Angioy. Questi, investito della carica di alternos, ossia facente funzioni viceregie, attraversò la Sardegna e giunse a Sassari accolto da un bagno di folla, come un capo-popolo. Messosi a capo dei rivoluzionari, Angioy mostrò le sue vere intenzioni: rovesciare il governo, abolire gli istitui feudali e proclamare la repubblica. Il tentativo rivoluzionario coalizzò le forze moderate e reazionarie, mettendo contro l'Angioy nobiltà, clero e buona parte della borghesia cittadina e rurale, che aveva timore di perdere, insieme agli istitui feudali, privilegi e vantaggi acquisiti. L'armata raccolta dall'Angioy marciò verso meridione, ma, giunta ad Oristano nel giugno del 1796, si trovò di fronte un esercito ben organizzato e l'ostilità dell'intera classe dominante sarda. L'Angioy e molti dei suoi preferirono dunque darsi all'esilio, riparando in Francia, mentre sull'Isola l'ordine veniva ripristinato con le armi. Furono assediati e presi d'assalto i villaggi che resistevano e furono condannati a morte tutti i capi e i maggiori esponenti del moto rivoluzionario che si riuscì a catturare.

[modifica] I Savoia in Sardegna e la Restaurazione

L'invasione napoleonica dell'Italia settentrionale costrinse la corte dei Savoia a trasferirsi a Cagliari nel 1799. Il tentativo rivoluzionario era stato soffocato e la nobiltà sarda decise di rinunciare anche alle cinque richieste presentate nel 1793. Il bilancio del regno fu pesantemente aggravato dalle esigenze dell'apparato cerimoniale e dal mantenimento della famiglia reale e dei suoi servitori e funzionari. Ci furono ulteriori tentativi di sollevare una rivolta anti-feudale e repubblicana (nel 1802 e nel 1812), ma furono sventati e repressi, senza conseguenze. Con la fine dell'avventura napoleonica e la restituzione dei possedimenti sul continente, i Savoia rientrarono a Torino nel 1814. Era iniziata anche per la Sardegna la Restaurazione. Restavano irrisolti e in parte aggravati tutti i problemi della Sardegna: arretratezza economica, scarsità demografica, anacronismi istituzionali.

[modifica] Le riforme legislative e la fine del regime feudale

Il Congresso di Vienna (1814-5) aveva tentato di ripristinare la situazione pre-rivoluzionaria e pre-napoleonica. I Savoia ne erano usciti rafforzati, con l'acquisto di Genova e della Liguria. L'amministrazione piemontese riprese la politica di razionalizzazione delle istituzioni e della legislazione. La Sardegna era uscita indebolita dalla fase rivoluzionaria e il governo poté imporre più facilmente una serie di riforme che si presumeva avrebbero dato una svolta all'economia e allo sviluppo complessivo dell'Isola. Nell'autunno del 1820 il re Vittorio Emanuele I emanò l'Editto “delle Chiudende”, dando la facoltà a chi ne avesse i mezzi di recintare i terreni pubblici, adibiti agli usi comunitari. In tal modo si ponevano le basi per una prima diffusione della proprietà perfetta della terra, fattore principale di un'agricoltura moderna e più produttiva. L'effetto concreto fu che chi aveva i mezzi (aristocratici e grande borghesia) si impossessò di larghe porzioni del territorio, sottraendolo all'utilizzo della popolazione, che si trovò letteralmente da un giorno all'altro privata dei mezzi fondamentali di sussistenza (nelle chiusure vennero incorporati strade, ponti, sorgenti). In più, i nuovi proprietari terrieri destinarono i fondi così ottenuti alla rendita, dandoli in affitto prevalentemente agli allevatori, che non avevano bisogno di particolari cure sul terreno. In tal modo si depresse ulteriormente il settore agricolo e si favorì l'esistenza di un latifondo non produttivo. Tali misure suscitarono in breve il malcontento popolare, che si espresse con ripetute ribellioni.

  • Tancas serradas a muru,
    Fattas a s'afferra-afferra.
    Si su chelu fit in terra,
    Si l'aian serradu puru
  • [Terreni chiusi con i muri,
    fatti all'”arraffa-arraffa”.
    Se il cielo fosse sulla terra,
    chiuderebbero anche quello]

Così recitavano i versi popolari del tempo, rimasti vivi nella memoria collettiva dei sardi. Era irrisolto il nodo fondamentale di una legislazione risalente al medioevo e della persistenza del regime feudale. Nel 1827 il re Carlo Felice promosse un rinnovo normativo generale. Estese dunque alla Sardegna il nuovo Codice Civile, abrogando la Carta de Logu del regno di Arborea, rimasta sino a quel momento come legge generale del regno. Nel decennio seguente, il nuovo re Carlo Alberto avviò l'abrogazione degli istituti feudali. Alla fine degli anni Trenta il feudalesimo fu formalmente abolito. Tuttavia il riscatto monetario dei feudi sottratti all'aristocrazia e all'alto clero fu calcolato non sulla base del valore reale dei terreni, ma in base alla soddisfazione degli interessi degli ex feudatari. Tale riscatto per di più fu fatto gravare, sotto forma di esazioni tributarie, sulle popolazioni[9].

[modifica] Ribellioni popolari

L'imposizione della chiusure private sui terreni comuni, il riscatto dei feudi fatto gravare sulla popolazione rurale e le ulteriori restrizioni negli usi comunitari provocarono una lunga stagione di ribellioni e resistenze più o meno esplicite in tutta l'Isola. Periodicamente si riaccendevano le rimostranze, anche violente, di chi aveva perso gran parte delle risorse su cui si basava la sopravvivenza di molte famiglie a favore della nuova classe proprietaria. Riprese inevitabilmente vigore il fenomeno del banditismo.

[modifica] Economia e società nel primo Ottocento

Le strutture socio-economiche emerse nell'età della Restaurazione in Sardegna non erano molto più dinamiche e produttive di quelle del passato. Ripresero impulso alcuni settori, come l'estrazione mineraria, e acquisirono forza l'allevamento e le produzioni ad esso collegate, nonché lo sfruttamento delle saline e dell'immenso patrimonio boschivo e di macchia mediterranea. Tuttavia le risorse dell'isola furono sottoposte ad un accentuato regime di tipo coloniale, con un flusso in uscita di materie prime, per lo più non trasformate, e un flusso in entrata di prodotti finiti. L'appalto in regime di monopolio di vasti settori produttivi favoriva i capitali stranieri e lasciava ai lavoratori locali, estromessi dalle terre privatizzate, solo la strada dell'impiego non specializzato e non regolato. Non esistevano interventi di miglioramento tecnologico o di sfruttamento razionale delle risorse. La situazione generale rimaneva precaria e le comunità non traevano beneficio se non indirettamente e in misura marginale dai progressi che andavano diffondendosi sul continente.

[modifica] Risveglio intellettuale

Nella prima metà dell'Ottocento si assiste in Sardegna ad un fenomeno di risveglio intellettuale. Le università sarde, uscite dal periodo di crisi, cominciavano a rinnovare il corpo insegnante, anche con elementi sardi, e a fornire all'amministrazione sabauda quadri e funzionari. Il mondo degli studi veniva animato dalle ricerche e dalle elaborazione dotte di studiosi sardi e forestieri. Basti ricordare Alberto La Marmora, aristocratico e militare piemontese, appassionato geografo, autore dei tomi dell' Itinerario dell'Isola di Sardegna, o lo storico Giuseppe Manno, o ancora Vittorio Angius, Giovanni Spano, Giovanni Siotto Pintor, storici, linguisti e letterati. La classe intellettuale sarda del periodo si caratterizza per un desiderio di riscatto della storia e della lingua della Sardegna, accompagnato, spesso in modo contraddittorio, da una profonda fedeltà alla casa regnante. Ma le nuove prospettive intellettuali e l'aspirazione a un'integrazione col continente rimasero un patrimonio condiviso solo da un'èlite, senza connessioni con la maggioranza della popolazione e senza ricadute positive sui problemi socio-economici dell'Isola.

[modifica] Unione Perfetta e fine del Regno di Sardegna

Verso la metà del secolo, la borghesia cittadina, i quadri amministrativi e l'intellettualità si fecero portatori di un forte impulso all'omologazione culturale e istituzionale con gli stati della terraferma. In un momento storico in cui in Italia prendevano corpo le passioni risorgimentali, a Cagliari e Sassari si richiese l'abolizione delle istituzioni dell'Isola a favore della c.d. Unione Perfetta con il resto del regno sabaudo. Nel 1847 il re Carlo Alberto proclamò solennemente l'avvenuta Unione. Scomparivano dunque le istituzioni plurisecolari della carica viceregia, del parlamento e della Reale Udienza. Il regno aveva così finalmente una capitale (Torino) e istituzioni accentrate e comuni a tutti i possedimenti sabaudi. Se questa fu di fatto la fine del Regno di Sardegna, per la sua fine di diritto bisogna attendere il compimento dell'Unità italiana. Nel 1861, dopo le prime due guerre d'indipendenza, l'impresa garibaldina e l'annessione di gran parte degli altri stati della penisola, Vittorio Emanuele II, XXIV re di Sardegna, proclamava la nascita del Regno d'Italia. Terminava così anche di diritto la lunga storia del Regno di Sardegna e l'Isola diventava una regione periferica e marginale della nuova compagine statale italiana. Da questo momento comincia dunque la Storia della Sardegna contemporanea[10].

[modifica] Note

  1. ^ In proposito: A. Mattone, La cessione del regno di Sardegna, in “Rivista storica italiana”, 1992; F.C. Casula, Storia di Sardegna, Sassari-Pisa, s.d.
  2. ^ Cfr. F.I. Mannu, Innu de su patriottu sardu a sos feudatarios, 1795
  3. ^ Cfr. F. Francioni, Vespro sardo, Cagliari, 2001
  4. ^ Vedi in proposito: F. Francioni, Vespro sardo, cit.
  5. ^ Cfr. G. Sotgiu, Sardegna sabauda, Roma-Bari, 1984
  6. ^ Cfr, G. Sotgiu, Sardegna sabauda, cit.
  7. ^ Anche su questo punto vedi: G. Sotgiu, Sardegna sabauda, cit.
  8. ^ Cfr F. Francioni, Vespro sardo, cit.
  9. ^ Vedi: G. Sotgiu, Sardegna sabauda, cit.
  10. ^ Cfr. G. Sotgiu, Sardegna sabauda, cit.; F.C. Casula, Storia di Sardegna, cit.

[modifica] Bibliografia

  • MANNU, F.I., Innu de su patriottu sardu a sos feudatarios, (1795), Cagliari, CUEC, 2000
  • MANNO, G., Storia di Sardegna, Torino, 1825-7
  • ID., Storia moderna della Sardegna dal 1793 al 1799, Torino, 1842
  • MARTINI, P:, Storia di Sardegna dall'anno 1799 al 1816, Cagliari, 1852
  • CASALIS, G. - ANGIUS, V., Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1855
  • SOLE, C. (a cura di), La Sardegna di Carlo Felice e il problema della terra, Cagliari, Fossataro, 1967
  • LE LANNOU, M., Pastori e contadini di Sardegna, Cagliari, Della Torre, 1979
  • SOTGIU, G., Storia della Sardegna sabauda, Roma-Bari, Laterza, 1984
  • FOIS, B., Lo stemma dei quattro mori. Breve storia dell'emblema dei sardi, Sassari, G. Delfino, 1990
  • MATTONE, A., La cessione del regno di Sardegna. Dal trattato di Utrecht alla presa di possesso sabauda, in “Rivista storica italiana”, 1992, fasc. I, pp. 5-89
  • CASULA, F.C., La storia di Sardegna, Sassari-Pisa, ETS-Carlo Delfino, 1994 (ed. riveduta e corretta)
  • FRANCIONI, F., Vespro sardo: dagli esordi della dominazione piemontese all'insurrezione del 28 aprile 1794, Cagliari, Condaghes, 2001
  • BRIGAGLIA, M. - MASTINO, A. - ORTU, G.G., Storia della Sardegna. 2. Dal Settecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2002
  • SEDDA, F., La vera storia della bandiera dei sardi, Cagliari, Condaghes, 2007


aa - ab - af - ak - als - am - an - ang - ar - arc - as - ast - av - ay - az - ba - bar - bat_smg - bcl - be - be_x_old - bg - bh - bi - bm - bn - bo - bpy - br - bs - bug - bxr - ca - cbk_zam - cdo - ce - ceb - ch - cho - chr - chy - co - cr - crh - cs - csb - cu - cv - cy - da - de - diq - dsb - dv - dz - ee - el - eml - en - eo - es - et - eu - ext - fa - ff - fi - fiu_vro - fj - fo - fr - frp - fur - fy - ga - gan - gd - gl - glk - gn - got - gu - gv - ha - hak - haw - he - hi - hif - ho - hr - hsb - ht - hu - hy - hz - ia - id - ie - ig - ii - ik - ilo - io - is - it - iu - ja - jbo - jv - ka - kaa - kab - kg - ki - kj - kk - kl - km - kn - ko - kr - ks - ksh - ku - kv - kw - ky - la - lad - lb - lbe - lg - li - lij - lmo - ln - lo - lt - lv - map_bms - mdf - mg - mh - mi - mk - ml - mn - mo - mr - mt - mus - my - myv - mzn - na - nah - nap - nds - nds_nl - ne - new - ng - nl - nn - no - nov - nrm - nv - ny - oc - om - or - os - pa - pag - pam - pap - pdc - pi - pih - pl - pms - ps - pt - qu - quality - rm - rmy - rn - ro - roa_rup - roa_tara - ru - rw - sa - sah - sc - scn - sco - sd - se - sg - sh - si - simple - sk - sl - sm - sn - so - sr - srn - ss - st - stq - su - sv - sw - szl - ta - te - tet - tg - th - ti - tk - tl - tlh - tn - to - tpi - tr - ts - tt - tum - tw - ty - udm - ug - uk - ur - uz - ve - vec - vi - vls - vo - wa - war - wo - wuu - xal - xh - yi - yo - za - zea - zh - zh_classical - zh_min_nan - zh_yue - zu -