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Francesco Lorusso - Wikipedia

Francesco Lorusso

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Francesco Lorusso

Francesco Lorusso (1951 – Bologna11 marzo 1977) è stato uno studente italiano. Militante di Lotta continua, fu ucciso nel corso di gravi scontri di piazza nel marzo del 1977 a Bologna.

Francesco Lorusso a terra colpito dal proiettile
Francesco Lorusso a terra colpito dal proiettile

Indice

[modifica] L'uccisione di Lorusso

Intorno alle 10:00 dell'11 marzo 1977 il movimento di Comunione e Liberazione (CL) indisse un'assemblea in un aula presso l'università di Bologna, cui presenziarono circa 400 persone. Alcuni studenti della facoltà di Medicina, attivisti della sinistra extraparlamentare, tentarono di entrare nell'aula dove si svolgeva la riunione, ma furono violentemente respinti dal servizio d'ordine di CL. La notizia dell'assemblea in corso e dello scontro si sparse rapidamente e cominciarono ad affluire all'esterno attivisti e simpatizzanti dell'area di Autonomia Operaia, che diedero vita ad una rumorosa contestazione, mentre gli aderenti all'assemblea si barricavano nell'aula.

Il direttore dell’Istituto di Anatomia, prof. Cattaneo, constatata la situazione di pericolo, ne informò il Rettore Rizzoli, il quale chiese l'intervento delle forze dell’ordine che, in breve tempo, intervennero sul posto con un notevole contingente di carabinieri che, effettuando una violenta carica contro gli studenti di sinistra, consentì agli studenti di Comunione e Liberazione di lasciare pacificamente l'assemblea.

L'intervento massiccio delle forze dell'ordine fece salire ulteriormente la tensione già elevata, il che scatenò una reazione violenta dei giovani della sinistra extraparlamentare. Gli scontri di piazza si estesero a tutta la zona universitaria e nelle zone circostanti.

Nel corso degli scontri tra la sinistra extraparlamentare e le forze dell'ordine, un'autocolonna dei carabinieri in marcia in via Irnerio fu attaccata all'altezza dell'incrocio con via Mascarella. L'autocarro[citazione necessaria] di testa fu colpito nella parte anteriore sinistra da una bottiglia molotov che provocò un principio d'incendio esternamente al mezzo, rapidamente estinto dalle forze dell'ordine presenti sul luogo.

Il guidatore del mezzo, il carabiniere di leva Massimo Tramontani, preso dal panico balzò a terra dalla portiera destra, lasciando il mezzo senza guida fermarsi autonomamente. Il carabiniere a quel punto, ancora sotto attacco[citazione necessaria], estrasse l'arma d'ordinanza ed esplose 6 colpi contro un gruppo di manifestanti.

Diversi testimoni presenti alla scena, tra i quali i lavoratori della Zanichelli, riferirono di aver visto un uomo in divisa senza bandoliera esplodere una serie di colpi di pistola ad altezza d'uomo e in rapida successione appoggiando il braccio armato su un'auto parcheggiata per meglio prendere la mira contro i manifestanti. Contemporaneamente, Lorusso fu colpito e riuscì a trascinarsi per qualche metro verso via Mascarella prima di cadere al suolo morente.

La sera stessa del giorno 11 marzo, alle ore 20:50, il carabiniere Massimo Tramontani rilasciò una dichiarazione spontanea sui fatti al sostituto procuratore Romano Ricciotti. [1]

Francesco Lorusso fu visto cadere in via Mascarella, da tre testimoni, mentre si spostava allontanandosi da via Irnerio in direzione di via Belle Arti, e morì poco dopo. Un quarto testimone giunse successivamente e poté testimoniare sul luogo ove fu ritrovato.

Si legge nell'ordinanza del giudice:

« Il proiettile penetra nella regione anteriore del torace, leggermente a sinistra della linea mediana, fuoriuscendo poi dalla faccia posteriore dell'emitorace destro. »
([1])

Secondo una ricostruzione dei fatti Lorusso, durante la fuga, al suono degli spari si sarebbe girato per vedere cosa stava succedendo alle sue spalle, e in quel momento sarebbe stato raggiunto dal proiettile. Per quanto in contraddizione con le ricostruzioni e le perizie, resta nell'opinione comune l'identificazione della morte di Lorusso con un colpo sparato alla schiena.

Il proiettile non fu mai ritrovato e non si poté fare una perizia balistica per individuare né l'arma né il calibro della stessa e non si poté mai accertare se avesse fatto parte del gruppo che aveva attaccato l'autocolonna, o se avesse assistito o partecipato allo scontro.[2]

Un'ipotesi che l'inchiesta non poté escludere è che Lorusso potesse essere stato colpito da un colpo esploso dai dimostranti. In via Mascarella un testimone affermò di aver notato il calcio di un'arma da fuoco sporgere da una tasca della giacca di uno dei manifestanti.[citazione necessaria]

Questa voce è di parte

Questa sezione di storia è ritenuta non neutrale: per contribuire, partecipa alla discussione.
Motivo: Chi dice cosa e quanto è rilevante è fondamentale. Si richiede di chiarire di quali "periti si parla, operanti per quale parte, e quale sia la differenza tra le affermazioni degli stessi ed una pura illazione Vedi anche: Progetto storia Portale storia Segnalazione di Piero Montesacro

La tesi dell'uso di armi da fuoco da parte dei dimostranti venne avvalorata da un segno trovato sulla volta del portico d'angolo nel luogo dove si svolse la vicenda, che venne attribuito dai periti ad un colpo d'arma da fuoco sparato verosimilmente dalla direzione controllata dai dimostranti

termine sezione non neutrale

. Tuttavia l'attribuzione del segno ad un proiettile è basata esclusivamente sull'ipotesi dei periti e non poggia su basi fattuali e rilevazioni strumentali. Era inoltre impossibile stabilire quando il colpo fosse stato sparato, se prima dei fatti, dopo o addirittura in altra giornata.

Gabriele Giunchi, militante di Lotta Continua presente in loco il giorno dell'omicidio, in una recente intervista, riferisce di un dimostrante che lanciando malamente un sasso contro i carabinieri avrebbe provocato il suddetto segno.
[3]

Il fatto che nella testimonianza di Tramontani non ci sia nessun riferimento a dimostranti armati e a sparatorie mette in dubbio che Lorusso sia morto in una circostanza di “fuoco incrociato”.

[modifica] Il proscioglimento del carabiniere per l'uso delle armi

Fori di proiettile in Via Mascarella
Fori di proiettile in Via Mascarella

Prima della sparatoria in Via Mascerella il carabiniere Massimo Tramontani aveva fatto uso del suo fucile Winchester al crocevia con via Bertoloni sparando 12 colpi, a sua detta a scopo intimidatorio, in occasione di un altro scontro con i dimostranti, in cui i manifestanti avavano lanciato di una bomba molotov che colpì una Fiat 127 della polizia incendiandola[citazione necessaria]. Tramontani sparò diversi colpi del suo fucile indirizzato i numerosi colpi in direzione di alcuni manifestanti. Tramontani fu prosciolto il 24 ottobre 1977 per l'uso delle armi in base alla contestata legge Reale, poi sottoposta a referendum abrogativo (nel 1978, nel quale prevalsero i "no" all'abrogazione, nonostante i promotori avessero prodotto un lungo elenco di vittime innocenti causate dall'eccessivo uso delle armi da parte delle forze dell'ordine) e successivamente emendata dal parlamento italiano[4]. Secondo il giudice

« in quel luogo era in atto “una vera e propria sommossa, una guerriglia urbana” ben organizzata, dato il numero degli aggressori e delle armi a loro disposizione (molotov e cubetti di porfido). La zona inoltre era sguarnita di un'adeguata difesa da parte degli agenti e il Tramontani “non aveva altro mezzo che quello di far uso del suo fucile in dotazione”. »
([1])

Tale motivazione fu contestata in base alle testimonianze, dalle quali risultavano essere sul posto almeno una ventina di membri delle forze dell'ordine, alcuni dei quali estinsero il principio d'incendio sul mezzo, mentre Tramontani, da solo, sparava.

Secondo la testimonianza del Brigadiere dell'ufficio politico di PS Gesuino Putgioni, La cosa che colpì Putgioni fu il fatto che Tramontani aveva sparato ad altezza d'uomo:

« Sono certo che esplose i colpi ad altezza d'uomo... Io mi trovavo a circa 10 metri dallo Sparatore... Vidi il carabiniere sparare con le ginocchia leggermente flesse, nella posizione tipica cioè che si assume quando si spara con l'arma lunga ad altezza d'uomo ma non a tiro mirato. »

Questa prospettiva è stata messa in discussione dal capitano della VII Celere della PS Massimo Bax, anche lui testimone, che riferì la possibilità che il Tramontani avesse sparato escludendo dalla sua traiettoria una sagoma umana per l'inclinazione del fucile al momento degli spari. Lo stesso Bax, tuttavia, si dichiarò sorpreso dall'agire di Tramontani, che aveva fatto deliberato uso delle armi contravvenendo alle istruzioni abitualmente impartite agli agenti delle forze dell'ordine per situazioni simili a quella in esame. Di seguito la testimonianza di Bax relativa all'iniziativa del carabiniere:

« mi sorprese moltissimo il fatto che avesse fatto uso delle armi. Io ho svolto servizio d'ordine pubblico per circa due anni a Milano partecipando a numerose manifestazioni interessanti l'ordine pubblico e debbo dire che mai nelle stesse situazioni si fece uso delle armi; specifico che tra le predette manifestazioni alcune furono caratterizzate dall'uso da parte dei dimostranti di numerose bottiglie molotov, lancio di cubetti di porfido, biglie d'acciaio e di vetro. Le istruzioni che ci venivano impartite erano di non ricorrere mai all'uso delle armi se non quando ci aggredivano con armi utilizzandole direttamente contro di noi. »

Secondo il giudice

« in quel luogo era in atto “una vera e propria sommossa, una guerriglia urbana” ben organizzata, dato il numero degli aggressori e delle armi a loro disposizione (molotov e cubetti di porfido). La zona inoltre era sguarnita di un'adeguata difesa da parte degli agenti e il Tramontani “non aveva altro mezzo che quello di far uso del suo fucile in dotazione”. “Nel contrasto fra le versioni appare più prudente e corretto preferire quella di quei testi i quali sostengono che il Tramontani sparò verso l'alto”. »
([1])

Secondo i magistrati, il veicolo dove si trovava il carabiniere, colpito da una bomba incendiaria, continuava a essere bersagliato. Questo fu l'elemento di maggior peso nell'archiviazione del procedimento per l'uso delle armi.

[modifica] Il proscioglimento del carabiniere per la morte del Lorusso

Il Carabiniere fu sospettato come responsabile della morte del Lorusso e arrestato, fu scarcerato dopo circa un mese e mezzo, e successivamente fu prosciolto in istruttoria preliminare per mancanza di elementi di prova per passare alla fase dell'istruzione formale
Nella sua relazione il giudice scrive :

« "Il procedimento non potrà passare alla fase dell'istruzione formale per quanto riguarda la condotta del carabiniere Tramontani, in relazione all'ipotesi che la morte del Lorusso sia stata cagionata dai colpi da lui esplosi. Si è già osservato che la mancata ritenzione del proiettile ha impedito l'accertamento del nesso causale fra la condotta del Tramontani e la morte del Lorusso, la qual cosa si traduce nella constatazione del difetto di prova, soprattutto se si tiene conto della possibilità, largamente documentata, che il giovane sia stato ucciso da altri”. »
([1])

Nel corso dello stesso procedimento fu indagato anche un Capitano dei Carabinieri, Pietro Pistolese, con l'accusa di aver ordinato di sparare. In seguito anch'egli fu prosciolto.

[modifica] Gli scontri

La notizia della morte di Francesco Lorusso si diffuse rapidamente e ne seguì l'affluire di migliaia di persone vicine alla sinistra extraparlamente verso l'Università e l'organizzazione di un corteo di protesta, non autorizzato, che prese avvio nel primo pomeriggio e fu subito disperso con violente cariche. Gli scontri di piazza e la guerriglia urbana continuarono per tutta la giornata. Il giorno dopo in risposta all'accaduto venne organizzata a Roma una grande manifestazione nazionale del movimento per contestare la repressione. Anche in quella occasione si verificarono scontri e azioni di guerriglia e vennero sparati colpi d'arma da fuoco sia dai dimostranti che dalle forze dell'ordine.

[modifica] Il funerale negato a Bologna

Il corteo funebre
Il corteo funebre

L'allestimento di una camera ardente nel centro di Bologna e lo svolgimento dei funerali di Francesco Lorusso nel capoluogo furono vietati dal prefetto per motivi di ordine pubblico. Il corteo funebre si svolse in periferia, nei pressi dello stadio comunale.

[modifica] Testo della lapide commemorativa

Una lapide commemorativa è stata posta in corrispondenza del luogo ove lo studente cadde colpito a morte, in via Mascarella 37 a Bologna. Il testo della lapide recita:

« I compagni di Francesco Lorusso qui assassinato dalla ferocia armata di regime l'11 marzo 1977 sanno che la sua idea di uguaglianza di libertà di amore sopravviverà ad ogni crimine.
Francesco è vivo e lotta insieme a noi. »

[modifica] L'incontro tra il fratello della vittima e Tramontani

Oltre trent'anni dopo l'omicidio di Lorusso, il 18 marzo 2007, il fratello Giovanni Lorusso ha incontrato ed abbracciato Massimo Tramontani, responsabile degli spari che uccisero lo studente di Medicina nel marzo 1977. L'incontro, cercato da Giovanni Lorusso sin da quando, a seguito della morte del padre Agostino, ex generale in pensione deceduto nell'agosto 2006, dopo che la moglie Virginia era già morta di crepacuore, egli aveva ritrovato tra le sue carte una lettera del Tramontani, nella quale questi chiedeva un incontro, poi mai avvenuto, si è infine svolto presso l'Eremo di Ronzano, auspice Benito Fusco, ex militante di Lotta Continua, noto come "Benito il Rosso" durante gli anni di piombo, poi divenuto frate dell'ordine dei Servi di Maria.[5][6].

[modifica] Note

  1. ^ a b c d e Ordinanza del giudice Ricciotti.
  2. ^ Ordinanza d'Archiviazione del caso fatta dal Procuratore della Repubblica Romano Ricciotti al momento del passaggio del caso nelle mani del Giudice Istruttore Bruno Catalanotti avvenuto nel luglio del '77.
  3. ^ Intervista rilasciata da Gabriele Giunchi a Franca Menneas.
  4. ^ Radio Radicale, "Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n.152, relativamente alle limitazioni dell'uso delle armi da parte del pubblico ufficiale".
  5. ^ Il Resto del Carlino Bologna, "Il fratello di Francesco Lorusso abbraccia Tramontani
  6. ^ Repubblica online, "Lorusso e Tramontani un abbraccio dopo 30 anni"

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia

  • AA.VV, Bologna marzo '77 ... fatti nostri..., Bertani Editore, 1977.
  • Luigi Amicone, Nel nome del niente, Rizzoli, 1982.
  • Concetto Vecchio, Ali di piombo, BUR, 2007
  • Nanni Balestrini, Primo Moroni, L' orda d'oro. 1968-1977: la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Feltrinelli, 1997, ISBN 88-07-81462-5, pagg 547-548.

[modifica] Collegamenti esterni


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