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Diana (divinità) - Wikipedia

Diana (divinità)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Statua di Diana nel Museo del Louvre
Statua di Diana nel Museo del Louvre

Diana è una dea italica, latina e romana, signora delle selve, protettrice degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti, protettrice delle donne, cui assicurava parti non dolorosi, e dispensatrice della sovranità. Più tardi fu assimilata alla dea greca Artemide assumendone il carattere di dea della caccia e l'accostamento alla Luna.

Secondo la leggenda, Diana - giovane vergine abile nella caccia, irascibile quanto vendicativa - era amante della solitudine e nemica dei banchetti; era solita aggirarsi in luoghi isolati. In nome di Amore aveva fatto voto di castità e per questo motivo si mostrava affabile, se non addirittura protettiva, solo verso chi - come Ippolito e le ninfe che promettevano di mantenere la verginità - si affidava a lei.

Indice

[modifica] Etimologia

La radice del nome di Diana si trova nel termine latino dius ("della luce"), arcaico divios per cui il nome originario sarebbe stato Diviana. La luce a cui si riferisce il nome sarebbe quella che filtra dalle fronde degli alberi nelle radure boschive, mentre viene respinta quella della Luna perché tale associazione con la dea fu molto tarda[1].

[modifica] Simboli associati alla dea

Luce che filtra nella foresta: teofania di Diana, secondo la teologia latina arcaica
Luce che filtra nella foresta: teofania di Diana, secondo la teologia latina arcaica

La simbologia della dea è legata al mondo delle selve: già in molte gemme la si vede portare una fronda in una mano e una coppa ricolma di frutti nell'altra, in piedi accanto ad un altare, dietro al quale si intravede un cervo (il suo animale sacro per eccellenza)[2].

Su un candelabro d'argento conservato nei Musei Vaticani la dea non viene raffigurata in forma umana ma una serie di simboli ne richiamano alla mente il numen, in parte identificato con la dea greca Artemide: un albero di lauro (sacro ad Apollo) al quale sono appese le armi da caccia della dea (l'arco, la faretra e la lancia), un palo conico al quale sono applicate le corna di un cervo, un altare ricolmo di offerte tra le quali si scorge una pigna, una fiaccola accesa (a ricordare la sua accezione originaria di dea della luce) appoggiata all'altare e un cervo accanto ad esso[2].

Infine su un rilievo di Porta Maggiore a Roma si vede l'immagine di una colonna che regge un vaso e un albero dalle lunghe fronde, circondati da un recinto semicircolare a costituire un locus saeptus, cioè una forma arcaica di sacello all'aperto[2].

[modifica] Santuari

Il principale luogo di culto di Diana si trovava presso il piccolo lago laziale di Nemi, sui colli Albani, e il bosco che lo circondava era detto nemus aricinum per la vicinanza con la città di Ariccia. Il santuario di Ariccia potrebbe essere stato il nuovo santuario federale dei latini dopo la caduta di Alba Longa. Ciò è desumibile da quanto riportato da Catone il Censore nelle Origines, cioè che il dittatore tusculano Manio Egerio Bebio officiò una cerimonia comunitaria nel nemus aricinum insieme ai rappresentanti delle altre principali comunità latine dell'epoca (Ariccia, Lanuvio, Laurentum, Cora, Tibur, Pometia, Ardea e i Rutuli): Lucum Dianium in nemore Aricino Egerius Baebius Tusculanus dedicavit dictator Latinus. Hi populi communiter: Tusculanus, Aricinus, Lanuvinus, Laurens, Coranus, Tiburtis, Pometinus, Ardeatis, Rutulus.[3].

In seguito Servio Tullio fonda il nuovo tempio di Diana sull'Aventino e lì sposta il centro del culto federale con il consenso dell'aristocrazia latina.

Altri santuari erano situati nei territori del Lazio antico e della Campania: il colle di Corne, presso Tusculum[4], dove è chiamata con il nome latino arcaico di deva Cornisca[5] e dove esisteva un collegio di cultori della dea come attesta un'iscrizione ritrovata presso Tuscolo e dedicata ai Mani di Giulio Severino patrono del collegio[6]; il monte Algido, sempre presso Tuscolo[7][8]; a Lanuvio, dove è festeggiata alle idi (13) di agosto dal Collegio Salutare di Diana e Antinoo[9]; a Tivoli, dove è chiamata Diana Opifera Nemorense[10]; un bosco sacro citato da Tito Livio[11] ad compitum Anagninum, cioè all'incrocio fra la via Labicana e la via Latina, presso Anagni, e del quale nel settembre 2007 si è parlato del possibile ritrovamento dei suoi resti[12]; il monte Tifata, presso Capua[13].

[modifica] Rapporto con la sovranità

Lucas Cranach il Vecchio, Diana in riposo, primo quarto del XVI secolo, Besançon, Musée des Beaux-Arts.
Lucas Cranach il Vecchio, Diana in riposo, primo quarto del XVI secolo, Besançon, Musée des Beaux-Arts.

Come già in altre culture, anche in quella latina appare la connessione tra il simbolismo delle corna e la divinità, in questo caso la dea Diana. Tito Livio[14] infatti ricorda un episodio in cui era stato predetto che chi avesse sacrificato una certa vacca di grande bellezza avrebbe dato al suo popolo l'egemonia sull'intera regione del Lazio antico. Il sabino proprietario della vacca si recò al tempio di Diana a Roma per sacrificarla, ma il sacerdote del tempio riuscì con uno stratagemma a distrarre il sabino e sacrificò lui la vacca alla dea garantendo alla città di Roma l'egemonia; le corna stesse furono affisse all'entrata del tempio come ricordo della vicenda e come pegno tangibile della sovranità sul Lazio.

Il legame con la sovranità e la regalità è esplicitato anche dal rapporto tra la dea e il Rex Nemorensis, il sacerdote di Diana che viveva nel bosco sacro sulle rive del Lago di Nemi.

[modifica] Identificazione con la dea greca Artemide

Diana corrisponde alla dea Artemide della mitologia greca, anche se la somiglianza tra le due è molto superficiale. Il suo carattere di protettrice della partorienti è molto più accentuato.

Fin dal XV secolo a.C. a Creta veniva venerata una dea protettrice dei boschi e delle montagne; ugualmente, a Efeso, fu a lungo praticato il culto di una similare divinità i cui connotati conducono però alla dea frigia Cibele e, contestualmente, alla dea che in tutto il bacino dell'Egeo rappresentava la Madre Terra, vale a dire Rea. Facile comprendere, quindi, come - in base alle diverse epoche e civiltà - siano possibili diverse interpretazioni di una medesima divinità. Ed in questo contesto è possibile vedere anche una associazione della figura di Diana con quella della divinità lunare Selene: in molti riti dei romani, inoltre, Diana venerata come divinità trina, punto di congiunzione della Terra e della Luna per personificare il Cielo (in contrasto a Ecate cui era riservato il Regno dei Morti).

Houdon: Diana cacciatrice, Louvre
Houdon: Diana cacciatrice, Louvre

[modifica] Diana nell'arte

In molte rappresentazioni pittoriche e in letteratura, Diana cacciatrice - la cui grazia femminile del corpo contrasta decisamente con l'aspetto fiero e quasi virile del viso - viene spesso raffigurata con arco e frecce. Di figura atletica e longilinea, ha i capelli raccolti dietro il capo e indossa vesti semplici quasi a sottolineare una natura dinamica se non addirittura androgina.

[modifica] Pittura

[modifica] Note

  1. ^ Del Ponte, p. 177.
  2. ^ a b c Del Ponte, p. 178
  3. ^ Catone il Censore. Origini, II, fr. 62, in Paolo Cugusi, Maria Teresa Sblendorio Cugusi (a cura di). Opere di Marcio Porcio Catone Censore. pp. 346-349. Torino, UTET, 2001. ISBN 8802056447.
  4. ^ Plinio il Vecchio. Storia Naturale, XVI, 242: Est in suburbano Tusculani agri colle, qui Corne appellatur, lucus antiqua religione Dianae sacratus a Latio, velut arte tonsili coma fagei nemoris. in hoc arborem eximiam aetate nostra amavit Passienus Crispus bis cos., orator, Agrippinae matrimonio et Nerone privigno clarior postea, osculari conplectique eam solitus, non modo cubare sub ea vinumque illi adfundere. vicina luco est ilex, et ipsa nobilis XXXIV pedum ambitu caudicis, decem arbores emittens singulas magnitudinis visendae silvamque sola faciens.
  5. ^ CIL 1, 975: Devas Corniscas sacrum, trovata a Trastevere.
  6. ^ CIL 14, 2633: D(is) M(anibus) Iulio Severino patrono cultorum Dianesium bene merenti fecerunt Antestius Victorinus et Agathemer(us) et Asclepiodotus.
  7. ^ Quinto Orazio Flacco. Carmina, I, 21, 5-6.: uos laetam fluuiis et nemorum coma, / quaecumque aut gelido prominet Algido.
  8. ^ Quinto Orazio Flacco. Carmen Saeculare, 69: quaeque Aventinum tenet Algidumque, / quindecim Diana preces virorum / curat et votis puerorum amicas / adplicat auris.
  9. ^ CIL 14, 2112
  10. ^ CIL 14, 3537: Dianai Opifer(ae) Nemorensei L(ucius) Apuleius L(uci) l(ibertus) Antio(chus).
  11. ^ Tito Livio. Storia di Roma. XXVII, 4.
  12. ^ ANAGNI (Fr). Struttura circolare venuta alla luce negli scavi ad Osteria della Fontana.. URL consultato il 12-04-2008.
  13. ^ Roy Merle Peterson. The cults of Campania. Roma, American Academy, 1919, pp. 322-328.
  14. ^ Tito Livio. Storia di Roma, I, 3-7.

[modifica] Bibliografia

  • Renato Del Ponte. Dei e miti italici. Genova, ECIG, 1985, cap. V: Nostra Signora delle selve, pp. 159-197. ISBN 8875458057.

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