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Prima lettera di Clemente - Wikipedia

Prima lettera di Clemente

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La Prima lettera di Clemente o 1 Clemente è un testo attribuito a Papa Clemente I (88-97) scritto in greco verso la fine del I secolo. Nei primi secoli dell'era cristiana ha goduto di una notevole fortuna al punto da essere considerata da alcuni Padri della Chiesa come un testo incluso nel canone della Bibbia. Dalla tradizione successiva è però stata considerata come un apocrifo del Nuovo Testamento, incluso nella cosiddetta letteratura subapostolica.

Indice

[modifica] Origine e autore

Il contesto di origine della lettera è legato a una disputa nella chiesa di Corinto che aveva portato all'espulsione di diversi presbiteri dal loro ufficio. Nulla si sa delle cause del malcontento, sfociato in una rivolta dei membri più giovani della comunità contro i vecchi. Nessuna offesa morale viene addossata ai presbiteri e la loro dimissione viene vista da Clemente come dispotica e ingiustificabile. Nella storia del Cristianesimo rappresenta di fatto il primo intervento da parte del vescovo di Roma in questioni relative alle altre comunità ecclesiali.

[modifica] Contenuto e stile

Dopo un resoconto elogiativo della condotta passata della Chiesa corinta, Clemente si addentra in una denuncia dei vizi e in una lode delle virtù, e illustra i suoi vari argomenti con copiose illustrazioni dalle scritture del Vecchio Testamento. Perciò egli spiana la strada al suo tardo rimprovero dei presenti disordini, che trattiene fin quando due terzi della sua epistola sono completati. Clemente è eccessivamente discorsivo, e la sua lettera raggiunge una lunghezza doppia rispetto alla Lettera agli Ebrei. Molte delle sue esortazioni generali sono molto indirettamente connesse con l'argomento pratico al quale la lettera è diretta, ed è molto probabile che venne stilata basandosi ampiamente sulle omelie con le quali era solito edificare i suoi seguaci cristiani a Roma. Apprendiamo dalla sua lettera (1.7) che la chiesa di Roma, per quanto sofferente delle persecuzioni, venne fermamente tenuta assieme da fede e amore, ed esibì la sua unità in un culto disciplinato. L'epistola venne letta pubblicamente di tanto in tanto a Corinto, e per il IV secolo il suo uso si era diffuso ad altre chiese. La troviamo allegata addirittura al famoso Codex Alexandrinus (Codice Alessandrino), ma ciò non implica che raggiunse mai il rango canonico.

G.B. Tiepolo, Papa Clemente prega la SS Trinità
G.B. Tiepolo, Papa Clemente prega la SS Trinità

Il tono di autorità col quale si esprime nella lettera è notevole, specialmente nelle ultime parti (56, 58 ecc.). Il vescovo Lightfoot intravede in questa lettera il primo passo verso il primato della Sede Apostolica sulle altre.

[modifica] Dottrina

Nell'Epistola ci sono pochi insegnamenti intenzionali dogmatici, per questo è quasi un puro esercizio oratorio. Le sue parole sul ministero cristiano hanno dato adito a molte discussioni (42 e 44): "Gli Apostoli ricevettero il Vangelo per noi dal Signore Gesù Cristo; Gesù Cristo fu inviato da Dio. Così Cristo proviene da Dio, e gli Apostoli da Cristo. Ambo [le missioni] perciò hanno origine dalla volontà di Dio... così, predicando dappertutto in campagna ed in città, nominarono i loro primi successori, essendo stati messi alla prova dallo Spirito, per essere vescovi e diaconi." In ogni caso il significato generale è chiaro: gli Apostoli provvidero ad una successione legale di ministri. I Presbiteri sono menzionati molte volte, ma non c'è distinzione con i vescovi. Non c'è alcuna indicazione di un vescovo a Corinto, e le autorità ecclesiastiche vengono sempre citate al plurale. R. Sohm pensa che, quando Clemente scrisse, ancora non c'era alcun vescovo di Corinto, ma che, in conseguenza della lettera se ne sarebbe dovuto nominare uno.

Il carattere liturgico di alcune parti dell'Epistola è dettagliatamente sviscerato da Lightfoot. La preghiera (59-61), che ci ricorda l'Anafora delle prime liturgie, non può essere vista, affermava Louis Duchesne, "come la riproduzione di un formulario sacro ma è un eccellente esempio dello stile di preghiera solenne nel quale i capi ecclesiastici di quel tempo erano abituati ad esprimersi nelle riunioni per l'adorazione" (Origines du culte chretienne, III ed.). L'eccellente brano sulla Creazione, 32-3, è nello stile di una Prefazione, e si conclude introducendo il Sanctus con la solita menzione dei poteri angelici.

[modifica] L'epistola nella letteratura

L’epistola di Clemente venne tradotta in almeno tre lingue in epoca antica: una traduzione del II o III secolo venne trovata in un manoscritto dell'XI secolo a Namur, in Belgio, e pubblicata da Morin nel 1894; un manoscritto siriaco, oggi all'università di Cambridge, venne trovato da R. L. Bensly nel 1876, e venne tradotto nel 1899; ed una traduzione copta è sopravvissuta in due copie in papiro, una pubblicata da C. Schmidt nel 1908 e l'altra da F. Rösch nel 1910.

L'epistola venne pubblicata nel 1633 da Patrick Young che la trasse dal Codice Alessandrino, nel quale un foglio verso la fine era mancante, così che la grande preghiera (capitoli 55 - 64) rimase sconosciuta. Nel 1875 (sei anni dopo la prima edizione di Joseph Barber Lightfoot) Philotheus Bryennius pubblicò un testo completo proveniente da un manoscritto di Costantinopoli (datato 1055), dal quale nel 1883 trasse la Didachè. Lightfoot fece uso delle traduzioni in latino e siriaco in un'appendice alla ristampa della prima edizione (1877); la sua seconda edizione, sulla quale stava lavorando all'epoca della sua morte, venne pubblicata nel 1890. La monografia di Adolf von Harnack, Einführung in die alte Kirchengeschichte (Leiden, 1929), è considerata l'inizio degli studi moderni su quest'opera.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni


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