Manomorta
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È un termine giuridico che trae origine dal francese antico main morte, e che ha avuto nel corso dei secoli un duplice significato.
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[modifica] Feudalesimo
Per manomorta si intende storicamente il possesso inalienabile (cioè non trasmissibile ad altri) di una massa di beni solitamente fondiari.
In origine si è trattato di un istituto giuridico di origine longobarda che prevedeva il divieto per vassalli e servi della gleba presenti all'interno del feudo di poter disporre liberamente dei propri beni a mezzo di testamento: da tale divieto si poteva essere esentati dietro pagamento di una tassa proporzionale al valore dei beni interessati da parte di chi si trovasse nel possesso dei beni stessi e fosse intenzionato ad alienarli a terzi; la tassa doveva essere ovviamente pagata al dominus da cui il vassallo o contadino dipendeva.
Nell'ambito della manomorta erano comunque previste vaste sacche di esenzione per masse fondiarie non assoggettate alle tasse di successione. Si ricomprendevano nell'intrasmissibilità a terzi anche i servi della gleba, i quali erano considerati oggetto di un vero e proprio diritto dominicale di proprietà da parte del feudatario.
L'istituto giuridico in questione prevedeva inoltre il diritto del feudatario a succedere nell'eredità del vassallo morto senza eredi maschi per due motivi:
- in primo luogo per evitare che si potessero avere beni derelitti (ovvero privi di proprietario, abbandonati), in modo tale che gli stessi, una volta rientrati nel possesso del feudatario, potessero essere nuovamente da lui concessi in godimento ad un altro vassallo per lo sfruttamento;
- in secondo luogo perché altrimenti i beni in questione potevano diventare di proprietà di soggetti estranei (persone o enti) al feudatario, mettendo in serio rischio la sopravvivenza dello stesso feudo a causa della depauperazione del relativo patrimonio fondiario.
[modifica] Diritto ecclesiastico
Nel basso medioevo, con il tramonto del sistema feudale e l'affrancamento dei servi della gleba, nasce la cosiddetta manomorta ecclesiastica: il passaggio nell'ordinamento civile dalla figura istituzionale del feudo a quella del comune o della signoria (a seconda dei casi e delle diverse contingenze storico-politiche) lascia evidenti tracce normative anche nell'ordinamento ecclesiastico, tra le quali il diritto dominicale perpetuo al fine di evitare la dispersione del patrimonio originario.
Essa consisteva in una condizione giuridica di privilegio concernente l'insieme dei beni (in genere immobili) appartenenti ad un ente ecclesiastico i quali, non potendo essere trasmessi per successione ereditaria mortis causa a terzi stante la continuità temporale del soggetto giuridico ecclesiastico per secoli o addirittura millenni, non potevano altresì essere assoggettati alle imposte di successione dello Stato in cui si trovavano.
La manomorta ecclesiastica fu favorita nella sua formazione dalle donazioni private e pubbliche accumulate per secoli a partire dal medioevo (anche a mezzo di testamento), fino a formare patrimoni talmente ingenti che nel corso del XVIII secolo furono oggetto di contestazione da parte del potere politico per la loro non assoggettabilità ad imposizione fiscale.
Per ovviare alle esigenze finanziarie dello Stato, data l'ampiezza dei patrimoni mobiliari ed immobiliari degli enti ecclesiastici non producevano introiti fiscali, in luogo dei proventi derivanti da tali imposte sulle alienazioni e sugli atti traslativi unilaterali, era istituita una imposta di manomorta alla quale erano assoggettati i beni fondiari degli enti ecclesiastici altrimenti esenti.
Una problematica fondamentale che aveva portato all'adozione di tale forma di imposizione fiscale derivava dall'assoluta improduttività di buona parte dei beni fondiari di proprietà degli enti ecclesiastici, beni che spesso, sia per l'incapacità gestionale dei religiosi responsabili dell'ente, sia per la vastità del patrimonio da gestire, restavano improduttivi anche per secoli così provocando danni incalcolabili all'economia degli Stati italiani preunitari.
Il primo tipo di intervento normativo in materia si ebbe nel Regno delle Due Sicilie dove il primo ministro Bernardo Tanucci fece introdurre, tra il 1767 ed il 1776, nell'ambito di una più ampia riforma dei rapporti tra Stato ed enti ecclesiastici, diverse norme giuridiche per ridurre o eliminare tali privilegi feudali: in particolare furono introdotte tassazioni specifiche per colpire le donazioni e le successioni testamentarie che disponevano a favore degli enti ecclesiastici.
Alla fine del Settecento, con la Rivoluzione Francese e la Campagna d'Italia con cui Napoleone prese il possesso della totalità degli Stati italiani preunitari, i governi liberali costituitisi disposero l'incamerazione dei beni degli enti ecclesiastici nel demanio pubblico.
Il Regno di Sardegna introdusse l'imposta di manomorta (pari allo 0,90% del valore del bene assoggettato) durante il Governo di Cavour: tale istituto giuridico fu successivamente integrato nell'ordinamento del Regno d'Italia.
Sia pure con funzioni molto ridotte a causa delle successive leggi eversive che avocarono a favore dello Stato italiano la maggior parte dei beni fondiari ed immobiliari della chiesa, l'imposta di manomorta rimase negli anni e fu soppressa solo con la legge 31 luglio 1954, n. 608, che ha appunto abolito l'imposta sulle rendite degli enti di manomorta.
[modifica] Bibliografia
- Lombardi L., I possessi plebei, la manomorta e lo svincolo della proprietà fondiaria, Napoli 1883
- Grimaldi A., La Cassa Sacra ovvero la soppressione della manomorta in Calabria nel secolo XVIII, Napoli 1863
- Del Giudice V., Manuale di diritto ecclesiastico, Giuffrè 1955
- Zingali G., I rapporti finanziari fra Stato e Chiesa, Vallardi 1943
- Morello V., Il conflitto dopo la Conciliazione, Bompiani 1932
- Conti G., Preti e frati non pagano tasse, "Il Mondo", 14/5/1957
- Grilli G. Le finanze vaticane in Italia, Editori Riuniti 1961
[modifica] Collegamenti esterni
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