Site Pluto
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Site Pluto è il nome di una installazione militare statunitense situata presso Vicenza, a Longare, in passato destinata all'accumulo di testate nucleari (nuclear stockpile nel gergo militare statunitense).
Il sito è stato costruito a partire dal 1954, sfruttando una rete di grotte carsiche sotterranee che si intersecano nel sottosuolo del vicentino tra Longare e Costozza, ulteriormente ampliate ed allungate.
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[modifica] Le grotte
La rete di gallerie era già stata scoperta in epoca romana, ed era stata paragonata al labirinto di Minosse a Creta per via delle notevoli dimensioni.
Mappate nel 1759 (il disegno è datato 9 maggio) da Giovanni Domenico Dell'Acqua, pubblico perito della città di Vicenza, le cosiddette Grotte di Costozza apparivano come una fitta rete di larghi cunicoli e cavità, stimata già allora in 30 mila metri quadri di superficie.
Dell'Acqua le definì una delle più singolari maraviglie d’Italia. All'interno si trovava uno stagno largo sino a 80 metri. Le grotte venivano usate dai paesani di Longare come centro di aggregazione, e furono usate anche come cava di pietra, venendo sensibilmente ampliate. Durante gli scavi era necessario lasciare intatte pareti di pietra per sostenere la volta, che era fragile e avrebbe rischiato di cedere: questo rese le grotte artificiali tortuose quasi quanto quelle naturali.
Durante la seconda guerra mondiale il regime fascista sfruttò le grotte per installarvi una fabbrica di motori, di proprietà dell'Alfa Romeo, che ospitava tremila operai e produceva propulsori per i mezzi bellici; questo impianto fu possibile per via delle peculiari condizioni climatiche della grotta, che grazie alle correnti dei cunicoli manteneva una temperatura di 12 gradi, costante lungo tutto l'anno. La fabbrica venne in catturata e gestita dai tedeschi dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943.
[modifica] L'apertura di Site Pluto
Quando nel 1955 l’Austria si dichiarò neutrale nella Guerra Fredda, gli Stati Uniti trasferirono i 10.000 soldati di stanza oltralpe in territorio italiano, in gran parte nella base di Vicenza. L'anno successivo la città divenne sede della SETAF, la South European Task Force, composta da due battaglioni di artiglieria equipaggiati tra le altre cose con armi atomiche.
Su richiesta del comando, lo stato italiano espropriò i tre quinti dei possedimenti nei pressi di Longare da cui si dipartivano le grotte, cedendoli agli Stati Uniti: in totale vennero ceduti 30.000 metri quadri di superficie su 50.000 totali.
Questa concessione rientrava probabilmente nell'ambito di un accordo militare stipulato tra USA e Italia il 20 ottobre 1954, il cui contenuto è tuttavia segreto. Il sito era affidato alla 559a Compagnia di Artiglieri, di cui facevano parte la 69a Ordnance Company, che aveva compito di manutenere le testate, e il 28° distaccamento di artiglieria da campo americano cui era affidata l'eventuale difesa.
L'ingresso alle grotte venne chiuso ai civili, e vennero cominciati una serie di lavori di consolidamento e costruzione sotterranea. Alcune gallerie furono prolungate andando a congiungere il nuovo Site Pluto con la base di Tormeno, dove era di stanza il 22° distaccamento di artiglieria da campo americana e la 191a Explosive Ordnance, che aveva l'incarico di intervenire in caso di incidenti nucleari o di minaccia agli ordigni. Site Pluto venne congiunto anche alla base militare interforze di San Rocco di Longare, a poca distanza, che ospitava la difesa missilistica antiaerea.
[modifica] La necessità strategica
La base era pensata come parte della struttura difensiva NATO in caso di invasione dei confini orientali italiani (ad esempio, dal blocco balcanico). In questo scenario, il Friuli, il Venezia-Giulia e il Veneto sarebbero stati campo di scontro tra le forze occidentali e quelle sovietiche.
L'eventuale invasione sarebbe avvenuta tramite carri armati, un elemento dove il blocco occidentale era notevolmente svantaggiato dal punto di vista del numero di unità schierabili.
Il piano NATO prevedeva l'utilizzo di alpini e bersaglieri come forze di interferenza e di arresto dell'avanzata, che avrebbero dovuto far guadagnare tempo sufficiente all'intervento delle armi atomiche statunitense. Le forze in campo non avrebbero avuto possibilità di vittoria, ma avrebbero permesso l'utilizzo di mine nucleari e di artiglieria con proiettili atomici.
Per questo vennero stanziati i reparti di artiglieria statunitense, e vennero effettuati alcuni test di mine nucleari presso il poligono militare di Romano d’Ezzelino.
L'utilizzo di artiglieria avrebbe dovuto sopperire ai divieti riguardanti i missili a lunga gittata, e avrebbe dovuto garantire una cadenza di fuoco con proiettili nucleari estremamente elevata, nell'ordine di un colpo ogni 15 secondi. Le armi in dotazione alla base erano cannoni M-110 e cannoni M-109, che avrebbero dovuto usare rispettivamente proiettili "W-79" (5-10 kilotoni) e W-48 (0,072 kilotoni), poi sostituiti con i W-82 (2 kilotoni). Il raggio utile si aggirava tra i 20 e i 30 km.
Un secondo piano strategico, emanato nel 1958 con la serie dottrinale 600, stabiliva che in caso di invasione da Vicenza si sarebbe bombardato il terreno verso l'invasore tirando anche "negli spazi liberi fra gli elementi della difesa", cosa che avrebbe coinvolto numerose perdite civili. La serie dottrinale 700 (1963) avanzò la linea di bombardamento verso il confine, aumentando il ruolo delle truppe terrestri, mentre la serie 800 del 1971 vincolava l'uso di armi nucleari difensive ad un loro eventuale uso offensivo. Alla fine degli anni settanta venne emanata la serie 900, che riduceva il peso dell'arsenale nucleare in favore di una strategia integrata di truppe terrestri e forze aeree.
L'11 giugno 1989 su Epoca comparve un'inchiesta giornalistica a firma Giulio di Vita, che stimava in una tonnellata il plutonio presente a Vicenza, e faceva notare il rischio di sabotaggi e di incidenti in un'area densamente popolata.
Il 18 giugno 1989 il giornalista di Nuova Vicenza Alessandro Mognon pubblicò un'inchiesta dal titolo Longare, polveriera nucleare, esponendo numerosi fatti relativi al sito finora mantenuti segreti. Nel sito erano presenti non meno di 200 testate nucleari, circa la metà del totale presente in tutte le altre basi italiane.
[modifica] L'armamento
L'armamento della base consisteva in diverse tipologie di ordigni.
[modifica] Mine nucleari
Si trattava di mine terrestri di potenza estremamente variabile, da da 0,1 a 15 kilotoni, e di peso contenuto ad una ventina di kilogrammi. Denominate "ADM" (Atomic Demolition Munition) o SADM (Special Atomic Demolition Munition), potevano essere trasportate da uomini o da paracadutisti, e sarebbero state usate per bloccare il transito nei colli di bottiglia dei passi alpini e sui ponti. L'inchiesta stimava la dotazione in 24 ordigni, che vennero consegnati intorno al 1963.
[modifica] Proiettili nucleari
L'artiglieria avrebbe dovuto usare proiettili da 155 mm armati con testate atomiche a fissione. Furono dislocati nella base almeno 50 proiettili di vario tipo, che vi rimasero almeno fino al 1990, venendo più volte sostituiti con modelli successivi. Alcune di queste testate presenti negli anni cinquanta e sessanta rappresentavano un rischio di sicurezza, in quanto prive dei normali meccanismi contro l'innesco accidentale.
29 altre testate furono messe a disposizione dell'esercito italiano, inizialmente di potenza variabile tra 5 e 40 kilotoni, poi sostituite, con l'aggiornamento dei piani strategici, da altre meno potenti (solo 0,1-1,1 kilotoni).
Era stata prevista anche una dotazione di proiettili dotati di bombe a neutroni, ma non si sa se siano state consegnate prima della chiusura del sito.
[modifica] Missili
60 missili Nike Hercules vennero posti nella base di San Rocco ed affidati all'Aeronautica Militare Italiana, stoccati in postazioni sotterranee. I Nike Hercules erano guidati automaticamente, avevano 110 km di gittata utile, potevano raggiungere Mach 3,65 e 50.000 metri di altezza, portavano una testata da 2 kilotoni in grado di colpire sia aerei che missili.
Oltre a questi missili, vennero posizionati anche 42 MGM-52 Lance, in sostituzione degli originari MGR-1 Honest John. Dotati di testate di potenza estremamente variabile, da 1 a 100 kilotoni, avevano un raggio utile di 125 km e un raggio minimo di 5. Potevano viaggiare a mach 3. Il primo stock venne consegnato nel 1976; tra il 1981 e il 1983 fu realizzata una versione ai neutroni, che però non si sa se fu consegnata a Vicenza o meno. Questi missili erano considerati insicuri, dato che la testata nucleare non era protetta contro incendi o urti accidentali.
[modifica] La chiusura e gli incidenti
Con la fine della guerra fredda l'importanza strategica del sito diminuì, finché il 26 marzo 1992 venne celebrata la cerimonia di chiusura. Il sito venne effettivamente chiuso solo il 15 maggio successivo. Pochi mesi dopo fu chiusa anche la base di San Rocco.
Durante lo smantellamento dell'arsenale furono seguite pratiche contrarie agli standard di sicurezza, trasportando le testate per via aerea nonostante alcune di queste, come i missili Lance, non potessero essere trasportati con questo sistema per via dell'elevato rischio di esplosione derivante dalla mancanza di protezioni contro gli impatti e gli incendi, probabili in caso di incidente aereo.
Solo poche settimane dopo, il 5 giugno 1992 su Nuova Vicenza Mognon pubblicava un articolo dal titolo "Tracce di radioattività a Site Pluto e i militari cementano una galleria – Inviato in segreto dagli Stati Uniti un reparto speciale a Longare", in cui documentava la chiusura di alcune gallerie con del cemento, portato alla base in segreto da alcune betoniere, un metodo di intervento tipico delle fughe di materiale radioattivo: il cemento ferma le particelle alfa e beta, riducendo gli effetti di una contaminazione.
Il 12 luglio 1993 venne predisposta un'indagine ambientale sul tasso di radioattività dell'area, che concluse che i parametri di radioattività rientravano nei limiti previsti dai trattati internazionali.
Lo studio venne contestato, dato che prese in considerazione solo il terreno e l'aria ma non l'acqua, e che non misurò la presenza di particelle alfa. Vennero contestate anche la scelta dei luoghi di prelievo e il fatto che i risultati furono "appiattiti" su tutta l'area, ignorando il fatto che le concentrazioni di materiali pericolosi aumentavano notevolmente nei pressi della base.
Nel 2000 avvenne un secondo incidente, quando i tetti di otto depositi di materiale esplodente collassarono. Le armi furono rimosse, ma non vennero allertate le autorità italiane né fu predisposta l'area di sicurezza con evacuazione delle città confinanti. Il fatto è stato al centro di una interpellanza parlamentare del Senatore Fernando Rossi, il 2 maggio 2007.
Nel 2007 sono cominciati nuovi lavori nel perimetro delle basi di Longare e Tormeno, collegate al sito, che avrebbero il ruolo di consolidare le opere presenti nelle gallerie e di costruire nuovi depositi per armi leggere. Inoltre è stata riattivata la base di San Rocco. A queste si vanno ad aggiungere le basi Ederle e l'aeroporto Dal Molin, che compongono una delle basi operative delle forze NATO in Europa.
[modifica] Conseguenze sugli abitanti
Già nelle inchieste degli anni ottanta si avanzava l'ipotesi di conseguenze per la salute dei cittadini della zona in seguito alla presenza di materiale nucleare.
Nel 2002 il "Distretto Socio Sanitario Sud-Est" ha realizzato uno studio epidemiologico dal titolo “Mortalità per tumore nei Distretti Socio Sanitari dell’U.L.S.S. N. 6 e nei Comuni del Distretto Socio Sanitario Sud-Est – Decennio 1990-1999 (Dott.ssa Verena Jauch, agosto 2002)
Stando allo studio, la mortalità per tumore nel periodo seguente il presunto incidente è aumentata del 18,2%, soprattutto riguardo a leucemia e mieloma (+25%).
[modifica] Bibliografia
- Dossier "Site Pluto: ieri, oggi, domani"
- Interrogazione parlamentare del 28 giugno 2007
- Mortalità per tumore nei Distretti Socio Sanitari dell’U.L.S.S. N. 6 e nei Comuni del Distretto Socio Sanitario Sud-Est – Decennio 1990-1999, Dott. Verena Jauch, agosto 2002, USL n. 8