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Quinto Cecilio Metello Macedonico - Wikipedia

Quinto Cecilio Metello Macedonico

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Quinto Cecilio Metello Macedonico (210 a.C. - 116 a.C./115 a.C., latino: Quintus Caecilius Metellus Macedonicus) fu un uomo politico romano attivo durante l'epoca della Repubblica Romana.

Figlio di Quinto Cecilio Metello e nipote di Lucio Cecilio Metello, ricoprì la carica di pretore nel 148 a.C., di console nel 143 a.C., proconsole della Spagna Citeriore nel 142 a.C. e censore nel 131 a.C.. Combatté brillantemente nella terza guerra macedonica con il grado di generale ed ebbe un ruolo molto importante nella quarta. Sotto il suo comando nel 148 a.C., quando ancora era pretore, sconfisse due volte Andrisco, che aveva dichiarato guerra a Roma vantando di avere origine da Perseo e, per questo, di essere il legittimo erede del trono di Macedonia. Sotto l'autorità di Metello la Macedonia venne sconfitta e ridotta ad una provincia Romana. Per questa vittoria assunse il soprannome di Macedonico.

Nel 147 a.C. sconfisse Cristolao a Scarpheia e nel 146 a.C. gli arcadi a Cheronea. Dovette scontrarsi contro questi ultimi anche successivamente, per vendicare un torto subito da un romano durante un'ambasciata a Corinto. Consegnato al console Mumnio il comando della guerra, venne dissuaso dal celebrare immediatamente il trionfo, che si era ampiamente meritato. L'occasione per ricevere quest'onoreficienza si presentò dopo l'ennesima vittoria a Scarpheia. Tornato a Roma celebrò finalmente il trionfo e gli venne dato il titolo di Macedonico. Per commemorare l'avvenimento fece costruire nella zona del Campo Marzio un portico, che venne chiamato Porticus Caecilii (che più tardi verrà ricostruito con il nome di Portico di Ottavia, i cui resti sono visibili ancora oggi) e due templi, dedicati rispettivamente a Giove Statore e a Giunone Regina. Furono i primi templi ad essere costruiti interamente in marmo, e vennero ornati con le statue bronzee dei generali di Alessandro Magno riportate dopo le guerre in Grecia.

Dopo il consolato, nel 143 a.C., venne inviato come governatore nella penisola Iberica dove combatté contro i Celtiberi di Viriato, sconfiggendoli e sottomettendoli.

Tornato a Roma, dove comprese come conquistare un alto grado di stima tra i suoi concittadini, venne eletto censore nel 131 a.C., impegnandosi audacemente per bloccare il crescente decadimento dei costumi romani. In un discorso che tende durante il suo mandato propose che il matrimonio fosse ingiuntivo per tutti i cittadini, per porre fine al libertinaggio allora diffuso. Lo stesso discorso venne fatto leggere da Augusto al Senato, più di un secolo dopo, ed emanato in un editto, per favorire la conoscenza il riassetto del popolo romano. Il suo impegno morale naturalmente comportò delle forti reazioni, tra cui quella del tribuno della plebe Gaio Attinio Labeo Macerio (espulso precedentemente dal Senato proprio da Metello Macedonico), che culminò con la morte di quest'ultimo, gettato dalla rupe Tarpea. Il gesto gravò in modo molto pesante sulla reputazione di Macedonico presso il popolo romano.

Successivamente ebbe dei dissidi con Publio Cornelio Scipione Emiliano, ma nonostante ciò non dimenticò mai i suoi meriti, poiché alla sua morte Metello pianse e ordinò ai propri figli di trasportare il suo corpo sulla pira per la cremazione.

Celebrato anche per la sua eloquenza e il suo gusto per le arti, morì tra il 116 a.C. e il 115 a.C.. Nella memoria rimase come un generale degno di rispetto e divenne il simbolo della Roma fortunata. Gli vennero concessi gli onori civili e militari, e al suo funerale venne accompagnato dai quattro figli, uno dei quali era console, due lo erano già stati e uno lo sarebbe diventato. Anche i suoi due nuori, Publio Cornelio Scipione Nasica Serapio e Gaio Servilio Vatia, vennero eletti successivamente.

Fu il padre di:

[modifica] Bibliografia

  • Manuel Dejante Pinto de Magalhães Arnao Metello and João Carlos Metello de Nápoles, "Metellos de Portugal, Brasil e Roma", Torres Novas, 1998

[modifica] Voci correlate


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