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Fivet - Wikipedia

Fivet

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Le informazioni qui riportate hanno solo un fine illustrativo: non sono riferibili né a prescrizioni né a consigli medici - Leggi le avvertenze

L'acronimo Fivet (Fertilizzazione in vitro con embryo transfer) è utilizzato per definire una tecnica di procreazione assistita tra le più comuni: si tratta della fecondazione in vitro con successivo trasferimento dell’embrione così formato nell’utero della donna.

La tecnica fu sviluppata nel Regno Unito da Patrick Steptoe e Robert Edwards. Il primo essere umano nato da questa tecnica fu Louise Brown nata a Londra il 25 luglio 1978.

Indice

[modifica] Procedura

Di seguito viene riportata una riduzione divulgativa e a carattere generale delle diverse procedure (Protocolli) adottate per la FIVET. In alcuni Paesi, tra i quali l'Italia, la legge prevede delle limitazioni anche notevoli a tali procedure (per maggiori informazioni vedere il paragrafo Legge 40/2004).

La procedura si divide nelle seguenti fasi:

  • Alla donna vengono somministrati per via intramuscolare o sottocutanea dei farmaci (gonadotropine) finalizzati all'iperovulazione cioè allo sviluppo di più follicoli e quindi di un numero maggiore di cellule uovo (nel ciclo spontaneo ne viene prodotta di solito una sola), di modo che possa essere prelevato un numero maggiore di ovociti. La paziente viene sottoposta ad un monitoraggio teso a individuare il momento adatto a condurre a maturazione gli ovociti (ad esempio con la somministrazione di gonadotropine corioniche). Si procede quindi all'aspirazione ecoguidata dei follicoli, al fine di recuperare gli ovociti maturati.
  • Il liquido follicolare viene esaminato in laboratorio e ne vengono recuperati gli ovociti ritenuti idonei alla fecondazione in base alla sola osservazione morfologica degli stessi, eseguita al microscopio. I gameti, cioè il seme maschile e l’ovocita della donna, vengono collocati insieme in un apposito recipiente affinché uno spermatozoo penetri nell’ovocita. Vengono a volte utilizzate delle tecniche di fertilizzazione assistita come l'ICSI (Intracytoplasmatic Sperm Injection, o iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), tramite la quale lo spermatozoo viene iniettato direttamente nel citoplasma dell'ovocita.
  • L’embrione così formatosi viene introdotto in utero per via vaginale, normalmente entro 72 ore, nella speranza che si annidi, cioè che “metta radici” nella mucosa uterina (endometrio) e possa ricevere dalla donna alimento, calore ed energie per continuare a svilupparsi.

Le percentuali di successo sono influenzate da molti fattori:

  • la risposta da parte della donna alle terapie: in molti casi non viene prodotto un numero sufficiente di follicoli ed è quindi necessario ripetere la terapia con dosaggi diversi;
  • la presenza di ovociti nel liquido follicolare: in alcuni casi gli ovociti non sono maturi e fecondabili o sono assenti;
  • il grado di maturazione degli ovociti prelevati;
  • la fertilità della paziente, che è molto influenzata dall'età;

Le percentuali di successo di questa metodica sono, pertanto, estremamente variabili.

Per aumentare le percentuali di successo viene utilizzato il metodo di trasferire nell’utero un numero multiplo di embrioni valutato di caso in caso in modo da raggiungere un compromesso tra le probabilità di successo e il rischio di gravidanze plurigemellari; generalmente vengono trasferiti, ove siano disponibili, non più di tre embrioni. Le linee guida della ESHRE (European Society for Human Reproduction & Embryology) suggeriscono di impiantare non più di due/tre embrioni. L'introduzione della definizione di un numero massimo di embrioni impiantabili tende a prevenire gravidanze plurigemellari le quali presentano nella grande maggioranza dei casi notevoli rischi sia per la salute della donna, sia per quella dei nascituri. Prevenendo a monte l'insorgere di una gravidanza plurigemellare a seguito di una procreazione medicalmente assistita (PMA), si evita inoltre il dover ricorrere, come avveniva talvolta in passato, a tecniche d'emergenza quali la “riduzione embrionaria”, non sempre in grado né di garantire il proseguimento della gravidanza, né di salvaguardare la salute della donna. La riduzione embrionaria, solitamente eseguita nell'ottava settimana di gravidanza, prevede l'induzione della morte di un embrione (o più) inniettando direttamente nel suo cuore, attraverso la parete addominale materna, un farmaco (generalmente cloruro di potassio) che provoca l'arresto cardiaco. La morte dell'embrione dovrebbe provocarne l'eliminazione e garantire la sopravvivenza di quello (o quelli) rimasti. Tuttavia, in diversi casi, l'operazione ha condotto ad una completa interruzione della gravidanza e ad infezioni a carico della donna, con notevoli rischi sulla sua futura capacità di procreare.

Poiché l’iperstimolazione gonadotropinica che potrebbe insorgere a seguito delle tecniche tese a innescare l'iperovulazione presenta notevoli rischi per la salute della donna e il successivo prelievo di ovociti è comunque un piccolo intervento chirurgico poco gradevole, si cerca di ottenere in un solo ciclo il massimo numero possibile di ovociti, i quali vengono fecondati tutti e poi trasferiti in utero - se ve ne sono di adatti - solo alcuni, mentre - laddove ne siano disponibili - vengono conservati gli altri in vista di eventuali ulteriori tentativi. La conservazione viene effettuata congelando gli embrioni a 196 gradi centigradi sotto lo zero (crioconservazione), con uso di azoto liquido.

Fino ad oggi non sono sufficientemente sviluppate tecniche tese a congelare e quindi scongelare gli ovociti senza interferire negativamente e in modo significativo sulla loro vitalità e capacità di essere fecondati. Tecniche simili sembrano avere migliori risultati quando applicate agli embrioni e agli spermatozoi. Diversi centri medici specializzati nella ricerca sulla fecondazione assistita, pertanto, raccomandano la congelazione degli embrioni cosiddetti “soprannumerari”.

[modifica] Diagnostica preimpianto

La diagnosi preimpianto è una metodologia, complementare a quelle di diagnosi prenatale, che, permettendo di identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in embrioni (ottenuti in vitro da coppie a rischio riproduttivo, in fasi molto precoci di sviluppo e prima dell'impianto in utero), è moralmente simile all’aborto terapeutico eliminando esseri umani ritenuti "non idonei".

[modifica] Biopsia del globulo polare

La diagnosi preimpianto prevede una biopsia dell’ovocita. Questa avviene attraverso la rimozione del cosiddetto globulo polare. I globuli polari sono due, il primo viene espulso dall’ovocita prima della sua fecondazione mentre il secondo globulo polare viene espulso dall’ovocita già fecondato. Nell'intervallo fra le due espulsioni si procede all'apertura meccanica, chimica o via laser della zona pellucida ed all'aspirazione dei 2 globuli polari che successivamente verranno utilizzati per la diagnosi.

[modifica] Biopsia dell'embrione

La biopsia dell’embrione (detta anche diagnosi pre-impianto o DPI) viene effettuata da tre a cinque giorni dopo la penetrazione dello spermatozoo nell’ovocita. La DPI viene effettuata di preferenza su embrioni composti da otto cellule, condizione raggiunta normalmente a partire dal terzo giorno. Una o due di queste cellule, chiamate blastomeri, possono essere rimosse con scarsi rischi relativi al possibile sviluppo futuro dell'embrione. La metodica è molto simile a quella di prelievo dei globuli polari, ma è leggermente più rischiosa in quanto c'è la possibilità di danneggiare le cellule vicine a quella rimossa.

L'accuratezza nel risultato diagnostico offerto da queste tecniche è pari al 90-93% dei casi nelle quali sono applicate con errori di "falsi positivi" (viene diagnosticata una malattia che non c'è) e "falsi negativi" (non viene evidenziata una patologia presente); non possono quindi essere considerate una alternativa alla diagnostica prenatale classica (villocentesi o amniocentesi). Il motivo del loro utilizzo è spesso quello di ridurre il rischio di trasferimento e l’eventuale impianto di embrioni affetti da affezioni cromosomiche o genetiche che portino alla nascita bambini malati, permettendo quindi la cosiddetta "eugenetica passiva".

[modifica] Complementarietà della diagnosi preimpianto con altre tecniche

La sola osservazione dell’embrione al microscopio non è in grado di evidenziare eventuali malformazioni genetiche del nascituro: al microscopio si può solo analizzare l’aspetto morfologico (forma, grandezza, struttura) dell’embrione e quindi se esso è vivo o morto e comunque se è vitale, cioè se è sviluppato in misura tale da poter essere in grado di impiantarsi in utero. Tuttavia, test genetici su campioni di dimensioni microscopiche (come il gamete) sono invasivi e potenzialmente distruttivi dell'embrione. Per tali ragioni il test genetico non è adatto alla diagnosi di malformazioni genetiche del tipo della sindrome di Down, dovuta non a una mancanza o a un errore nei cromosomi (evidenziabili da subito con un test sul DNA del gamete), ma a difetti riguardanti le cellule totipotenti, che nascono dalla duplicazione per meiosi dell'embrione, non evidenziabili, appunto, da esami sull'embrione. Tali difetti, per la definizione stessa di totipotenza, possono verificarsi in tutto il periodo che intercorre fra la formazione dell'embrione e la specializzazione delle cellule (quando le cellule iniziano a specializzarsi il rischio di errori nella duplicazione meiotica cala sensibilmente). Per tali malattie, dunque, sono efficaci altri tipi di esame, come l'amniocentesi.

[modifica] Considerazioni di natura etica

In Italia, la fecondazione in vitro ha dato origine ad un ampio dibattito sul suo utilizzo e su alcuni aspetti etici (vedi Argomenti correlati). Tra i punti che vengono messi in discussione vi sono:

  • il possibile utilizzo per fini diversi da quello procreativo degli embrioni congelati;
  • la "tentazione" di effettuare a priori una selezione degli embrioni per fini diversi da quelli strettamente legati alle condizioni di salute dell'embrione stesso;
  • la stessa diagnosi pre-impianto è assimilata da alcuni ad una sorta di "selezione della razza perfetta";
  • l'utilizzo della fecondazione eterologa ovvero quella fatta ricorrendo a gameti esterni e non all’uso esclusivo di gameti della coppia che ricorre alle tecniche (PAU omologa) e la possibilità di una più o meno estesa alterazione della paternità e della maternità;
  • l'utilizzo della fecondazione in vitro in caso di coppie omosessuali o di madri single che viene considerato inopportuno da alcune correnti politiche e religiose.

[modifica] Legge 40/2004

Nel 2004 in Italia è stata introdotta una legge, che, sulla base delle considerazioni etiche riportate nel paragrafo precedente, ha limitato diversi aspetti della fivet, in particolare è stato introdotto l'obbligo di fecondazione di un massimo di tre ovociti (con riduzione della'intensità della stimolazione ovarica) e dunque la formazione di un massimo di tre embrioni e l'obbligo dell'impianto di tutti essi. Di conseguenza è stata vietata la conservazione degli embrioni e la possibilità di effettuare nuovi tentativi di trasferimento embrionale senza sottoporre la paziente a nuove stimolazioni ormonali.

Inoltre, è stata vietata la diagnosi pre-impianto dell'embrione e la fecondazione eterologa.

[modifica] Critiche alla legge 40/2004

L'approvazione della legge 40/2004 ha suscitato molte polemiche in ambito medico e civile che hanno portato alla richiesta di un referendum parzialmente abrogativo effettuato nel giugno 2005 senza raggiungere il quorum (il voto del 50% degli aventi diritto) essendo la percentuale dei votanti la più bassa mai raggiunta in un referendum abrogativo in Italia: solo il 24,9%. Le limitazioni introdotte dalla legge 40/2004 in effetti rendono minima la possibilità per i medici di adattare la tecnica secondo i casi e limitano in parte anche il successo stesso della fecondazione in vitro. Gli oppositori alla legge 40/2004 sostengono dunque che siano i medici e le donne, secondo i casi clinici e le proprie considerazioni etiche, a decidere quali tecniche adottare. Inoltre le restrizioni della legge hanno creato in Italia un fenomeno definito da taluni - con scarso riguardo nei confronti del dramma vissuto dalle coppie interessate - "turismo procreativo"; con tale termine, vagamente spregiativo, si è descritta la scelta, da parte di coppie la cui condizione medica non lascia che pochissime speranze di essere risolta nel nostro Paese a seguito delle restrizioni introdotte, di rivolgersi, per aumentare le possibilità di una gravidanza, ad ospedali e strutture sanitarie straniere poste in Paesi con legislazioni meno restrittive in merito. Fenomeno che, comunque, riguarda molti altri Paesi in quanto sono molte le restrizioni presenti in alcuni Paesi e non in altri producendo "flussi crociati". Questa legge ha, comunque, permesso di avere risultati simili agli altri Paesi impedendo il proliferare del dramma degli embrioni congelati abbandonati e facendo diminuire il numero di casi di "sindrome da iperstimolazione ovarica".

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni




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