Georgiche
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Le Georgiche sono la seconda opera di Publio Virgilio Marone, scritta in esametri, composta all’incirca tra il 37 e il 30 a.C., divisa in 4 libri dedicati rispettivamente al lavoro nei campi, all’arboricoltura, all’allevamento del bestiame e all’apicoltura, per un totale di 2188 versi. Il titolo molto probabilmente gli fu suggerito da un'opera del poeta greco didascalico Nicandro di Colofone.
L’opera fu "orientata" da Mecenate seguendo le ispirazioni ideologiche augustee, composta proprio nel periodo relativo all’affermazione di Ottaviano a Roma e nello stesso periodo in cui Virgilio entrò a far parte del circolo di Mecenate. Lo stile è più ricco e ricercato rispetto alle Bucoliche, sempre seguendo i canoni dell’alessandrinismo.
Indice |
[modifica] I libri
Libro I: Vi si trova la dedica a Mecenate e al Princeps; spiega i vari aspetti della coltivazione dei campi: qualità dei terreni, metodi (come aratura e semina), i segni celesti che il pastore deve leggere per evitare le calamità naturali. Importanti gli l'excursus sulle origini del 'labor', su quelle del calendario e sui prodigi celesti avvenuti dopo la morte di Cesare. Il libro termina raccontando della devastazione provocata nei campi dalle guerre civili.
Libro II: invocazione a Bacco e descrizione della coltivazione delle piante: le varietà, i metodi. Particolare attenzione hanno la vite e l’olivo. Lodi all'Italia, in quanto terra fertile e ricca di eroi, e alla primavera.Conclude con l'elogio della serena vita agreste.
Libro III: Invocazione agli dei, lode ad Augusto e preludio dell'Eneide; metodi di allevamento del bestiame: buoi, cavalli, pecore e capre, cani. Digressione sulla pestilenza che sterminò il bestiame nel Norico.
Libro IV: Nuova dedica a Mecenate e invocazione ad Apollo. Descrizione dell’apicoltura: descrive abitudini e specie, spiega qual è la stagione migliore per prelevare il miele e come curare le malattie che le colpiscono. Excursus sul vecchio di Còrico e narrazione dell'epillio del pastore Aristeo, con inserimento in questo di una digressione del mito di Orfeo ed Euridice. Nell'epilogo dell'opera l'autore ricorda il soggiorno napoletano e la composizione delle Bucoliche.
[modifica] Struttura del poema
Anche qui come nelle Bucoliche non ci troviamo dei componimenti sciolti ma un vero e proprio libro: benché diviso in 4 libri staccati e autonomi essi sono collegati da sottili riferimenti interni: tutti si aprono con un proemio ottimistico e si chiudono invece con una digressione cupa e pessimistica.
I primi due libri parlano di una natura inanimata (cioè campi e alberi), mentre gli ultimi due si riferiscono ad una natura viva (il bestiame e le api); i proemi si alternano tra lunghi, nei libri dispari, e brevi, nei libri pari : naturalmente i più importanti sono al I e al III libro, in cui ricorrono anche inni di lode ad Ottaviano. Le digressioni, numerose, servono a variare la struttura del poema e delle varie narrazioni
[modifica] Un poema didascalico
Il poema benché rimanga un poema didascalico non vuole solo spiegare il lavoro dei campi e oltre a fornire indicazioni tecniche sull’agricoltura mira a esaltare l'attività agricola come palestra di virtù civili e partecipazione del cittadino a vantaggio della collettività, in accordo con l'ideologia augustea.Virgilio in alcuni punti sembra rifarsi a Lucrezio, il poeta latino già scrittore del poema didascalico De Rerum Natura, non condividendone comunque la visione epicurea, preferendo bensì sotto certi aspetti l’orientamento stoico; per altri aspetti, come la suddetta esaltazione del mondo agricolo e la sua minuziosa menzione, il poeta latino sembra avvicinarsi molto al greco Esiodo, con le sue "Opere e i giorni" (Ἔpγα καὶ ἡμέραι). Si avverte in lui la volontà di costruire intorno l’uomo un mondo “complice”: il mondo della natura campestre è l’unico adatto ad una vita sana e virtuosa, venendo a contrapporsi alla vita nelle metropoli e alla loro corruzione.
[modifica] Il lavoro
La digressione sulle origini del lavoro presenta quest'ultimo come dono di Giove all'uomo affinché egli, spinto dalla necessità, acuisse l'ingegno ideando le varie attività e perseguendo il progresso. In questo mito Virgilio fuse due opposte concezioni del lavoro, una di Esiodo e l'altra di Lucrezio. Del primo mantenne il valore sacrale del lavoro eliminandone il carattere punitivo (infatti per Esiodo esso era una condanna di Giove), del secondo mantenne il valore positivo ed eliminò i tratti laici e razionalistici (infatti per Lucrezio erano stati la fatica e l'ingegno dell'uomo a segnare la sua evoluzione dall'età primitiva all'età civile)
[modifica] Lo stoicismo e le api
Virgilio ritiene che la fatica del lavoro sia un dono di Giove, datoci affinché gli uomini non oziassero: non viene più visto come una condanna il lavoro ma viene rivalutato con un valore etico e culturale.
Di particolare importanza sono le api del IV libro. L'autore riprende Cicerone mostrando le api come metafora sociale: esse hanno un’organizzazione comunitaria, segnata dalla fedeltà alla casa e alle leggi, dalla condivisione delle risorse e dalla dedizione al lavoro, in una tipica visione stoica della società. Le api sono disposte anche al sacrificio personale per il bene comune e mantengono l’assoluta dedizione al capo: tutti elementi del più puro idealismo augusteo. Con le Georgiche, Virgilio abbandonò la dolcezza consolatoria della natura presente nelle Bucoliche per trasformare la natura in cultura, grazie al lavoro dell'uomo.
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- Wikisource contiene il testo completo di Georgicon
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