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Santa Irene di Tessalonica - Wikipedia

Santa Irene di Tessalonica

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Santa Irene di Tessalonica
Dipinto raffigurante Agape, Chionia e Irene
Dipinto raffigurante Agape, Chionia e Irene
Nascita  ?
Morte 304
Venerato da Chiesa cattolica, Chiesa cristiana ortodossa
Beatificazione {{{beatificazione}}}
Canonizzazione pre-canonizzazione
Santuario principale
Ricorrenza 5 aprile
Attributi
Patrono di Trentinara
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Irene visse a cavallo tra il III ed il IV secolo ad Aquileia, ma è stata tramandata come santa di Tessalonica, in quanto in questa città (oggi meglio nota come Salonicco) fu martirizzata.

Quasi sicuramente la devozione verso i santi martiri, quali santa Irene di Tessalonica, san Demetrio, santa Chionia ecc., fu importata nel sud dell'Italia durante il dominio bizantino.

Quello di Irene in realtà non era un culto molto importante rispetto a quello di altri santi (ad es. san Demetrio), in quanto insieme con ella furono innumerevoli i martiri di quel periodo, specialmente nella città di Tessalonica, uno dei primi e dei più importanti centri di diffusione del Cristianesimo; tuttavia Irene, insieme alle due sorelle Agape e Chionia (o Chione), oggi è annoverata tra i primissimi personaggi che sacrificarono la vita per amore di Dio.

Indice

[modifica] I documenti riguardanti santa Irene di Tessalonica

I cristiani che, durante il periodo delle persecuzioni di Diocleziano, erano imprigionati, prima di essere condannati al martirio dovevano subire un processo. Durante il suo svolgimento, un compilatore prendeva nota di tutto ciò che avveniva durante le varie sedute, riportando fedelmente i gesti ed i dialoghi che avvenivano tra i vari personaggi; tutti questi verbali (quelli tessalonicesi erano detti upomnhmata, che si legge ypomnemata ) erano conservati negli archivi proconsolari della città in cui il processo si svolgeva.

A Pio Franchi de' Cavalieri spetta il merito di aver scoperto la redazione autentica dei documenti processuali di Agape, Chionia ed Irene, e di averne preparato un'edizione nel 1902, corredandola di preziose note critiche; ancora oggi questo è il solo ed unico documento primitivo ed autentico che ci testimonia la vita delle tre sorelle. Tale rinvenimento ha permesso di correggere diversi errori, e di colmare molte lacune negli scritti custoditi dalla Chiesa che narrano la vita delle sante martiri.

Il compilatore che ha redatto questi verbali doveva certamente essere tessalonicese: si capisce dalle parole di elogio per la città e dallo stile della narrazione. Egli è stato molto scrupoloso nella compilazione degli atti: da un'attenta analisi del testo è possibile comprendere quanto egli sia stato fedele alle vicende che si svolsero durante il processo, e la sua intenzione di non voler assolutamente falsare la realtà agli occhi del lettore. È tuttavia noto che gli upomnhmata in alcuni casi fossero accessibili al pubblico: così dovette essere di quelli di Agape, Chionia ed Irene; alcuni abitanti di Tessalonica poterono averli, forse in cambio di denaro.

Quest'ipotesi trova conferma analizzando lo stile della parte finale del documento: essa, infatti, narra in modo semplice, ed allo stesso tempo e ricco di enfasi, tutti i patimenti che l'ultima delle tre martiri dovette subire, e gli ultimi istanti della sua vita. Tutto ciò contrasta nettamente con il linguaggio schematico e procedurale della parte iniziale: sicuramente, quindi, questi documenti sono stati modificati nel tempo, non per quel che riguarda il loro contenuto, che dovrebbe essere autentico (dato che lo svolgimento dei fatti è simile a quello narrato in molti altri documenti processuali dell'epoca) ma per quanto concerne lo "stile" della narrazione.

Tale supposizione è confermata dall'analisi di Giuliana Lanata; nelle sue note, ella afferma che il processo contro le sorelle Agape, Irene e Chionia occupò diverse sedute. I verbali riguardanti questi interrogatori furono successivamente collegati tra loro, in modo da costituire un unico racconto, da un agiografo che inoltre ha premesso agli atti un prologo generale, ha inserito in un ambiente narrativo di dubbia attendibilità il verbale (o parte di esso) dell'ultima seduta riguardante Irene, ed ha raccontato in un breve epilogo la fine di Irene, e comunicato la data della sentenza e della sua esecuzione: il 1 aprile del 304.

Le note della Lanata confermano inoltre l'autenticità dei fatti narrati in questi documenti, alla luce di quelle che erano le leggi in vigore in quel periodo, dello svolgimento di molti altri processi simili, di quanto prescritto dall'editto imperiale; ella ostenta soltanto alcune perplessità per quanto riguarda l'ultima parte del documento, non tanto dal punto di vista del contenuto, quanto per quel che riguarda lo stile narrativo che gli è stato impresso in seguito.

Ai Tessalonicesi doveva interessare molto il ricordo delle tre sorelle, e di queste custodirono gelosamente gli atti; negli archivi proconsolari della città si trovavano forse anche le memorie della condanna di Eutichia, Filippa, Cassia ed Agatone, nominati soltanto nel primo interrogatorio: ma questi, forse perché non erano di condizione agiata (al contrario delle tre sorelle) o forse non essendo ancora neppure di Tessalonica, non destarono altrettanta attenzione.

[modifica] Martirio

Non è possibile, dunque, ricostruire l’intera vita di santa Irene; tuttavia, dalla documentazione originale, si possono dedurre alcuni elementi che ci indicano alcune caratteristiche di questo personaggio, ed alcune vicende della sua vita. Quella che segue è una raccolta di notizie riguardanti la santa martire: sono tutte state tratte da diverse fonti, alcune delle quali di dubbia attendibilità. Nel tentativo di fornire un documento completo ed esauriente, è stata fatta una nota distinzione tra le informazioni autentiche e quelle di cui non è provata la veridicità.

Irene era la più giovane di tre sorelle; le altre due erano Agape e Chionia. Secondo quanto riportato dal vescovo veronese Luigi Lippomanno[1], che ha redatto una delle più attendibili versioni delle tre martiri, questi non erano i loro nomi originali: divenute cristiane furono battezzate e gli furono attribuiti i nomi di Agape, che richiama l’idea di amore e di carità (hoc nomine enim Greci caritatem appellantur…)[1][2], la stessa predicata da Paolo di Tarso durante i suoi viaggi; Chionia, che in greco significa neve, a ricordo della purezza (…a nive nomen accipit: Chionia enim dicebatur…)[1][3]; Irene, che simboleggia la pace (… Dominum dixit pacem meam do vobis: Irenem ab omnibus vocabutur, a pace nomen accipiens…)…)[1][4] Esse vivevano ad Aquileia ed erano figlie di genitori pagani. Oltre che ornate di virtù, le tre sorelle dovevano essere anche molto ricche e di nobili origini, come ci è fatto notare dal Borghezio “…fra i primi imprigionati, tostoché si conobbe l’editto, furono le tre sorelle, il che difficilmente sarebbe avvenuto se fossero state di condizione umile ed oscura…” [5].

Agape, Chionia e Irene furono sempre additate come modello di santità, da parte degli altri fedeli; alla giovanissima Irene furono addirittura affidati i Libri Sacri contenenti la parola di Dio, ed ella fu sempre una custode affezionata e scrupolosa: li depose dentro delle cassette e li posò insieme ai tanti scrigni che racchiudevano i suoi innumerevoli gioielli.

Nel febbraio del 303 l’imperatore, con il primo editto di Nicomedia, ordinò la distruzione di tutti i libri sacri. Le tre sorelle non tradirono la loro fede: abbandonarono la loro casa e le loro famiglie e si rifugiarono in montagna, dove, trascorsero un breve periodo pregando e soffrendo per i mali che il Cristianesimo stava patendo. Molto interessante è il dialogo a proposito del loro esilio, tra Dulcezio e Irene durante il processo:

“Il governatore disse: - L’anno scorso, quando fu diffuso per la prima volta tale ordine dei nostri signori, gli imperatori e Cesari, dove vi nascondeste?- Irene disse – Dove ha voluto Dio, sui monti, Dio lo vede a cielo scoperto – Il governatore disse: - In casa di chi eravate ? Irene disse: - Vivevamo allo scoperto, ora su un monte, ora su un altro – Il governatore disse: - Chi vi forniva pane ? – Irene disse: - Dio, che lo fornisce a tutti – Il governatore disse: - Vostro padre, ne era informato ?- Irene disse: - Giuro per Dio Onnipotente che non ne era informato – [6]

Questa testimonianza era senz’altro indice di quella grande fede che sempre ha guidato il loro modo di agire, ma sicuramente fu anche un buon modo per non rivelare i nomi di chi, in quel periodo, badò al sostentamento di tutti quei Cristiani che, come loro, si erano rifugiati sui monti per fuggire alle persecuzioni.

Poco tempo dopo quando il pericolo sembrava ormai scampato, ritornarono in città.

Non sono chiare le motivazioni che spinsero le sante a trasferirsi a Tessalonica e le circostanze entro le quali esse furono catturate; esistono molte versioni dei fatti, nessuna delle quali è da ritenersi attendibile, dato che non sono documentate in alcun modo. Henschenius[7] nella sua narrazione inserisce a questo punto quelle che, in seguito, sono addirittura definite dal Borghezio “…circostanze del racconto che sanno ridicolmente della favola…”[5]: una notte san Crisogino, (martire morto poco tempo prima) apparve in sogno al Presbitero di Aquileia, Zoilio, e gli annunciò che entro nove giorni le tre sorelle sarebbero state catturate. Di li a poco, anche Zoilio sarebbe stato arrestato e condannato a morte; preoccupato per la sorte delle tre sante, le fece trasferire a Tessalonica,dove possedevano un’altre casa, e le affidò a santa Anastasia. In questa città, in cui contavano migliaia di fedeli, avrebbero certamente trovato un rifugio migliore, in quanto, essendo meno conosciute, si sarebbero certamente mischiate tra la grande folla dei Cristiani. Le cure scrupolose di Zoilio e l’affetto di santa Anastasia furono però del tutto inutili: Irene, Agape e Chionia furono scoperte in poco tempo e rinchiuse in carcere. Tutti questi aneddoti sono ovviamente stati introdotti a causa dell’impossibilità, da parte dell’autore, di giustificare lo spostamento che le tre martiri avevano compiuto da Aquileia alla lontana Grecia; in ogni caso sta di fatto che nel 304 Agape, Chionia e Irene si trovavano a Tessalonica, e qui furono imprigionate in seguito al quarto editto imperiale. Sicuramente le tre sorelle possedevano effettivamente una casa in quella città: questo è deducibile direttamente dal dialogo tra Dulcezio (governatore e presidente del tribunale) ed Irene; inoltre sarebbe stato molto difficile per lei nascondere i propri scrigni se quella casa non fosse stata sua; infine il padrone della casa sarebbe stato senz’altro chiamato a testimoniare durante il processo. è inoltre certo che le tre martiri siano state catturate nella città di Tessalonica, al contrario di quanto sostengono altre versioni dei fatti, e che questa volta non abbiano tentato (o forse non abbiano fatto in tempo) di rifugiarsi in collina. Per qualche tempo dopo la loro morte, infatti, vi fu tra il popolo Tessalonicese la credenza che esse siano invece state trovate su un’altura vicino alla città, presso la quale si erano nascoste; del resto molti altri cristiani, in quel periodo furono catturati nei loro rifugi montani ed imprigionati. A distanza di poche decine di anni, in Tessalonica, vi era ancora un colle, il Monte dei Martiri, sul quale, secondo la tradizione, Agape, Chionia ed Irene avevano sofferto, e dove Irene, cantando e lodando Dio, era salita sulla catasta; ma i documenti autentici dimostrano la non veridicità di questa credenza popolare.

Era la prima metà di Marzo del 304; le tre sante sorelle furono presentate davanti a Dulcezio, governatore di Tessalonica e presidente del tribunale,insieme ad altri cristiani: Agatone, Eutichia, Cassia e Filippa. L’accusa mossa contro di loro era di non aver rispettato l’editto di Nicomedia, sottoscritto dall’imperatore Diocleziano; esso ordinava a tutti i cittadini romani di cibarsi delle carni che erano state offerte in sacrificio agli dei. Secondo quanto ci lascia intendere il Franchi de’ Cavalieri, insieme al cibo “turificato“ erano prescritte anche libagioni: “Domini nostri imperatores praecipiunt ut sacrificetis… vinumque bibetis coram Jove isto…” [8]. Tutti gli accusatori furono allora spinti a compiere il loro atto di devozione verso gli dei romani ed invitati dal presidente a mangiare le carni delle bestie immolate agli dei, ma essi persistettero nel loro rifiuto. Le risposte che le tre sante diedero al governatore Dulcezio furono molto decise:

…Dulcezio disse – Tu, Agape, che cosa dici? Agape disse – Credo nel Dio vivente e non voglio perdere la mia coscienza Il governatore Dulcezio disse – Tu che dici Irene? Perché non hai ubbidito al comando dei nostri signori imperatori e Cesari? Irene disse – Per timore di Dio Il governatore disse – Tu, Chionia, che dici ? Chionia disse – Credo nel Dio vivente e non faccio questo. […..] E aggiunse – Tu, Agape, che dici? Vuoi fare tutto quello che noi, persone pie, facciamo per i nostri signori imperatori e Cesari? Agape disse – Questo non è facile per Satana, egli non piega il mio ragionamento; il nostro ragionamento è invincibile. Il governatore disse – Tu, Chionia che dici? Chionia disse – nessuno può far cambiare il nostro ragionamento.[9]

Segue un breve interrogatorio in cui Chionia nega che presso di loro vi siano scritti, pergamene o libri appartenenti ai cristiani. Quindi le ultime battute del dialogo:

Il governatore disse: - Chi vi ha dato questa convinzione? Chionia disse – Dio onnipotente. Il governatore disse: - chi sono quelli che vi hanno consigliato di accedere a questa follia? Chionia disse: - Dio onnipotente e il suo figlio unigenito, il nostro Signore Gesù.[10]

Allora Dulcezio, visto l’ostinato rifiuto da parte degli accusati di rinunciare alla loro fede cristiana, scrisse e pronunciò la sua prima terribile sentenza:

“E lesse la sentenza scritta da un foglio: - poiché Agape e Chionia, con animo ribelle, hanno nutrito opinioni contrarie al divino decreto dei nostri Signori Augusti e Cesari, ed inoltre venerano il culto dei cristiani, vano, antiquato ed odioso a tutte le persone pie, ho ordinato che siano messe al rogo. Ed aggiunse: Agatone. Irene, Cassia, Filippa ed Eutichia [11] , a causa della giovane età, per il momento saranno gettati in carcere.“ [12]


Alcuni panegirici riportano che le due sante, salite sulla pira, affidarono le loro anime al Signore; Dio, commosso dalle loro estreme e disperate invocazioni, non volle far patire loro ulteriori pene rispetto a quelle che avevano già sofferto: questo era il desiderio che esse avevano espresso durante la loro ultima preghiera. Le fiamme uccisero Chionia e Agape, ma lasciarono miracolosamente intatti i loro corpi e le loro vesti. Anche questo aneddoto è ovviamente un piccolo “ricamo” aggiunto dalla tradizione alla realtà dei fatti: in nessun documento autentico, infatti, è possibile trovare traccia di questo evento.

Passati alcuni giorni, furono rinvenuti gli scrigni appartenenti ad Irene contenenti i Testi Sacri, i quali, sempre secondo il quarto editto imperiale, dovevano essere stati distrutti; la santa fu allora nuovamente condotta di fronte a Dulcezio, il quale la sottopose ad un lungo ed estenuante interrogatorio. I documenti processuali, in realtà, riportano che tale interrogatorio si è svolto il giorno seguente; questo però non era possibile perché, tenendo conto delle procedure che in quel periodo erano seguite, prima doveva esserci stata almeno una seduta in cui gli scritti rinvenuti furono presentati per il riconoscimento. Irene non ebbe alcun timore ad affrontare la durezza del presidente, che la invitò nuovamente ad obbedire all’editto imperiale. Irene, nonostante avesse assistito alla condanna delle sue sorelle maggiori, e pur sapendo che se avesse obbedito sarebbe stata scagionata, rispose:

“No, non posso farlo a causa di Dio onnipotente che ha creato il cielo e la terra e i mari e tutto ciò che sta in essi: grande infatti è la punizione del tormento eterno per coloro che trasgrediscono il verbo di Dio. “ [13]

Quindi il governatore iniziò ad interrogarla sugli scritti che erano stati ritrovati in casa sua, e le pose anche alcune domande riguardanti il periodo in cui le tre sorelle si rifugiarono sui monti. Dulcezio domandò poi se qualcun altro avesse avuto modo di leggere quegli scritti o se qualcuno di loro avesse insegnato al alcuno il loro contenuto. Irene rispose:

“Stavano in casa nostra e non osavamo portarli fuori.” [14]

Poi quasi con aria di sfida aggiunse:

“Perciò per il resto del tempo eravamo in grande afflizione, perché non potevamo consacrarci ad esse giorno e notte, come facevamo appunto all’inizio, fino al giorno in cui, l’anno scorso, li nascondemmo.”[15]

Come evidenziato nelle note critiche di Lanata, il lungo susseguirsi di domande, che col tempo diventano sempre più pressanti, da parte del presidente era volto soprattutto ad appurare eventuali complicità; Irene, tuttavia, nelle sue risposte, riesce a non dare il minimo accenno ad eventuali persone che possano esserle state d’aiuto.

Dulcezio emise allora una seconda sentenza contro di essa:

“Le tue sorelle, conformemente all’ordine impartito, furono bruciate vive secondo la sentenza. Quanto a te, perché sei stata colpevole anche in precedenza , sia per la fuga, sia per aver nascosto questi scritti e queste pergamene, io ordino che tu non sia affatto privata della vita alla stessa maniera, ma ordino che, mediante la costrizione degli agoranomoi di questa città e dello schiavo pubblico Zosimo, tu sia esposta nuda in un bordello, ricevendo dal palazzo del governatore un unico pane al giorno; e gli agoranomoi[16]non permetteranno che tu ti allontani.” [17]

Il presidente fece allora requisire tutti i cofanetti di gioielli di Irene, e bruciare gli scritti. Sempre secondo la Lanata, più che una condanna definitiva, questa voleva essere una sorta di violenta intimidazione, forse a farle rispettare l’editto di Diocleziano, o forse a confessare i nomi dei suoi complici

Irene rimase nel lupanare[18] per qualche giorno, ma, evento straordinario e che ha dell’incredibile, nonostante la sua giovane età e la sua avvenenza.

“…per la grazia dello Spirito Santo che la proteggeva e la conservava pura per il Dio Signore di tutte le cose, nessuno osò avvicinarla, o anche arrivare a rivolgerle una parola ingiuriosa…” [19]

Allora Dulcezio fece richiamare di nuovo la santa al suo cospetto, ed assiso pro tribunalidisse:

“… Persisti sempre nella tua follia? Irene disse: - non è follia ma pietà. [20]

Il governatore, emise, quindi la sua ultima e definitiva sentenza contro Irene:

“… Poiché Irene non ha voluto ubbidire all’ordine degli imperatori e sacrificare, e per di più venera una setta detta cristiana, per questo motivo, come anche in precedenza le sue sorelle, ho ordinato che anch’essa sia bruciata viva…” [21]

Era il primo aprile del 304 santa Irene arrivò sul luogo del supplizio, pregando: salì da sola sulla catasta di legname ardente, e, mentre cantava salmi ed inni al Signore, consumò il proprio atroce martirio.

[modifica] Culto

La santa è venerata sia dalle Chiese ortodosse orientali che dalla Chiesa cattolica, che la ricordano il 5 aprile.

[modifica] Collegamenti esterni

[modifica] Note

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  1. ^ a b c d Luigi Lippomanno, De probatis sanctorum historiis, partim ex tomis Aloysii Lipomani, doctissimi episcopi, partim etiam ex egregis manuscriptis codicibus, quarum per multae ante hac numquam in luce propiere, nunc recens optima fide collectis per F. Laurentium Surium Carthusianum, tomo II (complectens sanctos mensium Martii et Aprilis), Verona 1571
  2. ^ trad let.: "...con questo nome, infatti, i Greci chiamano la Carità"
  3. ^ trad let.: "...prese il nome dalla neve: infatti fu chiamata Chionia"
  4. ^ trad let.: "...il Signore disse vi do la mia pace: fu chiamata da tutti Irene, prendendo il nome della pace..."
  5. ^ a b Gino Borghezio, Appunti per l'Esegesi critica del martirio di Agape, Chione ed Irene (tratto dal Didaskaleion: studi filologici di letteratura Cristiana Antica)
  6. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  7. ^ Goffredo Henschenius (n. 21 gennaio 1600) pubblicò con altri autori i mesi di Gennaio, Febbraio, Marzo ed Aprile dell'opera Vitae Sanctorum.
  8. ^ trad. let. "i nostri signori imperatori comandano affinché compiate sacrifici... e beviate vino innanzi a Giove stesso" (Pio Franchi de' Cavalieri: il martirio di Guria e Samona, ediz. Rahmani, p. 6).
  9. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  10. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  11. ^ Forse più che per la giovane età, Eutichia fu risparmiata in quanto era incinta..
  12. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  13. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  14. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  15. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  16. ^ Erano dei funzionari che avevano soprattutto il compito di vegliare sui prezzi e sul regolare funzionamento del mercato; ad essi talvolta potevano essere affidati (come in questo caso) compiti vari inerenti l'ordine pubblico.
  17. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  18. ^ Il Lupanare era appunto il bordello pubblioc: probabilmente quello di Tessalonica era prospiciente o addirittura adiacente all'agora.
  19. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  20. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.
  21. ^ Tratto e liberamente tradotto dagli atti processuali originali.


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