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Dirigente - Wikipedia

Dirigente

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In senso generale un dirigente è una persona che fa parte del management di un'organizzazione; il termine è, quindi, sinonimo di manager. In senso più specifico il dirigente è il lavoratore preposto alla direzione di un'azienda, privata o pubblica, oppure di una parte di essa, che esplica le sue funzioni con autonomia decisionale, al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi aziendali. Il dirigente così inteso, pertanto, svolge tipicamente funzioni manageriali, anche se non tutti coloro che svolgono tali funzioni sono dirigenti.

Indice

[modifica] Il dirigente nel diritto del lavoro italiano

Il Codice Civile italiano prevede all'art 2095, tra le categorie di lavoratori subordinati, quella dei dirigenti, demandando alla legge e alle norme corporative la determinazione dei requisiti di appartenenza alla stessa. Poiché nessuna legge vigente determina tali requisiti e le norme corporative non esistono più dopo la soppressione dell'ordinamento corporativo fascista, gli stessi vanno ricercati nella contrattazione collettiva.

Il ruolo del dirigente si caratterizza per:

  • i poteri di disposizione, coordinamento e controllo di cui è investito, che si estendono all'intera azienda o ad una parte di essa;
  • l'autonomia di cui gode nei confronti del datore di lavoro, sicché quest'ultimo non opera una vigilanza immediata nei suoi confronti;
  • l'elevata discrezionalità con la quale può assumere le sue decisioni.

Nella pratica non è sempre facile stabilire se un lavoratore rientra nella categoria dei dirigenti, soprattutto perché il confine tra la stessa e la categoria immediatamente inferiore dei quadri è piuttosto sfumato. D'altra parte talvolta la contrattazione collettiva fa rientrare nella dirigenza ruoli lavorativi privi di effettivo contenuto manageriale, come ad esempio alcune figure di professionals.

L'appartenenza o meno alla dirigenza ha un rilevo non indifferente per il trattamento giuridico del lavoratore giacché non mancano nel diritto del lavoro italiano norme riferite unicamente ai dirigenti. Tali norme delineano un trattamento in negativo rispetto a quello degli altri lavoratori, nel senso che il dirigente è sottratto all'ambito di applicazione di una serie di norme poste a garanzia del lavoratore. Tra le altre si possono ricordare le norme in materia di orario di lavoro, quelle in materia di contratti a tempo determinato e, soprattutto, quelle sul licenziamento. Al dirigente, infatti, non si applicano le norme limitative del licenziamento contenute nella legge 604/1966 e nella legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori) per cui è ancora possibile nei suoi confronti il cosiddetto recesso ad nutum, non sorretto da giusta causa o da giustificato motivo, con l'unico vincolo, posto dalla legge 108/1990, della forma scritta dell'atto di recesso, pena la sua inefficacia.

[modifica] Il dirigente nella pubblica amministrazione italiana

[modifica] Evoluzione storica

In Italia la figura del dirigente fu introdotta nelle amministrazioni statali con il D.P.R. 748/1972, che creò la nuova carriera dirigenziale, scindendola da quella direttiva. In questo modo, per la prima volta nella storia amministrativa italiana, venne introdotta nei ministeri una figura dotata di attribuzioni proprie, direttamente conferite dalla legge (quindi un organo amministrativo in senso proprio), senza necessità di delega del ministro, che superava la logica organizzativa fortemente accentrata, di ascendenza cavourriana, sulla quale si era fino ad allora basata l'organizzazione ministeriale. La dirigenza fu articolata in tre qualifiche, in ordine ascendente: primi dirigenti, dirigenti superiori e dirigenti generali. In seguito la dirigenza fu estesa anche alle altre amministrazioni pubbliche, pur con una disciplina non sempre corrispondente a quella statale (ad esempio, negli enti locali i dirigenti erano suddivisi in due sole qualifiche) e con un ruolo meno incisivo di quello attribuito a quest'ultima. Le menzionate riforme introdussero anche un nuovo tipo di responsabilità di risultato, la responsabilità dirigenziale, che gravava solo sui dirigenti e che veniva a differenziarli nettamente dal resto del pubblico impiego.

Il fine ispiratore di dette riforme - separare il momento politico dell'azione amministrativa, affidato agli organi di governo, da quello tecnico-gestionale, affidato ai dirigenti - non fu tuttavia raggiunto, sia perché gli organi politici continuarono a mantenere incisivi poteri d'ingerenza sull'operato dei dirigenti, sia perché questi ultimi si mostrarono piuttosto restii ad esercitare i nuovi poteri, assumendosi le conseguenti responsabilità.

[modifica] Disciplina attuale

Il sostanziale fallimento delle riforme degli anni '70 spiega perché la nuova stagione di riforme, che ha preso il via con il D.Lgs. 29/1993, ha posto in primo piano il potenziamento del ruolo dirigenziale.

[modifica] Separazione tra politica ed amministrazione

Uno dei criteri ispiratori della riforma è il principio di separazione tra politica e amministrazione, enunciato nell'art. 4 del D.Lgs. 165/2001, e che, nelle intenzioni, stabilisce una separazione netta tra politica e gestione.

Secondo tale principio:

  • "Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti";
  • "Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati".

[modifica] Potere di organizzazione delle risorse umane

Il più significativo dei poteri di organizzazione è quello relativo alle risorse umane, attribuito ai dirigenti dall'art. 5 del D.Lgs. 165/2001, secondo il quale "le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro". Nell'esercizio di questo potere, il dirigente è vincolato dalle legge e dagli atti organizzativi. Questi ultimi sono atti pubblici (regolamenti, atti amministrativi) adottati dagli organi di governo ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 165/2001, secondo il quale "le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive".

[modifica] Qualifica e incarichi dirigenziali

La qualifica dirigenziale è stata scissa dall'incarico dirigenziale. La prima è ora unica (sebbene articolata, nelle amministrazioni dello Stato, in due fasce) e viene conferita in modo stabile con il contratto individuale di lavoro, a seguito di una procedura concorsuale. L'incarico dirigenziale, invece, riguarda lo specifico ufficio al quale il dirigente è preposto ed è conferito a tempo determinato, con un separato contratto, preceduto da un provvedimento amministrativo; il conferimento è deciso dall'organo politico o dal dirigente di livello superiore con ampia discrezionalità. Dunque, la qualifica è solo più un presupposto per il conferimento di incarichi dirigenziali ed, anzi, le norme più recenti hanno consentito, seppur entro ristretti limiti numerici, il conferimento di tali incarichi anche a dipendenti della pubblica amministrazione o ad estranei privi di qualifica dirigenziale. D'altra parte, i rapporti di sovraordinazione/subordinazione tra dirigenti non sono più legati, come in passato, alla qualifica posseduta ma all'incarico di volta in volta ricoperto; inoltre, nella retribuzione del dirigente la parte correlata alla qualifica, e perciò uguale per tutti (detta trattamento fondamentale), ha oggi un peso molto minore della parte correlata all'incarico ricoperto (detta retribuzione di posizione, alla quale si aggiunge la retribuzione di risultato correlata al grado di conseguimento degli obbiettivi assegnati).

Bisogna infine aggiungere che non tutti gli incarichi dirigenziali comportano la direzione di un ufficio, infatti secondo l'art. 19 del D.Lgs. 165/2001 "I dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall'ordinamento" (sono i cosiddetti dirigenti di staff).

[modifica] Responsabilità dirigenziale

Parallelamente ai più incisivi poteri riconosciuti ai dirigenti è stata rafforzata la responsabilità dirigenziale, ora disciplinata dall'art. 21 del D.Lgs. 165/2001, secondo il quale "il mancato raggiungimento degli obiettivi, ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente ... comportano ... l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può, inoltre, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione ... ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo".

[modifica] Contrattualizzazione del rapporto di lavoro

Il rapporto di lavoro dei dirigenti con l'amministrazione di appartenenza, così come quello della generalità dei dipendenti pubblici, è ora un rapporto di diritto privato, instaurato in virtù di un contratto (cosiddetta contrattualizzazione o, meno propriamente, privatizzazione del rapporto di lavoro); come tale ricade nella disciplina generale civilistica del lavoro dipendente per gli aspetti non disciplinati da norme speciali (di fatto piuttosto limitati). È stata così superata la precedente impostazione che lo delineava come rapporto di diritto pubblico, instaurato e gestito mediante atti amministrativi. È rimasto di diritto pubblico il rapporto di lavoro di alcune categorie di dipendenti pubblici: gli appartenenti alla carriera prefettizia e diplomatica, il personale delle forze di polizia ecc. (in un primo tempo era stato escluso dalla contrattualizzazione anche il rapporto di lavoro dei dirigenti generali).

In conseguenza della contrattualizzazione, anche il rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici è ora oggetto di disciplina da parte della contrattazione collettiva. Ai fini della contrattazione la dirigenza è divisa in otto aree, cui corrispondono i comparti del pubblico impiego: I (Aziende, Ministeri), II (Regioni ed Autonomie locali), III (Sanità - amministrativa, sanitaria, tecnica e professionale), IV (Sanità - medica e veterinaria), V (Scuola), VI (Agenzie fiscali, Enti pubblici non economici), VII (Ricerca, Università ), VIII (Presidenza del Consiglio dei Ministri) alle quali si aggiunge l'area che raggruppa gli enti cd. ex art. 70 D.Lgs. 165/2001 (CNEL, ENEA, CONI, ENAC, EUR etc.)

[modifica] Risultati delle riforme

Con le riforme degli anni '90, si è realizzata, almeno sulla carta, una netta separazione di funzioni tra organi politici e dirigenti, tanto che, secondo molti giusamministrativisti, l'esercizio di funzioni gestionali da parte dei primi configurerebbe un'ipotesi di incompetenza assoluta, alla quale consegue la nullità dell'atto. Inoltre è venuto meno il tradizionale rapporto gerarchico che legava il vertice politico dell'amministrazione (ministro, sindaco ecc.) ai dirigenti, sostituito da un più tenue rapporto di direzione politica, in virtù del quale l'organo di governo può emanare direttive, che indicano al dirigente gli obiettivi da perseguire ed eventualmente i criteri ai quali attenersi, ma non può più emanare ordini, che invece vincolano in modo puntuale il comportamento del destinatario.

Va peraltro osservato che l'evoluzione verso la separazione tra politica e gestione è stata, nella pratica, grandemente ostacolata da una certa cultura, tuttora vigente nella nostra pubblica amministrazione, che vede, da una parte, i politici assai restii a privarsi dei loro poteri e, dall'altra, i dirigenti non sempre propensi ad assumersi nuove responsabilità e a rivendicare il loro ruolo di autonomia. Inoltre l'ampia discrezionalità ora attribuita agli organi politici in merito all'attribuzione e alla revoca degli incarichi dirigenziali nonché, in certi casi, allo stesso reclutamento dei dirigenti in deroga al principio costituzionale del pubblico concorso, ha finito per introdurre nel sistema italiano elementi di spoils system e accentuare il legame fiduciario tra politici e dirigenti, a scapito dell'imparzialità e professionalità di questi ultimi.

[modifica] Funzioni

[modifica] Amministrazioni statali

La qualifica dirigenziale è unica, ma articolata, nelle amministrazioni dello Stato, in due fasce: sono collocati nella prima fascia i dirigenti cui è attribuita la responsabilità di direzione di un ufficio dirigenziale generale; sono collocati nella seconda fascia i dirigenti cui è attribuita la responsabilità di direzione di un ufficio dirigenziale non generale.

Compiti e funzioni dei dirigenti delle amministrazioni statali sono elencati negli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 165/2001.

[modifica] Dirigenti generali

L'art. 16 del D.Lgs. 165/2001 si occupa dei dirigenti di uffici dirigenziali generali (direzioni generali e uffici equiparati) stabilendo che "I dirigenti di uffici dirigenziali generali, comunque denominati, nell'ambito di quanto stabilito dall'articolo 4 esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:

  • a) formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro nelle materie di sua competenza;
  • b) curano l'attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal Ministro e attribuiscono ai dirigenti gli incarichi e la responsabilità di specifici progetti e gestioni; definiscono gli obiettivi che i dirigenti devono perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse umane, finanziarie e materiali;
  • c) adottano gli atti relativi all'organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale;
  • d) adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti;
  • e) dirigono, coordinano e controllano l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia, e propongono l'adozione, nei confronti dei dirigenti, delle misure previste dall'articolo 21;
  • f) promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere, fermo restando quanto disposto dall'articolo 12, comma 1, della legge 3 aprile 1979, n. 103;
  • g) richiedono direttamente pareri agli organi consultivi dell'amministrazione e rispondono *ai rilievi degli organi di controllo sugli atti di competenza;
  • h) svolgono le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro;
  • i) decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti;
  • l) curano i rapporti con gli uffici dell'Unione europea e degli organismi internazionali nelle materie di competenza secondo le specifiche direttive dell'organo di direzione politica, sempreché tali rapporti non siano espressamente affidati ad apposito ufficio o organo."

Il comma 5 del medesimo articolo aggiunge che: "Gli ordinamenti delle amministrazioni pubbliche al cui vertice è preposto un segretario generale, capo dipartimento o altro dirigente comunque denominato, con funzione di coordinamento di uffici dirigenziali di livello generale, ne definiscono i compiti ed i poteri."

[modifica] Dirigenti di seconda fascia

L'art. 17 del D.Lgs. 165/2001 si occupa, invece, dei cosiddetti dirigenti di seconda fascia, stabilendo che essi "esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:

  • a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;
  • b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;
  • c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;
  • d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia;
  • e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici."

[modifica] Dirigenti scolastici
Per approfondire, vedi la voce Dirigente scolastico.

Una disciplina specifica, relativa ai dirigenti scolastici, è poi contenuta nell'art. 25 del D.Lgs. 165/2001, secondo il quale: "Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il dirigente scolastico, organizza l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali."

[modifica] Amministrazioni non statali

Quanto alle amministrazioni non statali, l'art. 27 del D.Lgs 165/2001 stabilisce che: "Le regioni a statuto ordinario, nell'esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni, nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano ai princìpi dell'articolo 4 e del presente capo [contenente i citati art. 16 e 17] i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità". Va peraltro notato che la distinzione tra dirigenti di uffici dirigenziali generali e altri dirigenti non è presente in tutte le amministrazioni non statali.

Un'elencazione delle funzioni dirigenziali è altresì contenuta, per i comuni, le province e gli enti locali assimilati, nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) il quale all'art. 107, comma 3, stabilisce che: "Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi [ossia organi di governo dell'ente], tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente:

  • a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso;
  • b) la responsabilità delle procedure d'appalto e di concorso;
  • c) la stipulazione dei contratti;
  • d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l'assunzione di impegni di spesa;
  • e) gli atti di amministrazione e gestione del personale;
  • f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie;
  • g) tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale;
  • h) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza;
  • i) gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco."

L'art. 109 del D.Lgs. 267/2000 precisa poi che: "Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui all'articolo 107 ... possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione."

[modifica] Forma degli atti

È invalso l'uso di denominare determinazione (spesso nella prassi abbreviato in "determina") il provvedimento adottato dal dirigente nella sua qualità di organo dell'amministrazione, sebbene tale uso non sia omogeneo tra le varie amministrazioni (in alcune - tra le quali le amministrazioni statali - si usa la denominazione decreto dirigenziale; in altre si usa il termine generico "provvedimento").

[modifica] Delega di funzioni dirigenziali e vicedirigenza

L'art. 17, comma 1 bis, del D.Lgs. 165/2001 (inserito dalla L. 145/2002) prescrive che i dirigenti non generali, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d), ed e) del comma 1 dell’art. 17 (escluse, quindi, quelle ad essi delegate dai dirigenti generali) a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati. Il tal caso non trova applicazione l’art. 2103 del codice civile; il delegato, quindi, non potrà rivendicare alcun diritto ad un superiore inquadramento, in conseguenza dell’esercizio delle funzioni delegate, anche prolungato nel tempo, come invece previsto per i lavoratori privati.

Con questa disposizione si vuole fare fronte a quella "saturazione gestionale" che rischia in alcuni casi di soffocare la dirigenza, facilitando la trasformazione del dirigente pubblico in un moderno soggetto manageriale, ossia un programmatore, gestore di risorse e processi e controllore dei relativi flussi, più che un diretto produttore di atti.

La stessa ratio è sottesa all'art. 17 bis del D.Lgs. 165/2001 (parimenti introdotto dalla L. 145/2002), che stabilisce: "La contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplina l’istituzione di un’apposita area della vice dirigenza nella quale è ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento. In sede di prima applicazione la disposizione di cui al presente comma si estende al personale non laureato che, in possesso degli altri requisiti richiesti, sia risultato vincitore di procedure concorsuali per l’accesso alla ex carriera direttiva anche speciale". In questo modo si vuole evidentemente a creare nell'amministrazione pubblica una figura professionale analoga a quella dei quadri del settore privato.

La norma, non ancora attuata, ha sollevato dubbi sulla legittimità della soluzione adottata dal legislatore. L’art. 17 bis, infatti, invece di introdurre direttamente la categoria della vice dirigenza, ne "delega" il compito alla contrattazione collettiva, che però non è libera di individuare chi deve confluire nell’area, dovendosi conformare alla soluzione dettata dal legislatore, che ha fissato puntualmente l'ambito soggettivo di identificazione degli appartenenti alla nuova area contrattuale. Verrebbe così leso il principio che attribuisce alla contrattazione collettiva una competenza esclusiva in tema di inquadramento.

L'art. 17 bis norma stabilisce che "I dirigenti possono delegare ai vice dirigenti parte delle competenze di cui all’art. 17". Mentre il comma 1 bis dell'art. 17, pur sancendo un ambito di delega più limitato, è immediatamente applicabile, la delega di compiti alla vice dirigenza è subordinata ad una previsione collettiva che introduca la categoria; questa, d'altra parte, ha carattere di stabilità e permanenza, laddove la delega prevista dal comma 1 bis dell'art. 17 ha una durata limitata e transitoria. Ancora non appare chiaro quale siano i poteri delegabili ai vice dirigenti, ed in particolare, se i dirigenti di seconda fascia possano delegare i compiti ad essi già delegati da parte dei dirigenti generali: la sub-delega, per principio generale non è ammessa in assenza di una legge che non la consenta espressamente. Né tanto meno è chiaro a quali vice-dirigenti possano essere delegati poteri gestori e soprattutto in applicazione di quali criteri.

[modifica] Accesso alla qualifica dirigenziale

[modifica] Reclutamento per concorso

L’accesso alla qualifica di dirigente di ruolo nelle amministrazioni statali è disciplinato dall’ art. 28 del D.Lgs. 165/2001 ed avviene normalmente per concorso per esami bandito dalle singole amministrazioni oppure per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.

Al concorso per esami possono essere ammessi:

  • i dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno 5 anni di servizio in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea (per i dipendenti delle amministrazioni statali reclutati a seguito di corso-concorso, il periodo di servizio è ridotto a quattro anni);
  • i soggetti in possesso della qualifica di dirigente in enti e strutture pubbliche, muniti del diploma di laurea, che abbiano svolto per almeno due anni funzioni dirigenziali;
  • coloro che hanno ricoperto incarichi dirigenziali o equiparati in amministrazioni pubbliche per un periodo non inferiore a cinque anni, purché muniti di diploma di laurea;
  • i cittadini italiani, forniti di idoneo titolo di studio universitario, che hanno maturato, con servizio continuativo per almeno quattro anni presso enti od organismi internazionali, esperienze lavorative in posizioni funzionali apicali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea.

Al corso-concorso possono essere ammessi, a seguito di apposita selezione:

  • soggetti muniti di laurea nonché di uno dei seguenti titoli: laurea specialistica, diploma di specializzazione, dottorato di ricerca, o altro titolo post-universitario rilasciato da istituti universitari italiani o stranieri, ovvero da primarie istituzioni formative pubbliche o private (riconosciute con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri);
  • dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea;
  • dipendenti di strutture private, collocati in posizioni professionali equivalenti a quelle che consentono ai dipendenti pubblici l'accesso al concorso per esami, se sono muniti del diploma di laurea e hanno maturato almeno cinque anni di esperienza lavorativa in tali posizioni professionali all'interno delle strutture stesse.

Gli ammessi al corso-concorso seguono un corso della durata di dodici mesi, seguito, previo superamento di esame, da un semestre di applicazione presso amministrazioni pubbliche o private. Al termine, i candidati sono sottoposti ad un esame-concorso finale. Ai partecipanti al corso e al periodo di applicazione è corrisposta una borsa di studio.

Invece, i vincitori dei concorso per esami, anteriormente al conferimento del primo incarico dirigenziale, frequentano un ciclo di attività formative organizzato dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (che può anche comprendere l'applicazione presso amministrazioni italiane e straniere, enti o organismi internazionali, istituti o aziende pubbliche o private).

Uno speciale corso concorso è altresì previsto per il reclutamento dei dirigenti scolastici. Secondo l'art. 29 del D.Lgs. 165/2001 "Al corso concorso è ammesso il personale docente ed educativo delle istituzioni statali che abbia maturato, dopo la nomina in ruolo, un servizio effettivamente prestato di almeno sette anni con possesso di laurea, nei rispettivi settori formativi".

L'accesso alla qualifica dirigenziale nelle amministrazioni non statali avviene con modalità analoghe alle amministrazioni statali, anche se raramente è previsto il corso-concorso.

[modifica] Assunzione diretta

Un'ulteriore fattispecie di reclutamento, non subordinato all'esperimento del concorso per esami oppure al corso-concorso, è prevista dall'art. 19 del D.lgs. 165/2001. In base a tale disposizione ciascuna amministrazione, entro determinati limiti, può conferire incarichi dirigenziali a soggetti esterni, individuati tra:

  • chi non appartiene ai ruoli dell’amministrazione chiamante ma è già dirigente presso altra pubblica amministrazione "contrattualizzata", ovvero di organi costituzionali, previo collocamento fuori ruolo, comando o analogo provvedimento;
  • chi, anche non dirigente, sia in possesso di particolare e comprovata qualificazione professionale e:
    • abbia svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che
    • abbia conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale o scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post universitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che
    • provenga da settori di ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e dei procuratori dello Stato.

Tali incarichi sono a tempo determinato e non possono comunque eccedere il termine di cinque anni.

Nel caso di dirigenti provenienti da altre amministrazioni il limite è del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e del 5% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia. Invece, nel caso di dirigenti provenienti dall'esterno, il limite è del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell’8% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia.

Ai dirigenti incaricati può essere riconosciuta, oltre al normale trattamento economico una indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali.

Il Consiglio di Stato nell'Adunanza della Commissione speciale pubblico impiego del 27 febbraio 2003 ha fornito tre importanti indicazioni per la corretta applicazione della norma, stabilendo che:

  • gli enti pubblici diversi dallo Stato possano conferire incarichi a soggetti esterni ai sensi del comma 6 dell’art. 19 solo a seguito dell’adozione di appositi regolamenti di organizzazione che ai sensi dell’art. 27 del D.Lgs. 165/2001 recepiscano i contenuti delle norme dettate per la dirigenza statale;
  • gli incarichi dirigenziali ai sensi del comma 6, dell’art. 19, possono essere conferiti solo a soggetti esterni all’amministrazione che intende conferirli.
  • le percentuali stabilite dal comma 6 dell’art. 19 sono inderogabili.

L'individuazione dei soggetti idonei a ricoprire l’incarico è del tutto discrezionale ed è subordinata unicamente all'impossibilità di reperire le speciali professionalità nell'ambito della dirigenza di ruolo: non occorre operare una comparazione valutativa (concorso) in capo a più soggetti astrattamente idonei a ricoprire l’incarico. Si ritiene sufficiente la verifica della sussistenza dei requisiti indicati dalla legge in capo al soggetto cui si intende conferire l’incarico. Tale eccessiva discrezionalità ha dato quindi luogo a frequenti abusi.

[modifica] La mobilità dirigenziale tra il settore pubblico e quello privato

La L. 145/2002 (agli artt. 7, 8, 9) consente, secondo modalità differenziate, l’utilizzo di dirigenti pubblici presso enti e organismi pubblici e privati diversi dall'amministrazione di appartenenza.

I dirigenti delle pubbliche amministrazioni (nonché gli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, anche i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e i procuratori dello Stato) possono essere collocati in aspettativa senza assegni, per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale. (comma 1, art 23 bis D.Lgs. 165)

Vengono più precisamente individuate due ipotesi di "mobilità":

  • il collocamento in aspettativa, a domanda dell'interessato, per lo svolgimento di attività presso soggetti privati o pubblici;
  • l' assegnazione temporanea di personale presso imprese private, disposta direttamente dall'amministrazione, sempre con il consenso dell’interessato.

La prima dà al dipendente la possibilità di compiere una diversa esperienza lavorativa presso altra amministrazione o soggetti privati.

La seconda, invece, risponde prevalentemente ad un interesse dell'amministrazione, fatto proprio nei "singoli progetti di interesse specifico" che giustificano l’assegnazione.

[modifica] Voci correlate

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