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Antegnati - Wikipedia

Antegnati

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Gli Antegnati sono una famiglia di organari attiva tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVIII secolo a Brescia. La loro opera si esercitava sia sugli organi, sia su altri strumenti quali cembali e spinette. Nella famiglia si contarono ben 19 figure dedite a questa occupazione, che contribuirono alla nobilitazione professionale dell'artifex instrumentorum musicorum (artigiano degli strumenti musicali), professione ritenuta nel Medioevo arte "più mecanica che liberale", praticata a volte da gente "molto bassa e quasi mendica"[1].

Indice

[modifica] Bartolomeo Antegnati

La prima menzione di un organaro di questo nome compare nel 1481, in occasione della gara indetta per il rifacimento dell'organo della chiesa di Santa Maria de Dom (duomo) a Brescia[2], nella quale compare Bartolomeo Antegnati (o Bartholomeus de Lomexanis de Bressia, circa 1445 - dopo il 1501), figlio di Giovanni, giurisperito di nobili origini, proveniente da Antegnate (BG), che aveva ottenuto la cittadinanza bresciana nel 1436.

Bartolomeo era probabilmente stato allievo di Bernardo d'Alemania. Oltre all'intervento del 1481 nella propria città natale, nel 1486 fu attivo nel duomo di Mantova[3]. Nel 1488 venne assunto congiuntamente dal Comune e dal Capitolo di Brescia, con il compito di mantenere e suonare i due organi della città e nel 1490 fu chiamato a Milano per costruire il nuovo organo del Duomo e per garantire in seguito la manutenzione dell'organo vecchio e di quello nuovo[4].

Nel 1494 ritornò a Brescia, dove ebbe l'incarico a vita di mantenere gli organi cittadini, che lasciò tuttavia dopo soli due anni.[5] Nel 1496 fu incaricato della costruzione dell'organo della chiesa di Santa Maria Maggiore a Bergamo, ma la sua opera venne rifiutata dopo ben tre collaudi negativi e ne nacque una controversia legale per la quale si richiese perfino l'intervento del papa. Nel 1498 costruì l'organo della chiesa di San Lorenzo di Milano e nel 1501 condusse, senza esito, dalla città di Albino, trattative per la costruzione di un organo a Lodi. Poco dopo probabilmente morì.

Bartolomeo ebbe tre figli: Giovan Battista (circa 1490-1559), Giovan Giacomo (circa 1495-1563) e Giovan Francesco I (circa 1505 - dopo il 1583).

[modifica] Giovan Battista Antegnati

Figlio del capostipite Bartolomeo, fu autore, a quanto si conosce, di soli quattro strumenti: negli anni 1534-1535 fu incaricato degli organi per i due conventi femminili del Santo Spirito e di Santa Maria della Pace, a Brescia, e negli anni 1536-1538 dei due per la basilica di Sant'Antonio di Padova e per la chiesa di San Francesco a Padova, che ebbero tuttavia collaudo negativo.

Nel 1544 intervenne sull'organo della chiesa dell'Incoronata di Lodi, subendo altre critiche, ma svolgendo comunque nella città l'attività di suonatore di organo e di maestro.

[modifica] Giovan Giacomo Antegnati

Organo di Gian Giacomo Antegnati del 1536 nel Duomo Vecchio di Brescia
Organo di Gian Giacomo Antegnati del 1536 nel Duomo Vecchio di Brescia

Figlio del capostipite Bartolomeo fu attivo a partire dal 1513 e costituì insieme al figlio Benedetto uno dei due rami principali della tradizione familiare, attivo a Milano.

Tra il 1518 e il 1525 costruì tre strumenti a Milano. Nel 1524 fu organista della chiesa di Sant'Eufemia a Brescia e costruì ancora a Brescia gli organi per le chiese di Santa Maria delle Grazie (1532) di San Faustino (1533 e per il duomo di Brescia (1536-1537), grandemente ammirati dai contemporanei[6].

Nell'estate del 1538 trasferì la propria attività a Milano, spingendosi fino a Varese, Lugano, Verona, Morbegno e Vigevano. Nel 1548 costruì l'organo per il duomo di Salò, che tuttavia fu accolto freddamente dai committenti, che ne dilazionarono il pagamento per circa un decennio[7]. Proseguì l'attività fino alla sua morte, mentre era probabilmente intento alla realizzazione di un organo per la chiesa di Sant'Alessandro a Brescia.

[modifica] Benedetto Antegnati

Giovan Giacomo Antegnati ebbe dodici figli, ma l'unico a proseguire l'attività del padre fu Benedetto (1535-1608), attivo fra il 1559 e il 1584, che intervenne sugli strumenti realizzati dal padre e ne fece circa una decina di nuovi, tra i quali tre a Parma e uno nel duomo di Torino.

[modifica] Giovan Francesco I Antegnati

Terzo figlio del capostipite Bartolomeo, aiutò il fratello Giovan Giacomo nella sua attività e fu reputato per la sua personale produzione di strumenti a tastiera[8]

Sopravvivono circa una decina di sue opere, tra cui due spinette poligonali (conservate presso il Victoria and Albert Museum di Londra e presso il Museo statale degli Antichi strumenti musicali di Roma), mentre altri esemplari sono in Lombardia (uno di proprietà dell'"Ateneo di scienze, lettere e arti", pervenutoci nel suo stato originale, è esposto presso i "Civici musei di arte e storia" di Brescia, mentre il secondo, più riccamente decorato, ma alterato da interventi successivi, si trova presso il "Museo teatrale alla Scala" di Milano


[modifica] Graziadio Antegnati

Tomba di Costantino Antegnati, figlio di Graziadio Antegnati, nella chiesa di San Giuseppe a Brescia.
Tomba di Costantino Antegnati, figlio di Graziadio Antegnati, nella chiesa di San Giuseppe a Brescia.

Graziadio (1525-post1590), figlio di Giovanbattista, nell'opinione del grande organaro bergamasco ottocentesco Giuseppe Serassi

« fu il più esatto e perfetto in quest’arte fra i molti di questa illustre famiglia... la solidità, la dolcezza delle canne, e la maestria delle medesime erano inimitabili. »

A fronte di una fama mondiale di lui si conosce pochissimo dal punto di vista strettamente biografico. In sintesi, assiste allo sviluppo dell'attività paterna e in gioventù forse tentò altre strade. Il periodo che intercorre tra la sua apparizione all'età di 15 anni in un laboratorio bresciano di “flaschis scloporum” e il suo primo organo, quello per la comunità di Coccaglio nel 1562, ma soprattutto quello per la Basilica Ducale di Santa Barbara in Mantova, commissionatogli nel 1565 da Guglielmo Gonzaga, quando aveva quindi 40 anni, risulta ancora assai misterioso. Non sappiamo se fu quella l'occasione che lo spinse ad occuparsi definitivamente della bottega ricevuta in eredità paterna, prima forse poco frequentata per vicissitudini familiari tribolate.

A quanto risulta fino ad oggi costruì meno di una decina di strumenti in un quarto di secolo, tra i quali nel 1578 uno nuovo per la chiesa del Carmine in città.

Il suo perfezionismo fu favorito da una situazione economica floridissima derivatagli dall'eredità paterna e da altre due successive.

Di lui rimane l'organo Antegnati più grande e famoso al mondo, quello di 16 piedi costruito con la collaborazione del figlio Costanzo nel 1581 per i frati della chiesa di San Giuseppe a Brescia. L'altro strumento preziosissimo anch'esso sopravvissuto, restaurato in questi anni da Giorgio Carli, è quello di Mantova di cui si è accennato. Rarissimo, progettato in collaborazione con il virtuoso Girolamo Cavazzoni in tempi brevissimi, possiede 7 tasti enarmonici; è stato suonato e apprezzato dalle più grandi figure dell'epoca come Jaches de Wert e Claudio Monteverdi, Rubens Frescobaldi e Luca Marenzio.

Degli altri strumenti da lui costruiti anche assieme al figlio, non rimane quasi nulla, se non qualche decina di canne in organi recenziori. Figura ancora nell'ombra e da studiare attentamente per le sue implicazioni storico artistiche.

Forse per riscattare una sua situazione familiare discontinua, si adoperò molto per l'educazione e la carriera del figlio Costanzo (1549–1624), la cui istruzione sull'arte familiare andò di pari passo con quella musicale, affidata a Giovanni Contino e Girolamo Cavazzoni, attivi a Mantova presso la corte musicale più stimolante dell'epoca, assieme a quella ferrarese e della repubblica di Venezia. A soli ventuno anni infatti viene inviato dal padre a sistemare l'organo di Santa Barbara, rassicurando il Duca Guglielmo Gonzaga sulle sue capacità.

Da quell'epoca la collaborazione sarà continua e verrà talvolta testimoniata da firme congiunte poste dentro le canne più grandi realizzate, come ad esempio quella esistente dentro la monumentale canna di 16 piedi (oltre 5 metri) dell'organo della chiesa di San Giuseppe. In quarant’anni costruisce o effettua circa 25 lavori, ma alla luce dei fatti bisognerà stabilire meglio quanti subappalti abbia ceduto a Bernardino Virchi o ai fratelli Moroni (come nel caso della chiesa del Corlo) e in quanti lavori abbia fatto in realtà da garante a suo figlio.

Dei suoi strumenti non rimane quasi nulla, solo pochi reperti. Nel bresciano appronta quelli per San Giuseppe (1581) e Bagolino (1590, entrambi assieme al padre), Gardone Riviera e Carmine di Salò (1594), San Gaetano in città (1596), Lonato e Calcinato (1601); per Polpenazze (1609) è garante per il figlio. In effetti Costanzo dagli anni ‘90 del secolo pare dedicarsi sempre di più alla sua attività di organista, compositore, perito e trattatista, oltre che alla conduzione delle immense ricchezze ereditate e accumulate e alla promozione sociale, che lo porteranno agli inizi del secolo a fregiarsi del titolo di “Patritii Brixiani Organistae”.

Come organista venne assunto nel 1584 al Duomo. Fu dispensato dall'incarico nel 1620 perché, come testimonia Ottavio Rossi: “opera e compone, se ben vecchio e storpiato d'apoplesia (alla mano sinistra n.d.r.) e come benemerito è riconosciuto dalla città con onorato stipendio”, che non gli venne tolto fino alla sua morte.

Come compositore si palesa nel 1571 con la pubblicazione a Venezia de “Il Primo Libro de Madrigali a Quatro Voci con uno Dialogo a Otto”, poi con cadenza quasi biennale pubblicherà composizioni principalmente sacre (messe, salmi e mottetti) ma anche profane, riprese in varie antologie dell'epoca, anche straniere.

L'opera che, oltre agli strumenti, ha diffuso e tramandato la sua fama e quella della famiglia è “L'Arte Organica, Dialogo trà Padre, & Figlio, à cui per via d'Auuertimenti insegna il vero modo di sonar, & registrar l'Organo; con l'indice de gli Organi fabbricati in casa loro. Opera xvj. Utile e necessaria à gli Organisti”. È un trattatello un poco pedante, dato alle stampe a Brescia nel 1608 in allegato a “L'Antegnata” una intavolatura di 12 ricercari d'organo in tutti i toni, sull'esempio del suo maestro Cavazzoni.

Oltre a regole di galateo organistico e consigli di registrazione, Costanzo dà indicazioni di prassi esecutiva e una regola per l'accordatura di organi e cembali. Descrive le disposizioni foniche e alcune caratteristiche tecniche di diversi tipi di organi costruiti dalla loro officina.

Nell'Indice elenca ben 144 lavori, effettuati nei territori e nelle città di Brescia, Mantova, Bergamo, Valtellina, Como, Crema, Milano, Pavia, Lodi, Parma, Cremona, Verona, Vicenza, Padova e Venezia.

L'elenco è da aggiornare, perché si stima che i lavori effettuati in realtà ammontino a circa 400, raggiungendo località come Torino, Saronno, Bellinzona, Lugano, Varese, Ferrara, Rovereto, Modena, Ferrara.

Costanzo di fatto chiude la grande epopea antegnatiana.

Alla sua morte solo Giovan Francesco II (1587–1630?) dei quattro figli maschi avuti prosegue l'attività. Purtroppo non poté svilupparla adeguatamente nonostante le aspettative di Costanzo che lo designò come interlocutore nell'Arte Organica e suo erede universale fin dal primo testamento (ne fece 3: 1600, 1603 1615) ritrovato recentemente, (ancora sigillato e controfirmato tra gli altri da Gio. Paolo Maggini) proprio da Ravasio. La morte lo coglierà quasi sicuramente nel 1630, a soli 43 anni, probabilmente per peste. I figli di Gianfrancesco, Graziadio III (1608–1656), Faustino II (1611–1650) e Girolamo (1614–1650), assieme al nipote Bartolomeo Ludovico (1639–1691) figlio di Graziadio III, terminarono i fasti degli avi vivendo di luce riflessa, principalmente con lavori, manutenzioni e rari strumenti, nei quali molto probabilmente copiano il richiesto, nuovo stile meiariniano. La stirpe si estingue nel 1710, con la morte dell'ultima rappresentante nella parrocchia di Sant'Agata.


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