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Scavi archeologici di Pompei - Wikipedia

Scavi archeologici di Pompei

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Coordinate: 40°45′03″N 14°29′14″E / 40.750833, 14.487083

Bene protetto dall'UNESCO
Patrimonio dell'umanità
Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata
Archaeological Areas of Pompei, Herculaneum and Torre Annunziata
Tipologia Architettonico, artistico
Criterio C (iii) (iv) (v)
Pericolo Nessuna indicazione
Anno 1997
Scheda UNESCO inglese
francese
Patrimoni dell'umanità in Italia
Pompei e l'eruzione del 79 d.C.
Pompei e l'eruzione del 79 d.C.

Nell'area degli scavi archeologici di Pompei è stata portata alla luce l'antica città romana distrutta tragicamente a seguito di una delle eruzioni del vicino vulcano Vesuvio, avvenuta nell'anno 79.

Già alcuni anni prima - nel 62 - un terribile terremoto, premonitore della ben più grave catastrofe che si sarebbe abbattuta sulla città di lì a pochi anni, colpì Pompei e la città di Ercolano nonché altri centri della Campania.

Pompei fu gravemente danneggiata, ma subito cominciò l'opera di ricostruzione. Diciassette anni più tardi, mentre i lavori continuavano a procedere a ritmo sostenuto (ed anche se gli edifici pubblici erano ancora quasi tutti da restaurare), la città e i suoi abitanti vissero una tra le più grandi tragedie della storia antica che oggi, cristallizzata nel tempo e in quell'attimo, è stata riportata in superficie divenendo il secondo sito archeologico più visitato al mondo.

Gli scavi di Pompei, con quelli di Ercolano ed Oplontis, sono riportati nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO[1].

Indice

[modifica] Dal Vesuvio una grande nuvola

L'ultimo giorno di Pompei - Immagine generata al computer
L'ultimo giorno di Pompei - Immagine generata al computer
Karl Briullov, L'ultimo giorno di Pompei, 1827-1833
Karl Briullov, L'ultimo giorno di Pompei, 1827-1833
I calchi delle vittime dell'eruzione del Vesuvio
I calchi delle vittime dell'eruzione del Vesuvio

Sin dall'alba del 24 agosto di quell'anno 79 apparve sul Vesuvio una grande nuvola a forma di pino. Alle dieci del mattino i gas che premevano dall'interno fecero esplodere la lava solidificata che ostruiva il cratere del vulcano, riducendola in innumerevoli frammenti, i lapilli, i quali furono scagliati su Pompei, insieme con una pioggia di cenere così fitta da oscurare il sole. Fra terribili scosse telluriche ed esalazioni di gas venefici, la città cessò d'esistere quello stesso giorno, rimanendo per secoli sepolta sotto una coltre d'oltre sei metri di cenere e lapilli. Si è calcolato che sui circa diecimila abitanti[citazione necessaria] che doveva avere in quel periodo Pompei, circa duemila[citazione necessaria] sarebbero state le vittime, alcune avvelenate dai gas durante la fuga, altre stritolate nelle loro stesse case dai tetti crollati sotto il peso dei lapilli.

Della città quasi si perse la memoria, al punto che, quando alla fine del XVI secolo l'architetto Domenico Fontana, nel costruire un canale di derivazione del Sarno, scoprì alcune epigrafi e persino edifici con le pareti affrescate, non vi riconobbe i resti dell'antica Pompei.

I primi veri scavi nell'area di Pompei ebbero inizio nel 1748 per volontà del re Carlo di Borbone, anche se furono piuttosto irregolari e non seguirono alcun metodo scientifico. Spesso gli edifici man mano portati alla luce venivano spogliati di oggetti ed opere d'arte e quindi nuovamente ricoperti. Nella prima metà dell'Ottocento i lavori procedettero molto più speditamente, e portarono all'esplorazione di molti edifici privati e di quasi tutto il Foro. Dal 1860, con l'avvento del Regno d'Italia, i lavori affidati alla direzione di Giuseppe Fiorelli furono condotti con sistematicità e rigoroso metodo scientifico. Il Fiorelli intuì fra l'altro la possibilità di ottenere calchi dalle vittime dell'eruzione colando del gesso liquido nel vuoto lasciato dai corpi, ormai dissolti, nella cenere solidificata: questi calchi, nell'Antiquarium di Pompei, costituiscono una delle più tragiche testimonianze della catastrofe.

Oggi Pompei ci appare in quasi tutta la sua estensione e ci riporta al giorno in cui il destino fermò il corso della sua storia. Le scritte elettorali sui muri, le suppellettili domestiche, le botteghe, tutto sembra ancora vivo: la tragedia di Pompei non ha distrutto la città, vi ha solo fermato il tempo per restituircela con l'aspetto che essa aveva in quel preciso giorno del 79.

[modifica] La data dell'eruzione

Per approfondire, vedi la voce Data dell'eruzione del Vesuvio del 79.

La data dell'eruzione del 79 è nota attraverso una lettera di Plinio il giovane in cui si legge nonum kal. septembres, cioè "24 agosto".

Questa data era contenuta nella variante universalmente ritenuta più attendibile del manoscritto ed è stata accettata come sicura fino ad oggi, anche se alcuni dati archeologici via via emersi mal si accordavano con una data estiva.

Dati archeobotanici e archeologici che sono stati analizzati negli ultimi anni hanno permesso di accertare che la data del 24 agosto è sicuramente errata, e l'antica eruzione si deve collocare almeno dopo l'8 settembre e considerando anche altri dati archeologici (come l'accertata conclusione della vendemmia), è plausibile ipotizzare una data ancora successiva e pienamente autunnale.

[modifica] Monumenti

[modifica] Porta Marina

L'ingresso principale agli scavi è attualmente la Porta Marina, che nell'antichità non costituiva uno degli accessi più importanti della città, a causa della forte pendenza della strada che la rendeva impercorribile ai carri. La porta, d'epoca piuttosto recente ed in opus incertum, presenta due passaggi coperti a volta, uno per i pedoni e l'altro per chi andava a cavallo.

Planimetria degli scavi
Planimetria degli scavi

[modifica] Villa Imperiale

Nei pressi della porta, un cancelletto dà accesso alla cosiddetta Villa Imperiale, con un lungo portico realizzato davanti alle mura e databile alla fine del I secolo a.C. Interessantissima è la decorazione pittorica del triclinio, piuttosto complessa, che presenta tre grandi pannelli con Teseo che sconfigge il Minotauro, Arianna abbandonata da Teseo e Dedalo ed Icaro.

[modifica] Antiquarium

L'Antiquarium di Pompei, fondato nel 1861 e distrutto dai bombardamenti durante l'ultimo conflitto mondiale, è stato ricostruito nel 1948 secondo moderni criteri museografici, in modo da offrire un quadro il più possibile completo della storia della città.

Nell'ingresso sono sistemate alcune sculture provenienti da edifici pompeiani, mentre alle pareti sono rappresentate pitture di IV stile provenienti dal Portico dei Triclini. La prima sala ospita reperti della Pompei presannitica: particolarmente interessante è il materiale dalla necropoli dell'età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.) della Valle del Sarno; alle pareti sono sistemate delle terrecotte architettoniche templari; frammenti di bucchero, di ceramica attica e corinzia rinvenuti nella zona del tempio d'Apollo trovano posto in una vetrina sul fondo della sala.

Un affresco in una casa di Pompei, detto la "Venere in conchiglia"
Un affresco in una casa di Pompei, detto la "Venere in conchiglia"

Nella seconda sala è un frontone figurato in tufo proveniente da un tempietto prostilo del III-II secolo a.C. che sorgeva sulla collina di Sant'Abbondio; al centro del frontone è un tirso ornato di bende, con a sinistra Dioniso-Libero e a destra Libera, semisdraiata; negli angoli estremi del frontone sono raffigurati, dal lato di Libera, un Erote sorreggente un flabello ed un'oca; dal lato di Dioniso, un Sileno ed una pantera. Davanti al frontone è sistemata l'ara di tufo rinvenuta dirimpetto al tempio: resa incisa, su entrambe le facce, un'iscrizione osca col nome dell'edile Maras Atiniis, che l'aveva dedicata grazie al denaro ricavato dalle multe. Ai lati della sala s'ammirano alcuni capitelli figurati in tufo del III-II secolo a. C. provenienti da alcune case della Via Nolana. La statua ammantata di Livia, raffigurata come sacerdotessa, è stata rivenuta nella Villa dei Misteri. Nella sala sono esposti anche alcuni ritratti, tra cui uno di Marcello, nipote di Augusto, e due erme, rispettivamente di Vesonius Primis e di Gaio Cornelio Rufo.

La terza sala è riservata alle suppellettili domestiche pompeiane: al centro è una vasca bronzea della Casa del Menandro. Nel mezzo della quarta sala, illustrante la vita commerciale ed economica di Pompei, sono i plastici del Portico dei Triclini e della Villa rustica di Boscoreale, la quale comprendeva la dimora padronale, un panificio, una macina per il grano, torchi per il vino, un torchio per l'olio, un fienile, una cella vinaria e le abitazioni per gli schiavi. Nelle vetrine si trovano numerosi strumenti di lavoro, resti carbonizzati di vivande, stufe, lanterne e strumenti chirurgici. Nell'Antiquario sono, inoltre, esposti alcuni drammatici calchi in gesso delle vittime dell'eruzione.

[modifica] Foro

Una panoramica sul Foro
Una panoramica sul Foro

Uscendo dal Museo si riprende la Via Marina; subito sulla destra s'incontrano i pochi resti del Tempio di Venere (protettrice della città[citazione necessaria]) e quindi la Basilica, affacciata sul Foro. Situato nel luogo di un importante nodo stradale, il Foro costituiva il centro politico, religioso ed economico di Pompei. La piazza, di notevoli dimensioni (m 38x142), appariva circondata per tre lati da un porticato, mentre il lato nord era chiuso dal Tempio di Giove (Capitolium) e da due archi onorari. Il porticato del lato meridionale, a doppio ordine, era in tufo di Nocera e risaliva all'età sannitica. Sui due rimanenti lati si notano invece colonne e trabeazioni in travertino, testimonianza di un rifacimento iniziato in età giulio-claudia che non poté essere portato a termine[citazione necessaria].

In quello stesso periodo si provvide a sostituire la pavimentazione della piazza in tufo con quella attualmente visibile, in travertino. Per interdire poi l'accesso nel Foro ai veicoli, il portico venne costruito ad un livello più alto della piazza, alla quale è collegato da due gradini. Restano solo le basi delle numerose statue onorarie che s'innalzavano nel Foro: probabilmente queste non erano state ancora ricollocate al loro posto dopo il terremoto del 62, che doveva averle seriamente danneggiate. Esemplare per la sua felice ed armoniosa disposizione, il Foro di Pompei, più che a modelli italici e romani, sembra ispirato ad esempi del mondo greco-ellenistico.

[modifica] Basilica

La Basilica
La Basilica

Tra gli importanti edifici che si affacciano sul Foro c'è la Basilica: il luogo in cui veniva amministrata la giustizia, ma anche luogo d'incontro e di discussione degli affari. A pianta rettangolare, è divisa in tre navate, con copertura a doppio spiovente retta dalle colonne centrali e dalle semicolonne della parte superiore delle pareti, dove restano decorazioni in primo stile. Sembrerebbe risalire alla seconda metà del II secolo a.C., nell'ambito del progetto di monumentalizzazione della città e costituirebbe perciò, uno dei più antichi esempi di questo tipo di costruzione.

L'ingresso, contrariamente a quanto avveniva in altri edifici simili d'epoca posteriore, era su uno dei lati minori, mentre sul lato opposto si trovava il tribunal, la tribuna con i seggi dei giudici, raggiungibile con scale di legno. Recenti scavi hanno permesso d'accertare che la Basilica di Pompei era coperta probabilmente con un'unica capriata.

[modifica] Tempio di Apollo

Il Tempio di Apollo
Il Tempio di Apollo

Di fronte al lato settentrionale della basilica è il Tempio di Apollo, l'edificio religioso più importante della città, d'origini molto antiche. Il culto d'Apollo, importato dalla Grecia, fu molto diffuso in Campania: qui a Pompei, come hanno dimostrato gli scavi effettuati nell'area di questo Santuario, è attestato già dal VI secolo a.C. si deve l'aspetto attuale del santuario ad un rifacimento del II secolo a.C. e al restauro conseguente al terremoto del 62, intervento peraltro non portato a termine. Il tempio, al centro d'un recinto sacro, era circondato per tutti e quattro i lati da una serie di colonne in tufo di Nocera originariamente scanalate e con i capitelli ionici, che nel corso del restauro vennero notevolmente appesantite da stucchi. I capitelli furono convertiti in corinzi e dipinti in giallo, rosso e blu.

L'elegante architrave dorico a metope e triglifi che correva sulle colonne fu trasformato in un fregio continuo con grifi, festoni e foglie. Oggi i resti del porticato si presentano nuovamente nel loro aspetto originario, essendo questa trasformazione in stucco quasi del tutto scomparsa. Di fronte alle colonne del portico furono rinvenute alcune statue di divinità, ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Le copie di due di esse – una raffigurante Apollo, l'altra un busto di Diana – sono poste nel luogo in cui furono rinvenuti i loro originali.

Il tempio vero e proprio, periptero con colonne corinzie, sorgeva su un alto podio e vi s'accedeva mediante un'imponente gradinata. Appare chiaro che tale edificio è frutto del connubio d'esperienze greche ed italiche[citazione necessaria]. Un particolare piuttosto insolito è costituito dallo spostamento indietro della cella rispetto al peristilio. Davanti alla gradinata d'accesso al tempio si vede tuttora un altare in marmo bianco su una base di travertino, recante un'iscrizione in latino con i quattuorviri che lo dedicarono. A lato della gradinata è una colonna ionica che sosteneva un orologio solare.

Nel lato del muro perimetrale del Tempio di Apollo, che s'affaccia sul Foro, è ricavata una nicchia contenente la mensa ponderaria, ossia la tavola con le misure di capacità ufficiali a garanzia del cittadino contro un'eventuale frode da parte dei venditori.

Proseguendo il cammino sul alto occidentale del portico, s'incontrano i resti d'un porticato sotto il quale si svolgeva, con tutta probabilità, il mercato degli erbaggi e dei cereali (forum olitorium).

[modifica] Tempio di Giove

Segue il Tempio di Giove, che s'innalza in posizione di tutto rispetto, al centro del lato settentrionale della piazza. Originariamente forse dedicato al solo Giove, dopo l'80 a.C. vi si venerarono anche Giunone e Minerva. Esso divenne così il Capitolium della città, il centro del culto della triade capitolina, simbolo del potere di Roma. Il tempio, eretto nel II secolo a.C., fu seriamente danneggiato dal terremoto del 62 ed il suo restauro era ben lungi dall'essere terminato al momento dell'eruzione del Vesuvio.

Di tipo italico, il tempio sorge su un alto podio quadrangolare la cui parte meridionale è completamente occupata da una doppia gradinata, è prostilo e presenta sei colonne sulla fronte. L'ampia cella è divisa in tre navate da colonnati a due ordini. Sul fondo della cella dovevano essere collocate le statue di culto, delle quali resta solo una grande testa di Giove (sul tipo del Giove di Otricoli) ora al Museo Nazionale di Napoli.

[modifica] Macellum, Templi dei Lari e di Vespasiano

Passando nella parte orientale del portico, il primo edificio che s'incontra è il Macellum, grande mercato coperto con un cortile centrale dove veniva pulito il pesce.

Di fianco al Macellum è un'ampia costruzione d'epoca imperiale, caratterizzata da un'abside ed identificabile con il Tempio dei Lari Pubblici, cioè delle divinità tutelari della città, alle quali era stato forse dedicato dopo il terremoto che aveva terrorizzato i Pompeiani.

Subito oltre è il Tempio di Vespasiano, nel cui cortile è stato rinvenuto un bell'altare di marmo a rilievo con una scena di sacrificio ed altri soggetti.

[modifica] Edificio di Eumachia

Presso il tempio è l'imponente Edificio di Eumachia, che prende il nome dalla sacerdotessa che l'edificò dedicandolo alla Concordia e alla Pietas Augusta, ossia a Livia (madre dell'imperatore Tiberio Claudio Nerone), cui spettavano tali attributi, come si legge chiaramente in due iscrizioni.

Sfortunatamente l'edificio di Eumachia aveva subito notevolissimi danni durante il terremoto e nel 79 i restauri non erano in fase molto avanzata, cosicché non possiamo avere che una pallida idea dello splendore con il quale era stato costruito. La facciata era preceduta da un portico a doppio ordine di colonne di travertino e davanti ad ogni colonna era posta una statua. Si entrava nell'edificio mediante la grande porta rettangolare ornata da una fascia marmorea a fregio continuo con foglie d'acanto e spirali.

La costruzione si svolgeva attorno al grande cortile circondato da un portico con colonne corinzie. Il lato di fondo del cortile presenta un'ampia abside fiancheggiata da due colonne, dov'è stata rinvenuta la statua della Concordia Augusta. Altre statue dovevano ornare il cortile, ma erano state rimosse dopo il terremoto e non ancora ricollocate al loro posto, probabilmente perché bisognose di restauro, e se ne sono trovate solo le basi. Al di sotto del cortile, lungo tre dei sei lati, corre un grande criptoportico, dove si trova la copia della statua di Eumachia, ivi rinvenuta (l'originale è al Museo Archeologico Nazionale di Napoli).

[modifica] Lupanare ( VII,12,18)

Uno dei quadretti dipinti, raffiguranti diverse posizioni erotiche, alle pareti del Lupanare delle Terme Suburbane di Porta Marina.
Uno dei quadretti dipinti, raffiguranti diverse posizioni erotiche, alle pareti del Lupanare delle Terme Suburbane di Porta Marina.

Il Lupanare, da lupa che in latino significa prostituta, era il più importante dei numerosi bordelli di Pompei, l'unico costruito con questa precisa finalità. Gli altri erano infatti di una sola stanzetta, spesso ricavata al piano superiore di una bottega.

Le prostitute erano schiave, di solito greche ed orientali. Il prezzo andava dai due agli otto assi (la porzione di vino ne costava uno): ma il ricavato, trattandosi di donne senza personalità giuridica, andava al padrone od al tenutario (lenone) del bordello.

Il Lupanare è un piccolo edificio ubicato all'incrocio di due strade secondarie: esso è costituito da un piano terra e un primo piano collegati da una stretta rampa di scale. Era destinato, al piano terra, alla frequentazione di schiavi o delle classi più modeste e ciò si risente nella povertà della costruzione anche se il poco spazio è organizzato con grande razionalità.

Il piano terra presenta due ingressi, un corridoio di disimpegno e cinque stanzette con letto e capezzale in muratura, chiuse da porte di legno, mentre sul fondo è ubicato una latrina. I letti in muratura venivano coperti da un materasso. Alle pareti sono visibili quadretti dipinti, raffiguranti diverse posizioni erotiche.

Al piano superiore si accede da un ingresso indipendente e attraverso una scala che termina su un balcone pensile si accede alle diverse stanze. Queste, più ampie e con maggiore decoro erano riservate ad una clientela di rango più elevato. La costruzione dell'edificio risale agli ultimi periodi della città: in una cella l'intonaco fresco ha catturato l'impronta di una moneta del 72.

[modifica] Via dell'Abbondanza

Tutto il lato meridionale dell'Edificio di Eumachia è costeggiato dalla Via dell'Abbondanza, attraversando la quale raggiungiamo il Comizio, dove avvenivano le votazioni per l'elezione dei magistrati cittadini.

La Piazza del Foro appare completata sul lato meridionale da tre edifici riccamente decorati, in forma di grandi aule, due dei quali absidali; erano riservati, con tutta probabilità, all'amministrazione della vita della colonia.

La Via dell'Abbondanza (una delle strade più suggestive di Pompei, che deve il suo nome alla fontana con un busto della Concordia Augusta, erroneamente interpretato come l'Abbondanza), che conserva la la sua originaria pavimentazione ed è fiancheggiata da ampi e comodi marciapiedi, venne scavata tra il 1910 ed il 1923 da Vittorio Spinazzola. Costui, oltre a curare il restauro degli edifici che vi s'affacciano, riuscì, grazie all'esame delle radici, addirittura a ripristinare gli antichi giardini, ponendovi a dimora le stesse piante che c'erano al momento dell'eruzione.

[modifica] Foro Triangolare

La terza traversa a destra di Via dell'Abbondanza è la Via dei Teatri, che conduce al cosiddetto Foro Triangolare, un'area sacra a pianta grosso modo triangolare, situata su un costone di formazione vulcanica emergente a picco sull'antistante pianura. Si accede alla piazza, la cui sistemazione dovrebbe risalire al II secolo a.C., dal suo lato più breve, corrispondente ad un vertice del triangolo, mediante un elegante portico con colonne ioniche in tufo. Un colonnato di novantacinque colonne doriche correva lungo i lati della piazza, lasciando libera solo la parte sud-ovest, che s'affaccia sulla pianura e gode di una magnifica vista sul mare.

Nei pressi della parte anteriore del portico si trova la base sulla quale era collocata una statua onoraria di Marco Claudio Marcello, nipote d'Augusto. L'edificio che determinò la creazione di quest'area sacra è un tempio d'origini molto antiche (VI secolo a.C.), di cui non restano che scarsi avanzi. È stato comunque possibile stabilire[citazione necessaria] che il tempio era dorico arcaico, forse in antis, decorato da terrecotte architettoniche e che venne restaurato numerose volte nell'antichità. Originariamente dedicato ad Ercole, ritenuto dai Pompeiani il fondatore della loro città, accolse più tardi anche il culto di Minerva. Probabilmente legato al culto di Ercole è il recinto quadrangolare d'epoca romana posto davanti alla scalinata del tempio, forse nel luogo ove si riteneva fosse sepolto l'eroe.

A destra del recinto si vedono tre are in blocchi di tufo d'epoca preromana, dietro alle quali è una piccola costruzione di forma rotonda con sette colonne doriche, contenente un pozzo, costruito da N. Trebius, che ricoprì l'alta carica di meddix, una magistratura della Pompei preromana.

[modifica] Teatro Grande

Il Teatro Grande
Il Teatro Grande

Adiacente al Foro Triangolare, e raggiungibile dal portico, è il Teatro Grande, della prima metà del II secolo a.C., costruito, com'era consuetudine nel mondo greco ed ellenistico, sfruttando il pendio naturale d'una collina e notevolmente restaurato ed ampliato in epoca romana. La cavea, ossia lo spazio riservato agli spettatori, era divisa in tre ordini di gradinate marmoree. La scena, in età romana, aveva le classiche tre porte, ed era ornata da nicchie ed edicole. Il teatro era dotato di un grande quadriportico, abbastanza ben conservato, dove gli spettatori potevano intrattenersi prima degli spettacoli o durante gl'intervalli, trasformato dopo il terremoto del 62 in una Caserma per Gladiatori.

[modifica] Odeion

A lato del Teatro Grande è un piccolo teatro coperto, l'Odeion (o Teatro Piccolo) per audizioni musicali, eretto fra l'80 a.C. ed il 75 a.C., dai duoviri C. Quinzio Valgo e Marco Porcio.

[modifica] Palestra Sannitica

Dietro la cavea del Teatro Grande sorgono la Palestra Sannitica con un elegante porticato dorico nel quale è stata rinvenuta un'ottima replica del Doriforo di Policleto (ora al Museo Nazionale di Napoli).

[modifica] Tempio di Iside

Illustrazione dei primi scavi al Tempio di Iside
Illustrazione dei primi scavi al Tempio di Iside

Il Tempio di Iside, eretto tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.C., testimonianza della straordinaria diffusione nel mondo romano di questo culto egizio. Assai danneggiato dal terremoto, il tempio fu ricostruito dopo il 62, ed è stato rinvenuto in ottimo stato di conservazione, adorno di stucchi, statue e dipinti, e con tutta la suppellettile per il culto ancora al suo posto.

Numerosi affreschi provenienti dal tempio di Iside sono conservati presso il Museo archeologico nazionale di Napoli, dove è anche esposto un plastico che ricostruisce l'originale struttura del tempio.

[modifica] Tempio di Giove Melichio

All'incrocio tra la Via del Tempio di Iside e la Via Stabiana è il piccolo Tempio di Giove Melichios, circondato da un recinto sacro. Nel mezzo del cortile antistante il tempio è un altare in tufo nocerino (III-II secolo a. C.).

[modifica] Terme Stabiane

Affresco erotico nelle Terme Stabiane
Affresco erotico nelle Terme Stabiane

Sulla sinistra, nella Via Stabiana, è la Casa di Cornelio Rufo, quindi, dopo l'incrocio con Via dell'Abbondanza, le Terme Stabiane, le più antiche della città, risalenti nel loro primo impianto forse addirittura al IV secolo a.C., che si svolgono attorno alla grande Palestra, con il cortile porticato su tre lati. Le terme mostrano segni di vari rifacimenti, l'ultimo dei quali ebbe luogo dopo il terremoto del 62. Sono composte da una sezione maschile e da una femminile, servite entrambe dallo stesso praefurnium, l'ambiente dov'erano le caldaie. Interessante è il sofisticato sistema di riscaldamento (comune nelle terme romane) che si può ben osservare nel tepidarium maschile: l'aria calda circolava sotto il pavimento, rialzato da piastrini, e nelle intercapedini delle pareti.

Sia le terme maschili che quelle femminili sono composte da uno spogliatoio (apodyterium), da un'aula con piscina bagni freddi (frigidarium), da una stanza moderatamente riscaldata (tepidarium) e da una sala riscaldata fortemente (calidarium), dotata d'una vasca per bagni caldi ed una fontana per rapide abluzioni con acqua tiepida. A questi si deve aggiungere tutta una serie d'ambienti, alcuni annessi alla palestra, e la grande piscina per nuotare all'aperto.

[modifica] Casa di Marco Lucrezio

Proseguendo sulla Via Stabiana, dopo aver attraversato la Via degli Augustali, troviamo sulla destra la Casa di Marco Lucrezio, con un delizioso giardinetto ornato da una fontana con piccole sculture. Le pareti della casa erano riccamente decorate da pitture, le più belle delle quali sono state distaccate e portate nel Museo Nazionale di Napoli.

[modifica] Terme Centrali

L'insula che segue è completamente occupata dalle Terme Centrali, che dopo il 62, vennero a prendere il posto di alcuni edifici rovinati dal terremoto. Nel 79 la loro costruzione non era ancora terminata. Riservate agli uomini, sono prive del frigidarium, ma hanno un elemento che non compare nelle altre terme pompeiane, il laconicum, l'ambiente per la sudatio in aria calda e secca. Questo complesso, per la luminosità e la spaziosità degli ambienti, la grande palestra e l'ottima qualità del materiale da costruzione, si può avvicinare alle terme delle grandi città e di Roma stessa.

[modifica] Casa del Fauno (VI,12,1-8)

Il Fauno
Il Fauno
Per approfondire, vedi la voce Casa del Fauno.

Voltando a sinistra in Via della Fortuna, si raggiunge la Casa del Fauno, una delle più lussuose abitazioni di Pompei. Risalente all'età sannitica (quand'era un'ampia ma modesta casa), sul finire del II secolo a.C., giunse ad occupare un'intera insula della sesta regione raggiungendo un'estensione enorme e ricevette una sontuosa decorazione a stucco e mosaici. Il saluto HAVE, scritto in tessere policrome sul marciapiede di fronte alla porta d'ingresso, accoglie ancora oggi il visitatore di questa dimora. La sua parte anteriore si svolge intorno a due atri, il principale dei quali, di tipo tuscanico, ossia senza colonne, aveva l'impluvium ornato dalla statuetta di fauno danzante che ha dato il nome alla casa (l'originale è ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli).

L'atrio tuscanico è seguito da un tablino con ai lati due stanze triclinari decorate originariamente da due magnifici emblemata, quadri policromi a mosaico, raffiguranti rispettivamente animali marini e un demone su pantera, entrambi al Museo di Napoli. Il secondo atrio è tetrastilo, col tetto cioè retto da quattro colonne, e si apre su alcune stanze di servizio. Segue un primo peristilio con le pareti decorate a stucco e ventotto colonne in tufo di Nocera; sul fondo è un'esedra il cui spazio è delimitato da due colonne in tufo ricoperte di stucco dipinto. Sulla soglia era un mosaico con paesaggio nilotico, mentre il pavimento stesso dell'esedra era costituito da una grandiosa scena musiva: la Battaglia di Isso tra Alessandro Magno e Dario, realizzata con oltre un milione e mezzo di piccolissime tessere, che costituisce oggi il vanto del Museo Nazionale di Napoli.

L'esedra è affiancata da due stanze, che fungevano da sale da pranzo estive: quella di sinistra era ornata dal mosaico con tigre assalita da un leone. Veramente grandioso è il secondo peristilio, con quarantasei colonne doriche alte m. 4,12, sul fondo del quale si trovano le stanze dei giardinetti e del portiere, oltre ad un ingresso secondario sul Vicolo di Mercurio.

[modifica] Tempio della Fortuna Augusta

Proseguendo in Via della Fortuna, si trova il Tempio della Fortuna Augusta, eretto a spese del duoviro Marco Tullio, su suolo di sua proprietà. Il tempio sorgeva su un podio ed era preceduto da una gradinata con platea per l'ara. La cella, preceduta da un pronao con quattro colonne sulla fronte e tre sui lati, aveva sul fondo un'edicola per la statua della Fortuna, e ai lati quattro nicchie per statue onorarie.--79.8.149.29 15:09, 18 feb 2008 (CET)

[modifica] Terme del Foro

Una strada pavimentata della città.
Una strada pavimentata della città.

A breve distanza sorgono le Terme del Foro, che anche se non sono le più grandi della città, sono interessantissime per l'elegante decorazione e l'ottimo stato di conservazione del calidarium e del tepidarium della sezione maschile: erano composte infatti da una parte per gli uomini e da una per le donne.

Due corridoi introducono, per quanto riguarda le terme maschili, nell'apodyterium (spogliatoio) da dove si passa nel frigidarium, al cui centro è la vasca circolare per i bagni freddi, e nel “tepidarium”, con volta a botte ancora in parte ornata da finissimi stucchi della seconda metà del I secolo; vi si conserva il grande braciere che serviva a riscaldare l'ambiente, donato da Marcus Nigidius Vaccula. Dal tepidarium s'accede direttamente all'ambiente per i bagni caldi, il calidarium, riscaldato da aria calda che passava all'interno delle doppie pareti.

La stanza è dotata di due vasche, l'alveus, di forma rettangolare, per i bagni caldi, ed il labrum, con acqua fredda, sul cui orlo è un'iscrizione in lettere di bronzo col nome dei duoviri che lo fecero ivi collocare e con la specificazione della somma spesa a tale scopo: 5240 sesterzi.

[modifica] Casa del Poeta Tragico (VI,8,3-8)

Di fronte è la Casa del Poeta Tragico, che deve il suo nome all'emblema musivo raffigurane una prova teatrale inserito nel pavimento del tablino, ora conservato al Museo Nazionale di Napoli, come del resto praticamente tutti i mosaici e le pitture che ornavano questa dimora, elegante seppur di modeste dimensioni. Lo stretto corridoio fiancheggiato da due tabernae che porta all'atrio ha ancora sul pavimento un quadretto a mosaico con un cane alla catena e la scritta cave canem (attenti al cane!).

MOsaico con l'epigrafe CAVE CANEM
MOsaico con l'epigrafe CAVE CANEM

[modifica] Casa di Pansa (VI,6,1)

L'insula seguente è occupata da un'unica casa, la Casa di Pansa, risalente all'epoca sannitica. Come risulta da un avviso di locazione, il suo ultimo proprietario fu un certo Cneus Alleius Nigidius. Singolare è il peristilio con colonne sovrastate da capitelli ionici ed una grande vasca nel centro.

[modifica] Via dei Sepolcri e Villa di Diomede

Dalla Porta Ercolano si esce per visitare la cosiddetta Via dei Sepolcri, una delle necropoli di Pompei, con la sue suggestive tombe disposte ai lati della strada, e per raggiungere la grande Villa di Diomede, purtroppo spogliata di molti dei suoi bei dipinti (ora al Museo Nazionale di Napoli). Dall'ingresso, come di consueto nelle ville, si avvede direttamente ad un peristilio. Nello spazio triangolare compreso fra il peristilio e la strada è sistemato un bagno signorile. Notevole è il giardino, il più grande di Pompei, circondato da un maestoso porticato.

[modifica] Villa dei Misteri

Per approfondire, vedi la voce Villa dei Misteri.
Uno degli affreschi conservati alla Villa dei Misteri
Uno degli affreschi conservati alla Villa dei Misteri

A duecento metri dalla suddetta villa è la Villa dei Misteri. Questo grandioso edificio è tra i più interessanti, per l'armoniosa e singolare disposizione degli ambienti e per la superba decorazione pittorica. Sorto nella prima metà del II secolo, fu più volte modificato ed ampliato; ora si presenta come una costruzione quadrilatera circondata da terrazze panoramiche, da un giardino pensile e loggiati. Dopo il terremoto del 62 venne in possesso di nuovi proprietari che ne mutarono il carattere di dimora signorile aggiungendovi una parte rustica con impianti agricoli.

L'ingresso attuale è dalla parte opposta a quello principale che, secondo la caratteristica propria delle ville pseudourbane messa in rilievo anche da Vitruvio, immetteva direttamente nel peristilio. Il primo ambiente ad incontrarsi è una grande esedra con finestre, una sorta di veranda panoramica fiancheggiata da due terrazze simmetriche sulle quali affacciano aree porticate. Dall'esedra si passa nel tablino, decorato con pitture del terzo stile evoluto, con figurine egittizzanti e simboli dionisiaci in stile miniaturistico, tutto sul fondo nero. Attraverso un cubicolo che s'apre sul tablino, o direttamente da un'ala del portico, s'accede alla Sala del Grande Dipinto: un oecus dell'alcova nuziale, in seguito trasformato in triclinio. Sulla pareti si svolge il grande fregio dionisiaco che costituisce uno degli avanzi più cospicui della pittira antica. Databile intorno alla metà del I secolo a.C., è una megalografia composta da ventinove grandi figure raggruppate in alcune scene, l'interpretazione delle quali è ancora discussa.

Si tende comunque a pensare che il fregio rappresenti l'Iniziazione delle spose ai Misteri Dionisiaci, ossia a quei riti la cui diffusione Roma tentò inutilmente di limitare col famoso Senatus consultum de Bacchanalibus. Secondo quest'interpretazione, le scene raffigurerebbero, cominciando dalla parete settentrionale, che oggi danno il nome alla villa: la lettura del rituale eseguita da un fanciullo in piedi, forse Jachos o lo stesso Dioniso; il sacrificio offerto da una fanciulla, che si reca, con in mano il piatto delle offerte, verso tre donne che stanno compiendo un rito sacrificale; un Sileno con la lira presso una pansica, che allatta un capretto, e Pan; una donna atterrita che fugge; un vecchio Sileno e due satirelli, uno dei quali beve da un recipiente che gli porge il Sileno, mentre l'altro regge in mano una mostruosa maschera teatrale; le nozze di Dioniso e Arianna; una giovane donna che sta per scoprire il phallòs, simbolo della fecondità; una figura alata che colpisce una giovane donna; una baccante nuda che s'abbandona alla danza; la toletta di una sposa che si prepara ad essere iniziata ai misteri; una donna ammantata, probabilmente la padrona di casa.

L'atrio è senza colonne e le sue pareti sono ornate da paesaggi nilotici, al di sotto dei quali erano pannelli dipinti di cui resta solo l'incavo sulla parete. Interessanti pitture si possono ammirare anche in altri ambienti della villa, che era fornita persino d'un piccolo bagno privato d'età preromana, in seguito usato come dispensa. In questa villa, infine, è stata rinvenuta la statua ammantata di Livia, ora nell'Antiquarium di Pompei.

[modifica] Via di Mercurio

Rientrando entro le mura si raggiunge la Via di Mercurio, dove hanno i loro ingressi la Casa della Fontana Grande e la Casa della Fontana Piccola, entrambe con graziosi ninfei a nicchia decorati da mosaici.

Proseguendo per la Via di Mercurio, si giunge alla Casa di Castore e Polluce, con un singolare atrio a colonne corinzie, d'un tipo cioè presente a Pompei solo con quattro esempi. La decorazione pittorica della casa venne eseguita dalla stessa bottega operante nella vicina Casa dei Vettii. I dipinti più importanti sono ora al Museo Nazionale di Napoli; restano comunque alcune pitture nelle stanze del tablino e la notevole decorazione in quarto stile del peristilio.

[modifica] Casa del Labirinto e Casa dei Vettii (VI,15,1)

La Casa dei Vettii
La Casa dei Vettii
Per approfondire, vedi la voce Casa dei Vettii.

Oltrepassata la Casa del Labirinto, con doppio atrio ed emblema musivo con Teseo e il Minotauro in una stanza in fondo al peristilio, s'arriva ad una delle più interessanti e lussuose dimore della città: la Casa dei Vettii, la cui fama è soprattutto dovuta ai dipinti, eseguiti dopo il 62, e fortunatamente ben conservati, che ne ornano sfarzosamente le pareti. La casa appare divisa in due zone ben distinte: l'abitazione signorile con le stanze di rappresentanza che si svolge intorno all'atrio tuscanico, e le stanze di servizio con le abitazioni dei servi disposte intorno ad un atrio secondario. In quest'ultimo ambiente era sistemato un larario a mo' di tempietto, recante sul fondo un dipinto col genio del pater familias tra due Lari.

Svariati sono i soggetti delle pitture di quarto stile che ornano i vari ambienti: vanno dalle architetture di fantasia alle scene mitologiche ed eroiche, impreziosite da fregi delicati e miniaturistici. Famoso è il delizioso fregio con Amorini esercitanti arti e mestieri che s'ammira sulle pareti del grande triclinio affacciato sul peristilio. Al di sotto del fregio sono dei riquadri con gruppi di Psichi e pannelli con soggetti mitologici. Assai curato era il peristilio, con numerose statuette addossate alle colonne, vasche e fontane. Sontuosa è anche la decorazione di due sale laterali all'atrio ed aperte sul peristilio. Nella stanza di sinistra, tra finte architetture e pannelli con vedute, sono dipinte tre scene: Ercole che strozza i serpenti, Il supplizio di Penteo ed Il supplizio di Dirce. Nella stanza di destra, più ampia, i quadri raffigurano: Dedalo e Pasifae, Issione legato alla ruota e Bacco davanti ad Arianna addormentata.

[modifica] Casa degli Amorini Dorati

Nell'isolato seguente, con ingresso sulla Via del Vesuvio, è la Casa degli Amorini Dorati, appartenente alla gens Poppaea ed è in buono stato di conservazione. L'ingresso, fiancheggiato da due cubicoli, immette nell'atrio e in un vasto peristilio, spostato verso sinistra ed estremamente curato: il lato di fondo del porticato è scenograficamente rialzato; maschere e dischi marmorei scolpiti (oscilla) erano appesi tra una colonna e l'altra. In un angolo è un sacello isiaco, mentre il larario tradizionale sul lato settentrionale. Sul peristilio s'affaccia un grande salone pavimentato a mosaico con alle pareti dipinti del terzo stile, raffiguranti Teti nell'officina di Vulcano, Giasone e Pelia, Achille, Briseide e Patroclo. Tutti gli ambienti della casa, alcuni elegantemente decorati con dipinti e stucchi, sono disposti intorno al luminoso peristilio. Il cubicolo che si trova presso il larario era ornato dai dischetti di vetro con l'applicazione di amorini in lamina d'oro che hanno dato il nome alla casa.

[modifica] Casa delle Nozze d'Argento (V,2,1)

Continuando nel Vicolo delle Nozze d'Argento, si giunge alla Casa delle Nozze d'Argento, la cui denominazione deriva dal fatto che venne scavata nel 1893, anno in cui ricorrevano le nozze d'argento dei Reali d'Italia. Questa lussuosa abitazione, la cui pianta mostra di non aver ricevuto sostanziali rimaneggiamenti posteriori, risale al II secolo a.C.. Maestoso è l'atrio con quattro grandi colonne in tufo nocerino sormontate da capitelli corinzi, che, partendo dai lati dell'impluvio, sorreggono il tetto. Piuttosto interessante sono alcuni ambienti decorati con pitture del secondo stile e un grande salone a parete nera. La casa era dotata anche d'un piccolo bagno con tepidarium e calidarium, e con la vasca per bagno freddo sistemata in un giardinetto attiguo.

[modifica] Casa di Lucio Cecilio Giocondo

Tornando sui propri passi, ci si riporta alla Via del Vesuvio, dove, al n. 26, è la Casa di Lucio Cecilio Giocondo, nella quale furono rinvenuti alcuni aspetti della città (il Foro, il Castellum Aquae, la Porta Vesuvio) durante il terremoto del 62. Ma la fama di quest'abitazione è dovuta allo straordinario rinvenimento dell'archivio di cassa del proprietario, composto da ben centocinquantaquattro tavolette cerate (trovato in una stanza sopra l'esedra a sinistra del peristilio) e del ritratto eccezionalmente realistico di Lucio Cornelio, posto ad ornamento dell'atrio.

[modifica] Casa del Citarista (I,4,5)

Ripercorrendo la Via Stabiana, al n. 5, è la Casa del Citarista, detta così per la bella statua bronzea di Apollo Citaredo (ora al Museo Nazionale di Napoli), qui rivenuta.

[modifica] Casa del Menandro( I,10,4.14-15)

L'affresco del Menandro
L'affresco del Menandro

Poco oltre, nel Vicolo Meridionale, si può visitare la Casa del Menandro, di proprietà d'un certo Quinto Poppeo, forse parente della moglie di Nerone, Poppea Sabina. Innalzata intorno al 250 a.C., la casa subì in seguito ampliamenti e variazioni che la trasformarono completamente. L'atrio, decorato da pitture di quarto stile e con larario a tempietto, è circondato da alcuni ambienti destinati ad usi diversi. Le pareti d'un ambiente sulla sinistra sono dipinte con tre drammatiche scene tratte dal mito trioano: la morte di Laocoonte e dei suoi due figli, l' incontro di Elena e Menelao nella reggia di Priamo e l' ingresso del Cavallo a Troia.

Il passaggio dall'atrio al tablino è fiancheggiato da colonne in tufo con sovrapposizioni in stucco dipinto; a destra del tablino è il cosiddetto Salone Verde, con le pareti ornate da fini pitture e pavimento a mosaico bianconero includente un emblema (quadretto centrale) policromo di soggetto nilotico. Un'interessante decorazione musiva aveva anche il piccolo atrio del bagno, situato nell'ala destra del grande peristilio centrale. In un ambiente di servizio sottostante il bagno è stato rinvenuto un vero e proprio tesoro composto da ben centodiciotto pezzi d'argenteria (per un peso complessivo di 24 kg), monete per 1432 sesterzi e gioielli d'oro.

Evidentemente[citazione necessaria] il proprietario della casa aveva nascosto qui i suoi beni più preziosi durante i lavori di restauro necessari alla casa, rimasta danneggiata dal terremoto del 62. Il vasto peristilio ha colonne ricoperte di stucco e con gli intercolunni chiusi da un basso pluteo. La parete di fondo del peristilio è aperta da nicchie rettangolari e ad abside, decorate da pitture: nella nicchia centrale, a destra, è la raffigurazione del poeta Menandro, seduto e con un rotolo in mano, che ha dato il nome alla casa.

Dal lato orientale del peristilio s'accede al grande triclinio (il più vasto della città con i suoi oltre 87 mq di superficie ed 8 metri d'altezza), ad alcune stanze minori e al quartiere servile.

Ancora dal Vicolo Meridionale s'accede, per un ingresso secondario, alla Casa del Criptoportico, caratterizzata da un grande criptoportico con elaborata decorazione pittorica.

[modifica] Thermopolium di Asellina

Dalla casa si esce in Via dell'Abbondanza; a sinistra di trova il Thermopolium di Asellina un locale per la mescita di bevande, rinvenuto in ottimo stato di conservazione, con tutta la suppellettile ancora al suo posto.

[modifica] Case dell'Insula VII

Di fronte, nell'Insula VII, si trovano diverse abitazioni, tra cui la Casa di Paquio Proculo e la Casa dell'Efebo, sovraccarica di decorazioni ed ornata da pregevoli opere d'arte. È da questa casa, certamente appartenuta ad un ricco mercante, che proviene un efebo bronzeo, replica di un originale greco del V secolo a.C., usato come portalampade per il giardino (Museo Nazionale di Napoli).

Dall'altro lato della strada, poco più avanti, è la Casa di Trebio Valente, che aveva l'intonaco del muro esterno ricoperto di scritte elettorali.

Sullo stesso lato è la Schola Armaturarum, dove aveva molto probabilmente sede un'associazione militare: alcune armature erano ancora, al momento della scoperta, in appositi scaffali a parete.

[modifica] Casa di Ottavio Quartione

Pitture parietali nella casa di Ottavio Quartione
Pitture parietali nella casa di Ottavio Quartione

Senz'altro degna di visita, nella stessa via, sulla destra, è la Casa di Ottavio Quartione, erroneamente detta di Loreio Tiburtino, con due cauponae (osterie) sulla facciata, che ci dimostrano come spesso a Pompei ambienti commerciali fossero abbinati alla dimora signorile. Presso il grande portale d'ingresso sono i sedili per i clientes, sostenitori del padrone di casa, da cui ricevevano favori anche economici. L'atrio rettangolare ha al centro l'impluvium, che, avendo perso la sua originaria funzione di raccoglitore delle acque piovane, è adibito a vasca per fiori. Dal fondo dell'atrio s'accede ad un piccolo peristilio e quindi ad una loggia porticata che s'affaccia sul grande giardino, fornito di un singolare canale (o euripo) a forma di T, ai cui bordi sono disposte statuette ed erme.

Al termine del braccio trasversale del dell'euripo è un biclinio per i pranzi all'aperto, con una fontana ad edicola fiancheggiata da due dipinti d'un certo Lucius, entrambi ispirati alla morte per amore: uno raffigura Narciso che si specchia nella fonte e l'altro Piramo suicida per aver trovato il velo insanguinato di Tisbe. All'estremità occidentale della loggia porticata si apre una stanza con fini pitture di quarto stile su fondo bianco e giallo, forse il sacello di qualche divinità.

[modifica] Villa di Giulia Felice

Un affresco della Villa.
Un affresco della Villa.

Dopo la Casa di Venere, che trae il suo nome da un dipinto sulla parete di fondo del peristilio, è la Villa di Giulia Felice, già esplorata tra il 1755 e il 1757, spogliata delle sue opere d'arte e ricoperta, quindi nuovamente scavata nel 1952/1953. Come si deduce chiaramente da un avviso di locazione ivi rinvenuto (ora al Museo Nazionale di Napoli), l'intraprendente Giulia Felice, nel periodo di crisi d'alloggi conseguente al terremoto del 62, aveva deciso d'affittare una parte della sua proprietà, ed esattamente un elegante bagno privato, botteghe e appartamenti. Il quartiere d'abitazione di Giulia Felice ha un grande giardino porticato attraversato da una peschiera. Al centro del lato occidentale del portico è un triclinio estivo con la volta ad imitazione d'una grotta naturale.

[modifica] Anfiteatro

L'anfiteatro
L'anfiteatro

Al termine di Via dell'Abbondanza una trasversale ci porta nella piazza dove si erge la maestosa mole dell'Anfiteatro, edificato intorno all'80 a.C. da C. Quinzio Valgo e M. Porcio, duoviri quinquennali. Esso costituisce il più antico esempio d'edificio di questo tipo in pietra a noi noto; a Roma, ad esempio, il primo anfiteatro fu quello di Statilio Tauro, risalente al 29 a.C.. L'anfiteatro di Pompei, a differenza delle altre simili costruzioni d'età imperiale, non aveva sotterranei sotto al piano dell'arena, che risultava molto più bassa del livello della piazza. La cavea è divisa in tre ordini di gradinate, l'ultimo dei quali doveva essere riservato alle donne. Nella parte superiore dell'anfiteatro sono ancora visibili i fori destinati a ricevere le armature del “velario”, il gigantesco telone che veniva steso per proteggere gli spettatori dal sole e dalla pioggia.
L'Anfiteatro è stato cornice del live del gruppo rock psichedelico dei Pink Floyd

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[modifica] Intestazione

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[modifica] Palestra Grande

La Palestra Grande
La Palestra Grande

A fianco dell'anfiteatro sorge un vastissimo edificio per le attività ginniche, la cosiddetta Palestra Grande, d'epoca imperiale, costruita da un'area rettangolare (m. 141 x 107) racchiusa da un alto muro.

Al centro è una piscina (natatio) di m. 34,55 x 22,25, col fondo in pendenza, in modo da offrire ai nuotatori la possibilità d'usufruire di diverse altezze dell'acqua (da un minimo d'un metro ad un massimo di m. 2,60).

Nelle mura cittadine, presso la palestra, s'apre la Porta di Nocera, al di fuori della quale è stata portata alla luce un'interessante necropoli con tombe di vario tipo: a camera, a edicola, ad emiciclo, ad ara su basamento ed anche dei veri e propri mausolei.

[modifica] Bibliografia

[modifica] Italiano

  • Monografia, Arte e storia di Pompei: 20 ricostruzioni della citta com'era 2000 anni fa, Firenze 2000
  • Monografia, Fonti documentarie per la storia degli scavi di Pompei Ercolano e Stabia, a cura degli archivisti napoletani, Bibliografia Nazionale - S9-338
  • Carlo Avvisati, Pompei: mestieri e botteghe 2000 anni fa, Roma 2003
  • Amedeo Maiuri, Greci ed Etruschi a Pompei Roma, Reale Accademia D'Italia, 1943
  • Amedeo Maiuri, Gli affreschi di Pompei, Novara 1940
  • Amedeo Maiuri, Pompei: i nuovi scavi e la Villa dei Misteri, Roma 1931
  • Amedeo Maiuri, Pompei.., IPZS, Roma,1986
  • Francesco Matrone, Pompei fonte di conoscenze e insegnamenti: scoperte e studi di Matteo Della Corte, Salerno 1983
  • Marc Monnier, Pompei e i pompeiani, Milano 1875
  • Erminio Paoletta, Svelato il mistero della pompeiana Villa dei Misteri: un altro grande successo della microarcheologia e della panarcheologia: il dramma di Ottavia e il trionfo di Poppea nella trama di Aniceto e nelle pitture di Glicone attraverso un filo di Arianna Epigrafico, Napoli 1989
  • Baldassare Conticello, Pompei: guida archeologica, Novara 1987

[modifica] Tedesco

  • Michael Grant: Pompeji, Herculaneum. Untergang und Auferstehung der Städte am Vesuv. Gondrom, Bindlach 1988 (Originaltitel: Cities of Vesuvius, 1971), ISBN 3-8112-0602-8
  • Liselotte Eschebach: Gebäudeverzeichnis und Stadtplan der antiken Stadt Pompeji. Böhlau, Köln-Weimar-Wien 1993.
  • Paul Zanker: Pompeji. Stadtbild und Wohngeschmack. Kulturgeschichte der Antiken Welt. Bd 61. Zabern, Mainz 1995, ISBN 3-8053-1685-2
  • Robert Étienne: Pompeji. Das Leben in einer antiken Stadt. Reclam, Stuttgart 1974, 1998 (5.Aufl.), ISBN 3-15-010370-3
  • Filippo Coarelli (Hrsg.), Eugenio La Rocca, Mariette de Vos Raajimakers, Arnold de Vos: Pompeji. Archäologischer Führer. Lübbe, Bergisch Gladbach 1993, 1999, ISBN 3-404-64121-3
  • Filippo Coarelli (Hrsg.): Pompeji. Hirmer, München 2002, ISBN 3-7774-9530-1
  • Valentin Kockel: Pompeji. in: Der Neue Pauly. Bd 15/2, Sp. 472-490.
  • Thorsten Fitzon: Pompeji. Rezeption des freigelegten Pompeji in Literatur und Film. in: Der Neue Pauly. Bd 15/2, Sp. 490-496.
  • Thorsten Fitzon: Reisen in das befremdliche Pompeji. Quellen und Forschungen zur Literatur- und Kulturgeschichte. Bd 29. Walter de Gruyter, Berlin-New York 2004, ISBN 3-1101-7898-2
  • Ciro Nappo: Pompeji. Die versunkene Stadt. Verlag Karl Müller, Köln 2004, ISBN 3-89893-563-9
  • Jens-Arne Dickmann: Pompeji. Archäologie und Geschichte. C.H.Beck Wissen. C.H. Beck, München 2005, ISBN 3-406-50887-1

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[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

[modifica] Note



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