Sacco di Roma (390 a.C.)
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Il sacco di Roma del 390 a.C. da parte dei Galli Senoni guidati da Brenno è uno degli episodi più traumatici della storia di Roma, tanto da essere riportata negli annali con il nome di Clades Gallica, ossia catastrofe gallica. Ne danno testimonianza Polibio (II, 18, 2), Livio (V, 35-55), Diodoro Siculo (XIV, 113-117) e Plutarco (Camillo, 15, 32).
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[modifica] Eventi storici
Il tentativo romano di fermare i Galli a sole undici miglia da Roma, presso la confluenza nel Tevere del fiume Allia (da identificare con il Fosso della Bettina o della Regina – il Fosso Maestro o della Marcigliana), un corso d'acqua situato al 18º km della via Salaria, si risolse in una tragica sconfitta delle truppe romane.
Il giorno dell'amara sconfitta, il dies Alliensis (18 luglio), divenne sinonimo di sciagura e fu registrato nei calendari imperiali come dies nefastus (da dies: giorno e nefastus ovvero "non lecito" quindi uno di quei giorni in cui non era consentito fare alcune cose come ad esempio seminare, partire per un viaggio ecc.).
I superstiti, incalzati dai Galli, si ritirarono in ordine sparso entro le mura di Roma, dimenticando di chiudere le porte – secondo lo storico Livio – ma, molto più probabilmente, non riuscendo ad impedire il crollo delle mura dopo un assedio da parte dei Galli. I Galli misero a ferro e fuoco l'intera città, ivi incluso l'archivio di stato, cosicché tutti gli avvenimenti antecedenti la battaglia risultano in gran parte leggendari e di difficile ricostruzione storica. L'irruzione dei Galli in Senato vide i senatori seduti composti sui propri scranni: vennero tutti barbaramente massacrati. I Romani rimanenti si rinchiusero sul Campidoglio, un colle pesantemente fortificato, ma anche questo venne assediato dai Galli. La leggenda narra che le sacre oche del tempio della dea Giunone avvisarono del tentativo di sortita da parte dei Galli assedianti il romano Marco Manlio, facendo così fallire il piano dei Galli. In realtà, sembra accertato che si venne ad un accordo tra i Romani oramai allo stremo per la fame ed i Galli colpiti da un'improvvisa epidemia. I Galli sarebbero ripartiti senza arrecare ulteriori distruzioni in cambio di un riscatto pari a 1.000 libre d'oro puro. In questo contesto si sarebbero verificati i famosi episodi della bilancia truccata da parte dei Galli per ottenere più oro con Brenno che fa pesare anche la sua spada in segno di spregio, urlando: "Vae victis!" ("Guai ai vinti!"), e del provvidenziale arrivo del conquistatore di Veio, Marco Furio Camillo, che al grido: «Non con l'oro si difende l'onore della patria, bensì col ferro delle armi!» avrebbe fatto fuggire i Galli senza il bottino. In realtà, i Galli (che sembra piuttosto si siano ritirati per fronteggiare degli attacchi di altri popoli italici) con tutta probabilità portarono via il bottino di guerra.
[modifica] Conseguenze politiche
Roma era stata rasa praticamente al suolo e la Lega Latina era pressoché in frantumi: la fortuna per la città era stata di aver espugnato Veio qualche anno prima della calata dei Galli, altrimenti difficilmente sarebbe divenuta la futura Caput mundi. Ma il suo prestigio era definitivamente compromesso ed i Latini precedentemente soggiogati avevano rialzato la testa.
Nel contempo, i Galli avevano inferto un colpo ancor più letale all'Etruria che teneva la giovane repubblica romana sotto custodia: era stata devastata dai Galli di Brenno Chiusi, il cui lucumone, Porsenna, aveva imposto la libertà condizionata a Roma circa 120 anni prima, e che ora era impossibilitata a vincolarla nuovamente. Chiusi aveva imposto l'abbattimento delle mura a Roma e la mancanza di mura aveva posto la città alla mercé dei Galli. Ma ora Roma poteva aver mano libera nel regolare definitivamente i conti con l'Etruria, il che puntualmente si verificò nel corso dei successivi 130 anni.
[modifica] Conseguenze sociali
Roma ne usciva con un'economia a pezzi e con le riserve auree depauperate. La plebe poteva ora imporre leggi a proprio vantaggio nei confronti dell'oligarchia senatoria da sempre al potere.
I sette colli furono circondati da una potente cinta muraria (le cosiddette "Mura Serviane", in quanto erroneamente ritenute erette dal penultimo re, Servio Tullio) e l'opera fu terminata nel giro di 12 anni (378 a.C.). Nel contempo si stabilì quasi sicuramente un piano di ricostruzione ed uno spirito di collaborazione reciproca tra plebe e classe senatoria. Tali mura resistettero anche al tentativo di assedio da parte di Annibale nel 215 a.C., durante il corso della seconda guerra punica ("Hannibal ante portas") e la fusione delle classi sociali dell'Urbe divenne nota coll'acronimo S.P.Q.R.
[modifica] Conseguenze militari
Fu forgiato l'esercito romano che darà a Roma il monopolio su tutto il Mediterraneo negli anni a venire: le armi e gli elmetti di bronzo vennero sostituiti con quelli d'acciaio e così pure avvenne per gli scudi. Gli scudi da tondi, divennero rettangolari e convessi all'esterno. Fu introdotto il più maneggevole e corto gladium al posto della pesante e lunga spada. Fu introdotto un giavellotto molto potente, il pilum che, tra l'altro, si spezzava una volta che aveva o meno colpito il bersaglio dopo il primo lancio, il che lo rendeva inuttilizzabile in caso di raccolta da parte del nemico.
Anche lo schema della legione venne modificato in senso di maggior leggerezza, manovrabilità, velocità. Venne creata su tre linee poste una dietro all'altra: la più avanzata composta da Hastati (meno esperti), la mediana composta dai Principes e la terza e più arretrata che impediva gli accerchiamenti, composta dai Triarii (i veterani). La cavalleria venne disposta ai lati dello schieramento di fanteria - legione. Questo esercito si getterà alla conquista del mondo portando Roma, al tempo dell'imperatore Traiano, nel 117 d.C. a dominare un territorio di oltre 8 milioni di chilometri quadrati, dal Kuwait alla Scozia. Per ottocento anni esatti, la città di Roma non conoscerà altri saccheggi: soltanto due volte, durante il canto del cigno dell'impero, prima della sua definitiva caduta, verrà saccheggiata: il 24 agosto 410 d.C. dai Visigoti di Alarico ed il 28-31 maggio 455 d.C. dai Vandali di Genserico.