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Riserva di legge - Wikipedia

Riserva di legge

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La riserva di legge, inserita nella Costituzione, prevede che la disciplina di una determinata materia sia regolata soltanto dalla legge primaria e non da fonti di tipo secondario. La riserva di legge ha una funzione di garanzia in quanto vuole assicurare che in materie particolarmente delicate, come nel caso dei diritti fondamentali del cittadino, le decisioni vengano prese dall'organo più rappresentativo del potere sovrano ovvero dal Parlamento come previsto dall'articolo 70.

Si distinguono, comunque, vari tipi di riserva di legge:

  • riserva di legge ordinaria: la materia può essere disciplinata dalla legge e da atti aventi forza di legge.
    • assoluta: la materia deve essere regolata integralmente dalla legge. Ad esempio l'art. 13.2 ammette restrizioni della libertà personale nei soli casi e modi previsti dalla legge.
    • relativa: i regolamenti amministrativi possono contribuire a regolare la materia, ma i principi devono essere stabiliti dalla legge (art. 97.1)
    • rinforzata: la materia è disciplinata dalla legge secondo un contenuto o procedimento ben preciso. (art. 16)
  • riserva di legge formale: nella materia può intervenire la legge del Parlamento mentre non possono farlo atti aventi forza di legge, come decreti legge o decreti legislativi, del governo (art. 80, art. 81). Di fatto, poi, le materie disciplinate da riserva di legge formale sono quelle coperte da riserva di assemblea (art. 72 comma IV). la riserva di legge formale è tipica dei casi in cui si vuole riservare al solo parlamento la possibilità di adottare un determinato atto, ed è dunque soprattutto utilizzata per quanto riguarda gli atti autorizzatori dell'assemblea. Basti pensare alla legge di Bilancio, la cui natura autorizzatoria è sottolineata dalla stessa Costituzione all'art. 81. La stessa ratio impone di considerare riserva di legge formale la conversione di decreti legge, così come la delega della funzione legislativa nel caso di adozione di decreti legislativi: infatti, non fosse imposta una simile riserva, si potrebbe in questi casi procedere con atti aventi forza di legge, falsando in modo inaccettabile la natura dei rapporti tra l'esecutivo e il legislativo.


Esistono anche riserve non a favore della legge ordinaria:

  • riserva di legge costituzionale (artt. 116, 132.1, 137, 138 Cost.), anch'essa tipica dello Stato costituzionale di diritto
  • riserva a favore dei regolamenti parlamentari (art. 64)
  • riserva di giurisdizione: il già citato art. 13.2 non ammette alcuna "restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria (...)"; similmente l'art. 15 ammette limitazioni alla libertà e alla segretezza della corrispondenza "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria".
  • riserva di regolamento amministrativo: non esiste in Italia, come invece accade in altri paesi

[modifica] La riserva di legge nel diritto penale

Il principio di riserva di legge penale è un tipo di riserva di legge assoluta ed esprime il divieto di punire una determinata condotta in assenza di una legge preesistente che la configuri come reato (art. 25 comma II)

La funzione della riserva di legge è essenzialmente garantistica, in quanto si vuole garantire che in materia penale le norme vengano emanate dall'organo maggiormente rappresentativo (Parlamento).

La riserva di legge deve essere intesa come riserva di legge assoluta anche se in alcuni casi l'apporto da parte di una fonte normativa secondaria è ammessa.

È ammessa quando si limita a specificare dal punto di vista tecnico elementi già contemplati dalla legge; quando viene richiamata dalla legge (il rinvio però deve essere fisso o recettizio; non è ammesso il rinvio mobile); non è invece, ammesso che la legge consenta alla fonte secondaria di scegliere i comportamenti punibili tra quelli disciplinati dalla legge stessa.

Rientrano nel concetto di legge la legge formale ordinaria, cioè quell'atto normativo emanato dal Parlamento ai sensi degli artt. 70-74 Cost. e la legge costituzionale emanata in base al procedimento previsto dall'art. 138 Cost.

Per ciò che riguarda i decreti legislativi e i decreti-legge, che vengono normalmente utilizzati, parte della dottrina sostiene che le caratteristiche di entrambi questi atti non sono compatibili con la ratio di garanzia della riserva di legge. La dottrina dominante invece annovera senza difficoltà sia il decreto legislativo sia il decreto legge tra le fonti del diritto penale in quanto è lo stesso ordinamento costituzionale che riconosce a questi atti normativi efficacia pari a quella della legge formale ordinaria.

Non è fonte del diritto penale la legge regionale; se lo fosse verrebbe violato:

  • l'art. 3 Cost. che prevede il principio di uguaglianza,
  • l'art. 5 Cost. che prevede il principio dell'unità politica dello Stato,
  • l'art. 120 Cost. che vieta alle regioni di adottare provvedimenti che possono ostacolare il libero esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini,
  • l'art. 117, comma 2 lettera l Cost. che attribuisce la materia penale allo Stato.

La sentenza 487 del 1989 della Corte Costituzionale, inoltre, ha stabilito che solo un organo nazionale è in grado di avere una visione generale dei beni e delle esigenze dell'intera società.

Le Regioni possono intervenire solo quando lo possono fare le fonti subordinate e quando si tratta di cause di giustificazione che, non essendo istituti di diritto penale ma principi desunti dal sistema, non sottostanno ai principi del diritto penale.

Per ciò che riguarda le consuetudini, non possono operare né quelle incriminatrici perché violerebbero il principio di legalità, né quelle abrogatrici perché violerebbero la gerarchia delle fonti. Quanto alla consuetudine integratrice, non è ammessa a meno che vi sia una legge a richiamarla. È, invece, ammesso il ricorso alla consuetudine scriminante. Infatti, le norme che configurano le scriminanti non hanno carattere penale quindi non sono nececcasiamente subordinate al principio della riserva di legge.

Per ciò che riguarda la legislazione comunitaria, questa non potrebbe essere considerata legittima fonte di produzione del diritto penale a causa dello sbarramento opposto dal principio della riserva di legge "statale" previsto dall'art. 25, comma 2 della Costituzione. Tuttavia il principio del primato del diritto comunitario fa sì che la norma comunitaria prevalga su quella interna. È inoltre opportuno non dimenticare che le competenze dell'UE possono essere definite soltanto da Trattati Internazionali e, ad oggi, nessun Trattato attribuisce la potestà sanzionatoria in materia penale ad organi comunitari: nessuno Stato ha deciso di limitare la propria sovranità (vd. art. 11 Cost.), intesa qui come monopolio dell'individuazione dei fatti di reato e delle pene ad essi connesse, conferendo tale competenza all'"organizzazione sovranazionale". Infine, anche nell'ipotetico caso che in futuro tale trattato venga stipulato, la ratio storico-istituzionale del Principio di Legalità/Riserva di Legge in materia penale, imponendo che le scelte sanzionatorie più inflittive e lesive della libertà personale dei cittadini (cosa, quando, come punire) vengano assunte dall'organo massimamente rappresentativo della cittadinanza (il Parlamento), entrerebbe in conflitto con l'attuale assetto di poteri degli organi comunitari. Infatti, l'organo comunitario competente alla produzione normativa (mediante regolamenti e direttive) non è il Parlamento Europeo, ma, tendenzialmente, il Consiglio dei Ministri, composto, in modo variabile a seconda della materia trattata, dai ministri dei Paesi membri,e quindi da componenti dei loro Esecutivi.

Un'importante decisione della Corte di Giustizia della CEE ha sancito l'obbligo per il giudice di applicare la normativa comunitaria nel caso in cui contrasti con la normativa interna.

Occorre però fare una precisazione: non rispetto a tutte le fonti del diritto comunitario vige il principio del primato del diritto comunitario.

I regolamenti comunitari, in quanto obbligatori e direttamente applicabili, impongono al giudice di applicarli e non-applicare la normativa interna.

Non sono invece direttamente applicabili le direttive, ad eccezione di quelle self-executing che, se non vengono recepite, producono gli stessi effetti dei regolamenti. Per ciò che riguarda i Trattati, sono direttamente applicabili ed efficaci quelle norme che hanno pieno contenuto dispositivo.

La riserva di legge investe, oltre che il fatto, anche la sanzione. Si violerebbe il principio di legalità se la legge si limitasse a prevedere il fatto lasciando al giudice la possibilità di scegliere il tipo e/o la durata della sanzione.

Il principio nulla pœna sine lege trova il suo fondamento nell'art. 1 c.p. che stabilisce che nessuno può essere punito con pene che non siano stabilite dalla legge.

A livello costituzionale non vi è nessuna norma che prevede espressamente il principio nulla pœna sine lege; tuttavia l'art. 25 stabilisce che nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge; è indubbiamente lecito far rientrare in questa previsione anche la pena in senso stretto.

Predeterminazione legale della sanzione non significa, tuttavia, esclusione di ogni potere discrezionale del giudice. La legge, infatti, fissando un minimo e un massimo, dà al giudice la possibilità di esercitare un potere discrezionale nella scelta della quantità di pena da infliggere al reo.

Perché il principio di legalità sia rispettato occorre però che lo spazio edittale oscilli tra un minimo e un massimo ragionevoli.

Anche rispetto la sanzione, la riserva di legge opera in modo assoluto e coinvolge non solo le pene principali e accessorie ma anche gli effetti penali della condanna.

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