Scandalo della Banca Romana
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Lo scandalo della Banca Romana fu un evento politico-finanziario che coinvolse le forze della sinistra storica, accusate di collusioni negli affari illeciti della Banca Romana, uno degli istituti qualificati ad emettere moneta circolante in Italia. Lo scandalo riguardò alcuni investimenti in campo edilizio che si rivelarono fallimentari per la Banca romana. Questa, per coprire le perdite, iniziò ad emettere nuova moneta senza autorizzazione.
Nel giugno 1889 il ministro dell'agricoltura Luigi Miceli aveva disposto un'ispezione su tutti gli istituti di emissione. L'inchiesta fu affidata al senatore Giuseppe Alvisi ed al funzionario del Tesoro Gustavo Biagini; l'inchiesta, che resterà segreta fino al dicembre 1892, venne resa nota dal radicale Napoleone Colajanni: la Banca Romana, a fronte dei 60.000.000 autorizzati, aveva emesso biglietti di banca per 113 milioni di lire, incluse banconote false per 40 milioni emesse in serie doppia.[1]
Il denaro fu altresì utilizzato per prestiti a politici come Giovanni Giolitti e Francesco Crispi. Giolitti, in risposta ad interrogazioni ed interpellanze parlamentari, negherà di essere stato a conoscenza della relazione Alvisi-Biagini e di non aver ricevuto denaro dalla Banca.
Il processo del 1894 si concluse con un'assoluzione degli imputati: per evitare che l'inchiesta travolgesse uomini di spicco della politica italiana, i giudici, nella sentenza, denunciarono la sparizione di importanti documenti, necessari a provare la colpevolezza degli imputati.
Il procedimento penale venne quindi archiviato senza emettere alcuna condanna.
[modifica] Note
- ^ AA.VV., Storia d'Italia, DeAgostini, 1991, p. 239