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Incidente del Laconia - Wikipedia

Incidente del Laconia

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Il Laconia (I) varato nel 1911. La versione (II) varata nel 1921 e affondata da Hartenstein presentava un solo fumaiolo
Il Laconia (I) varato nel 1911. La versione (II) varata nel 1921 e affondata da Hartenstein presentava un solo fumaiolo

Nel corso della Seconda guerra mondiale, al largo delle coste africane occidentali, verso la fine dell'estate del 1942, si consumò una delle tragedie più toccanti del conflitto, che ancor'oggi rimane oggetto di disputa tra nazioni. Gli Alleati la definirono "incidente del Laconia", le forze dell'Asse la "tragedia del Laconia"; quello che è certo è che l'affondamento del transatlantico Laconia resta, soprattutto per gli italiani, una delle pagine di storia più tristi che siano mai state vissute da uomini di mare.

[modifica] Storia

La notte del 12 settembre del 1942, nei pressi dell'isola di Ascensione (vedi mappa), un U-boot tedesco (l'U-156 al comando del tenente di vascello Werner Hartenstein (Plauen, Germania, 27 febbraio 1908Oceano Atlantico, 8 marzo 1943)) inquadrò e colpì il Laconia.

Il Laconia (II) era un transatlantico del 1921 convertito dagli inglesi in mercantile armato per il trasporto delle truppe.

La notte del 12 settembre, navigando a luci spente e zigzagando come di routine per evitare gli attacchi dei sommergibili nemici che pattugliavano tutti i settori dell'Atlantico, trasportava, diretti alla volta dell'Inghilterra, 463 ufficiali e uomini di equipaggio; 286 passeggeri militari inglesi; 1.800 prigionieri di guerra italiani; 103 guardie polacche e 80 tra donne e bambini.

Dopo essere stato centrato da due siluri, il Laconia affondò in circa due ore.

Il luogo della tragedia
Mappa dell'Africa

Una volta emerso, l'U-boot tedesco si avvicinò ai naufraghi per fare prigionieri gli ufficiali più alti in grado, ma l'equipaggio si rese subito conto che tra i naufraghi vi erano numerosi soldati italiani.

Immediatamente la notizia venne trasmessa al comando navale tedesco (B.d.U.) ove l'ammiraglio Karl Dönitz (Berlino, 16 settembre 1891Amburgo, 24 dicembre 1980) in persona diede l'ordine di salvare i naufraghi, ordinando allo stesso tempo ad altre unità navali, tedesche ed italiane, di fare rotta verso il luogo del disastro.

Dai primi racconti dei naufraghi italiani emerse subito una realtà inquietante.
Dal giornale di bordo del comandante Hartenstein: «00 h 7722 – SO. 3. 4. Visibilità media. Mare calmo. Cielo molto nuvoloso. Secondo le informazioni degli italiani, gli inglesi, dopo esser stati silurati, hanno chiuso le stive dove si trovavano i prigionieri. Hanno respinto con armi coloro che tentavano di raggiungere le lance di salvataggio…».

Col passare delle ore, la tragicità degli eventi può essere percepita dalle azioni che il comandante Hartenstein intraprese: dapprima egli inviò un messaggio alla B.d.U chiedendo la "neutralizzazione diplomatica" del luogo dell'affondamento; in seguito lanciò un'invocazione d'aiuto in lingua inglese sulle frequenze radio utilizzate dalla Royal Navy.

Gli inglesi ignorarono però questo messaggio temendo un'imboscata.

Finalmente il 15 settembre arrivarono sul luogo nel naufragio altri due U-boot tedeschi, ma la tragedia non era ancora arrivata al suo epilogo.

La mattina del 16 un Liberator americano, ignorando la bandiera con la croce rossa che l'U-boot aveva steso sul ponte, dopo aver effettuato alcuni giri sulle teste dei malcapitati, ricevette l'ordine dal comando americano di affondare il sommergibile e sganciò quindi cinque bombe.

Immediatamente le operazioni di salvataggio da parte del sommergibile tedesco vennero interrotte, evacuando i naufraghi e tagliando le cime che assicuravano le zattere allo scafo, il quale si immerse a 60 metri pur essendo stato colpito da una bomba nel reparto degli accumulatori.

Nelle ore successive molti naufraghi vennero raccolti dal sommergibile italiano Cappellini e da altre unità francesi.

Alla fine si contarono tra i 1.600 ed i 1.700 morti.

Fu in seguito a questa vicenda che l'ammiraglio Dönitz emanò il Triton null, un ordine che obbligava gli U-boot a non prestare più soccorso ai naufraghi delle navi affondate.

[modifica] Bibliografia

  • Donatello Bellomo. Prigionieri dell'oceano. Milano, Sperling & Kupfer, 2002. ISBN 8820033909
  • Antonino Trizzino. Sopra di noi l'oceano. Milano, Longanesi, 1962.

[modifica] Collegamenti esterni

  • L'affondamento del Laconia Sito dedicato alla carriera di W. Hartenstein (la pagina dell'affondamendo del Laconia è in italiano)

Coordinate: 5°0′0″S 9°0′0″W / -5, -9


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