Marco Celio Rufo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Marco Celio Rufo, (82 a.C. - Turi 48 a.C.) di famiglia plebea, fu oratore e politico nell'ultimo periodo della Repubblica Romana.

[modifica] Biografia

Il giovane Celio fu allievo, ed in seguito amico, di Cicerone, che lo ebbe anche come assistente e che probabilmente lo voleva avviare alla politica di avvocato. Celio decise invece di sfruttare la propria abilità oratoria per participare alla tumultuosa vita politica romana.

Iniziò a farsi notare nel 59 a.C. quando, ancora molto giovane, su indicazione di Cesare e di Pompeo, accusò di concussione e di lesa maestà Gaio Antonio Ibrida, che era appena rientrato a Roma dalla Macedonia, provincia che aveva governato come proconsole dal 62 a.C. al 61a.C..

Lo ritroviamo come amante di Clodia, la tanto amata Lesbia che lo preferiva a Catullo; questo non gli impedì di tentare di avvelenare la donna per impadronirsi dei suoi averi; processato nel 56 a.C., fu difeso da Cicerone, che con la sua orazione, trascritta nella celebre Pro Caelio, riuscì a scagionarlo, gettando nel discredito la sua amante.

Rufo iniziò la sua carriera politica come tribuno della plebe nel 52 a.C., luogotenente di Cesare l'anno seguente, edile nel 50 a.C. e pretore nel 48 a.C.. Come pretore, perché lui stesso era in difficoltà finanziarie, propose una legge che prorogava di sei anni, senza interessi, il pagamento dei debiti. Questa proposta fu osteggiata dal console di quell'anno Servilio oltre che da altri magistrati. Celio non si perse d'animo e propose altre due leggi che intendevano favorire i debitori: la prima condonava un anno di pigione agli affittuari e la seconda proponeva la completa remissione dei debiti.

Anche questa proposta trovò l'opposizione del Senato, al seguito della quale numerosi tumulti scoppiarono a Roma. A questo punto il Senato, a seguito di una relazione di Servilio ma probabilmente anche su indicazione dello stesso Cesare, con un senatoconsulto destituì dai suoi poteri di pretore Celio, oltre a vietargli l'ingresso in Senato. Celio reagì tentando di arringare la folla dai rostri nel Foro, da dove però fu cacciato per ordine del console Servilio.

Sconfitto ed umiliato nella sua città, Celio, convando propositi di rivalsa, tentò di raggiungere Annio Milone, che in Campania stava organizzando una sollevazione anti cesariana formando delle legioni con schiere di ex gladiatori. Non riuscendo ad unirsi a Milone, si recò quindi in Calabria a Turi con il proposito di sobillare la popolazione locale; qui invece trovò la sua morte, per opera di cavalieri galli e spagnoli di Cesare.