Scuola giottesca
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La scuola giottesca è un movimento pittorico della prima metà del XIV secolo, al quale fecero parte un gran numero di pittori legati dall'insegnamento e dall'imitazione dei modelli di Giotto
Giotto aveva condotto i lavori e le numerose commissioni della sua bottega con una organizzazione del lavoro guidata con una logica imprenditoriale, che necessitava del coordinamento del lavoro di numerosi collaboratori. Questo metodo, prima usato solo nei cantieri architettonici e dalle maestranze di scultori e scalpellini attivi nelle cattedrali romaniche e gotiche, era una delle maggiori innovazioni apportate in pittura dalla sua equipe e che spiega anche la difficoltà di lettura e di attribuzione di molte sue opere.
Inoltre Giotto si spostò molto e si può dire che fu un vero unificatore dell'arte italiana perché le sue opere vennero ammirate e copiate nelle località dove aveva soggiornato, da Napoli a Padova a Milano.
L'imitazione di Giotto non è comunque univoca, anzi si sovrappone a precedenti sedimenti stilistici e varia anche con l'evoluzione dello stile del maestro.
Vasari cita i nomi di alcuni dei più stretti aiutanti non tutti celebri: Taddeo Gaddi, Puccio Capanna a cui bisogna aggiungere i molti seguaci e continuatori del suo stile che creano delle scuole locali nelle zone dove era transitato.
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[modifica] Protogiotteschi e maestri fiorentini
A Firenze ed in toscana operavano i cosiddetti "protogiotteschi" i seguaci che avevano visto all'opera Giotto nella sua città. Essi recepirono e svilupparono in maniera diversa il linguaggio di Giotto: per esempio il cosiddetto Maestro della Santa Cecilia dimostrò una piena padronanza delle novità nel campo delle ambientazioni architettoniche delle scene, ma fu più limitato nella realizzazione delle figure umane.
Alcune opere, commissionate al maestro stesso, vennero eseguite dai suoi stretti collaboratori, poiché il maestro era spesso occupato da altri impegni. È il caso per esempio degli affreschi della Basilica inferiore di Assisi (forse dal 1309), eseguiti da un ignoto allievo da alcuni indicato come il cosiddetto "parente di Giotto", forse lo Stefano Fiorentino del quale parla il Vasari.
Taddeo Gaddi, nella bottaga del maestro per ben 24 anni, dimostrò nelle commissioni prestigiose (come la Cappella Baroncelli in Santa Croce) di aver messo a frutto gli insegnamenti giotteschi, disponendo con una notevole libertà narrativa le figure nelle scene, che risultano più affollate di quelle del suo maestro. Riprese inoltre la sperimentazione della prospettiva negli sfondi architettonici e giunse a risultati anche arditi. I lineamenti dei volti delicati e morbidi sono indicativi dello sviluppo tardo dell'arte di Taddeo.
Il miglior erede di Giotto, che sviluppò più coerentemente le ricerchge del maestro, fu Maso di Banco, il quale dimostrò nella Cappella Bardi di Vernio, sempre in Santa Croce (Storie di San Silvestro, 1340), come avesse compreso il gioco delle linee di forza convergenti, che dirigono lo sguardo dell'osservatore verso punti focali della narrazione. Per esempio nella scena di San Silvestro che resuscita due morti il fondale architettonico, oltre che creare uno spazio realistica per la scena, guida l'occhio versoi il protagonista, in posa benedicente, ripresa dalla resurrezione di Drusiana nella Cappella Peruzzi sempre a Santa Croce.
Altri furono Puccio Capanna, Giottino, Bernardo Daddi, il Maestro di Figline, Pacino di Bonaguida, Jacopo del Casentino, Stefano Fiorentino. Le vicende biografiche di molti di questi pittori non sono ancora state bene documentate, alcune come Giottino o Stefano Fiorentino sono ancora misteriose, in parte più o meno consistente. Tra i migliori seguaci si segnalano lo stesso Giottino, che riuscì a dare una profondotà psicologica e drammatica alle sue opere ancora più forte di quella del maestro.
Lo stile di Giotto segnò anche una standardizzazione del gusto fiorentino, con maestri legati a uno stile più sinuoso, in linea con il gotico transalpino, privati delle commissioni e costretti a dedicarsi ad altre arti o a andarsene altrove: il Meastro del codice di San Giorgio si dedicò alla miniatura prima di trasferirsi ad Avignone, mentre il fiorentino Buonamico Buffalmacco, che non aderì alla sintesi narrativa giottesca, realizzò i suoi capolavori altrove, al Camposanto monumentale di Pisa.
[modifica] Umbria
In Umbria, lo stile giottesco assume una connotazione devozionale e popolare riconoscibile nelle opere del Maestro di Santa Chiara da Montefalco, del Maestro Espressionista di Santa Chiara e di Puccio Capanna ovvero il Maestro Colorista un artista di grande livello.
[modifica] La scuola riminese
Per approfondire, vedi la voce scuola riminese. |
A Rimini, dopo un soggiorno di Giotto tra il 1303 e il 1309, nacque una scuola che ebbe un breve periodo di splendore con Neri da Rimini, Giuliano Da Rimini, Giovanni da Rimini, il Maestro dell'Arengario e gli autori di opere molto interessanti come il Maestro della Cappella di San Nicola ed i suoi affreschi della Basilica di San Nicola da Tolentino e dell'Abbazia di Pomposa, che filtrarono la matrice giottesca con influenze locali e, soprattutto, bolognesi. Questa scuola produsse dei capolavori anche nel campo della miniatura.
[modifica] La scuola settentrionale
A Milano Giotto soggiornò tra il 1335 e il 1336, dipingendo un ciclo di affreschi perduti nel palazzo di Azzone Visconti. Alla sua scuola è attribuito l'affresco, purtroppo molto rovinato, della Crocefissione nella chiesa di San Gottardo, caratterizzato da volti vividamente caratterizzati e una morbida pennellata ricca di colori, forse legata al Parente di Giotto o a un maestro lombardo a contatto con l' equipe fiorentina. Da quest'innesto toscano nell'arte lombarda derivarono anche gli affreschi del tiburio nell'abbazia di Chiaravalle (1340 circa). Il più importante giottesco del settentrione fu comunque Giovanni da Milano, attivo ormai nel terzo quarto del Trecento.
L'arte di Giotto influenzò anche le altre scuole settentrionali, venendo spesso ulteriormente sviluppata, come dimostrano le opere di Altichiero, di Guariento o di Giusto de' Menabuoi.
[modifica] La scuola forlivese
Per approfondire, vedi la voce scuola forlivese. |
Vasari stesso citava tra i migliori seguaci di Giotto Ottaviano da Faenza e Guglielmo da Forlì, o Guglielmo degli Organi. Di Guglielmo, in particolre, dice che "fece molte opere, e particularmente la cappella di San Domenico nella sua città". La chiesa di San Domenico a Forlì era tra le più antiche e prestigiose dell'Ordine domenicano e ciò comportò certamente una notevole influenza dell'opera di Guglielmo nell'ambito cittadino, e non solo.
Un altro discepolo di Giotto e di Guglielmo fu poi il forlivese Baldassarre Carrari il Vecchio, che, a sua volta, fu maestro del grande Melozzo da Forlì, il punto di riferimento principale della scuola di pittura forlivese.
[modifica] La scuola romana
Non è ancora chiaro invece il rapporto tra Giotto e la scuola romana, in particolare gli studiosi non concordano se siano stati i romani (Pietro Cavallini, Jacopo Torriti, ecc.) a influenzare Giotto e i toscani o viceversa. Gli studi più recenti sembrano propendere maggiormente per la prima ipotesi. In ogni caso le attività artistiche a Roma decaddero inesorabilmente dopo il trasferimento del papato ad Avignone nel 1309.
[modifica] Napoli
Anche a Napoli la presenza di Giotto lasciò un'impronta duratura, che si sommò alle precedenti influenze francesi e senesi, come si evince dalle opere di artisti quali Roberto d'Oderisio (attivo dagli anni '30 del Trecento e menzionato fino al 1382), che decorò la chiesa dell'Incoronata con affreschi di aristocratica eleganza (oggi staccati e conservati a Santa Chiara).
[modifica] Bibliografia
- Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.
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