Waqf
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Col termine waqf (arabo:ﻭﻗﻒ), cui in area nordafricana viene preferito spesso il termine ḥubus (arabo:ﺣﺒﺲ), si indica un bene di manomorta, ossia una fondazione pia islamica, che ha come fine precipuo la conservazione del bene e la sua inalienabilità.
La gestione del bene di manomorta può rimanere alla famiglia di chi abbia istituito il waqf ma essa non ne ha comunque la proprietà.
Generalmente i beni waqf sono istituiti a fini caritatevoli, per aiutare le categorie meno fortunate della società o i pellegrini o i devoti. Con l'andar del tempo, tuttavia, l'accumulo di un patrimonio spesso diventato del tutto improduttivo e addirittura del tutto inagibile, ha condotto vari Stati islamici ad avocare a sé il compito di provvedere in merito, con l'istituzione sovente di appositi ministeri in grado di provvedere al loro concreto funzionamento.
La gestione di beni waqf ha quasi sempre arricchito notevolmente la classe degli ʿulamāʾ e fu ad esempio, il loro esproprio da parte dell'ultimo Scià dell'Iran, nel corso della cosiddetta "Rivoluzione Bianca", a provocare - tra gli altri fattori - la loro veemente reazione, dal momento che, così facendo, si impediva la gestione (e talora lo sfruttamento) dell'immenso patrimonio gestito dal "clero" sciita, contribuendo a provocare un'insanabile frattura fra il regime monarchico e i religiosi.
[modifica] Bibliografia
- David Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malechita, Roma, Istituto per l'Oriente, 1938, II, pp. 412-451.
- Claude Cahen, "Réflexions sur le waqf ancien", in Studia Islamica, XIV (1961), pp. 37-56.
- Josef Schacht, Early doctrines on waqf, in: Fuad Köprülü armağani, Istanbul, 1953, pp. 443-452.