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Chiesa di San Salvi - Wikipedia

Chiesa di San Salvi

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Coordinate: 43°46′20″N 11°17′10″E / 43.772104, 11.286113

Facciata della chiesa
Facciata della chiesa

La chiesa di San Michele in San Salvi è una delle più importanti pievi antiche fuori dalle mura sopravvissute a Firenze. L'attiguo Museo del Cenacolo di San Salvi è un vero e proprio gioiello nascosto della città, che, pur fuori dalle rotte tradizionali del turismo, conserva una notevole raccolta di opere d'arte, soprattutto incentrate sulla pittura del periodo del manierismo.

Indice

[modifica] Storia

Il chiostro, con tracce di affreschi medievali
Il chiostro, con tracce di affreschi medievali
Affreschi trecenteschi in un stanza accanto al chiostro
Affreschi trecenteschi in un stanza accanto al chiostro

L'antica chiesa dell'abbazia fondata da San Giovanni Gualberto fu costruita intorno al 1048, su un precedente oratorio, che all'epoca era in aperta campagna fuori dalle mura. San Salvi era stato vescovo di Amiens nel VII secolo e proprio una sua miracolosa apparizione fece scegliere questo luogo. La chiesa fu dedicata a San Michele, mentre il convento, che ospitò una delle prime comunità di monaci benedettini dell'ordine fondato proprio dal santo abate, i vallombrosani, mantenne sempre la dedica al santo francese. San Salvi divenne un importante punto di riferimento religioso nel contado fiorentino, poiché qui ci si poteva riposare facendo tappa sulla via del pellegrinaggio verso il santuario mariano della Santissima Annunziata. Da San Salvi inoltre il Gualberto conduceva la sua crociata che portò all'espulsione del vescovo simoniaco Pietro Mezzabarba ed al rinnovamento spirituale della città.

Della chiesa originaria si conserva la struttura antica a croce latina orientata sull'asse est-ovest, con unica navata, abside rettangolare e tetto a capriate. Sia l'interno che l'esterno erano piuttosto semplici, anche se alcuni particolari tradivano la ricchezza dell'abbazia, fra le più importanti dell'ordine, come i numerosi affreschi trecenteschi dei quali rimangono tracce nel piccolo chiostro a destra della chiesa (pur con i segni dell'alluvione di Firenze) e in alcune stanze attigue, come il mirabile affresco con animali, raro esempio di decorazione pittorica di questo genere, conservato in una vano tra il chiostro e la chiesa.

Sempre ai frati risale il progetto di ampliamento dei primissimi anni del Cinquecento, durante i quali fu realizzato il refettorio, il lavabo e le cucine, e che avrebbero previsto anche la creazione di nuove celle per i monaci, mai realizzate per via dei drammatici eventi dell'Assedio di Firenze. Fra le decorazioni risalenti a questo periodo il mirabile Cenacolo eseguito da Andrea del Sarto nel 1526 nel refettorio. La chiesa e il monastero, subirono danni durante l'assedio del 1529-30, ma fu l'unica chiesa fuori dalle mura cittadine a non essere rasa al suolo, né dai fiorentini stessi, desiderosi di fare terra bruciata dove is sarebbe accampato il nemico, né dalle truppe imperiali, proprio per l'ammirazione di tutti verso il bell'affresco di Andrea del Sarto, secondo una tradizione riferita da tutti gli storici dell'epoca.

I locali vennero comunque gravemente danneggiati e, ormai pericolanti e senza tetto, vennero affidati nel 1534 alle Monache di Faenza, il cui ex-monastero si trovava nella via che da loro prende il nome (Via Faenza appunto) ed era stato danneggiato dalla costruzione della Fortezza da Basso. Le suore, pure di regola vallombrosana ma di clausura, fecero approntare presto buona parte del delle decorazioni che oggi si vedono, come il portico a tre arcate sulla facciata. Nella chiesa fu rialzato il pavimento, per il sempre presente rischio di alluvioni (riportato però al livello originario nel Novecento), e accumularono un notevole patrimonio di opere d'arte.

In seguito agli stravolgimenti politici fra Settecento e primo Ottocento, con un processo a gradi vennero via via soppressi gli istituti religiosi della Toscana su iniziativa napoleonica e poi del Granduca Pietro Leopoldo e questa sorte toccò anche alle monache di San Salvi nel 1817, con il passaggio allo stato, nella persona del Granduca, dei beni dell'ordine.

[modifica] L'interno della chiesa oggi

Importanti restauri negli anni '80 All'interno e nel chiostro vi sono importanti opere di pittura e scultura, fra le quali l'affresco staccato con la Madonna e il Bambino di Lorenzo di Bicci (dal Tabernacolo del Madonnone), due rilievi con San Salvi e San Michele di Benedetto da Rovezzano e all'altare maggiore un Crocifisso ligneo del '500.

[modifica] Il Museo del Cenacolo di Andrea del Sarto

Già nel 1845, in una parte del convento di San Salvi, veniva aperto un museo con opere di provenienza varia raccolte attorno all'affresco di Andrea del Sarto, soprattutto frutto di spoliazioni nelle chiese e nei numerosi monasteri soppressi a Firenze e nei dintorni. Oggi, pur con sotituzioni e riallestimenti, possiamo ammirare il frutto dell'ultima configurazione del museo risalente al 1981.

Il museo si articola su 4 ambienti: la galleria dei manieristi, con al termine una sala dedicata al Monumento funebre di San Giovanni Gualberto di Giovanni da Rovezzano, il lavabo, la stanza del camino (ex-cucina) e il refettorio, nel quale sono conservate le opere più importanti di Andrea del Sarto e di Pontormo, davanti al grande Cenacolo.

[modifica] Il corridoio d'ingresso

Nel lungo corridoio dopo l'entrata sono disposte alcune grandi pale d'altare manieriste e di periodo più tardo (fino all'inizio del Seicento) di pittori toscani, opere di notevole impatto visivo vaolorizzate dall'allestimento che mette a confronto artisti diversi ma con affinità stilistiche. Fra gli artisti presenti figurano il Franciabigio, Giovanni Antonio Sogliani, Michele di Ridolfo, Ridolfo del Ghirlandaio, Francesco Brina, Giorgio Vasari, Raffaellino del Garbo, il Poppi, il Ceraiolo, il Bachiacca, Francesco Foschi, Giuliano Bugiardini e altri. Le opere sono state gradualmente restaurate grazie all'Opificio delle Pietre Dure e alcune mostrano i segni di un restauro in corso e da completare.

[modifica] La sala della scultura

Nell'ambiente in fondo al corridoio sono esposti i pannelli del Monumento funebre a San Giovanni Guadalbeto, pregevole opera del 1507-1513 per la Badia di Passignano di Benedetto da Rovezzano, che purtroppo mostra i segni della brutalità delle truppe che assediarono Firenze: tutte le teste sono infatti state mozzate e asportate come souvenir dai soldati. Nonostante tutto si ammira ancora l'estro artistico, la finezza e la ricchezza di dettagli dell'opera, con alcune scene ambientate in finte stanze dalla resa prospettica di grande maestria. I frammenti sono disposti lungo le pareti , mentre al centro è presente il calco del Monumento funebre a Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia, donato da Lucca nel 1817 a seguito della restituzione di una lastra del monumento che era qui conservata.

[modifica] Il lavabo

Questa era la stanza nella quale i monaci si lavavano le mani, gesto non solo di carattere igienico, ma caratterizzato da un forte richiamo simbolico alla purificazione, prima di entrare nel refettorio dove si consumavano i pasti.

Il lavabo è in pietra serena, è costituito dalla vasca e da alcune decorazioni sovrastanti sempre in pietra, attribuite pure a Benedetto da Rovezzano, con un affresco della Samaritana al Pozzo opera del 1620 attribuito a Cosimo Gamberucci.

In questa sala sono esposte alcune opere immediatamente antecedenti al manierismo, fra le quali spicca un bel San Girolamo penitente di Bartolomeo di Giovanni, collaboratore di fine del quattrocento del Ghirlandaio e di Botticelli, verso i quali mostra una chiara influenza stilistica.

I due sportelli di tabernacolo raffiguranti L'angelo e l'annunziata, santa Umiltà, San Giovanni Evangelista, San Nicola e una santa martire sono delle tavole di Andrea del Sarto portate dal convento di San Giovanni delle monache di Faenza, infatti i santi raffigurati hanno un forte legame con l'ordine: Santa Umiltà ne è la fondatrice, San Giovanni Evangelista il protettore e guida.

La Madonna con bambino in trono tra San Francesco, San Zanobi e due donatori inginocchiati, di Raffaellino del Garbo, uno dei maestri di Andrea, è firmata e datata MCCCCC e proviene da Pistoia.

La Madonna allattante è un'opera di Giuliano Bugiardini, aiutante insieme al Del Sarto nella bottega di fra Bartolomeo, seppure meno dotato artisticamente di lui, e influenzata dal Franciabigio per i notevoli contrasti luminosi.

La Madonna col Bambino e due angeli, olio su tavola, è stata riconosciuta da Federico Zeri nel 1959 come una copia, probabilmente eseguita fra il 1515 e il 1520 forse dal Bachiacca, di un originale attribuito a Piero di Cosimo nella Fondazione Cini a Venezia. Aquistato dallo Stato nel 1913 fu esposto agli Uffizi donde fu tolto dopo il confronto con la tavola Cini; passato per un certo tempo (1966-73) nel museo di Palazzo Davanzati, esemplifica ora a San Salvi un aspetto della cultura fiorentina del primo e del secondo decennio del 500, cioè l'avvicinamento al linguaggio di Luca Signorelli con inflessioni nordiche nel momento più leonardesco di Piero di Cosimo. Sempre del Bachiacca la tavoletta con Tobiolo e l'angelo un soggetto spesso scelto come augurio e protezione dai mercanti nei loro viaggi.

Di Giovanni Antonio Sogliani, pittore pure influenzato dallo stile di Fra Bartolomeo, è la Madonna con bambino e San Giovannino.

[modifica] Il Cenacolo di Andrea del Sarto

Per approfondire, vedi la voce Cenacoli di Firenze.

Il grande affresco dell'Ultima cena è considerato fra i capolavori di Andrea del Sarto e fu realizzato tra il 1511 e il 1525. Si trova sulla parete di fondo del refettorio davanti all'entrata, che occupa in posizione rialzata al di sotto dell'arco della volta

La parte iniziata per prima riguarda le pitture del sottarco che inquadra l'Ultima Cena; su di esso sono dipinti 5 medaglioni con rappresentati partendo da sinistra San Giovanni Gualberto, San Salvi, la Trinità al centro al posto della più tradizionale Crocefissione, San Bernardino degli Uberti e San Benedetto.

L'affresco della scena centrale fu realizzato in sole 64 giornate, a testimonianza della grande maestria tecnica del pittore. La resa stilistica concilia gli aspetti del Rinascimento con le innovazioni del Manierismo (colori brillanti, composizione con pose insolite...) e del Barocco (la scenografia con la stanza sulla quale si apre una finestra con due personaggi esterni, identificati forse con lo stesso pittore e sua moglie).

La scena si svolge nel momento in cui Gesù rivela agli apostoli la certezza del tradimento di uno di loro, con i vari personaggi ritratti in modo da esprimere una gamma di sentimenti che varia dalla sorpresa, allo sconforto, all'angoscia, all'interrogazione reciproca, al dubbio di sé, pur senza arrivare alla drammaticità del Cenacolo di Leonardo da Vinci a Milano, più antico di un ventennio.

Rinnovando la tradizione che lo poneva di spalle e separato dagli altri apostoli, Giuda è ritratto alla destra del Cristo, fedelmente al testo evangelico di Giovanni con la mano sul petto a dimostrare la sua incredulità, mentre riceve da Gesù un pezzo di pane inzuppato. Alla sua sinistra è posto il suo discepolo prediletto, Giovanni, che si protende verso il Maestro come per poter ascoltare meglio le sue parole e Gesù compie nei suoi confronti un gesto di affetto tenendogli la mano e guardandolo con un’espressione rassicurante.

Per quanto riguarda gli effetti cromatici, viene utilizzata una vasta gamma di colori e che questi sono distribuiti simmetricamente all’interno dell’opera; alcuni sono dei preziosi pigmenti cangianti, usati per esempio nelle veste di Giuda; inoltre c'è un largo uso del chiaroscuro per dare l’idea del movimento delle vesti e della plasticità delle figure.

Nella parte superiore si aprono tre finestre dalle quali si intravede un loggiato esterno; alla finestra centrale sono affacciati due personaggi i quali parlano con disinvoltura fra di loro accennando alla scena che sta avendo luogo nella stanza sottostante.

Nella parte sottostante l’opera il progetto originario di Andrea prevedeva la copertura del muro con dei pannelli di legno intagliati che in seguito vennero sostituiti con una decorazione pittorica che crea un effetto di finta pietra serena.

[modifica] Le altre opere di Andrea del Sarto e di Pontorno

Al lato opposto del refettorio è stato collocato sopra l'entrata un grande affresco di Jacopo Pontormo un tempo collocato all'esterno e oggi piuttosto danneggiato. Altre opere del Pontormo sono una bella Madonna, dai tipici effetti coloristici del pittore empolese, e qualche altro dipinto minore.

Le opere e le copie di opere (a volte perdute, come gli affreschi di Porta Pinti) di Andrea del Sarto sono invece:

  • L'Annunciazione, affresco provienente da sotto l'arco dello sdrucciolo di Orsanmichele, confluita in passato nel convento di San Marco; In cattivo stato di conservazione(l’unica parte in buono stato è il braccio destro dell’Angelo), fu commissionato da Baccio d'Agnolo, almeno secondo il Vasari, che loda l'affresco definendolo di "maniera molto minuta", secondo la caratteristica tipica dei primissimi anni dell’artista.
  • Il Noli me tangere, opera giovanile, datata 1509-10 ed eseguita per la chiesa degli Agostiniani in Via San Gallo e trasportata nel 1529 in San Jacopo tra i Fossi dove rimase sommersa per circa un terzo nell’alluvione del 1557; persa la predella (base del polittico della pala) ne ebbe una del tardo '500 che fu staccata alla fine dell’800 ed è ora nel museo di casa Vasari ad Arezzo; quando però la chiesa di S. Jacopo divenne caserma nel 1849 la pala fu reclamata dalla famiglia Morelli, ma non avendola esposta al pubblico come richiede il diritto, nel 1875 tornò agli Uffizi, e fu in seguito trasferita qui dopo essere rimasta alcuni anni nei depositi; il dipinto necessita di pulitura perché risulta offuscato e ingiallito dallo sporco e di piccoli restauri.
  • Cristo in pietà, affresco ricordato dal Vasari nel noviziato del convento della Santissima Annunziata, anche se nel 1810 fu portato nella galleria dell'Accademia e vi rimase fino alla formazione della sala di Andrea del Sarto nel museo di San Salvi (1930); la datazione spazia tra il 1514 e il 1525, più probabilmente viene oggi indicata alla fine di questo periodo; nella stesura pittorica, Andrea si ispira all'analogo quadro di Giovanni Bellini oggi a Stoccolma.
  • Il Crocifisso con San Francesco e l'Arcangelo Raffaele con Tobiolo potrebbe essere identificabile con "un quadretto […] in tavola con N.S. in croce, con alti santi a piè, con Cornice d’albero nero miniato d’oro, di mano di Andrea del Sarto" citato nella tribuna degli Uffizi, ma, benché più volte fotografato, il dipinto sembra inedito; dovrebbe essere la prova per una diversa impaginazione del più grande San Leonardo con un donatore, Raffaele e Tobiolo, in alto Dio con la croce oggi a Vienna, ma fino al 1792 agli Uffizi.
  • La Madonna di Porta Pinti, copia del tabernacolo che Andrea aveva affrescato intorno al 1521 vicino alla Porta a Pinti e che andò gradualmente in malora, anche se ne rimangono i disegni e una ventina di copie a testimonianza, spesso però infedeli nello sfondo. Entrò in galleria nel 1777 con un'eredità e con l’attribuzione dubitativa all'Empoli, al quale solitamente venivano attribuite le versioni migliori delle numerose copie di questa Madonna; a San Salvi dal 1930 a San Salvi.
  • Serie de La visitazione con annuncio a Zaccaria, Nascita del Battista, Battesimo delle moltitudini e La cattura del Battista, oli su tavola sopravvissuti di una serie di 6 copie dei celebri monocromi con le storie di San Giovanni Battista di Andrea nel chiostro dello Scalzo, mancano oggi invece la Predicazione e la Decollazione del Battista, disperse; si tratta di opere interpretative, di qualche tardo manierista fiorentino di buon livello; la Visitazione nel 1925 fu invita dal Ministero degli Esteri all'Ambasciata italiana di Washington, donde rientrò nel 1972 incurvata e con numerose cadute di colore; Il Battesimo fu espostoi fino al 1977 alla villa medicea di Poggio a Caiano.
  • Due episodi della parabola della vigna, tele riconosciute come copie degli affreschi monocromi di Andrea, uno dei quali documentato da una vecchia foto e di cui si era conservato un frammento e così acquistate dall’ufficio esportazione nel 1930; il primo dei due affreschi (1512) andò distrutto nel 1724 mentre del secondo nel 1870 si salvò solo il presente frammento; antiche, ma di mediocre livello, le tele hanno un valore più che altro documentario.

[modifica] La stanza del camino

Nella sala adiacente, la cucina, è rilevante l’imponente camino, e le opere esposte sono tavole che risalgono al primo Cinquecento.

La Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Gualberto e Bernardo degli Uberti proviene da una villa vicino a Vallombrosa. Nessun documento o iscrizione ce ne rileva l'autore, anche se in molte parti si avvicina tanto al fare di Andrea del Sarto da sospettare che sia copia di qualche suo dipinto, anche se piuttosto che attribuire a caso l'opera a qualche suo allievo, è stata assegnata alla sua scuola per non lasciare sospetti sulle indagini per scoprire l’autore.

Il Cristo portacroce è di Fra Bartolomeo, pure legato allo stile del Franciabigio, con il quale in particolare divise la bottega.

Tra le opere più importanti di Franciabigio si segnalano La natività (1510) e le pale per la chiesa di San Giobbe (1516)

[modifica] Altri edifici di interesse nel quartiere di San Salvi

  • Nella vicina Via Aretina esiste un grande Tabernacolo del Madonnone, coperto da una tettoia a mensoloni, affrescato con la Madonna in maestà e santi; nell'archivolto con l'Eterno Padre e Profeti e sul prospetto dell'arco con l'Angelo Annunciante e la Madonna Annunciata. Gli affreschi originali, dipinti agli inizi del '400, sono attribuiti a Lorenzo di Bicci o al figlio Bicci, o furono un'opera di collaborazione. Dopo la seconda guerra mondiale venne demolito un muretto con porta d'accesso, che aveva reso il tabernacolo quasi un piccolo oratorio. Nel 1962 gli affreschi furono distaccati, trasportati nella chiesa di San Michele a San Salvi e sostituiti da una copia. Anche le sinopie, conservate invece nella chiesa di Sant'Antonino a Bellariva colpiscono per la maestosa grandiosità.

[modifica] Bibliografia

  • C. Acidini Lunchinant – R. C. Proto Pisani (a cura di), La tradizione fiorentina dei Cenacoli, Calenzano (Fi), Scala, 1997, pp. 173- 179.

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