Duomo di Modena
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Bene protetto dall'UNESCO | |
Patrimonio dell'umanità | |
Cattedrale, Torre Civica e Piazza Grande Cathedral, Torre Civica and Piazza Grande, Modena |
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Tipologia | Architettonico |
Criterio | C (i) (ii) (iii) (iv) |
Pericolo | Nessuna indicazione |
Anno | 1997 |
Scheda UNESCO | inglese francese |
Patrimoni dell'umanità in Italia |
Il duomo di Modena è la prima chiesa della città e dell'Arcidiocesi di Modena-Nonantola. Capolavoro dello stile romanico, la cattedrale è stata edificata dall'architetto Lanfranco nel sito del sepolcro di san Geminiano, patrono di Modena, dove in precedenza, a partire dal V secolo, erano state già erette due chiese. Nella cripta del duomo si trovano le reliquie del santo, conservate in una semplice urna del IV secolo ricoperta da una lastra di pietra e sorretta da colonne di spoglio. Il sarcofago, custodito entro una teca di cristallo, viene aperto ogni anno in occasione della festa del santo stesso (31 gennaio) e le spoglie del santo, rivestite degli abiti vescovili con accanto il pastorale, vengono esposte alla devozione dei fedeli.
A fianco del duomo sorge la torre campanaria detta la Ghirlandina.
Il duomo di Modena, la Ghirlandina e la piazza Grande sono stati dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 1997.
Indice |
[modifica] Storia
[modifica] Prima della Cattedrale nuova
L'antica Mutina era una fiorente colonia romana sulla via Emilia, che nell'alto medioevo era andata quasi completamente distrutta a causa di invasioni, terremoti e di alluvioni, tanto che gli abitanti erano stati costretti ad abbandonare la città per trasferirsi in una località longobarda dotata di mura, che prese il nome di "Cittanova", oggi frazione del comune di Modena.
Il vescovo tuttavia continuò a risiedere presso la chiesa principale di Mutina, dove erano conservate le spoglie del santo patrono; col tempo attorno alla chiesa (che sorgeva all'esterno delle mura romane) si venne a formare un nucleo abitativo, che diventò, ed è ancora oggi, il centro di Modena, seguendo un andamento a raggiera lungo le vie d'acqua che attraversavano la città.[1]
Nella metà dell'XI secolo la prima chiesa venne sostituita da una più grande, la quale tuttavia, per le scarse capacità dei costruttori, minacciava di crollare già verso la fine del secolo, quando il popolo decise di costruirne una nuova. In quel periodo, caratterizzato dalla lotta fra papato e impero per l'investitura dei vescovi, la città, pur facendo parte dei domini di Matilde di Canossa, era stata governata saldamente dal potente vescovo Eriberto, che però fu scomunicato nel 1081 da Gregorio VII per le sue simpatie per l'antipapa Clemente III e per l'imperatore. La sede vescovile restò allora vacante per diversi anni a causa dell'impossibilita per il papa di trovare un candidato gradito al popolo e al partito imperiale.
Il popolo, che avvertiva la necessità di mettere mano ad una nuova chiesa, approfittando anche dell'assenza del vescovo, decise di costruire una nuova grande cattedrale, cosicché quando il nuovo vescovo Dodone, nominato pur con qualche difficoltà nel 1100 da papa Urbano II, riuscì a farsi accettare da tutti e giunse a Modena, trovò il cantiere del nuovo Duomo già aperto.
La decisione presa dal popolo, in piena indipendenza rispetto ai poteri imperiali ed ecclesiastici, è indicativa dell'aspirazione all'autogoverno e alla libertà dei modenesi. Il Duomo rappresenta dunque il simbolo della rivendicazione di autonomia e libertà di una comunità devota ma insofferente allo strapotere sia imperiale che ecclesiastico, che sfociò qualche tempo dopo nella costituzione del libero Comune (1135).
[modifica] Il nuovo duomo
Una lapide murata all'esterno dell'abside maggiore riporta come data di fondazione della nuova cattedrale modenese il 23 maggio 1099, e indica anche il nome dell'architetto, Lanfranco, maestro ingenio clarus [...] doctus et aptus [...] operis princeps huius rectorque magister ("famoso per ingegno, sapiente e esperto, direttore e maestro di questa costruzione").
La nuova cattedrale, secondo il documento di poco successivo al 1106 della Relatio de innovatione ecclesie Sancti Geminiani (del canonico Aimone, conservato nell'Archivio Capitolare), fu fortemente voluta dalla popolazione (quindi non solo dagli ecclesiastici) al posto della precedente chiesa, terminata appena trent'anni prima e situata in posizione sfasata, più o meno con le absidi dove oggi si trovano la facciata e la prima parte della navata. Si riporta anche come diede l'assenso all'opera ed il proprio appoggio anche la contessa Matilde di Canossa.[2]
Lanfranco venne a Modena accompagnato da un gruppo di valenti muratori e lapicidi (i cosiddetti Maestri Comacini, cioè provenienti da località del lago di Como) che si misero subito al lavoro.
A Lanfranco si dovette affiancare presto lo scultore Wiligelmo, ricordato da un'analoga lapide sul lato opposto della chiesa, il quale non solo lavorò assieme ai suoi allievi e seguaci alla decorazione scultorea della chiesa, ma forse si occupò anche dell'architettura, iniziando i lavori dalla facciata, mentre Lanfranco (o comunque un altro gruppo di lavoro) partì dalle absidi.
La doppia partenza in senso inverso dei lavori è avallata, oltre che dalle due lapidi, anche da un'irregolarità, molto probabilmente dovuta a errori di calcolo, in quello che dovette essere il punto d'incontro: sul fianco meridionale verso la Piazza Grande la serie di loggette s'interrompe e si interpone una bifora, sormontata da un arco cieco più basso e stretto. La corda di questo arco misura 2,67 m., mentre tutte gli altri hanno una lunghezza di 3,74[3]. Altrettanto si verifica sul fianco nord, dove però l'irregolarità è meno evidente perché mascherata da un successivo rimaneggiamento.
Questi errori di misurazione sono frequenti nelle costruzioni pre-romaniche, romaniche ed anche, seppur attenuate, in quelle gotiche: muri e pareti con qualche gobba, arcate e intercolumni di diverse dimensioni, decorazioni a fregio con sbalzi, ecc. Va osservato che gli architetti medievali non davano eccessivo valore alla simmetria e alle proporzioni, prevalendo su queste la ricerca dell'animazione plastica.
Per la costruzione del duomo attuale vennero usati in parte materiali ricavati dai ruderi di edifici di epoca romana. Quando ormai le fondamenta avevano raggiunto la superficie del suolo, ci si accorse che i materiali raccolti non sarebbero bastati per l'intera costruzione, ma, come afferma il cronista Aimone, "per divina ispirazione" si cominciò a scavare poco lontano dal cantiere mettendo in luce inaspettatamente una necropoli romana ricca di pietre e di marmi che, levigati o scolpiti, vennero utilizzati nella costruzione dell'edificio. Il largo impiego di marmi romani è evidenziato da figure e iscrizioni che si trovano qua e là nelle lastre che ricoprono il Duomo e la torre campanaria e dai leoni stilofori certamente di origine romana del portale maggiore e della Porta dei principi, i primi del genere a venire impiegati in un edificio medievale.
I lavori edili andarono avanti alacremente procedendo nel frattempo la demolizione di parti della vecchia cattedrale per fare posto alla nuova, sicché nel 1106 la costruzione era già coperta e si poté traslare il corpo del Santo patrono da ciò che restava ancora della vecchia chiesa dove era sepolto alla cripta della nuova basilica. Questa cerimonia avvenne in forma solenne alla presenza del papa Pasquale II, di vescovi e abati, della contessa Matilde e del popolo, attento e vigile durante la ricognizione del sepolcro e la traslazione nel timore che vi potessero essere furti di reliquie, allora oggetto di fiorente commercio[4].
Un terribile terremoto sconvolse nel 1117 l'area padana. Il duomo di Modena fu però risparmiato e ciò lo fece diventare motivo di ispirazione per gli architetti che costruirono e riammodernarono importanti edifici come le cattedrali di Ferrara, Piacenza, Parma o l'abbazia di Nonantola.
Demolita poi completamente la vecchia cattedrale, i lavori continuarono ed entro il terzo decennio del XII secolo il lavoro dei successori di Lanfranco e Wiligelmo si era concluso.
[modifica] I Campionesi
A Lanfranco e Wiligelmo subentrarono a partire dal 1167 alcuni seguaci e le maestranze campionesi, provenienti anch'esse dal nord della Lombardia, precisamente da Campione d'Italia, oggi enclave italiana in Svizzera, da cui il nome.
I Maestri Campionesi erano stati chiamati per completare la cattedrale e, soprattutto, per costruire la torre campanaria. A loro si devono buona parte delle decorazioni interne, ma anche diversi interventi strutturali quali l'apertura delle due porte della facciata ai lati del portale maggiore e la costruzione del grande rosone gotico al centro della facciata, che comportò un intervento al secondo piano del protiro del portale maggiore. Fu inoltre modificato il presbiterio, con la costruzione del mirabile pontile riccamente da loro decorato, e venne aperta la grandiosa Porta Regia sulla Piazza Grande, anch'essa non prevista da Lanfranco (il nome di Regia, non significa del re, ma deriva dal termine del latino medioevale rege che significa porta principale di un edificio), vicina alla Porta dei principi, anch'essa sulla piazza e già presente nel progetto iniziale, che trae il proprio nome dalla presenza di due principi nella decorazione dell'architrave. La monumentalità della Porta Regia conferì al fianco meridionale l'aspetto di una seconda facciata.
Ai Maestri Campionesi sono anche attribuibili gli Arcangeli Gabriele e Michele posti uno alla sommità del tetto della facciata e l'altro su quello dell'abside centrale. L'attività dei Campionesi continuò per tre generazioni, come testimonia nel 1322 la realizzazione del pulpito interno da parte di Enrico da Campione. Poiché le cronache registrano nel 1319 il compimento ad opera dello stesso Enrico da Campione della cuspide della Ghirlandina, si può datare intorno alla metà del XIV secolo la partenza dalla città dei Campionesi.
[modifica] Gli interventi successivi
Gli interventi successivi più importanti sono nel XV secolo, quando fra il 1437 e il 1455 si nascose con volte a crociera l'originaria copertura a capriate lignee, forse voluta dai committenti timorosi che succedesse quanto era avvenuto alle volte del duomo precedente, che avevano palesato presto vistose lesioni.
Nel XVIII secolo venne modificata l'abside centrale entro cui si trova il sepolcro di San Geminiano: grazie al lascito testamentario di un canonico le pareti vennero rivestite di marmi rari e preziosi, le finestre chiuse da preziose e sottili lastre di onice, le volte vennero rifatte e decorate con stucchi ed altri materiali. In quell'occasione fu fabbricato anche una nuova e preziosa urna funeraria del santo, mentre l'altare che la precede fu recintato con una balaustra marmorea.
Come recita una lapide murata a fianco dell'altare, vennero realizzati in quel periodo i candelabri e le lampade d'argento oggi conservati nel Museo del Duomo, offerti dall'allora duca di Modena Rinaldo I d'Este, che era stato cardinale rinunciatario della porpora per sposarsi ed assumere il governo della città, essendo morto senza lasciare figli legittimi suo fratello Alfonso IV d'Este.
Un altro intervento importante si ebbe dalla fine dell'Ottocento ai primi del Novecento quando si abbassò di una ventina di centimetri il pavimento per dare maggiore slancio all'interno e si liberarono i fianchi del Duomo delle costruzioni che, nel tempo, si erano venute ad appoggiarvisi, tra le quali i due muri trasversali dotati di archi a sesto acuto che collegavano il duomo alla Ghirlandina e alla sagrestia; in quell'occasione si costruì un nuovo passaggio sopraelevato per la sagrestia in falso stile romanico.
In occasione di questo restauro si commissionò a un modesto pittore modenese l'incarico di dipingere l'interno superiore delle absidi ed egli assolse il compito effettuando affreschi che imitano i mosaici bizantini.
Nel 1936 si ricostruirono le guglie a loggetta che sovrastano i pilastri della facciata cadute per il terremoto del 1797 e mai ricollocate in loco. Nel 1944 una parte del lato sud venne parzialmente danneggiata da un bombardamento e presto restaurata. Alla fine del Novecento si provvide poi ad un accurata pulitura delle sculture e della superficie esterna restituendo al Duomo il caratteristico colore bianco che era stato offuscato dalla polvere e dallo smog.
Sempre in questi anni, grazie ad un lascito testamentario, si sono potute costruire ed installare tre porte in bronzo per i portali della facciata. Queste porte non riscossero però l'approvazione di buona parte dei cittadini, che le giudicavano troppo moderne e non in armonia con la facciata. La polemica divampò ed investì anche la critica d'arte nazionale, cosicché il Capitolo del Duomo tornò sulla sua decisione, facendo rimuovere le porte in bronzo e rimettendo le vecchie e anonime porte in legno.
Attualmente sono in corso lavori di consolidamento delle fondamenta per prevenire possibili danni alla struttura. Si é infatti constatato qualche, sia pur lieve, cedimento e un avvicinamento millimetrico della Ghirlandina al Duomo, causati dal traffico che corre vicino o da un abbassamento della falda acquifera sottostante.
[modifica] Restauri del 2007 - 2008
Tra il 2007 e il 2008 il duomo è sottoposto a restauro consolidativo. Sono state sostituite alcune travi portanti piuttosto degradate, e si sono riparate fessure nella muratura. Si è inoltre proceduto a restaurare il rosone, che si è constatato essere piuttosto traballante, sia per quanto riguarda le colonnine (smontate e rimontate una ad una) che per quanto riguarda le vetrate policrome quattrocentesche; queste ultime in particolare hanno subito approfondite analisi eseguite dall'università di Padova, volte ad identificare le parti non originali rimpiazzate spesso malamente col passare dei secoli (e delle guerre) da vetri di scarsa qualità, col fine di sostituirle definitivamente con materiali più consoni.
Entro la Pasqua 2008 (fine marzo) si intende smontare i ponteggi della fiancata settentrionale, completamente ristrutturata, ripulita e rinsaldata; per quanto riguarda la facciata si suppone che i ponteggi resteranno in piedi ancora per un po', in quanto è intenzione cogliere l'occasione per restaurare anche i bassorilievi di Wiligelmo raffiguranti le Storie della Genesi (lo necessitano soprattutto quelli ai fianchi del portale principale). Stessa sorte toccherà anche alla fiancata meridionale, quella che dà sulla Piazza Grande, anch'essa risultata bisognosa di cure e che quindi a breve verrà coperta.
[modifica] Architettura
[modifica] Interno
La chiesa è a tre navate prive di transetto e con un presbiterio (l'area dove si trova l'altare liturgico) in posizione sopraelevata, che suggerisce la presenza della cripta. A ciascuna navata corrisponde un'abside. La copertura era anticamente a capriate lignee e venne sostituita con volte a crociera a sesto acuto soltanto durante il XV secolo.
La navata centrale presenta quattro grandi campate, di lunghezza doppia rispetto a quelle nelle navate laterali (che sono quindi otto).
Le pareti che separano le navate sono scandite da archi a tutto sesto, poggianti su pilastri compositi alternati a colonne, ed articolate da triplici arcate nel triforio, dove si simula un matroneo inesistente ripreso da modelli carolingi e ottoniani, e strette finestre nel cleristorio, dalle quali filtra la luce.
L'uso di pilastri e colonne alternati è di solito funzionale alla costruzione delle volte, perché le volte della campata centrale, più ampie e pesanti, poggiano su pilastri, mentre le volte delle navate laterali scaricano su colonne o pilastri più piccoli. Nel caso del Duomo di Modena, all'epoca della costruzione, la scelta fu puramente stilistica, essendo anticamente coperta da capriate. Esistevano comunque quattro campate già delimitate da arconi, che ancora attraversano la navata e che creavano un ritmo nella struttura parietale, sottolineato anche dalle paraste che prolungano i pilastri, dalle membrature degli archi a tutto sesto e dalle trifore.
[modifica] Esterno
All'esterno l'articolazione dello spazio riflette quella interna, una teoria di loggette ad altezza di "matroneo", cinge tutto il perimetro del Duomo, racchiuse da arcate cieche. Questo motivo dà ritmo all'edifico scandendo l'articolazione dello spazio con un gioco di chiaroscuri.
[modifica] La facciata
La facciata è a spioventi che riflettono la forma interna delle navate, con soffitti ad altezze diverse. Due poderose paraste dividono la facciata in tre campiture.
Il centro è dominato dal portale maggiore, sovrastato da un protiro a due piani con un'edicola dalla volta a botte. Il protiro è retto da due leoni stilofori (cioè reggenti una colonna ciascuno) di epoca verosimilmente antica (forse copie di sculture romane). Viene qui ripresa l'allegoria tipicamente greca che faceva della colonna un simbolo dell'uomo: la colonna è posta infatti sopra il leone e sormontata a sua volta dal protiro tridimensionale, che rappresenta la Trinità. Ciò voleva significare che l'uomo è un essere intermedio a metà strada tra la divinità e l'animalità. Questo motivo di derivazione classica si ripete poi tutt’intorno all’edificio. Lo stesso modello è ripreso anche nella Porta Regia sul fianco.
I portali sono leggermente strombati e non presentano le lunette, mentre sono decorate da sculture gli altri elementi. Numerosi rilievi, tra i quali le quattro celebri pannelli con le Storie della Genesi di Wiligelmo, decorano la facciata.
Il grande rosone venne aggiunto nel XIII secolo assieme ai due portali laterali, che comportarono lo spostamento dei pannelli di Wiligelmo.
[modifica] Le porte laterali
Notevoli sono le porte laterali, due sul fianco sud nella piazza Grande ed una su quello nord.
La Porta regia non esisteva nel Duomo di Lanfranco ed è opera dei maestri campionesi, databile fra il 1209 e il 1231 mentre si svolgevano anche i lavori nel presbiterio. Presenta all'esterno alcuni gradini ed è di marmo rosa, diverso dal colore bianco della superficie del Duomo. Minore, rispetto alle altre porte, è la sua decorazione scultorea, mentre molto maggiore è la sua imponenza architettonica: a strombo, delimitato da una serie di colonne tutte diverse, di cui le due prime di diametro maggiore sono sorrette da due grandi leoni stilofori, che stringono la preda fra le zampe e rappresentano nell'iconografia medioevale la lotta fra il diavolo e l'uomo o fra questo e Dio. Il tutto è sormontata da un imponente protiro.
La più piccola Porta dei Principi è ornata nell'architrave da un bassorilievo raffigurante episodi della vita di San Geminiano.
Sullo stesso lato sporge un pulpito opera del 1500-1501 di Giacomo da Ferrara e Paolo di Giacomo che ha sulla cassa i simboli degli Evangelisti.
Sul fianco settentrionale, in via Lanfranco, si trova la Porta della Pescheria, sormontata dal protiro retto da due colonne su leoni stilofori, che ha negli stipiti bassorilievi ispirati ai dodici mesi dell’anno e tralci vegetali abitati da animali reali e fantastici.
[modifica] Corredo scultoreo
Le sculture del Duomo di Modena sono parte integrante del complesso monumentale e costituiscono la più importante testimonianza del rinascere dell'arte scultorea su scala monumentale in Italia, punto di partenza per i successivi sviluppi artistici nel Nord-Italia e oltre. I rilievi di Wiligelmo ne fanno il caposcuola della scultura romanica in Italia.
Come altre grandi cattedrali romaniche o gotiche, il duomo di Modena è stato definito "la Bibbia di pietra" o "la Bibbia dei poveri", perché, coi suoi simboli e le sue decorazioni scultoree, consentiva ai poveri e a tutti gli analfabeti di ricevere l'istruzione religiosa.
[modifica] Wiligelmo
Per approfondire, vedi la voce Storie della Genesi. |
[modifica] Descrizione delle scene
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La facciata è dominata dalla decorazione marmorea plastica dovuta in gran parte a Wiligelmo, scultore modenese, che scolpì i quattro grandi rilievi con le Storie della Genesi, un tempo allineati molto probabilmente ai lati del portale centrale (dove ne sono collocati ancora due) e poi spostati con l'apertura dei portali laterali (gli altri due infatti sono al di sopra delle porte laterali). Le quattro scene, rappresentate sotto una galleria di archetti talvolta sorretti da colonnine nello sfondo, si leggono da sinistra a destra e sono:
- Creazione dell'uomo, della donna e peccato originale,
- Cacciata dal Paradiso Terrestre,
- Sacrificio di Caino e Abele, uccisione di Abele e rimprovero divino,
- Uccisione di Caino, l'arca del diluvio, uscita di Noè dall'arca.
Sono attribuiti a Wiligelmo anche altri rilievi:
- I Cervi che si abbeverano alla fonte,
- Il rilievo con animali fantastici e una figura umana nuda che cavalca un mostro,
- I capitelli al livello della loggetta che, invece delle decorazioni fogliacee tradizionali, hanno motivi figurati con teste di animali, teste e mascheroni di uomini e donne e telamoni ricurvi sotto il peso del pulvino.
Anche la decorazione del portale centrale è certamente di Wiligelmo. Tra le raffigurazioni c'è quella di un tralcio di vite abitato che si sviluppa sugli stipiti, sulla architrave e sull'archivolto a simboleggiare che il fedele sta entrando nella "vigna del Signore", cioè nella redenzione.
All'interno degli stipiti sono le dodici figure di profeti che previdero la venuta di Cristo e sono simboli delle fondamenta della Chiesa; pregevoli i telamoni alla base degli stipiti, i capitelli delle semicolonne elicoidali e i profeti Enoc ed Elia che sostengono l'iscrizione dedicatoria della chiesa. Sempre di questo scultore sono i due genietti alati appoggiati su fiaccole rovesciate, certamente ripresi da modelli dell'antichità che egli doveva aver visto sui sarcofagi riemersi dalla necropoli romana, simboli funerari della morte e del lutto; accanto a quello di sinistra un uccello, che viene identificato con l'ibis, simbolo del cattivo cristiano, o col pellicano, che si richiama alla resurrezione di Cristo.
[modifica] Profilo artistico
Per rendersi conto dello stile immediatamente precedente a Wiligelmo si possono vedere i capitelli di anonimi maestri lombardi nella cripta della cattedrale. La sua opera scultorea colpì certamente anche i suoi contemporanei che nell'iscrizione della famosa lapide con la data di fondazione del Duomo (con Enoc e Elia di Wiligelmo stesso), aggiunsero in caratteri più piccoli le sue lodi in latino medievale: "inter scultores quanto sis dignus onore - claret scultura nunc Wiligelme tua".
[modifica] I seguaci di Wiligelmo
[modifica] Gli Evangelisti
I simboli degli Evangelisti (il leone di San Marco, l'angelo di San Matteo, l'aquila di San Giovanni e il bue di San Luca) che i Campionesi spostarono al di sopra del rosone, sono vicini stilisticamente a Wiligelmo, ma sono attribuiti a un allievo, detto Maestro degli Evangelisti, che evidenzia un gusto più raffinato della forma, a scapito del vigore del suo maestro.
[modifica] La Porta dei Principi
Pure opera di uno scultore della scuola wiligelmica è la decorazione della Porta dei principi il cosiddetto Maestro di San Geminiano. Nell'architrave si trova un bassorilievo raffigurante Episodi della vita di San Geminiano:
- il Santo si reca a cavallo verso l'Oriente chiamato dall'imperatore Gioviano per guarire la figlia indemoniata,
- il viaggio in mare nella tempesta sollevata dal demonio,
- la guarigione della figlia dell'imperatore,
- la riconoscenza di questo manifestata con la consegna di doni,
- il ritorno a Modena,
- la miracolosa tumulazione del Santo.
Alcuni critici pensano di attribuire le storie di San Geminiano a Wiligelmo stesso in tarda età, almeno per alcune parti dei bassorilievi che rappresentano scena della vita di San Geminiano, ma tale attribuzione è da scartare per l'assenza della tensione e della forza plastica che anima la scultura di Wiligelmo sulla facciata. Qui lo scultore non è più coinvolto, è distaccato dai fatti che rappresenta, è quasi un cronista o un fotografo che ci dà una serie di istantanee.
La porta fu gravemente danneggiata dal bombardamento della città del 1944 e ricostruita fedelmente ricomponendo i molti pezzi in cui era ridotta raccolti con cura da un giornalista locale e poi conservati in attesa del restauro. Anche uno dei due leoni di origine romana fu colpito e poi fedelmente ricostruito.
[modifica] La Porta della pescheria
La Porta della pescheria (cosiddetta perché nelle sue vicinanze già si trovava un banco per il commercio del pesce) era destinata all'entrata del popolo e venne scolpita tra il 1110 e il 1120 circa, con tralci con mostri e figure zoomorfe, la serie delle Allegorie dei mesi (sugli stipiti), le Storie di re Artù (sull'archivolto) e alcune scene riprese da favole con animali dai bestiari, sull'architrave:
- la cavalcata sull'ippocampo,
- il funerale della volpe,
- la lotta del serpente con la gru,
- la gru che toglie l'osso dalla gola del lupo.
Queste immagini di vivace sapore popolare sono collegate ad ammonimenti cristiani. Per esempio nella scena del Funerale della volpe, al quale presero parte galline e polli che non si accorsero che la volpe era invece viva e che furono mangiati rappresenta un ammonimento contro l'Anticristo; in un'altra un'oca toglie un ossicino dalla bocca di un lupo per venire poi divorata, citazione dal Fisiologo.
La presenza del ciclo arturiano sull'archivolto è la prima nel continente europeo ed è anteriore alle redazione scritta in francese del ciclo bretone: infatti i personaggi presentano i nomi scritti in gaelico. Simboleggiavano la difesa della chiesa da parte dei crociati e sicuramente si erano diffuse fino in Italia grazie alla popolarità raggiunta tra i pellegrini medievali.
La porta venne decorata da un allievo di Wiligelmo, detto Maestro di Artù. Anche questo scultore, pur apprezzabile, non ha la forza espressiva e la tensione del suo maestro: i suoi telamoni nei capitelli non sono schiacciati dal peso che sopportano come quelli di Wiligelmo, il lavoro nelle allegorie dei mesi non è più come quello di Adamo ed Eva della lastra della facciata una condanna in espiazione del peccato, così pure non vi è drammaticità nella cavalcata della leggenda di re Artù, più simile ad una passeggiata che ad una battaglia. Tutto è più sereno e meno drammatico, e il rilievo è più piatto. Questa minore tensione e partecipazione dell'artista rispetto a Wiligelmo hanno fatto pensare all'influsso dell'arte borgognona.
[modifica] Il Maestro delle metope
L'ultimo intervento della scuola di Wiligelmo nei lavori di decorazione del Duomo prima dell'avvento dei Campionesi è quello relativo alle otto metope poste al disopra dei contrafforti esterni, opera di un seguace di Wiligelmo chiamato Maestro delle metope (1130 circa). Per sottrarle all'usura del tempo, furono trasportate nel Museo del Duomo e sostituite in loco da copie nel 1950. Vi sono raffigurate scene curiose, un vero unicum, con figure fantastiche in atteggiamenti originali e talora acrobatici, come le due donne sedute una delle quali è a testa all'ingiù. Si pensa che raffigurino gli abitanti delle regioni più remote della Terra, in attesa di ricevere il messaggio dell'evangelizzazione. Sono opera certamente di un grande scultore che, nella fermezza dei volumi e qualche altra consonanza si può ancora riferire a Wiligelmo, ma la resa è più minuziosa e raffinata, come nelle figurine su avorio: egli aveva ormai introdotto nella tradizione della scuola modenese elementi della scultura borgognona.
La scuola modenese degli allievi di Wiligelmo fu molto importante e influente nel nord d'Italia, come ad esempio nella chiesa abbaziale di San Silvestro nella vicina Nonantola.
[modifica] Anselmo e i maestri campionesi
Dopo Lanfranco e Wiligelmo, tra il XII e il XIV sec. il Duomo fu abbellito dai ripetuti interventi architettonici e scultorei di Anselmo da Campione e dei suoi allievi.
Oltre al rosone, l'altro intervento importante dei Campionesi, attribuito anch'esso ad Anselmo, è quello relativo al presbiterio sopraelevato, con la costruzione del pontile aggettante e sorretto da da colonne che a loro volta poggiano su telamoni seduti e curvi sotto il peso e da leoni stilofori digrignanti e accucciati sulla preda. I capitelli delle colonne e delle mensole a sostegno del pontile sono attribuite ad Anselmo e ideologicamente si rifanno all'aspettativa di salvezza con le Storie di Daniele e Abacuc, le Storie di San Lorenzo, Sansone che smascella il leone e un Acrobata.
Le sculture che esaltano le capacità scultoree dei Campionesi sono nei rilievi che ornano l'ambone con le figurazioni dei dottori della Chiesa in atto di scrivere su ispirazione di un angelo o di una colomba, simbolo dello Spirito santo, dei simboli degli Evangelisti, di Cristo in maestà e di Cristo che risveglia San Pietro. Ma le opere che attraggono l'occhio del visitatore sono i rilievi marmorei dipinti del parapetto, ripristinato nelle sue forme originarie dal grande restauro dei primi anni del Novecento, raffiguranti scene della Passione di Gesù:
- la lavanda dei piedi,
- l'ultima cena,
- il bacio di Giuda,
- la cattura di Cristo,
- il giudizio di Pilato,
- il Cireneo che porta la croce.
Di queste sculture non è noto l'autore che viene quindi chiamato Maestro della Passione. Il suo stile viene accostato a quello dei contemporanei scultori provenzali, così come quello degli allievi di Wiligelmo è avvicinato agli scultori borgognoni. Certamente nel Medioevo, grazie soprattutto ai grandi pellegrinaggi a Santiago de Compostela e Roma, i rapporti fra scuole diverse potevano verificarsi più facilmente di quel che oggi si potrebbe pensare nelle condizioni di allora. Va anche sottolineato il fatto che queste famiglie o compagnie di operatori edili, terminato il lavoro in una località che poteva interessare per la durata generazioni diverse, non si fermavano in quel posto, ma emigravano verso luoghi dove vi fossero nuove possibilità di lavoro. Non va escluso quindi che scultori lombardi abbiano operato anche in altre nazioni e, viceversa, scultori francesi abbiano operato in Italia.
[modifica] Altri rilievi
Non è certamente di Wiligelmo, e nemmeno di un maestro campionese, l'altorilievo di Cristo in trono entro una mandorla posto al di sopra del rosone della facciata e sovrastato da una specie di baldacchino che, per motivi stilistici, è attribuito ad un Maestro del Redentore vissuto molto dopo gli inizi del XIII secolo.
Una lastra di marmo bianco posta dopo la Porta Regia, opera di Agostino di Duccio, è divisa in quattro parti, datata e firmata (1442), e tratta lo stesso argomento delle Storie di San Geminiano, limitando però la rappresentazione alla guarigione della figlia dell'imperatore e alla consegna dei doni, a cui si aggiungono le miracolose esequie del Santo alla presenza di San Severo, vescovo di Ravenna e la liberazione di Modena da Attila, che fa parte dell'agiografia tradizionale di San Geminiano: il Santo fece scendere sulla città all'improvviso una fittissima nebbia sì da occultare Modena ad Attila, che procedette senza entrarvi; dal punto di vista storico questo miracolo è improbabile, dal momento che Attila non si avvicinò a Modena e nemmeno oltrepassò il Po, essendosi fermato al Ticino, dove accettò la pace propostagli dal papa Leone, e anche a causa della stanchezza dei suoi uomini rientrò in Germania.
[modifica] Opere conservate all'interno
L'interno in mattoni rossi, suggestivo nella sua semplice austerità, conserva varie opere d'arte. Tra navata centrale e cripta è posto il pontile decorato dei Campionesi. Il pulpito centrale di Enrico da Campione (1322) è ornato di statuine in terracotta opera di plastici modenesi aggiunte nei secoli successivi. Pende sopra il pontile un notevole crocifisso ligneo dorato del XIII secolo.
[modifica] La navata settentrionale
Subito dopo l'ingresso nella navata settentrionale si erge a grandezza naturale e con le vesti e le insegne vescovili la statua lignea di San Geminiano, forse del XIV secolo, opera di un ignoto scultore. Più avanti sempre nella stessa navata il cosiddetto Altare delle statuine, una grandiosa ancona di terracotta risalente alla prima metà del Quattrocento, a forma di polittico gotico, opera di Michele di Niccolò Dini, detto anche Michele dello Scalcagna o Michele da Firenze, con figure di santi entro nicchie, una predella con scene della vita di Gesù e un alto e slanciato coronamento di pinnacoli. Al centro sopra l'altare è un piccolo dipinto su pietra della Madonna, in origine posto all'esterno.
Più avanti verso la Porta della Pescheria è la Pala di San Sebastiano della prima metà del Cinquecento di Dosso Dossi, considerata uno dei capolavori d'arte sacra del pittore. Mostra il santo quasi in estasi nonostante il martirio, che rivolge il capo alla Madonna e ai Santi su una nuvola che lo sovrasta. Evidenti sono gli influssi coloristici di Tiziano. Proseguendo ancora nella navata verso il presbiterio si può notare il sepolcro monumentale dell'abile condottiero di famiglia nobile modenese Claudio Rangoni, che fu al servizio dei Veneziani ed anche del re di Francia Francesco I e morì a soli 28 anni; risale a circa il 1542 e fu costruito su disegno di Giulio Romano.
[modifica] Il presbiterio
All'inizio del presbiterio, già collocata all'esterno del Duomo presso la torre campanaria e trasferita all'interno nel 1897, si trova la statua di Agostino di Duccio che rappresenta il miracolo del Santo patrono che salva un bambino caduto dalla Ghirlandina acciuffandolo per i capelli (1442 circa).
Nel presbiterio si trova anche il mirabile coro ligneo intarsiato del 1461-1465 opera degli esponenti di una dinastia di provetti ebanisti, i fratelli Cristoforo e Lorenzo Canozi, detti da Lendinara. Dotati di una tecnica raffinata dimostrano negli stalli intarsiati abilità compositiva e notevoli doti prospettiche derivate dagli studi di Piero della Francesca. Di Cristoforo sono anche i quattro pannelli intarsiati in legno appesi alle pareti del presbiterio che si caratterizzano per la capacità di rappresentare le fisionomie dei ritratti dei quattro Evangelisti oggetto degli intarsi. Degli ultimi decenni del Trecento è il polittico del pittore modenese Serafino de' Serafini situato nell'abside di sinistra e rappresentante l'Incoronazione della Vergine, la crocefissione e Santi.
Sotto al polittico si trova una lastra marmorea con la croce e animali che si fronteggiano del IX secolo, che proviene dalla prima cattedrale poi andata distrutta.
[modifica] La navata meridionale
All'ingresso della navata meridionale si trova un grande affresco attribuito a Cristoforo da Lendinara che, oltre che intarsiatore, fu anche pittore. L'affresco risalente circa al 1472-1476, fu scoperto casualmente nel 1822, ed è stato in parte danneggiato dai bombardamenti del 1944. Desumibile stilisticamente da Piero della Francesca contiene una Madonna aureolata d'oro che spicca fra Santi; in alto è rappresentato il Giudizio universale.
Più avanti si trova il presepe di Begarelli (1527), dalla notevole finezza nelle molte figure ispirate all'arte classica e dalla composizione scenografica; alle figure, già dipinte di bianco per simulare il marmo, in un recente restauro (che ha suscitato qualche critica dei modenesi, sempre attenti alle vicende del loro Duomo), è stato tolto il colore bianco, e ora appaiono del colore naturale della terracotta.
Vicino si trova anche il monumento funerario di Francesco Maria Molza, poeta di nobile famiglia modenese, opera del 1516 di Bartolomeo Spani che lavorò anche a Reggio Emilia e a Roma.
[modifica] La cripta
La cripta è una vera e propria chiesa sotterranea a nove navate, cui si accede dalla navata centrale del Duomo scendendo alcuni gradini. Ad eccezione della parte con il sepolcro di San Geminiano modificata nel 1700, è rimasta inalterata da quando venne costruita tra il 1099 e il 1106.
Vi si trova la Madonna col Bambino, una servetta e due santi, forse raffiguranti i coniugi Porrini committenti del gruppo di terracotta dipinta di Guido Mazzoni del 1480. È detto gruppo Porrini o, anche, Madonna della Pappa per il gesto familiare della goffa fantesca che soffia su una ciotola per rendere la temperatura della pappa al giusto valore prima di darla al Bambino. Notevole è l'originalità del tema trattato ed il realismo delle figure di dimensioni uguali al vero.
Sono da ammirare i capitelli delle numerose colonne, tutti diversi per forma e dimensioni: pochi sono in stile corinzio, gli altri sono con leoni, sirene, animali fantasiosi ed uno con la Storia di San Lorenzo. Alcuni caratteri formali li assimilano alla scultura preromanica lombarda, si può quindi concludere che sono opera dei lapicidi che scesero a Modena al seguito di Lanfranco, i cosiddetti Maestri Comacini.
Sul pavimento e sulle pareti numerose lapidi funerarie portano i nomi dei vescovi di Modena qui sepolti accanto al loro santo predecessore. Una lapide posta sulla parete a fianco del gruppo della Madonna della pappa è la pietra tombale, rozzamente incisa, di una certa Gundeberga, "donna nobile e generosa", morta nel 570 e quindi proveniente dalla prima chiesa di San Geminiano.
[modifica] Importanza del Duomo di Modena nella storia dell'architettura
Il Duomo di Modena è una testimonianza unica e straordinariamente ben conservata dello stile romanico in generale, sia all'esterno che all'interno. Fin dall'epoca dei Campionesi infatti, vennero sì inseriti alcuni elementi formali gotici, ma ciò si accorda perfettamente al romanico di Lanfranco e Wiligelmo, che domina incontrastato.
Gli interventi successivi sono limitati ad opere accessorie che non alterarono la struttura. Ciò a differenza, ad esempio, del Duomo di Ferrara, romanico in origine, con la facciata goticizzata e l'interno completamente rinnovato nel Settecento e alla fine dell'Ottocento. Stessa sorte subirono altre importanti cattedrali:
- Nel Duomo di Mantova di romanico resta solo il campanile;
- Nel Duomo di Lodi la facciata vede assieme elementi romanici, gotici e rinascimentali, mentre l'interno è stato pesantemente restaurato;
- Nel Duomo di Reggio Emilia, costruito nel secolo XIII e poi molto rimaneggiato, la facciata è romanica in alto mentre in basso ha un rivestimento marmoreo del 1544;
- Nel Duomo di Treviso la mescolanza degli stili è macroscopica, fino al pronao esastilo neoclassico del 1808, e di romanico sono soltanto alcuni resti.
Il Duomo di Modena non subì questa sorte a causa del tempo, relativamente breve per quell'epoca, impiegato per il suo compimento, che non comportò il mutare dei gusti estetici del popolo e degli artisti, che non avrebbero sopportato la continuazione dei lavori secondo forme ormai passate di moda e non più gradite. Risale infatti al 1184 la definitiva consacrazione da parte di papa Lucio III, ad attestare che il Duomo era ormai completato in tutte le sue parti.
Restano altre cattedrali romaniche a Pavia, a Fidenza, a Piacenza, ecc., ma sono più tarde, mentre una diretta filiazione del suo stile è la Basilica di San Zeno a Verona, dove sono citati quasi tutti gli elementi architettonici, dalla facciata a spioventi tripartita, alla galleria di loggette (sebbene qui interpretata con doppie colonnine), ai grandi pannelli scultorei accanto al portale.
[modifica] Note
- ^ Oggi i canali sono coperti da vie che ricordano nel nome le vie d'acqua sottostanti (Corso Canalgrande, corso Canalchiaro, via Canalino).
- ^ Lo stesso documento conferma anche il nome dell'architetto Lanfranco e ne riporta anche un disegno che lo ritrae in vesti ricche rispetto a quelle umili degli operai, che comanda con una verga in mano, dirigendo i lavori degli scavi per le fondamenta e dell'erezione di una parete.
- ^ La bifora divenne poi di stile gotico in seguito ad un rifacimento più tardo
- ^ A questo scopo l'operazione avvenne con la custodia di un corpo di guardie giurate, scelte in numero di sei dall'ordine dei milites e di dodici dall'ordine dei cives. A ciò si era giunti perché all'intenzione manifestata dai vescovi di procedere senz'alcuna presenza civile alla ricognizione si opposero i cittadini e tutto il popolo che tumultuò nella piazza.
[modifica] Bibliografia
- AA. VV., Il Duomo di Modena, atlante fotografico, collana Mirabilia Italiae, Editore Franco Cosimo Panini, Modena 1985 ISBN 88-7686-982-4.
- Gianfranco Malafarina, a cura di, Il duomo di Modena, Editore Franco Cosimo Panini, Modena 2003 ISBN 88-8290-479-2.
- Roberto Salvini, Il Duomo di Modena, editore Artioli per FIAT, ricavato dalla più ampia edizione realizzata dalla Cassa di Risparmio di Modena, Modena 1983 (senza ISBN).
- AA. VV., L'Arte nel Medioevo, collana del Touring Club Italiano, Milano 1964.
- Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999 ISBN 88-451-7107-8.
- G. Lorenzoni e G. Valenzano, Il duomo di Modena e la basilica di San Zeno, Verona (Banca Popolare di Verona) e Modena (Banco S. Geminiano e S. Prospero) 2000 (senza ISBN).
- Dario Fo, Il tempio degli uomini liberi. Il duomo di Modena, Panini Franco Cosimo, 2004, ISBN 88-8290-714-7
- AA. VV., Marmoribus Sculptis, Il duomo di Modena arte e storia, editore Altair4 multimedia per Museo Civico d'arte e Cassa di Risparmio di Modena, Modena 1998(senza ISBN).
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