Kali
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Presso la religione induista, Kali (sanscrito Kālī, in Devanagari काली) rappresenta l'aspetto guerriero di Parvati, la consorte di Śiva, una divinità dalla storia lunga e complessa. Nonostante sia grossolanamente identificata come simbolo di oscurità e violenza, si tratta di una deità benefica e terrifica al tempo stesso, dalla carnagione scura e numerosi attributi dal profondo significato simbolico. Le quattro braccia reggono strumenti di distruzione e purificazione; al collo indossa una collana fatta con i teschi di Asura (demoni).
È conosciuta anche come Devi (la dea) e Mahadevi (la grande dea) e assume aspetti diversi: Sati (la donna virtuosa), Jaganmata (la madre del mondo), Durga (l'inaccessibile).
Inviata sulla Terra per sgominare un gruppo di demoni iniziò ad uccidere anche gli esseri umani. Per fermarla Śiva si distese fra i cadaveri; quando la dea si accorse che stava per calpestare il proprio marito, interruppe la sua furia.
La città di Calcutta deve il suo nome al termine Kalighat (i gradini di Kalì) che servono ai fedeli per scendere al Gange.
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[modifica] Etimologia
Kali è il genere femminile della parola sanscrita kala che significa tempo ma anche nero. Per questo motivo il suo nome è stato più volte tradotto come Colei che è il tempo o colei che consuma il tempo o la Madre del tempo e infine colei che è nera. L'associazione al colore nero della dea è in contrasto con suo marito Shiva, il cui corpo è ricoperto di cenere bianca (in sanscrito śmaśan).
[modifica] Origini
Kali appare per la prima volta nel Rig Veda non in qualità di divinità ma come lingua nera delle sette lingue fiammeggianti di Agni, il dio del fuoco. Tuttavia, un prototipo della dea, intesa come divinità femminile, appare con il nome di Raatri che è considerata anche il prototipo della dea Durga.
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- Wikimedia Commons contiene file multimediali su Kali
[modifica] Bibliografia
- Anthony S. Mercatante. Dizionario universale dei miti e delle leggende. Roma, Newton Compton editori, 2001. ISBN 88-8289-491-6
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