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Locarno - Wikipedia

Locarno

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Locarno
[[Immagine:{{{panorama}}}|300px|Panorama di Locarno]]
Stato: bandiera Svizzera
Cantone: Ticino
Distretto: Locarno
Circolo: Locarno
Lingua ufficiale: Italiano
Latitudine:  46° 10‘ N
Longitudine:  8° 48‘ E
Coordinate: {{{latitudineGradi}}}°{{{latitudineMinuti}}}′N {{{longitudineGradi}}}°{{{longitudineMinuti}}}′E / <span class="geo-dec geo" title="Mappe, foto aeree ed altre informazioni per Errore nell'espressione: carattere di punteggiatura "{" non riconosciuto Errore nell'espressione: carattere di punteggiatura "{" non riconosciuto">Errore nell'espressione: carattere di punteggiatura "{" non riconosciuto, Errore nell'espressione: carattere di punteggiatura "{" non riconosciuto
Altitudine: 195.50 m s.l.m.
Superficie: 19,42 km²
Popolazione:
 - Totale
 - Densità
(2007)
15.153 ab.
780 ab./km²
Frazioni: Brè, Cardada-Colmanicchio, Gerre di Sotto, Isola Martella, Monda di Contone e Ponte Brolla-Vattagne.  
Comuni contigui: Ascona, Avegno, Cadenazzo, Contone, Cugnasco, Gerra (Verzasca), Gordola, Lavertezzo, Losone, Magadino, Minusio, Muralto, Orselina, Piazzogna, San Nazzaro, Tegna, Tenero-Contra
CAP: 6600, 6601, 6604, 6605
Pref. tel: 091
Codice BFS: 5113
Targa: TI
Abitanti: Locarnesi
Sito istituzionale

Locarno, capoluogo distrettuale e polo regionale, si specchia nelle acque svizzere del Lago Maggiore (Verbano).

In termini demografici, con i suoi circa 15.000 abitanti, è la terza località del Canton Ticino dopo Lugano e Bellinzona. La città travalica però ampiamente i confini comunali, ritenuto che anche la stazione ferroviaria, seppure a pochi passi dalla famosa Piazza Grande, si trova al di fuori del suo comprensorio, a Muralto, così come il suo simbolo, la Madonna del Sasso, che la veglia da Orselina. D'altronde, se la si considerasse con i criteri europei, la sua popolazione raggiungerebbe i 50.000 residenti.

Reputata meta turistica, gode di un favorevole microclima che consente alla vegetazione mediterranea e subtropicale di prosperare. Alla sua notorietà molto ha contribuito il Festival internazionale del film di Locarno, il più antico e longevo (prima edizione nel 1946) dopo quello di Venezia.

Nella regione hanno soggiornato, talvolta eleggendola a loro patria adottiva, intellettuali e artisti. Tra essi Michail Bakunin (1814-1876; filosofo, padre fondatore dell'anarchismo), Carlo Cafiero (1846-1892; teorico del comunismo anarchico), Antoinette de Saint-Léger (1856-1948; mecenate), Ruggero Leoncavallo (1857-1919; compositore musicale), Marianne von Werefkin (Marianna Vladimorovna Verevkina, 1860-1938; pittrice), Alexej von Jawlensky (1864-1941; pittore), Stefan George (1868–1933; poeta), Elisar von Kupffer (1872–1942; pittore, poeta, drammaturgo e storico), Rainer Maria Rilke (1875-1926; poeta), Hermann Hesse (1877-1962; scrittore, poeta e pittore), Salvador de Madariaga (1886-1978; storico e scrittore), Jean Arp (1886-1966; pittore e scultore, tra i fondatori del dadaismo), Erich Maria Remarque (1898-1970; scrittore), Ignazio Silone (1900-1978; scrittore), Erich Fromm (1900-1980; psicanalista e sociologo), Marino Marini (1901-1980; scultore e pittore), Charlotte Bara (1901-1986; ballerina), John Eccles (1903-1997; Nobel per la medicina nel 1963), Paulette Goddard (1910-1990; attrice), Max Frisch (1911-1991; architetto e scrittore), Patricia Highsmith (1921-1995; scrittrice). Al di là della Maggia, ad Ascona, si erge il Monte Verità, modesta ma magnetica collina che, appunto, richiamò l'attenzione di importanti personalità della cultura, soprattutto nordica, attirate dai pionieri dei movimenti avanguardisti (teosofi, utopisti e naturisti) che vi si erano stabiliti a partire dal 1900 per iniziativa di Ida Hofmann (1864-1926) e Henri Oedenkoven (1875-1935), capaci, questi ultimi, di far germogliare il seme gettato dai sognatori e dagli anarchici che avevano frequentato il Locarnese nel secolo che si era appena concluso.

Indice

[modifica] Geografia

Vista di Locarno e del Lago Maggiore
Vista di Locarno e del Lago Maggiore

La città, adagiata in una conca protetta da una corona di montagne, si sviluppa sul lato sinistro del delta della Maggia (uno dei maggiori estuari lacuali d'Europa), mentre sulla sponda destra troviamo i borghi di Ascona e Losone. Con i suoi poco più di 190 metri sul livello del mare, misurati alla foce, è la più bassa del paese (ma le sue propaggini arrivano sino ai 1.400 metri e oltre di Cardada-Colmanicchio).

[modifica] Infrastrutture

In realtà, una sua stazione delle Ferrovie federali (FFS) Locarno ce l'ha: è quella di Riazzino-Cugnasco, sul Piano di Magadino. La giurisdizione comunale si estende infatti sino alla pianura in mezzo alla quale scorre il Ticino. Questa porzione di territorio, strappata alle acque grazie alle bonifiche ottocentesche, è anche più vasta del settore urbano. Vi trovano spazio, molto spesso in situazione conflittuale, biotopi palustri protetti, agricoltura, vie di comunicazione, aeroporto e industria.

Locarno è la sede dell'Istituto Ricerche Solari Locarno

[modifica] Storia

I primi insediamenti organizzati rimontano all'età del bronzo (attorno al 1000 a.C.) e sono testimoniati, tra gli altri, dai sepolcreti di San Jorio e Sant'Antonio. Altre necropoli, e fra esse quelle di Solduno, segnalano una presenza continuata anche nella successiva epoca del ferro.

Forse già nel VII secolo a.C. i Leponti si sovrappongono e si amalgamano alla popolazione autoctona, probabilmente ligure, dando vita a una comunità liguro-celtica. La conquista romana risale al II secolo a.C., come provano tombe sia nel "pagus" sia nelle vallate circostanti; Muralto, stando alle indagini otto e novecentesche, era un fiorente centro residenziale romano, quasi certamente il maggiore dell'area. Scriverà ai primi del secolo scorso il prelato e archeologo Giovanni Baserga: "All'inizio dell'impero romano, il Locarnese doveva già possedere una popolazione numerosa, ricca e industriale, non era punto scomparsa la popolazione gallica, che aveva preceduto la conquista e la penetrazione di Roma, anzi essa convisse e presto si fuse con gli elementi latini (...)".

Scomparsi nel III secolo d.C. i Romani, scarse, per non dire nulle, sono le tracce altomedievali. Esistono purtuttavia documenti che si riferiscono alla zona datati 712, 807, 822, 842 e, nell'866, si parla della cessione della "corte regia" di Locarno e delle sue attinenze all'imperatrice Engelberga (anche Angelberga o Angilberta).

Attorno al Mille, il contado finisce nelle mani dei Milanesi. Feudatari i Da Besozzo, valvassori maggiori dell'arcivescovo. Dal loro ceppo nasceranno le famiglie nobiliari locarnesi: i Duni, i Magoria, i Muralti, gli Orelli. Questa corporazione gode di grande autonomia e guadagna autorità e forza nel tempo potendo imporre dazi e pedaggi. Conta sulla protezione di Federico I il Barbarossa che, dopo averle concesso l'esercizio di un mercato mensile nel 1164, la pone, nel 1186, sotto la diretta dipendenza imperiale; i "fideles homines" della pieve ottengono anche l'esenzione dal servizio militare e dalle imposte. Privilegi confermati da Ottone IV nel 1210 e da Federico II nel 1219. Tra il 1239 e il 1249 Locarno è governata dal condottiero Simone da Orello, fedelissimo dei Visconti. Nel periodo immediatamente successivo, il dominio passa però a Como, che lo manterrà sino al 1342, sebbene non ininterrottamente a causa delle continue guerre tra guelfi e ghibellini (il borgo verrà dato alle fiamme dai vendicativi comaschi -ghibellini- nel 1259 oppure, come riportano altre fonti nel 1260 o 1262). Quell'anno Luchino e Giovanni Visconti, risaliti dal lago al comando di una munita flotta, assediano ed espugnano il castello e tutta la regione torna sotto sovranità milanese. Il 1439 viene ricordato per l'infeudamento da parte di Filippo Maria Visconti dei conti Rusca, che grande blasone daranno alla comunità, a partire dal capostipite Franchino. Saranno lui e i figli, ad esempio, a trasformare la primigenia fortezza in residenza signorile. Ingentilito, ma non indebolito, il maniero resiste all'aggressione dei 15'000 Svizzeri calati dal nord nel 1502-3. Alla testa dei difensori, a dar man forte ai Rusca, si trova il governatore francese; le terre lombarde sono infatti passate nel frattempo sotto il controllo del giglio.

Capitolazione solo rinviata di qualche anno, poiché, con la pace detta di Friburgo, nel 1516 la zona a capo del Verbano viene ceduta ai Confederati. Inizia l'epoca balivale, che durerà fino al 1798 e che, se assicurerà stabilità in un momento che oltre confine sarà molto turbolento, isolerà il Locarnese dal positivo fervore dell'illuminismo austriaco. Simbolicamente, si vorrebbe far coincidere il lungo periodo di decadenza che segue con la quasi completa distruzione del castello, ossia l'emblema stesso della potenza cittadina, decisa dai nuovi occupanti nel 1531. Tuttavia, a dare inizio allo stillicidio di sciagure che si abbatteranno sulla regione è, nel 1515, il crollo, dovuto a una piena, del ponte della Torretta di Bellinzona, da dove transitavano genti e merci con destinazione non solo una Locarno fiorente di traffici e commerci, ma l'intera Lombardia, a cui si accedeva dalla comoda via lacuale.

Nei decenni seguenti, portata da profughi sfuggiti all'occhiuta inquisizione milanese, s'infiltra, si diffonde e attecchisce la dottrina protestante. Per sedare le lotte che oppongono cattolici e riformati, i padroni elvetici impongono a questi ultimi di rinunciare alla nuova religione o di lasciare la loro terra. Alcune centinaia di loro scelgono l'esilio e il 3 marzo 1555 abbandonano Locarno, tra gli altri, molti esponenti dei casati più influenti: Appiani, Duni, Marcacci, Muralti, Orelli, Trevani... . Il borgo perde così buona parte della sua classe dirigente, composta in prevalenza da intellettuali e mercanti. [1]

A cavallo tra il 1576 e il 1577 infierisce la peste e la popolazione cala ulteriormente e drasticamente. La testimonianza è quella di San Carlo Borromeo che nel 1584, poco prima della morte, scrive: "Con questa occasione (la fondazione del Collegio Papio d'Ascona, n.d.r.) ho consolato ancora, in quel poco che io ho possuto, quei poveri uomini di Locarno, la quale terra è restata tanto desolata dalla peste, che di 4.800 anime che v'erano, ve ne sono restate 700; e ancora non è finita...".

Una sequela di disgrazie che determinerà l'inerzia successiva. Sintetizza nel 1797 il commissario bernese Karl von Bonstetten: "In tutt'Italia non c'è forse terra così generosa abitata da gente misera come quella dei villaggi lungo il Ticino"; e dolendosi per l'isolamento del capoluogo, dove "s'ingrassano frati e si costruiscono chiese" senza curarsi della mefitica aria del delta, lo descrive "affondato in superstizioni e paludi".

Un'aria che, finalmente, si muoverà non poco sulla scia dei fermenti rivoluzionari e controrivoluzionari successivi all'ingresso in Milano, il 15 maggio del 1796, di Napoleone Bonaparte. Due anni dopo, le autorità locarnesi dichiarano l'indipendenza e l'appartenenza alla Confederazione Elvetica. Il generale Guillaume Brune (1763-1815), comandante delle forze francesi in Svizzera, propone la creazione di un cantone con Locarno capitale. Con l'atto di mediazione napoleonico del 1803 nasce in effetti la Repubblica del Ticino e il borgo si proclama città.

E capitale cantonale, seppur transitoria, Locarno lo sarà dal 1821 al 1827; il governo siede nel convento di San Francesco, mentre gli uffici amministrativi si trovano al castello. Esecutivo e parlamento torneranno in città tra il 1839 e il 1845, tra il 1857 e il 1863 e, infine, tra il 1875 e il 1881, secondo uno schema di rotazione fissato dalla Costituzione del 1814. All'uopo, tra il 1837 e il 1838, viene edificato su progetto dell'architetto Giuseppe Pioda (1810-1856) il palazzo attualmente della Sopracenerina, che domina con la sua mole il lato sud di Piazza Grande.

Sarà questa una fase burrascosa e, contemporaneamente, di un dimenticato dinamismo, contrassegnata com'è dalle faide politiche, anche cruente, tra conservatori e progressisti, ma pure dall'agognata e provvidenziale ricostruzione del ponte della Torretta (1813-1815) e, soprattutto, dalla realizzazione della linea ferroviaria, inaugurata il 20 dicembre 1874; due vie di comunicazione, unitamente a quella del lago (le cui acque sono solcate da un piroscafo a vapore, il Verbano, sin dal 1826), che romperanno un torpore e un isolamento durato tre secoli e che consegneranno "le village où l'on s'endort" (definizione del romanziere francese Henri Lavedan, 1859-1940) e la sua plaga alla nascente "industria dei forestieri".

La prima pietra di questa nuova e taumaturgica attività era stata posata già nel 1870 con la fondazione della Società Operai ed Esercenti, che per missione aveva anche la tutela degli interessi degli albergatori (cfr. "Vicende del turismo locarnese"; Alfonsito Varini e Alberto Amstutz, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1985 ed "Economia e commerci locarnesi dell'Ottocento"; Alfonsito Varini, Armando Dadò Editore, Locarno 1988).

La fine del secolo e l’ingresso in quello seguente vede un fiorire senza precedenti di iniziative. Il gas viene erogato a partire dal 1875. Nel 1891 si mette mano alla costruzione degli argini della Maggia, da Solduno alla foce, che permetterà l’espansione sul delta secondo l’esemplare piano regolatore a scacchiera elaborato dall’ingegnere Giovanni Rusca tra il 1893 e il 1894, poi ulteriormente adattato. Nel 1892 nasce la Pro Locarno, altro tassello sulla via del moderno concetto di turismo. L'anno dopo in qualche casa e nei migliori hotel di Muralto si accendono le prime, fioche lampadine. Nel 1902 viene aperto il teatro, edificato su progetto di Ferdinando Bernasconi Senior (1867-1919) e decorato da Filippo Franzoni; sul palco, ma siamo già nel 1904, anche i "Pagliacci", opera diretta dall’autore, Ruggero Leoncavallo in persona (cfr. "Amor ci mosse, i cent'anni del teatro di Locarno"; Gian Carlo Bertelli, Armando Dadò Editore, Locarno 2003). Il 1905 coincide con l’avvio della realizzazione della linea funicolare per la Madonna del Sasso (cfr. "Locarno e la sua funicolare"; Catullo De Lorenzi e Alfonsito Varini, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1981) e della linea a scartamento ridotto per Bignasco, in Vallemaggia (cfr. "Il treno in una valle alpina, la ferrovia Locarno-Ponte Brolla-Bignasco, AA.VV., Armando Dadò Editore, Locarno 2007). Due anni più tardi è la volta della tranvia urbana tra Sant’Antonio e Minusio. Nel 1912 partono i lavori, poi interrotti dalla guerra, per il collegamento ferroviario con Domodossola (cfr. "La ferrovia Locarno-Domodossola"; Alessandro Albé, Nuova Edizioni Trelingue SA, Viganello 1988 e "Centovalli, Valle Vigezzo; la ferrovia, il paesaggio, la gente"; Carlo Weder e Peter Pfeiffer, AS Verlag, Zurigo 1997 nonché Ferrovia Domodossola-Locarno).

Allo stesso euforico momento storico risale la creazione delle più importanti associazioni sportive: Società federale di ginnastica (1866), Velo Club (1895), Anglo-Swiss Tennis Club (1903), Football Club (1906), Virtus (ginnastica, poi atletica, 1909), Rowling Club (canottaggio, 1910) e Skating Club (pattinaggio, 1910).

Quasi a coronamento di tanta effervescenza, nel 1925 il palazzo del pretorio, anch’esso concepito dall’architetto Bernasconi e inaugurato nel 1910 nell'allora Via delle Palme (oggi, ovviamente, Via della Pace) accoglie una conferenza conclusasi con la stipula di effimeri trattati, denominati "Patto di Locarno" e siglati, nelle loro diverse componenti, dai rappresentanti di Belgio, Cecoslovacchia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Polonia. Per la prima volta sotto i riflettori internazionali, la città entra a pieno titolo, e con tutti i crismi, nel nostro tempo (cfr. "Giornate di storia europea a Locarno"; Luigi Ballanti e Giorgio Pioda, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1965 e "Ottobre 1925, l'Europa a Locarno"; Rodolfo Mosca e Mario Agliati, Armando Dadò Editore, Locarno 1976).

[modifica] La "Magnifica Comunità di Locarno"

Corrisponde in pratica alla pieve, una delle nove che attorno al Mille componevano il contado di Stazzona (Angera). Abbracciava il territorio compreso tra Ronco sopra Ascona e Cugnasco, valli e Riviera del Gambarogno incluse. Un funzionamento macchinoso, la rissosità degli abitanti e le rivalità tra ogni singolo nucleo alimentano, agevolati dalle esose pretese degli amministratori -dapprima i Capitanei, ovverosia la nobiltà locale, e quindi i conti Rusca, cui i duchi di Milano consegnano il feudo-, le continue spinte secessioniste. Il distacco della Vallemaggia "et Pertinentiarum", successivo ad una sommossa, avviene già nel 1403 ed è confermato di volta in volta (con e senza Valle Verzasca, con e senza Valle Lavizzara) sino alla creazione della Repubblica Elvetica. La frantumazione politica di quello che nel frattempo, ormai sotto controllo svizzero, è diventato un baliaggio, e che in epoca moderna diverrà distretto, si completa a cavallo tra il Sette e l'Ottocento con la nascita di una miriade di autonomie.

[modifica] Le tre corporazioni

Nel Medioevo, il "Comune Grande" è guidato dalle "università" dei nobili (universitas nobilium dominorum et capitaneorum) e dei borghesi (universitas burgensium). I membri, che si spartiscono innumerevoli privilegi, oltre che entro i confini del borgo possono risiedere nei dintorni (Muralto, ai tempi appendice di Orselina, è d'altronde il quartier generale dell'omonima famiglia). I rappresentanti di queste gilde siedono in forze negli organi dirigenti dove i delegati delle altre "vicinanze" che aderiscono alla comunità fanno la figura dei comprimari. Nel Cinquecento le suddette associazioni vengono affiancate da quella dei terrieri che raggruppa i casati presenti da generazioni ma non originari di Locarno.

La loro influenza politica, più o meno marcata a seconda del momento storico, dura sino all'alba dell'Ottocento. Sciolta nel 1859 la corporazione dei terrieri (il cui archivio viene ceduto al comune, mentre quello dei nobili, assai più prezioso, era stato smembrato e parzialmente disperso quattro anni prima), praticamente estinte le famiglie di più alto lignaggio, oggi solo quella dei borghesi ha ancora voce in capitolo, soprattutto in quanto proprietaria fondiaria e di stabili; in ottica ticinese, corrisponde al patriziato. Il suo stemma è "rosso e verde al bue passante". Secondo il Gilardoni, non è invece provato che le armi delle altre due corporazioni siano l'aquila e l'agnello: un errore generato dai bassorilievi provenienti da demolizioni e incorporati nella facciata cinquecentesca della chiesa di San Francesco.

[modifica] Impianto urbanistico

L'abitato ha preso corpo lungo la dorsale che corre alle falde della montagna, corrispondente alle odierne Vie San Gottardo, Sempione, Cappuccini, Borghese e Vallemaggia, e almeno quattro sono i punti focali riconoscibili, ovvero quelli -da est a ovest- delle attuali zone di Ceresol, San Vittore, Sant'Antonio e Passetto, in posizione prudentemente sopraelevata rispetto a lago e fiume, ma da essi non troppo discosti. L'acqua, probabilmente la ragione prima dell'esistenza di Locarno ("al centro di un vasto confluire di acque", la definisce Piero Bianconi), ne ha infatti sempre condizionato destino e fisionomia, nel bene e nel male. Una poco verosimile ma significativa etimologia vuole d'altronde che il nome derivi dal celtico Loc-ar-on, luogo situato vicino a un fiume e sulla riva di un lago (in ambito toponomastico, Virgilio Gilardoni azzarda anche l'altrettanto celtico Leukara, la bianca).

In epoca medievale il fulcro delle attività, in era preromana e romana concentrate nell'area di San Vittore (dove resterà tuttavia, e sino al 1816, ancorato il potere religioso, ovvero il collegio dei canonici), si sposta gradualmente verso quella di Sant'Antonio. Sull'asse di transito principale (Via Borghese) se ne innestano altri due di primaria importanza, che s'intersecano (Via Sant'Antonio e Via Cittadella con i rispettivi prolungamenti costituiti dalle Vie alla Motta e San Francesco). Attorno a queste strade si organizza l'insediamento, i cui limiti a sud/sud-ovest, al piede della "motta", sono fissati dal castello e dalla parata di edifici che si affacciano sulla riva del Verbano e che diventeranno il futuro fronte settentrionale di Piazza Grande.

Fino al diciannovesimo secolo e con rade eccezioni, l'ammodernamento e l'addensamento edilizio si limitano a questo circoscritto perimetro, vuoi per la progressiva perdita d'importanza del borgo, vuoi per l'impossibilità di espandersi su uno spazio soggetto come pochi alle sfuriate della natura.

La costruzione di ripari nel tentativo di ammansire la Maggia, e tra essi il cosiddetto muraccio (grosso modo dove oggi si trova Via Bernardino Luini, tra il lago e quello che fu il porticciolo fortificato del castello), consente una timida colonizzazione del delta. Nel 1828 viene scavato il naviglio che, penetrando in quello che diventerà poi Largo Franco Zorzi, stimola l'installazione di nuovi commerci e un rinnovamento delle case immediatamente a monte, di tipologia ancora medievale. Piazza Grande, slargo sino ad allora non delimitato a meridione se non da qualche piantagione, si avvia ad assumere l'odierna forma con l'erezione, tra il 1837 e il 1838, del palazzo governativo, diventando contemporaneamente il baricentro della vita locale, a detrimento di Piazza Sant'Antonio. Una successiva valorizzazione del comparto seguirà nel 1869 con la realizzazione, al posto del naviglio, irrimediabilmente danneggiato dalla catastrofica alluvione dell'anno precedente, di un porto a sacco, voluto per incrementare commercio e industria e circondato da alberature secondo un preciso schema.

A determinare però la volontà di procedere ad un ambizioso cambiamento di scala è l'arrivo dei primi sbuffanti treni da nord, con a bordo il loro carico di turisti, e, soprattutto, l'arginatura del fiume, che tra il 1891 e il 1907 ridisegna l'intero assetto del comprensorio. Al 1893-94 risale il piano del consulente comunale Giovanni Rusca, che non solo permetterà l'espansione verso sud-est e sud-ovest dei limiti edificabili, ma che, con la sua adozione, seppure nella versione edulcorata del 1898, modificherà equilibri e gerarchie urbane. Sullo spazio appena conquistato, a fronteggiare la Città Vecchia, sorgono infatti stabili di contenuto pubblico, come il nuovo palazzo postale (1900, oggi sede dell'UBS), il teatro (1902), il pretorio (1908), ma anche, in posizione più periferica, perché destinati a meno nobili attività, la palestra (1904) e il nuovo macello (1910). La fitta rete di strade e piazze (queste poi ridotte all'unica Piazza Fontana Pedrazzini) progettata dall'ingegner Rusca, benché secondo un concetto per certi versi già allora superato, fa dell'area in questione una sorta di laboratorio, esempio quasi esclusivo nel panorama urbanistico elvetico. A est la sua severa ortogonalità, bella dov'è rigorosa, si scontra con la sinuosità del lungolago in un rapporto mai risolto (manca il generoso "cuscinetto" di giardini pubblici previsto dalla versione originaria), mentre a sud e ad ovest si stempera in un disegno che si fa sempre più incerto e confuso.

Parallelamente al formarsi del Quartier Nuovo, gli altri cambiano morfologia. E anche in questo contesto non si può non parlare dell'evoluzione che subiscono Muralto e Orselina, volenti o nolenti sempre più intimamente allacciati alla città, da un lato perché ne accolgono una parte dei servizi (in primis il capolinea della "Gotthardbahn", attorno al quale si ridistribuiscono determinate funzioni sovracomunali) e dall'altro perché i più rinomati alberghi (a partire dal gigantesco, per la realtà locale, Grand Hotel Locarno) vi trovano privilegiata sede. Se la collina, dai Monti della Trinità a Brione, si "specializza", sacrificando i suoi vigneti al turismo, a lago si edificano anche le abitazioni di una nascente e agiata borghesia legata all'ulteriore sviluppo di industria e commercio. Zone meno pregiate subiscono di riflesso queste dinamiche, espandendosi però in modo caotico. Ad esempio, la Campagna, a ovest, cresce, andandosi a congiungere con Solduno, sulle tracce di una parcellizzazione di stampo agricolo, solo vagamente disciplinata dagli assi costituiti da Via Vallemaggia (la direttrice storica) e dalle novecentesche Via Bartolomeo Varenna e Via Alberto Franzoni, quest'ultima fiancheggiante la linea ferroviaria per la Vallemaggia e le Centovalli e quindi anche l'oggi scomparsa stazione di Sant'Antonio, nelle cui vicinanze sorgono come logica reazione stabili destinati ad attività artigianali e piccole fabbriche. Indirizzi che non cambiano in tempi più recenti, ma che, semmai, vengono esasperati con la speculazione degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.

E siamo al 1976, quando il Gran Consiglio ticinese vota i crediti per procedere alla prima tappa del piano viario del Locarnese (di cui si discuteva da un decennio), comprendente il tronco Piazza Castello-San Materno, collegamento a carattere autostradale che, scavalcando la Maggia, va ad affiancare il solo fino ad allora esistente tra la città e Ascona, Ronco sopra Ascona, Brissago e la sponda piemontese del Verbano. È la premessa per la realizzazione, concretizzatasi nel 2001, della grande rotonda, un vuoto di 100 metri di diametro escogitato dall'architetto Aurelio Galfetti. Quest'arena, assurta a principale porta d'ingresso, è destinata a divenire il perno della riorganizzazione urbanistica del comparto, fungendo da cerniera tra contrade i cui limiti non si erano mai armoniosamente amalgamati.

Un capitoletto a parte lo si può consacrare a Solduno, già appartenente, come altre "vicinanze", alla "Magnifica Comunità di Locarno" e tornato nella più stretta orbita del capoluogo, dapprima come frazione e poi come quartiere, dopo essere stato comune indipendente (nell'accezione moderna del termine) dal 1803 al 1928. L'interesse risiede nel carattere rurale del nucleo, tuttora perfettamente leggibile, con il suo piacevolmente disordinato dedalo di vicoli e viuzze, mentre a est il resto del territorio si è da tempo saldato con quello già fittamente costruito dei rioni di Sant'Antonio/In Selva e Campagna.

[modifica] Da vedere

Il castello visconteo visto da ovest
Il castello visconteo visto da ovest

Vestigia del castello visconteo (XIII-XV secolo), contraddistinte da mura merlate a coda di rondine, merlatura per altro parzialmente rifatta durante la radicale opera di restauro intrapresa tra il 1921 e il 1928. È quanto resta della possente macchina bellica che i Confederati decisero di smantellare nel 1531 e che, a sua volta, avrebbe sostituito precedenti fortilizi (si parla di un castello raso al suolo dai Milanesi nel 1156 -forse quella corte regia regalata nell'866 da Ludovico II re d'Italia alla moglie Engelberga- e di un castello degli Orelli di cui si riferisce nella prima metà del Duecento e che attesterebbe il toponimo Castelrotto assegnato a una via poco più a monte). Al suo interno troviamo il museo civico e archeologico, rinomato soprattutto per la sua collezione di vetri romani (I-IV secolo); a questa sezione si affiancano sale riservate alla preistoria (XIII-I secolo a.C.), all'artigianato apulo (IV-I secolo a.C.), alla numismatica romana e preromana, ma anche a costumi e porcellane del XVIII secolo e alla Conferenza della Pace dell'ottobre 1925, che proiettò Locarno sulla scena internazionale.

È recente la scoperta del professor Marino Viganò (riconosciuta dal più grande leonardista al mondo, Carlo Pedretti) che attribuisce la progettazione e l'edificazione del rivellino del castello, un bastione oggi parzialmente celato da costruzioni successive, a Leonardo da Vinci (17 luglio 1507). Tale attribuzione è tuttavia messa in dubbio dal prof. Teodoro Amadò, basandosi sui documenti pubblicati da Schofield, Shell e Sironi (1989) e sull'autorevole parere dell'altrettanto celebre leonardista Pietro Cesare Marani (23 marzo 2007).

Casorella, palazzo signorile, ora di proprietà comunale, sorto tra gli anni '80 e '90 del Cinquecento su un'area originariamente occupata dal castello. Di pregevole fattura sono le decorazioni che ornano il sontuoso salone d'onore, con significativi interventi del pittore brissaghese Giovanni Antonio Caldelli (1721-1790) e del collega locarnese Giuseppe Antonio Felice Orelli (1706-1776 ca.), nonché gli stucchi della loggetta che si affaccia sul cortile, attribuiti all'asconese Giovanni Battista Serodine (1589/1590-1624) e forse risalenti al 1615.

Casa Rusca, in Piazza Sant'Antonio. Pinacoteca civica che custodisce le collezioni di Jean e Marguerite Arp, il lascito Nesto Jacometti, la donazione Giovanni Bianconi, la donazione Rudolf Mumprecht, la donazione Emilio Maria Beretta e una collezione di tele del locarnese Filippo Franzoni (1857-1911), ragguardevole esponente del movimento detto della scapigliatura.

Collegiata di Sant'Antonio Abate, nell'omonima piazza. L'originale tempio trecentesco venne demolito e ricostruito a cavallo tra il 1600 e il 1700. Il crollo della volta di una campata, che nel 1863 provocò la morte di 47 fedeli, fu pretesto per un ulteriore, profondo rimaneggiamento. A quell'epoca risale la facciata neoclassica, presumibilmente progettata dall'architetto Pietro Bottini (1809-1872) nel 1866-1870. Degne di nota sono soprattutto la cappella del Cristo morto dal prezioso altare marmoreo e ornata dagli affreschi illusionistici (1742-1744) del già citato Giuseppe Antonio Felice Orelli e quella di San Gregorio Prete, anch'essa caratterizzata da un altare tanto imponente quanto raffinato, oltreché dalla teca contenente le spoglie del santo a cui è dedicata.

Chiesa di San Francesco, nella piazzetta che ne porta il nome. La presenza dei francescani nel borgo risale ai primi decenni del Duecento, ma non si hanno tracce certe di consacrazioni precedenti il 1316. Interventi vari e riedificazione sono documentati tra i secoli XVI e XVII. Nel 1848, con la decisione cantonale di sopprimere gli ordini religiosi, se ne decreta la chiusura e bisognerà attendere il 1924 per la riapertura definitiva al culto; nel frattempo, l'edificio, un tempo il più importante dell'abitato, sarà stato profanato, saccheggiato e adibito a caserma e deposito. In facciata iscrizioni e bassorilievi (questi forse illustranti le armi delle tre corporazioni locarnesi) provenienti da demolizioni (tra cui quella del vicino castello). All'interno, solenne e ampio, bell'affresco tardocinquecentesco raffigurante l'Annunciazione, dipinto sull'arco trionfale. Un soffitto ligneo, a cassettoni, fissa il culmine dell'alta navata. L'attiguo ex convento dai due chiostri colonnati, oggi sede principale dell'alta scuola pedagogica, venne radicalmente trasformato e ingrandito tra il 1892 e il 1894, dapprima per ospitare il ginnasio cantonale, poi, dopo ulteriori metamorfosi, l'istituto magistrale cantonale. Degna di nota la sala, già refettorio dei frati, affrescata dal locarnese Antonio Baldassarre Orelli (1669-1731). Fu da una delle celle di questo convento che, nel 1480, fra' Bartolomeo da Ivrea vide la Vergine, poi detta del Sasso perché apparsagli su una rupe sovrastante, rupe sulla quale venne in seguito edificato il santuario.

Il Santuario della Madonna del Sasso
Il Santuario della Madonna del Sasso

Santuario della Madonna del Sasso, ad Orselina, 200 metri sopra la città. Raggiungibile con la funicolare che sale dal centrale Viale Francesco Balli o tramite il pittoresco sentiero costellato dalle cappelle della via crucis.

Chiesa dell'Assunta (Chiesa Nuova) e Casa dei canonici, in Via Cittadella. Costruzione iniziata nel 1628 e consacrata il 5 giugno 1636 in stile barocco. L'interno è impreziosito da numerosi stucchi eseguiti da maestranze insubriche. Gli stucchi della cappella laterale di San Germano sono invece settecenteschi.

Chiesa dei Santi Rocco e Sebastiano (Sant'Eugenio), in Via Cappuccini. Come indica la scelta dei patroni, tempio e adiacente convento sono stati voluti per rispettare un voto fatto durante una delle molte epidemie di peste del Cinquecento e per "ristorare i danni" dell'eresia luterana. A tetto (ma non del tutto terminato) nel 1604, il complesso ha subito i consueti rifacimenti settecenteschi e, soprattutto, un profondo intervento dopo che nel 1852 i cappuccini furono sfrattati in base alla legge cantonale sulla secolarizzazione; fu infatti usato dapprima come orfanotrofio e poi come collegio. La chiesa ha conservato begli altari lignei, nello stile dell'ordine, ornati da tele secentesche, tra cui una crocefissione eseguita dal bergamasco Enea Salmeggia detto il Talpino (1558-1626).

Chiesa e monastero di Santa Caterina, in Via delle Monache.

Chiesa di Santa Maria in Selva (Madonna di Misericordia), in Via Vallemaggia. Citata esplicitamente in un documento del 1° maggio 1400, venne parzialmente demolita nella seconda metà dell'Ottocento. Campanile e presbiterio (coro) furono risparmiati e inglobati nel cimitero, il principale della città, a cui il tempio dà il nome. Sommamente raffinati sono gli affreschi gotici (del filone chiamato cortese) che ornano volta e pareti, dipinti da maestri che operarono tra l'inizio del Quattrocento e i primi anni del secolo successivo, tra i quali Antonio da Tradate (quanto fosse felice la sua mano lo si può notare anche osservando il ciclo dipinto nella chiesa della vicina Palagnedra).

Chiesa di San Giovanni Battista, in Piazza Solduno. Si sa di una consacrazione nel 1385 da parte del vescovo di Como e di rimaneggiamenti nel 1582 nonché tra il 1626 e il 1636. Nel 1789 si demolisce la navata, a quanto pare pericolante, ma si mantiene il coro secentesco (l'odierno ossario, dopo i restauri del 2004 rinominato cappella di San Giovanni). A fianco del primitivo edificio è nel frattempo appena sorto l'attuale (ma il campanile è quello terminato nel 1718) su disegno del capomastro Giuseppe Perpellini. Con la consacrazione del 1795 si consegna alla popolazione della "vicinanza" un tempio tardobarocco non privo di un suo "grandioso e misurato respiro", come lo considera lo storico Virgilio Gilardoni (19??-1989) nel volume della serie "I monumenti d'arte e di storia del canton Ticino" dedicato a Locarno e al suo circolo. Di pregio, all'interno, sono l'altar maggiore con il suo intarsio di marmi di varia provenienza, opera del viggiutese Giovanni Bottinelli, la secentesca cupola lignea dai complessi intagli del fonte battesimale e, forse soprattutto, l'affresco, "di gusto neotiepolesco", che adorna la volta centrale, impresa che il milanese Luigi Fratini avrebbe portato a compimento nel 1848 (ma c'è chi v'intuisce la pennellata del luinese Raffaele Casnedi).

Chiesa della Santissima Trinità dei Monti, in Piazza della Trinità. Edificata nella prima metà del Seicento per volontà della corporazione dei borghesi, cui appartiene tuttora a differenza, ad esempio, della collegiata, ceduta al comune nel 1866. Subisce profonde trasformazioni nella seconda parte dell'Ottocento. All'interno, tra l'altro, pala dipinta nel 1717 da Antonio Baldassarre Orelli ornata da stucchi (altare di San Bartolomeo) e medaglioni del ronchese Damaso Poroli (1849-1916).

Chiesa della Sacra Famiglia, in Via Serafino Balestra. "Dopo 355 anni a Locarno si costruisce una nuova chiesa", si proclamava nel pieghevole in cui si esortava la popolazione a contribuire al finanziamento dell'erigendo centro voluto ai Saleggi, uno dei quartieri più popolosi e popolari del comune. A vincere dieci anni prima, nel 1979, il bando di concorso era stato l'architetto Guido Tallone, il quale aveva presentato un progetto ("Ora") che nella sua versione definitiva risulterà costituito, secondo precise simbologie, da due elementi, uno a forma di quarto di cerchio (il luogo di culto vero e proprio) e l'altro a pianta quadrata con cortile interno (luogo d'incontro e d'animazione), uniti dal perno del breve campanile, sorta di gnomone della meridiana rappresentata da sagrato e pareti perimetrali del tempio. All'interno dell'edificio sacro, dedicato il 20 settembre 1992, vetrate e grande affresco absidiale raffigurante un Cristo in croce, opere di fra' Roberto Pasotti.

Piazza Grande. Eccone l'efficace descrizione che ne fa l'eclettico scrittore, storico e critico d'arte locale Piero Bianconi (1899-1984) in "Locarno di ieri e d'oggi", Werner Classen Edizioni, Zurigo 1972. "Per fortuna, e quasi si vorrebbe dire miracolosamente, ha mantenuta pressoché intatta, salvo qualche lieve sgarro, la lunga e compatta e flessibile sfilata di case che la limitano a monte: la torre civica pare che le sorvegli perché stiano ben serrate. (...) Sono case che a prenderle una a una non hanno niente di singolare, sono mediocri, né belle né brutte, e senza grandi variazioni tra loro; ma così strette insieme e unanimi fanno un bellissimo vedere, la loro bellezza nasce dal ritmo che le unisce, dalla coerente continuità: sono come parole usuali, di tutti i giorni, unite con garbo a formare una bella frase armoniosa."

Palazzo della società elettrica Sopracenerina, sito sul fronte meridionale di Piazza Grande, di stile neoclassico e caratterizzato da un'ampia corte interna; già sede del governo cantonale. Al piano nobile, salone del parlamento, attualmente spazio destinato a congressi, conferenze e concerti.

Casa del Negromante in Via Borghese. Tra i molti stabili patrizi del nucleo che meriterebbero più di una distratta occhiata, è d'obbligo almeno riferire di questo edificio abitato dalla nobile famiglia Magoria forse già nel XIII secolo. Seppur trasformato nel XV e forse ampliato nel XVI secolo, è con ogni probabilità il fabbricato civile più vetusto oggi presente in città. Nell'androne, in alto, sono visibili lo stemma della comunità (leone, o pardo, rampante) e l'emblema confederato ("il più antico esemplare dipinto in Svizzera della croce a bracci allungati", Johann Rudolf Rahn). La denominazione deriva dal soprannome affibbiato ad un suo proprietario, quel Giovan Battista Orelli che vi risiedette nel Settecento.

Cardada-Cimetta, terrazzo naturale posto tra i 1.400 e i 1.560 metri di quota da cui si gode un incantevole panorama sull'agglomerato urbano, il lago, le Alpi e le Prealpi. Vi si accede con la teleferica che parte da Via Santuario.

Gli amanti della botanica non trascurino il Parco delle camelie, recentemente realizzato in Via Gioacchino Respini, specie durante l'epoca della fioritura primaverile. L'Astrovia, tracciata in scala 1 a un miliardo e che si dipana per 6 chilometri lungo gli argini della Maggia e della Melezza (Melezzo), darà un'idea molto concreta dell'ampiezza del nostro sistema solare anche al profano. Di selvaggia bellezza naturalistica si può parlare per l'"orrido" di Ponte Brolla, ovvero le profonde e levigate gole, le cosiddette marmitte dei giganti, frutto del paziente lavorio del fiume; un fiume la cui acqua, ai tempi non ancora imbrigliata e domata dalle dighe a monte, "muggisce e ribolle, traboccando da così angusta pentola", come testimonia la poetessa tedesco-danese Friederike Brun (1765-1835) riferendosi al luogo, visitato nel 1795.

Oltre i ristretti limiti comunali, ma in prossimità del centro: Chiesa di San Vittore (Piazza San Vittore, Muralto), fino al 1816 collegiata plebana della comunità di Locarno; Chiesa di San Quirico (Via San Quirico, Minusio); Ca' di ferro (Via alla Riva, Minusio); Sanctuarium artis Elisarion (Via Rinaldo Simen, Minusio); nonché la già citata Basilica della Madonna del Sasso (Via Santuario, Orselina).

[modifica] Locarnesi illustri, di nascita e d'adozione

  • Simone Orelli, detto Simone da Locarno (?-1291), condottiero. Il nobiluomo che Gian-Gaspare Nessi (1800-1856) nelle sue "Memorie storiche di Locarno" (ristampa Edizioni Pedrazzini, Locarno 1985) indica, erroneamente, appartenere alla schiatta dei Muralti, deve la sua fama alle imprese compiute al servizio dei Visconti, le cui iniziali fortune da lui molto dipesero.
  • Beatrice Casati-Rusca (?-1490), beata. Vedova di Franchino Rusca, quindi terziaria francescana nel capoluogo lombardo, muore in odore di santità e tale è la sua popolarità che ad un ponte cittadino, dalle parti di Brera, viene dato il suo nome. Raffigurata, oltre che sull'urna marmorea che ne conserva le spoglie nella chiesa milanese di Sant'Angelo, anche in un piccolo affresco che decora una parete del maniero locarnese e -così vuole la tradizione- in un dipinto nella chiesuola dell'Annunziata, all'imbocco del sentiero che conduce al Santuario della Madonna del Sasso.
  • Pietro Morettini (1660-Locarno 1737), ingegnere e architetto. Valmaggese, di Cerentino, è l'ideatore dell'Urnerloch, la Buca d'Uri, uno dei primi trafori alpini, che dal 1708 mette in comunicazione Göschenen e Andermatt, sul San Gottardo. Spesso impegnato all'estero (sprattutto in Francia e Olanda), gli si devono anche i primi studi per l'idrovia Locarno-Venezia, di cui ancor oggi si parla, segmento del corridoio che da Rotterdam avrebbe dovuto portare all'Adriatico. Frutto del suo ingegno sarebbe l'omonimo palazzo in Via Cappuccini, profondamente ristrutturato dagli eredi nell'Ottocento, dove visse i suoi ultimi anni e che oggi è sede della Biblioteca cantonale.
  • Antonio Baldassarre Orelli, detto Baldassarre il Vecchio (Locarno 1669-1731), pittore. Rampollo illegittimo del nobile Giovanni Stefano; capostipite, grazie al suo apprendistato milanese, di una famiglia di artisti (la scuola degli Orelli, appunto, composta dal figlio e dagli abiatici Baldassare il Giovane, Vincenzo Angelo, Francesco Antonio e Paolo), operante in special modo in Lombardia, oltre che in patria.
  • Giuseppe Antonio Felice Orelli (Locarno 1706-Locarno 1776), pittore, figlio di Antonio Baldassarre
  • Gaetano Matteo Pisoni (1713-Locarno 1782), architetto. Di rispettata famiglia asconese, getta le basi del suo sapere al Collegio Papio. Lo si ritrova apprendista in Tirolo; da qui parte alla volta di Germania, Francia, Olanda e Italia. Dopo la fruttuosa esperienza alle dipendenze del principe del Liechtenstein, a Vienna, eccolo in Belgio. Suoi sono i progetti della cattedrale di Sant'Albino a Namur e della collegiata di San Giovanni Battista a Liegi. Il suo capolavoro è però la cattedrale di Sant'Orso a Soletta, capitale dell'omonimo cantone elvetico, cui lavora tra il 1763 e il 1773. È tumulato nella chiesa locarnese dell'Assunta, dove lo ricorda una lapide, a poca distanza dalla palazzina di Via Castelrotto che gli viene attribuita.
  • Francesco Antonio Bustelli (Locarno 1723-1763), ceramista. È attivo in Baviera, agli ordini del conte di Haimhausen. Crea figurine raffinate ed eleganti che danno fama a lui e lustro alla manifattura di Nymphenburg e che oggi arricchiscono numerose collezioni private e museali, tra le quali quella del nostrano castello visconteo.
  • Antonio Ciseri (1821-1891), pittore. Ronchese, a 12 anni emigra con in genitori in Toscana. Allievo dell'Accademia delle belle arti di Firenze, ne diventa professore nel 1852 e direttore nel 1874; l'anno prima era stato premiato con una medaglia d'oro all'Esposizione universale di Vienna. I suoi riconosciuti cavolavori sono "Il martirio dei Maccabei" (1858-1863) e l'"Ecce Homo (1880-1891), entrambi esposti nel capoluogo toscano. A Locarno, dove periodicamente soggiorna (nella casa del fratello in Via San Francesco) perlomeno sino a quando, nel 1877, in rotta con il fisco elvetico, chiede ed ottiene la cittadinanza italiana, si possono ammirare tre sue tele importanti: "San Francesco che riceve le stigmate" (1887, nell'omonima chiesa), "L'Italia risorta" (1859, a Palazzo Marcacci, sede dell'amministrazione comunale) e l'arcinoto "Trasporto al sepolcro" (1864-1868, alla Madonna del Sasso).
  • Franz Storno (1821-1907), architetto, pittore e scultore. Di antico casato patrizio soldunese, appartenente al ramo trasferitosi nell'Impero austro-ungarico nel Settecento, è ricordato in particolare per le ristrutturazioni di chiese, palazzi e castelli in terra magiara e per gli affreschi che spesso esaltano quegli interventi. A Sopron, dove a lungo visse e dov'è sepolto, è conservata una collezione di suoi disegni e dipinti.
  • Filippo Franzoni (Locarno 1857-1911), pittore
  • Angelo Nessi (Locarno 1873-Locarno 1932), scrittore. Laureato in filosofia a Genova e in lettere a Pisa, frequenta Giosuè Carducci e gli ambienti letterari italiani, specialmente quelli lombardi. La sua produzione spazia dalla poesia alla critica teatrale. Collabora come librettista con Ruggero Leoncavallo ("Maja", "Malbruck", "La Foscarina"). A dargli una notorietà che oltrepassa l'ambito regionale è il romanzo autobiografico "Cip", pubblicato a Milano nel 1924 (e riedito nel 1961 a cura della Società storica locarnese), che ha per sfondo, mai citata espressamente, la sonnacchiosa e colpevolmente provinciale Locarno della sua infanzia.
  • Remo Rossi (Locarno 1909-1982), scultore. Studi all'Accademia delle belle arti di Brera e alla Scuola superiore di architettura, entrambe a Milano, seguiti da frequenti soggiorni nelle città d'arte italiane e, soprattutto, a Parigi per perfezionare la sua formazione. Nel 1948 viene nominato nella Commissione federale delle belle arti, che presiede per dieci anni. Nel 1965 è tra i promotori del Museo d'arte contemporanea presso il castello visconteo, di cui diviene curatore. Molte le sue opere disseminate nella città natale; ne ricordiamo almeno tre, significative per dimensioni e per l'evoluzione del percorso artistico che rappresentano: la "bagnante" e il "toro" nei giardini pubblici a lato di Largo Franco Zorzi, nonché il "San Carlo a cavallo" sistemato all'ingresso dell'omonima casa per anziani in Via Vallemaggia. Attorno al suo atelier, in quella che non a caso era stata denominata Via dei Marmi (oggi Via Angelo Nessi), gravitano parecchi colleghi di fama e molti discepoli che non mancano di lasciare le loro impronte pure a livello locale.
  • Hannes Schmidhauser (Locarno 1926-2000), calciatore, attore cinematografico e teatrale, scenografo, regista e produttore. Sul piano sportivo debutta, grintoso difensore non ancora sedicenne, nella prima squadra del Football Club Locarno. Nel 1945 è uno degli artefici della promozione nella massima serie svizzera delle "bianche casacche", nelle cui file militerà per innumerevoli stagioni. Negli anni Cinquanta indossa a 13 riprese la maglia rossocrociata, portando anche la fascia di capitano. Inizia la feconda carriera cinematografica nel 1954 interpretando "Ueli der Knecht" ("Ueli il servo"), primo episodio di una saga molto popolare in area germanofona. Altri importanti ruoli si succedono sino al 1999. L'ultima recita in teatro, poche settimane prima del decesso, la regala proprio alla sua città, vestendo i panni di Johann Sebastian Bach.
  • Livio Vacchini (Locarno 1933-2007), architetto
  • Francesco Piemontesi, pianista

[modifica] Principali manifestazioni

[modifica] Vita politica

Il municipio è composto da 7 membri e il consiglio comunale da 40.

Il 31 agosto 2004 è stato abbandonato il progetto di aggregazione per il nuovo comune di Cugnasco-Gerre al fine di unire a Cugnasco e Gerra Verzasca anche le locarnesi Gerre di Sotto. L'idea è stata accantonata a causa del voto contrario della popolazione della città, che non ha voluto perdere la sua frazione.

Nel corso del 2005, sono state raccolte le firme necessarie per l'iniziativa popolare volta a promuovere uno studio inerente la fusione con alcuni dei comuni limitrofi: Muralto, Minusio, Orselina, Brione sopra Minusio ed eventualmente Tenero-Contra e Mergoscia. Lo scopo primario di questo matrimonio sarebbe di creare un polo di circa 30'000 abitanti, più forte economicamente e con più voce in capitolo a livello cantonale e federale.

Chiamati alle urne il 30 settembre 2007, i ticinesi hanno rifiutato di concedere all'agglomerato, il solo delle sue dimensioni a non essere allacciato alla rete viaria nazionale, il completamento del collegamento (A13) con l'autostrada A2.

Il primo aprile del 2008 hanno avuto luogo le elezioni comunali con questo esito: sindaco Carla Speziali (Partito Liberale Radicale, riconfermata per un secondo mandato), vicesindaco Tiziana Zaninelli (Partito Popolare Democratico, riconfermata); gli altri municipali sono Diego Erba (PLR, riconfermato), Alain Scherrer (PLR, riconfermato), Paolo Caroni (PPD, neoeletto), Tamara Magrini (Partito Socialista, riconfermata), Michele Bardelli (PS, neoeletto).

[modifica] Amministrazione comunale

Sindaco: Carla Speziali dal 04/04/2004
Centralino del comune: 091 756 31 11
Email del comune: citta@locarno.ch

[modifica] Stemma

Vecchio blasone sostituito negli anni Ottanta.
Vecchio blasone sostituito negli anni Ottanta.

"Blasonatura d'azzurro, al leone d'argento".

Del soggetto araldico s'è ormai persa l'interpretazione ufficiale. La più antica raffigurazione nota è quella a bassorilievo incastonata nella base del campanile dell'ex collegiata di San Vittore, a Muralto, datata 1524 e accompagnata dalla scritta CO(MUN)ITAS LOC(ARNI). Di appena più tarda fattura è l'arma affrescata nell'androne della Casa del Negromante, in Via Borghese. Precedente ad entrambe è il leone in campo rosso disegnato in uno stemmario quattrocentesco conservato nella Biblioteca Trivulziana di Milano, appartenente però alla "famiglia" da Locarno.

Ad inizio Ottocento viene adottata una variante a due leoni contrapposti; un esempio è quello scolpito nel 1856 da Alessandro Rossi (1820-1891) sullo zoccolo della fontana di Piazza Sant'Antonio, dominata dalla marziale figura dell'emerito barone Giovan Antonio Marcacci (1769-1854). Non è frutto di fantasia, ma volontà di ricalcare un'antica iconografia di cui esistono modelli sia nella vecchia che nella nuova collegiata, sia in un documento del 1560 rinvenuto 350 anni più tardi a Torino dallo storico Emilio Motta (1855-1920). In ogni caso, nel 1899 si ritorna alla presunta versione primigenia, salvo poi, dopo lievi ritocchi ulteriori, preferire, nel 1986, un pardo stilizzato di color azzurro su fondo argenteo.

Già, pardo o leone? La diatriba -citiamo- nacque ufficialmente nel 1952. Il regolamento organico comunale di allora descriveva lo stemma cittadino "rappresentato da un pardo rampante"; idem nelle successive disposizioni del 1972. Ma nel 1990, dopo discussioni delle quali sarebbe interessante riferire più diffusamente, si arrivò a un compromesso: "Lo stemma e la bandiera comunali -recita l'articolo 1 al paragrafo 2- raffigurano il leone (pardo) rampante in argento su sfondo azzurro". Si tratta di questione puramente semantica perché le sembianze sono restate sempre quelle del leone.

Oltre alle fonti classiche, si vedano a questo proposito gli articoli pubblicati dalla Rivista, un mensile illustrato locale, nell'aprile del 1995 e nel dicembre del 1998 a firma Gianni Mondini e Luca Tomamichel (cui appartiene la precedente citazione).

Il "pardo" è, dal 1968, anche l'onorificenza che premia le opere più meritorie presentate al Festival internazionale del film di Locarno. La statuetta, ideata dallo scultore Remo Rossi (1909-1982), ha sostituito la tradizionale "vela". Un festival che nel 1982, cavalcando l'equivoco di cui sopra, ha fatto ancora più suo questo simbolo tingendosi per la prima volta di giallo e di nero. La linea grafica "leopardata" è tuttora uno dei segni forti, dal punto di vista dell'immagine, del più importante evento culturale nazionale.

[modifica] Trasporti pubblici

Dalla piattaforma d'interscambio costituita dalla stazione delle Ferrovie Federali Svizzere partono o passano 11 linee urbane e suburbane. Otto, tra cui quella ferroviaria per le Centovalli, sono gestite dalle FART, le Ferrovie e Autolinee Regionali Ticinesi, (10 Stazione FFS-Cavergno Posta, 21 Stazione FFS-Brissago Brenscino, 22 Stazione FFS-Ronco s/A Posta, 24 Via della Pace-Mergoscia Posta, 31 Ascona Posta-Tenero Brere, 32 Lido-Stazione FFS -via Brione s/M, Orselina e Monti della Trinità, o inversamente, seguendo un percorso circolare-, 36 Stazione FFS-Losone Zandone e ** Stazione FFS-Camedo-->Domodossola); una (23 FEVI-Bellinzona Stazione FFS) è servita sia dalle FART che da AutoPostale Ticino; due sono affidate ad AutoPostale Ticino (Stazione FFS-Russo e Via della Pace-Sonogno). La fascia collinare (Madonna del Sasso, Orselina, Monti della Trinità) è raggiungibile pure tramite la Funicolare Locarno-Madonna del Sasso con partenza da Viale Francesco Balli; la montagna (Brè, San Bernardo e Cardada) con la funivia che sale da Via Santuario; Tenero, la Riviera del Gambarogno, Ascona, Porto Ronco, Brissago e le sue isole anche per mezzo dei battelli della NLM, la Navigazione Lago Maggiore, che hanno il loro approdo in Viale Giuseppe Motta.

[modifica] Gastronomia

Ecco due ricette veramente tipiche, oggi finite nel dimenticatoio.

  • Capiler

Bibita a base di capelvenere (adiantum capillus veneris), piccola felce che cresce nelle fessure delle rocce e dei muri in pietra. Se ne fa bollire una manciata in poco più di un litro d'acqua. L'infuso va poi lasciato riposare per una giornata. Indi ad esso si aggiungono 750 grammi di zucchero tostato. Si filtra il tutto e si incorpora un'identica dose di zucchero non tostato, la buccia di un limone e un bicchiere di caffè. Si riporta a ebollizione fino a quando non si ottiene uno sciroppo. Dev'essere servito in acqua bollente unendovi un altro po' di caffé liquido e qualche scorzetta di limone.

Veniva sorseggiato ovunque, in casa e nei ritrovi pubblici. Famoso era quello dello storico Caffè Svizzero di Piazza Grande. Era un prodotto talmente caratteristico da dare il nome pure ai re del Carnevale di Città Vecchia che per anni si alternarono, fra polemiche anche aspre, alla guida dei bagordi, per l'appunto Re Capiler e Re Relipac. "Era -così Piero Bianconi in "Locarno di ieri e d'oggi", Werner Classen Edizioni, Zurigo 1972- un blando beveraggio, caffé leggero con sciroppo di capelvenere, una buccia di limone e uno schizzetto di liquore, bevanda emblematica della città (...)."

  • Piccione "alla locarnese"

Spennato che sia, lo si avvolge nella pancetta e lo si fa saltare in un tegame con burro, foglioline di salvia e di menta, bacche di ginepro, cannella e noce moscata. Quindi, trasferitolo in una pentola, gli si dà un'altra rosolatura e si condisce con sale e pepe. Si copre poi il tutto con del vino bianco e si fa cuocere a fuoco vivo per una ventina di minuti. Ad operazione ultimata si aggiungono panna e una cucchiaiata di rum.

[modifica] Note

  1. ^ Due saggi, (ri)pubblicati in concomitanza col 450.mo anniversario della cacciata, trattano approfonditamente e con rigore storico il tema: "L'esilio dei protestanti locarnesi"; Simona Canevascini e Piero Bianconi, Armando Dadò Editore, Locarno 2005 e "La comunità riformata di Locarno e il suo esilio a Zurigo nel XVI secolo"; Ferdinand Meyer, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005.

[modifica] Bibliografia

  • Lineamenti di storia ticinese e svizzera; Francesco Quirici, Istituto editoriale ticinese, Bellinzona 1969.
  • I monumenti d'arte e di storia del Canton Ticino, volume I, Locarno e il suo circolo; Virgilio Gilardoni, Società di storia dell'arte in Svizzera, Birkhäuser Verlag, Basilea 1972.
  • Locarno di ieri e d'oggi; Piero Bianconi, Werner Classen Verlag, Zurigo 1972.
  • I ponti rotti di Locarno; Piero Bianconi, Armando Dadò Editore, Locarno 1973.
  • La collegiata di Sant'Antonio Abate a Locarno (III edizione); Piero Bianconi, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1982.
  • La chiesa e il convento di San Francesco a Locarno (III edizione); Piero Bianconi, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1982.
  • La Chiesa Nuova di Locarno (II edizione); Giuseppe Mondada, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1982.
  • Solduno, frazione di Locarno; Anna Malè, Armando Dadò Editore, Locarno 1983.
  • La chiesa e gli affreschi di Santa Maria in Selva a Locarno; Piero Bianconi, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1984.
  • Memorie storiche di Locarno fino al 1660 (II edizione); Gian-Gaspare Nessi, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1985.
  • Inventario svizzero di architettura 1850-1920, Locarno; Fabio Giacomazzi, Hanspeter Rebsamen e Daniel Ganahl, Società di storia dell'arte in Svizzera, Berna 1991.
  • Locarno, guida storico-artistica; Yvonne Bölt e Maurizio Checchi, Armando Dadò Editore, Locarno 1996.
  • Le città importate; Fabio Giacomazzi, Armando Dadò Editore, Locarno 1998.
  • Locarno, il Castello visconteo e Casorella; Elfi Rüsch e Riccardo Carazzetti, Società di storia dell'arte in Svizzera, Berna 2002.

Altre opere utili da consultare

  • Locarno, i suoi dintorni e le sue Valli; Edmondo Brusoni, El. Em. Colombi e C. Editori, Bellinzona 1898.
  • Santuario della Madonna del Sasso, guida illustrata (II edizione); Padre Leone da Lavertezzo, Edizione Messaggero Serafico, Tipografia alla Motta SA, Locarno 1951.
  • Note storiche religiose delle chiese e parrocchie della pieve di Locarno (II edizione); Guglielmo Buetti, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1969.
  • Locarno e il suo ospedale dal 1361 ai giorni nostri; Giuseppe Mondada, Arti Grafiche Rezzonico, Locarno 1971.
  • Fonti per la storia dei monumenti di Locarno, Muralto, Orselina e Solduno; Virgilio Gilardoni e Padre Rocco da Bedano, Opera svizzera dei monumenti d'arte e Società storica locarnese, Archivio storico ticinese, Istituto grafico Casagrande, Bellinzona 1972.
  • Il Locarnese negli ultimi tre secoli del medioevo, dal Barbarossa al dominio svizzero; Gottardo Wielich, Società storica locarnese e Archivio storico ticinese, Bellinzona (?) 1973 (?).
  • La Locarno dell'altro ieri; Piero Bianconi, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1974.
  • L'alluvione, immagini e testimonianze del 7/8 agosto 1978; Adriano Heitmann e Gerardo Zanetti, Armando Dadò Editore, Locarno 1978.
  • Storia del Cantone Ticino (II edizione); Giulio Rossi ed Eligio Pometta, Armando Dadò Editore, Locarno 1980.
  • Il Locarnese; Ente turistico di Locarno e Valli, Armando Dadò Editore, Locarno 1980.
  • La Madonna del Sasso fra storia e leggenda; AA.VV., Armando Dadò Editore, Locarno 1980.
  • Pascoli e vigne di Brione s.M.; Giuseppe Mondada, Armando Dadò Editore, Locarno 1980.
  • Muralto, 1881 prima e dopo; Giuseppe Mondada, Armando Dadò Editore, Locarno 1981.
  • Filippo Franzoni; Piero Bianconi, Galleria Matasci, Tenero 1981.
  • Appunti per una storia della Madonna del Sasso; Adolfo e Padre Callisto Caldelari, Arti Grafiche Rezzonico, Locarno 1982.
  • I monumenti d'arte e di storia del Canton Ticino, volume III, l'Alto Verbano; Virgilio Gilardoni, Società di storia dell'arte in Svizzera, Birkhäuser Verlag, Basilea 1983.
  • Descrizione della Svizzera italiana nel Settecento; Hans Rudolf Schinz, Armando Dadò Editore, Locarno 1985.
  • Filippo Franzoni; Rudy Chiappini, Città di Locarno, Pinacoteca comunale Casa Rusca, Tipografia Bassi, Locarno 1986 (?).
  • Così era Locarno; Mario Agliati e Giuseppe Mondada, Armando Dadò Editore, Locarno 1897.
  • Vetri romani del Cantone Ticino; Riccardo Carazzetti e Simonetta Biaggio-Simona, Città di Locarno, Museo civico e archeologico, Arti Grafiche Rezzonico, Locarno 1988.
  • Festival internazionale del film di Locarno, 40 anni; AA.VV., Arti Grafiche Rezzonico, Locarno 1988.
  • Minusio, raccolta di memorie; Giuseppe Mondada, Armando Dadò Editore, Locarno 1990.
  • Ticino 1993, l'autunno del maltempo; Giuseppe Zois e Francesco Del Priore, Giornale del Popolo e Armando Dadò Editore, Locarno 1993.
  • Locarno città del cinema, i 50 anni del Festival internazionale del film; Dalmazio Ambrosioni, Armando Dadò Editore, Locarno 1998.
  • Saluti da Minusio, sulle tracce del nostro passato; Silvano Pezzoli e Gianfranco Paganetti, Armando Dadò Editore, Locarno 1998.
  • Brione s/Minusio attraverso i secoli; Leo Marcollo, Tipografia Poncioni SA, Losone 1998.
  • Locarno nella prima metà dell'Ottocento; Rodolfo Huber, Armando Dadò Editore, Locarno 1997.
  • Decorazioni pittoriche del distretto di Locarno; AA.VV., Ufficio dei musei etnografici, Bellinzona 1999.
  • I libri corali trecenteschi di Locarno; AA.VV., Uniti Cooperativa per il lavoro, Lugano 1999.
  • Il Locarnese e il suo ospedale; Rodolfo Huber, Armando Dadò Editore, Locarno 2000.
  • 2000, il Locarnese sott'acqua; Francesco Del Priore e Teresio Valsesia, Giornale del Popolo e Armando Dadò Editore, Locarno 2000.
  • Il Lago Maggiore, Locarno e le sue Valli; Teresio Valsesia ed Ely Riva, Armando Dadò Editore, Locarno 2001.
  • Orselina; Dalmazio Ambrosioni e Marco Garbani-Nerini, Arti Grafiche Rezzonico, Locarno 2001.
  • Iconografia locarnese; la città e la regione dell'Alto Lago in disegni, dipinti e stampe dal XVI al XIX; Elfi Rüsch, Archivio storico ticinese, Istituto grafico Casagrande SA, Bellinzona 2003.
  • Il delta, la "Nuova Locarno" e Le Corbusier; Pier Giorgio Gerosa, Archivio storico ticinese, Bellinzona 2004.

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