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Don Chisciotte della Mancia - Wikipedia

Don Chisciotte della Mancia

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Don Chisciotte della Mancia
Titolo originale El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha
Immagine:Cervantes Don Quixote 1605.gif
Copertina della IV edizione (1605)
Autore: Miguel de Cervantes
Anno
(1ª pubblicazione):
1605
Genere: romanzo
Sottogenere: romanzo picaresco
Ambientazione: Spagna
Anno di ambientazione:
Protagonista: Don Chisciotte
Coprotagonisti: Sancio Panza
Antagonista:
Personaggi secondari:
Serie:
Preceduto da:
Seguito da:
EDIZIONE RECENSITA
Anno: 2005
Editore: Einaudi
Edizione:
Traduzione: Vittorio Bodini
Collana: ET Biblioteca
Pagine: 1185
Capitoli
ISBN 8806177796
ISSN
Progetto Letteratura

Don Chisciotte della Mancia (titolo originale in lingua spagnola: El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha) è un romanzo del genere picaresco, opera principale dallo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes Saavedra.

Il pretesto narrativo ideato da Cervantes è la figura dello storico Cide Hamete Benengeli, di cui Cervantes dichiara di aver ritrovato e tradotto il manoscritto in arabo nel quale sono raccontate le vicende di Don Chisciotte.

Pubblicato in due volumi a distanza di dieci anni l'uno dall'altro (1605 e 1615), il Don Quijote è l’opera letteraria principale del Siglo de oro, ed è il più celebrato romanzo della letteratura spagnola.

Indice

[modifica] Trama

[modifica] Sinossi

Il libro si struttura in due parti. Il protagonista della vicenda è un hidalgo spagnolo di nome Alonso Quijano, morbosamente appassionato di romanzi cavallereschi, alla lettura dei quali si dedica nei momenti di ozio. Le letture lo condizionano a tal punto da trascinarlo in un mondo fantastico, nel quale si convince di essere chiamato a diventare un cavaliere errante. Si mette quindi in viaggio, come gli eroi dei romanzi, per difendere i deboli e riparare i torti.

Alonso diventa così il cavaliere "don Chisciotte della Mancia" e inizia a girare per la Spagna. Nella sua follia, Don Chisciotte trascina con sé un contadino del posto, Sancho Panza, cui promette il governo di un'isola a patto che gli faccia da scudiero.

Come tutti i cavalieri erranti, Don Chisciotte sente la necessità di dedicare a una dama le sue imprese. Lo farà scegliendo Aldonza Lorenzo, una bella contadina sua vicina, da lui trasfigurata in una nobile dama e ribattezzata Dulcinea del Toboso.

Purtroppo per Don Chisciotte, la Spagna del suo tempo non è quella della cavalleria, e nemmeno quella dei romanzi picareschi, e per l'unico eroe rimasto le avventure sono scarsissime. La sua visionaria ostinazione lo spinge però a leggere la realtà con altri occhi. Inizierà quindi a scambiare i mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti, i burattini con demoni, i greggi di pecore con eserciti nemici. Combatterà questi avversari immaginari risultando sempre sonoramente sconfitto, e suscitando l'ilarità delle persone che assistono alle sue folli gesta. Sancho Panza, dal canto suo, sarà in alcuni casi la controparte razionale del visionario Don Chisciotte, mentre in altri frangenti condividerà suo malgrado le disavventure del padrone.

[modifica] Prima parte

Don Chisciotte e Ronzinante  Dipinto di Honoré Daumier
Don Chisciotte e Ronzinante
Dipinto di Honoré Daumier

La prima parte del romanzo è preceduta da un prologo tra l'arguto e il serio nel quale l'autore si scusa per lo stile semplice e per la narrazione esile e "priva di citazioni". Segue il primo capitolo che tratta delle condizioni, dell'indole e delle abitudini del nobiluomo Don Alonso Quijano, di un borgo della Mancia, di cui non vale la pena ricordare l'esatta denominazione:

« Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un hidalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane da caccia. »
« Toccava i cinquant'anni; forte di corporatura, asciutto di corpo, e di viso; si alzava di buon mattino, ed era amico della caccia [...] Negli intervalli di tempo nei quali era in ozio (ch'eran la maggior parte dell'anno), si applicava alla lettura dei libri di cavalleria con predilizione così spiegata e così grande compiacenza, che obliò quasi interamente l'esercizio della caccia ed anche l'amministrazione delle cose domestiche. »

Con lui vivono una governante sulla quarantina, una nipote di venti anni e un domestico. Inaspettatamente, la passione per la letteratura cavalleresca lo porta si trasforma ad un tratto in una forma di delirio; Alonso decide quindi di farsi cavaliere errante e di andarsene armato a cavallo in giro per il mondo, facendo piazza pulita di tutte le ingiustizie, le prepotenze e i soprusi. Immagina come proprio futuro premio la corona di Imperatore di Trebisonda e così inizia a mettere in atto il suo progetto.

Come prima cosa ripulisce e rimette in sesto alcune armi che erano appartenute ai suoi avi; poi si reca dal suo ronzino che gli sembra, anche se malconcio, persino superiore al leggendario Bucefalo di Alessandro Magno. Poiché al ronzino manca un nome, Don Alonso decide di chiamarlo Ronzinante, ovvero "primo fra tutti i ronzini del mondo"; solo in seguito pensa di nobilitare in qualche modo anche il proprio nome, e decide per "Don Chisciotte della Mancia", un nome che pone in evidenza il suo lignaggio e onora la sua terra natale. Ma si rende conto che manca ancora qualcosa:

« Lucidate le armi, fatta del morione una celata, dato il nome al ronzino e confermato il proprio, si persuase che non gli mancava altro se non una dama di cui dichiararsi innamorato. Un cavaliere errante senza amore è come un albero spoglio di fronde e privo di frutti, è come un corpo senz'anima, andava dicendo a sé stesso »

La donna dei sogni viene così identificata in una certa Aldonza Lorenzo, giovane contadina di un piccolo paese vicino che viene subito ribattezzata Dulcinea del Toboso. Fatti tutti questi preparativi e preoccupato per i danni che può procurare al mondo tardando a partire, Don Chisciotte si mette presto in viaggio. Cammin facendo si chiede come fare a battersi per nobili cause se nessuno lo aveva armato cavaliere. Il problema è risolto a fine giornata quando Chiosciotte, giunto in un "nobile castello" (in realtà un'umile osteria) sottopone la questione al "castellano" (l'oste). Questi, resosi conto della pazzia del suo cliente, finge di essere un grande signore e con l'aiuto di due donzelle lo arma cavaliere. All'alba Don Chisciotte lascia l'osteria felice e contento.

Nel bosco libera un ragazzo che era stato legato e picchiato da un contadino e riprende la strada alla ventura, quando incontra un gruppo di Toledo che si reca a comprare seta a Murcia; Don Chisciotte, certo che siano cavalieri erranti, grida loro di fermarsi e di dire che in tutto il mondo nessuna era più bella dell'Imperatrice della Castiglia-La Mancia, Dulcinea del Toboso. I mercanti si fanno gioco di lui e ne nasce una rissa in cui Don Chiosciotte, caduto malamente da cavallo, viene bastonato di santa ragione da uno stalliere.

Un contadino del suo paese, di ritorno dal mulino con il carro, lo trova e lo riporta a casa dove la nipote e la governante erano in pensiero per la sua assenza. Il curato del paese e il barbiere, fattagli una visita, si rendono conto del suo stato e decidono di bruciargli tutti i libri di cavalleria nella speranza che guarisca. Ma don Chisciotte non guarisce e dopo quindici giorni convince un contadino del paese, di buon carattere ma non troppo "sveglio", ad andare con lui in veste di scudiero, promettendogli di farlo governatore se avessero conquistato un'isola. Il contadino, che si chiama Sancho Panza, accetta; salito sul suo asinello, parte con don Chisciotte in sella al suo ronzino per le vie del mondo.

« Viaggiava Sancho Panza sopra il suo asino come un patriarca, colle bisacce in groppa e la boraccia all'arcione, e con un gran desiderio di diventare governatore dell'isola che il padrone gli aveva promesso. »

Sono da poco in cammino quando si vedono all'orizzonte trenta o quaranta mulini a vento, che don Chisciotte scambia per smisurati giganti con i quali vuole subito battagliare. Malgrado gli ammonimenti di Sancho egli si slancia a galoppo contro il primo mulino a vento, cadendo a terra e rimanendo piuttosto malconcio.

I due riprendono la strada e incontrano una comitiva costituita da due frati dell'ordine di San Benedetto, un cocchio con dentro una dama biscaglina diretta a Siviglia, quattro persone a cavallo di scorta e due mulattieri a piedi. Don Chisciotte scambia i due frati per degli incantatori e la dama per una principessa rapita e ordina loro di liberarla. Seguono altre zuffe.

Ripreso il cammino i due arrivano a una osteria di campagna, che don Chisciotte nuovamente scambia per un castello, prendendo altresì le sguattere per delle principesse.

In seguito Don Chiosciotte incontra un gregge di pecore, prendendolo per un vasto esercito; vedendolo menare colpi agli animali con la lancia in resta, i pastori gli gridano di fermarsi; poiché questo non serve, per poco non lo ammazzano:

« cominciarono a salutargli l'udito con pietre grosse come il pugno »

Un'altra volta capita a Don Chisciotte e a Sancho di assistere a un funerale notturno; il cavaliere, credendo che il catafalco sia la barella di un cavaliere ferito o morto, decide di far giustizia assalendo uno dei vestiti a lutto. Gli altri, disarmati, si spaventano e scappano. Questa volta Sancho ammira veramente il valore del suo padrone e quando il caduto si rialza egli dice:

« Se mai quei signori volessero sapere chi è stato il valoroso che li ha ridotti a quel modo, vossignoria dirà che è il famoso don Chisciotte della Mancia, il quale con altro nome si chiama il Cavaliere dalla Trista Figura »

Le avventure di Don Chiosciotte proseguono con l'assalto ad un barbiere che si recava a prestare i suoi servizi e al quale don Chisciotte toglie la catinella di rame che scambia per l'elmo di Mambrino; poi libera alcuni galeotti attaccando le guardie che li scortano.

Infine, assalito dalle nostalgie d'amore, decide di ritirarsi a vita di penitenza tra i boschi della Sierra Morena in omaggio alla sua Dulcinea, e rimanda Sancho al paese perché riferisca alla donzella le sue sofferenze d'amore. Quando il curato e il barbiere vengono a sapere da Sancho le ultime novità, riescono con un espediente a ricondurre a casa il penitente. La prima parte del romanzo termina con quattro sonetti in memoria del valoroso don Chisciotte, di Dulcinea, di Ronzinante e di Sancho, seguiti da due epitaffi conclusivi, a dimostrazione che Cervantes non pensava allora di pubblicare la seconda parte del don Chisciotte.

[modifica] Seconda parte

Nella seconda parte inizia con un "Prologo" al lettore nel quale Cervantes allude al secondo Don Chisciotte, apocrifo, pubblicato nel 1614, e alle discussioni che ne erano seguite, e promette di esaurire, con questa seconda parte, tutte le avventure dell'hidalgo fino alla morte e alla sepoltura. Don Chisciotte è curato dalla sua vecchia governante e dalla nipote ma non guarisce e un giorno, all'insaputa di tutti, insieme al suo fido Sancho riprende le vie per il mondo. Prendono subito la via per il Toboso perché don Chisciotte desidera, prima di partire per altre avventure, avere la benedizione della sua Dulcinea. Ma è molto difficile scovare questa luminosa bellezza, simbolo di tutte le perfezioni, perché il paese è tutto vicoli e casette e non si vede nemmeno un castello o una torre. Sancho, che ha ormai capito quali sono i capovolgimenti operati dalla fantasia nel cervello di don Chisciotte, consiglia il padrone di ritirarsi nel bosco per evitare guai con gli abitanti e si offre per trovare la bellissima e si reca in paese. Al ritorno dice al padrone che tra non molto vedrà avanzare la principessa vestita in gran pompa seguita da due damigelle. "...Già intanto erano uscite dalla selva ed ecco scorsero lì vicine tre campagnole. Don Chisciotte sospinse lo sguardo per tutta la strada, ma non vedendo che tre contadine, si rannuvolò tutto e domandò a Sancho se mai le avesse lasciate fuori della città" . Sancho risponde con grande stupore: "Stia zitto, signore, non dica così, ma si stropicci cotesti occhi e venga a riverire la signora dei suoi pensieri, che è già qui presso. E così dicendo si avanzò a ricevere le tre contadine; quindi smontando dal somaro, prese per la cavezza la bestia d'una delle tre; poi, piegando a terra tutte e due le ginocchia, disse:-Regina e principessa e duchessa della bellezza, la vostra altierezza e grandezza si compiaccia di ricevere in sua grazia e buon talento il cavaliere vostro schiavo...". Don Chisciotte, con gli occhi stralunati, si mette accanto a Sancho e rimane senza parlare mentre nel suo animo si era già dato una spiegazione per quello che credeva un incantesimo. Quando le tre contadine se ne vanno egli esprime il suo pensiero a Sancho: " Che ne dici Sancho? vedi quanto male mi vogliono gli incantatori? vedi fin dove arriva la loro cattiveria e l'astio che mi portano, poiché hanno voluto privarmi della gioia che avrebbe potuto darmi il veder nella sua vera forma la mia signora..."-. Il povero don Chisciotte si trova in questo stato d'animo quando si imbatte in una compagnia di comici con i quali non riesce a mettersi d'accordo e viene messo in fuga da un fitto lancio di sassi. Più avanti egli incontra il Cavaliere degli Specchi che lo sfida a duello con la condizione che chi avesse perso il duello sarebbe stato alle condizioni del vincitore; per un imprevisto don Chisciotte vince il duello. Questo cavaliere non è altro che uno studente di Salamanca, un certo Sansone Carrasco amico di don Chisciotte, che ricorre a quel trucco nella speranza di vincere il duello per ricondurlo al villaggio, ma non ci riesce. Don Chisciotte e Sancho proseguono il cammino e incontrano un carro dentro al quale vi sono due leoni in gabbia. Don Chisciotte vuole misurarsi con uno dei leoni e apre la gabbia creando grande spavento tra i guardiani. Ma i leoni annoiati non escono dalle gabbie e gli voltano le spalle. A don Chisciotte rimarrà il nome di Cavaliere dei Leoni secondo l'usanza dei cavalieri erranti che potevano cambiare il nome quando volevano. Testimone di questa ultima impresa è don Diego de Miranda, Cavaliere dal Verde Gabbano, che è felice di ospitare il suo scudiero. Mentre sono ospiti di Don Diego si celebra il matrimonio della bella Chilteria e del povero Basilio e dopo le nozze, don Chisciotte si fa calare, legato ad una fune, nella grotta di Montesinos che si trova nel mezzo della Mancia e quando ne esce racconta le cose più strane e fantastiche. I due continuano la strada e le avventure. Un giorno incontrano un duca e una duchessa che, avendo letto la prima parte delle avventure del Fantastico Nobiluomo don Chisciotte della Mancia, desiderano conoscere il cavaliere e ospitarlo, con Sancho, nel loro castello. I due accettano e il duca e la duchessa si divertono a prenderli in giro inscenando in un bosco una mascherata con maghi, demoni, donzelle ed altri personaggi. In seguito imbastiscono il dramma della contessa Trifaldi e delle sue dodici pulzelle che hanno il volto barboso per un incantesimo del mago Malabruno. Don Chisciotte dovrà affrontare il mago nel suo paese cavalcando Clavilegno, un cavallo alato che in realtà è fatto di legno ed è carico di mortaretti, cosicché quando don Chisciotte e Sancho lo cavalcano bendati, il duca dà fuoco alle polveri e i due, dopo aver fatto un gran salto in aria, cadono sull'erba. L'incantesimo è rotto. Più tardi il duca nomina Sancho governatore dell'isola di Barattaria, ma la vita è troppo complicata per il semplice scudiero che se ne ritorna dal suo padrone. I due lasciano il castello alla volta di Barcellona e lungo la strada incontrano ancora tantissime avventure finché l'ultima pone fine alla vita del cavaliere errante ed è la sfida che gli viene da Sansone Carrasco, lo studente di Salamanca, travestito da Cavaliere della Bianca Luna. Lungo la strada don Chisciotte incontra il Cavaliere della Bianca Luna che lo sfida a confessare che la sua dama è più bella di Dulcinea. Il Cavaliere dei leoni rimase allibito da tanta arroganza e accetta la sfida con il patto che chi avesse perso si sarebbe consegnato nelle mani del vincitore. Così avvenne che don Chisciotte, vinto da Carasco, che aveva usato ancora una volta un trucco, si consegna nelle sue mani e viene finalmente ricondotto a casa. Una volta al villaggio, forse per l'abbattimento di essere stato vinto o per destino, viene colto da una improvvisa febbre che lo tiene a letto per sei giorni. Malgrado la visita degli amici il cavaliere si sente molto triste e al termine di un sonno di sei ore, egli si sveglia gridando che stava per morire e ringraziando Dio per aver riacquistato il senno. Don Chisciotte vuole confessarsi e in seguito fare testamento, e dopo qualche giorno, tra i pianti degli amici e soprattutto di Sancho, egli muore. Per la sua sepoltura furono composti molti epitaffi tra i quali quello di Sansone Carrasco:

Giace qui l'hidalgo forte
che i più forti superò,
e che pure nella morte
la sua vita trionfò.
Fu del mondo, ad ogni tratto,
lo spavento e la paura;
fu per lui la gran ventura
morir savio e viver matto.

[modifica] Chisciottisio

Chisciottisio, nel romanzo Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra, è il nome che Don Chisciotte aveva intenzione di imporsi una volta passato alla vita pastorale.

Infatti Don Chisciotte era stato precedentemente sconfitto dal Cavaliere della Bianca Luna, in realtà un suo conoscente, che l'aveva costretto a tornare al suo villaggio, e così il cavaliere aveva pensato di dedicarsi alla pastorizia.

Aveva così deciso di imporsi questo nome, più adatto a un pastore, e aveva pensato di dare al suo scudiero Sancho Panza quello di Panzino. Tuttavia morirà prima di poter realizzare questo progetto.

[modifica] Significato e importanza del Don Chisciotte

Don Chisciotte in un'illustrazione di Gustave Doré.
Don Chisciotte in un'illustrazione di Gustave Doré.

Lo scopo di Cervantes è sottolineare l'inadeguatezza degli intellettuali del tempo a fronteggiare i nuovi tempi che correvano in Spagna, un'epoca caratterizzata infatti dal materialismo e dal tramonto degli ideali, e contraddistinta dal sorgere della crisi che dominerà il periodo successivo al secolo d'oro appena conclusosi.

Il primo fine del romanzo, dichiarato esplicitamente nel Prologo dallo stesso Cervantes, è quello di ridicolizzare i libri di cavalleria e di satireggiare il mondo medievale, tramite il "folle" personaggio di Don Chisciotte; in Spagna, la letteratura cavalleresca, importata dalla Francia, aveva avuto nel Cinquecento grande successo, dando luogo al fenomeno dei "lettori impazziti".

Cervantes vuole inoltre, mettere in ridicolo la letteratura cavalleresca per fini personali. Infatti, egli fu soldato, combattè nella battaglia di Lepanto e fu un eroe reale (ovvero impegnato in battaglie reali in difesa della Cristianità), ma trascorse gli ultimi anni della sua vita in povertà (leggenda vuole che Cervantes trascorse gli ultimi suoi anni di vita in carcere), non solo non premiato per il suo valore, ma addirittura dimenticato da tutti. Egli cioè vuole opporsi al comune sentire a proposito degli eroi immaginari della letteratura cavalleresca: completamente inesistenti e di fantasia, ma esaltati all'inverosimile dalla gente comune e non solo. In altre parole, Cervantes desidera riequilibrare le opinioni della gente sul valore reale dei soldati della cristianità a discapito degli eroi immaginari dei libri cavallereschi.

Inoltrandosi nella lettura, subito dopo le prime avventure, Don Chisciotte perde gradualmente la connotazione di personaggio "comico" e acquista uno spessore più complesso. Lo stesso romanzo diventa ben presto molto più che una parodia o un romanzo eroicomico. Il "folle" cavaliere ci mostra il problema di fondo dell'esistenza, cioè la delusione che l'uomo subisce di fronte alla realtà, la quale annulla l'immaginazione, la fantasia, le proprie aspettative, la realizzazione di un progetto di esistenza con cui l'uomo si identifica.

Nel Don Chisciotte ogni cosa può essere soggetta a diversi punti di vista (ad esempio i mulini a vento diventano dei giganti), il che fa perdere chiaramente l'esatta concezione della realtà. Nell'opera di Cervantes è presente una dimensione tragica che dipende dall'inesistente corrispondenza fra cose e parole: le vicende cavalleresche ormai sono parole vuote, ma Don Chisciotte a causa della sua locura non se ne accorge e cerca di ristabilire i rapporti fra realtà e libri. La pazzia è il modo di vedere il mondo con occhi diversi, non offuscati dalle idee e dai condizionamenti sociali.

L'accumularsi di situazioni in cui lo stesso oggetto dà origine a interpretazioni dei due personaggi diametralmente opposte senza che nessuno dei due prevalga sull'altro, che trasformano la realtà a seconda della prospettiva cui la si guarda, incutono nel lettore quella sensazione di inquietudine, di incertezza irrisolvibile, tipica del Manierismo che viene risolta nella seconda parte grazie all'apertura di una nuova dimensione, squisitamente barocca, della narrazione, con la storia di nuovi eventi e la rifondazione dei vecchi su nuove basi in cui l'interpretazione e la narrazione vengono ad intrecciarsi in una rete di corrispondenze a specchio tra azione e riflessione, passato e presente, illusione e realtà, che è dinamica. All'interno di questa rete ognuno è costretto a reinterpretare la realtà come meglio crede poiché il narratore onnisciente scompare e il significato è affidato a due manoscritti diversi, spesso in contrapposizione fra di loro, con cui l'autore si prende gioco disseminando qua e là incongruenze e lacune per mettere in dubbio la verità dei due manoscritti.

Il Don Chisciotte è stato considerato il progenitore del romanzo moderno da importanti critici, tra cui György Lukács. Gli si contrappone, specie in ambito anglosassone, l'opera dello scrittore inglese del primo Settecento Daniel Defoe.

[modifica] Don Chisciotte in musica

Il personaggio di Don Chisciotte ha ispirato anche Giovanni Paisiello che scrisse un'opera buffa in tre atti su libretto di Giovanni Battista Lorenzi e che venne rappresentata per la prima volta al Teatro dei Fiorentini di Napoli nel 1769. Meno nota è poi l'opera di George Phillip Teleman intitolata "Don Quichotte an der Hochzeit des Camacho".

Famoso anche il poema sinfonico "Don Quixote" di Richard Strauss. Grazie ad una musica molto intuitiva, nella quale Strauss dipinge i personaggi e le molteplici situazioni, ascoltando questo brano straordinario, della durata di circa 25 minuti, possiamo ripercorrere l'epopea di Don Chischiotte fino alla tragicomica meditazione notturna che avviene prima della morte. Meno eseguito, è il "Don Quixote, Concerto per Corno ed orchestra n. 2" dello stesso autore.

Fantastica e di grande respiro è inoltre l'opera Don Quichotte di Jules Massenet su libretto di Henri Cain definita Commedia eroica in 5 atti. Di un solo atto è invece l'opera da camera di Manuel de Falla che si ispira al ben noto episodio "El retablo de Maese pedro". Da ricordare sono anche le tre liriche su testo di Paul de Moran su musica di Maurice Ravel e le "Tres chançons" di Jacques Ibert scritte per il celebre basso russo Feödor Chaliapin inserite nel cult-movie del 1933 di George Wilhelm Pabst.

Anche nella musica leggera numerosi cantautori e gruppi si sono ispirati, al personaggio di Don Chisciotte, evidenziandone talvolta l'aspetto della follia, altre dell'idealismo che combatte battaglie considerate dagli altri inutili:

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

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