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Diego Vitrioli - Wikipedia

Diego Vitrioli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

« É patria mia la Brezza; mi allevò Calliope col miele delle Pieridi. »
(Diego Vitrioli)
« [...] e vedendo uscir dalla sua grotta di conchiglie iridescenti la fata Morgana e addensare con la spola arguta del vento sull’ordito della bonaccia la sua trama variopinta, e distendere la meravigliosa tela in cui ondeggiano le città e si moltiplicano le cose, ripeterà il tuo nome, come di mago non impari e non diverso, o Diego Vitrioli. »

Diego Vitrioli (Reggio Calabria20 maggio 1818 – Reggio Calabria20 maggio 1898) è stato un poeta e latinista italiano.

Indice

[modifica] Biografia

Nato a Reggio, studiò presso il Real Collegio (Oggi Liceo Classico "Tommaso Campanella") della sua città e fu allievo di Antonino Rognetta e di Gaetano Paturzo, che gli insegnarono l'arte dell'umorismo e dell'arguzia.

Paragonabile al Pascoli per le sue attitudini umanistiche, molto presto Vitrioli si fece notare per le sue doti classificandosi tra i primi posti nei concorsi.

All'età di 25 anni si rivelò infatti al mondo con lo "Xiphias", poemetto che rievoca le emozioni della pesca del Pescespada nello Stretto tra Scilla e Cariddi, con il quale vinse il Concorso di Poesia Latina di Amsterdam. Tale opera consentì al poeta di ottenere la medaglia d’oro e il riconoscimento del suo capolavoro tra le opere più eleganti e originali della poesia umanistica italiana.

Successivamente fu insegnante di latino e greco nel Real collegio di cui era stato allievo, e poi direttore della Civica Biblioteca (oggi Biblioteca Pietro De Nava), ciò gli consentì di concentrarsi sugli studi che aveva cominciato a coltivare con passione.

Nel 1855 sposò una nobildonna, con cui pare non andasse molto d’accordo, e da cui dopo due anni ebbe un figlio di nome Tommaso. La cosa però non mutò lo strano rapporto tra i coniugi e la morte del figlioletto di soli sette anni fece infatti separare i due coniugi, anche se il poeta continuerà ad omaggiare la moglie della prima copia di ogni sua pubblicazione.

Nel 1860 in seguito all'ingesso dei garibaldini a Reggio, Vitrioli venne esonerato dall'incarico in biblioteca perché fu ritenuto "illiberale" contestualmente ad un periodo in cui non era consentito conciliare l'essere cattolici e patrioti contemporaneamente, perciò decise di ritirarsi silenzioso in casa per scrivere.

In quegli anni dimostrò benevolenza verso il Pontefice Pio IX e strinse rapporti di studio con Papa Leone XII, che lo chiamava "principe dei letterati", e che offrì di istituire per lui una cattedra in Vaticano. I due infatti uniti da una profonda e reciproca ammirazione ebbero una fitta corrispondenza epistorale.

Nel maggio del 1896 per iniziativa del Cardinale Gennaro Portanova arcivescovo di Reggio, fu offerto al Papa un sontuoso pescespada accompagnato da un epigramma del Vitrioli che, nella traduzione italiana, dice:

« Giacché una volta Cristo a te diede le mistiche reti riceviti ora, o sommo Pontefice, un pescespada. Esso preso sotto i gorghi di Scilla con celebre barchetta, ben volentieri viene ai tuoi piedi. Avrebbe voluto venire in una sua compagnia una torma di pesci, quanto ne nutrono le acque del turrito Faro, ma il nostro pescespada quale abitante del siculo stretto si dia solo esso piuttosto in pasto al Pontefice. Sia questa la gloria più grande di questo pesce vagante per i flutti del mare, sia questa la somma gloria dell’Uomo armato di tridente. Ordunque addio conchiglie e rombi delle acque del Faro, il pescespada saporito sia dato in pasto al Pontefice. »

Vitrioli ebbe illustri ospiti quali Elido Lombardi, Giuseppe Regardi, Felice Biscazza, il De Speches, il Kerbacher, il Momsen; essi narrano come il poeta gioisse nella "sala dello Xifia" nel decantare la poesia sulla pesca e nel rivelare i pregi del geniale affresco del Crestadoro; mentre si dice che vagasse misticamente nella "sala di Diana" per i vasti orizzonti della mitologia; e ancora si dice che nella sala del faro il poeta fosse il più delle volte incantato ai misteri indagati del mare dello Stretto.

Poi si chiuse definitivamente nella solitudine. Passeggiando sul corso Garibaldi era possibile incontrarlo dalle 9.00 alle 12.00 sulla soglia di casa con il proprio cappello a cilindro, intento a scorrere la copiosa corrispondenza o a sfogliare qualche volume di fresco arrivato.

Vitrioli morì nel 1898, e volle sotto il suo ritratto questo epigramma:

« É patria mia la Brezza; mi allevò Calliope col miele delle Pieridi. »

[modifica] Critica: personalità e fraintendimenti

Probabilmente vittima degli avvenimenti, Vitrioli fu ingiustamente definito anti-italiano, ebbe invece sempre alto e solenne amor di Patria:

« Itali, Italia bella ivocata, altrice di spiriti magni, seggio della vera religione; soggiorno da celesti alle arti leggiadre destinato; giardino di tutte le amenità, che la natura creasse mai, perché tu di regal gonna vestita invidi alle straniere nazioni, do ogni pregio ignude? »

Domenico Carbone Grio a tale proposito scrisse:

« [...] e pensare che il Vitrioli, così mite d’animo, così ignaro della politica moderna, incosciente del mondo del quale visse, incapace di concepire le cose piccole, i piccoli risentimenti, passava per essere stato un reazionario, e fu tratto nei prodomi della rivoluzione come un nemico della indipendenza e della libertà! Ebbene, questo italota dei tempi antichi, per chi sa leggere i suoi versi, rivela istinti di patriota orgoglioso, che impreca agli stranieri oppressori o minacciosi, come avrebbe fatto un oplita dalla falange di Leonida. A me pare che non si possa augurare bene alla patria in lingua moderna meglio di lui, scrisse in lingua antidissile. »

Lo si descrisse stranamente anche contro la città di Reggio per l’epigramma:

« Una città della penisola urbe della discordia e dell’invidia nemica ai buoni ed ai cattivi amica, ingrato albergo agli uomini ed alle fiere! »

Si disse che tanto odio fu determinato dai torti subiti dal fratello seviziato per riscatto, e dalle persecuzioni di cui fu vittima il padre, che ebbe salva la vita per miracolo dopo essere stato aggredito e pugnalato da uno sconosciuto.

Dopo la cacciata dei Borboni, Tommaso Vitrioli, che pur non aveva negato il patrocinio di avvocato di grande risorse agli indiziati delle cause politiche del 1847 e 1848, fu ingiustamente esiliato. Molti dicono che tali circostanze, se pur gravi, non avrebbero potuto determinare nel Vitrioli un così strano atteggiamento verso la sua città, che in verità egli amò intensamente e non abbandonò mai, tranne che per una visita a Napoli con il padre per il Congresso degli Scienziati, dove lesse una dotta monografia. In quella circostanza visitò Pompei.

Diego Vitrioli amò intensamente la sua città, anche se spiritualmente le visse sempre lontano e mai volle confondersi col popolo, con il quale non si intendeva. Eruditissimo infatti non riusciva a trovare in alcuno la conversazione, che soddisfacesse completamente il suo spirito. Inospitale alla maldicenza e alla malevolenza, egli era solito avere un profondo costante sorriso.

Personalità irrequieta, si muoveva nervosamente stropicciandosi le mani senza tregua, gesticolando con vivacità scattando d'un tratto. Uomo talvolta incomprensibile non fu felice nella vita familiare.

Amò con ammirazione il padre ed ebbe grande devozione per la madre Santa Nava, figliuola del giureconsulto Demetrio Nava, per il quale dettò una ammirata epigrafe; sotto il suo ritratto scrisse, che fu "moglie esemplare, virtuosa nelle venuste forme".

Usciva dalla sua casa, che era il suo tempio, esclusivamente in carrozza chiusa, quasi tutti i pomeriggi per andare al mare o verso la collina, in luoghi solitari dove scendeva a terra solo se non vi fosse stata anima viva e come un innamorato volgeva tutta l’ammirazione al panorama.

Una delle poche volte che fu visto in giro con meraviglia di tutti, fu nel dicembre 1876, quando maestoso e solenne col petto fregiato dalle ricche decorazioni, accompagnò i resti mortali di Vincenzo Bellini che attraversarono la città per arrivare a Catania.

I suoi concittadini per lui ebbero deferenza ed ammirazione. Soprattutto per l'opera che gli conquistò il titolo di "Virgilio redivivo" e lo impose all’ammirazione dei dotti, lo Xiphias.

Parlarono di lui Paolina Leopardi e Giovanni Pascoli. Quest'ultimo infatti scrisse "Un poeta di lingua morta" della raccolta "Pensieri e discorsi" del 1914, dove il Pascoli ricorda con profonda ammirazione il latinista reggino.

Molti critici quali il Carducci ed il Cantù l'anno definito un "artista letterato".

Diego Vitrioli, poeta e letterato, grazie alle sue opere contribuì a far comprendere la realtà reggina ai grandi di quel tempo, narrandone l'ospitalità e il suo senso di libertà che egli spesso ispirava.

[modifica] Opere

  • Diego Vitrioli, Xiphyas, carmen Didaci Vitriolii, Amstelodami: Mullerum, 1845.
  • ...

[modifica] Curiosità

  • Vitrioli fu talmente entusiasta del riconoscimento ottenuto ad Amsterdam, da festeggiare ogni anniversario dell'avvenimento: faceva imbandire ogni anno la tavola con abbondante quantità di pescespada.
  • A Diego Vitrioli sono intitolate una scuola e una via della città di Reggio Calabria, inoltre a lui è dedicato un monumento, ricavato da una colonna originale d'epoca romana, che risiede sul Lungomare Falcomatà.
  • Il poeta nacque e morì nella stessa data del 20 maggio, rispettivamente degli anni 1818 e 1898.
  • Durante gli anni di attività in biblioteca per un disguido il poeta fu arrestato dai borbonici nel 1855, condotto in pantofole alla polizia gli fu chiesto scusa per il malaugurato errore.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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