Publio Terenzio Afro
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(LA)
« Homo sum: humani nihil a me alienum puto »
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(IT)
« Sono un uomo: niente di ciò che è umano considero estraneo a me »
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(Terenzio, Heautontimorumenos, v. 77)
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Publio Terenzio Afro (latino: Publius Terentius Afer; Cartagine, 185 a.C. circa – 159 a.C.) è stato un commediografo latino.
Il grande grammatico Donato ci ha lasciato su di lui una dettagliata biografia, ispirata però in gran parte a Svetonio. Giunto a Roma come schiavo di un nobile senatore, Terenzio Lucano, fu in seguito affrancato, diventando un liberto. Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio furio Filo. Il grammatico Fenestella cita però altri esponenti della "nobilitas", ossia Sulpicio Gallo, Quinto Fabio Labeone e Marco Popillio. Morì per cause che non è possibile definire con certezza nel 159 a.C., si sospetta per naufragio. Aveva circa 26 anni.
Indice |
[modifica] L'opera
Terenzio scrisse soltanto 6 commedie (poche rispetto al predecessore Plauto), tutte giunte fino a noi integralmente.
La cronologia delle opere, frutto del lavoro filologico e delle ricerche erudite dei grammatici antichi, è attestata con precisione nelle didascalie anteposte, nei manoscritti, alle singole commedie.
Come già aveva fatto Plauto, Terenzio si adattò alla commedia greca; in particolare segue i modelli della Commedia Nuova (νέα κωμωδία) attica e, soprattutto, di Menandro. Per questo forte legame artistico col commediografo greco fu definito da Cesare Dimidiatus Menander ovvero "Menandro dimezzato".
L'opera di Terenzio non si limitò ad una semplice traduzione e riproposizione degli originali greci. Come anche le recenti scoperte di testi comici greci hanno dimostrato l'autore apportò notevoli modifiche nelle trame e nei personaggi. Terenzio, infatti, alla stessa stregua di Plauto, praticava la contaminatio: ovvero introduceva all'interno di una stessa commedia, personaggi ed episodi appartenenti a commedie diverse, anch'esse comunque di origine greca; contaminando così le sue opere. Pare tuttavia che la fortuna delle sue commedie sia da attribuire alle capacità del suo attore, Lucio Ambivio Turpione, uno dei migliori a quell'epoca.
[modifica] Andria
Nell'Andria viene narrata la storia del vecchio, Simone, il quale si è accordato con il vicino di casa Cremete perché i loro figli Panfilo e Filùmena,si sposino. Panfilo ha però una relazione segreta con Glicerio, una fanciulla che tutti credono sorella dell'etera Criside, che attende da lui un figlio. Simone scopre la relazione del figlio solo in occasione del funerale di Criside, profondamente irritato da questa "ribellione", gli comunica l'imminenza delle nozze con Filumena, nonostante Cremete abbia annullato l'accordo. Il 'giovane', però, è determinato a non tradire Glicerio e finge di accettare passivamente le nozze. La vicenda si complica: Cremete ha un ripensamento e concede il consenso. Gli equivoci sono chiariti dall'arrivo del vecchio Critone, amico della morta Criside, che riconosce in Glicerio la figlia che Cremete credeva morta in naufragio verso l'isola di Andro, Pasibula. La commedia si conclude con duplici nozze: Panfilo sposa Glicerio,e Carino, un amico di Panfilo, sposa Filumena.
[modifica] Hecyra
L'Hecyra ("La suocera") è ispirata da due commedie, una di Apollodoro di Caristo e un'altra di Menandro. Fu rappresentata per la prima volta nel 165 a.C. ma il pubblico lasciò il teatro, preferendo a questa commedia uno spettacolo di giocolieri. Fu riproposta nel 160 a.C. insieme agli Adelphoe senza riscuotere successo. Infine, al terzo tentativo, nel 160 a.C., grazie a un'introduzione del capocomico Ambivio Turpione, nella quale pregava il pubblico di seguire la commedia, ebbe successo.
Panfilo sposa Filùmena, che tempo prima senza sapere chi fosse aveva violentato quando era ancora ragazza. Durante la colluttazione, le aveva strappato un anello, facendone poi dono alla sua vecchia amante Bacchide. Dopo il matrimonio, Panfilo parte per Imbro con il servo Parmenone, senza aver toccato la moglie. Ma poiché la ragazza è incinta, sua madre Mirrina per non far sapere niente a Sostrata la porta nella casa paterna, fingendo che sia malata. Il suocero Lachete incolpa la moglie dell'accaduto, accusandola di non andare d'accordo con la nuora. Fidippo fa lo stesso accusando la moglie Mirrina di non volere dare la figlia a Panfilo. Intanto Panfilo fa ritorno dal viaggio e sentendo del trasferimento, si reca a casa di Fidippo dove scopre il parto, ma su richiesta di Mirrina non ne fa parola con nessuno. E tuttavia non vuole riprendersi la moglie in casa. Lachete non sospettando niente e dopo aver scoperto il parto e credendo che il bambino fosse di Panfilo, incolpa il figlio di essere ancora innamorato di Bacchide e per questo di aver fatto scappare la moglie di casa. Perciò si reca con Fidippo da Bacchide, che cerca di discolparsi. Infine Bacchide costretta da Lachete e Fidippo si reca da Mirrina per confermare la sua innocenza. È in questo momento che Mirrina riconosce l'anello di sua figlia al dito della cortigiana, e dopo vari chiarimenti e spiegazioni, Panfilo riprende in casa sia la moglie sia il figlio naturale.
[modifica] Heautontimorumenos
L'Heautontimorumenos (in greco "Il punitore di se stesso") è un'opera rielaborata dall'omonima commedia di Menandro. Fu rappresentata con buon esito nel 163 a.C..
Il senex Menedemo, che ogni giorno lavora duramente nei campi, confida al vicino, il vecchio Cremete, di punirsi per il comportamento troppo severo assunto nei confronti dell'adulescens, il figlio Clinia. Il giovane, innamorato di una straniera di nome Antifila, è stato spinto dalle continue lamentele del padre ad andarsene di casa per vivere come soldato mercenario. In realtà, Clinia è ospite di Clitifone, figlio di Cremete, innamorato dell'etera Bacchide. Poiché Cremete non permetterebbe mai che il figlio sposi un'etera, Bacchide allora si finge l'amante di Clinia. Cremete scopre Bacchide tra le braccia di Clitifone e riconosce che Antifila era la figlia che un tempo aveva esposto. Infine, Clinia torna a casa e potrà sposare Antifila, riconosciuta cittadina ateniese, invece Clitifone dovrà sposare la donna che il padre avrà opportunatamente scelto per lui. Compare nell'atto 1, scena 1 la famosa frase Sono uomo; e di quello che è umano nulla io trovo che mi sia estraneo.
[modifica] Eunuchus
L'Eunuchus (L'eunuco) è una commedia ispirata da due diverse opere di Menandro. Fu rappresentata nel 161 a.C. e fu il maggior successo di Terenzio.
L'Eunuchus deriva dalla contaminazione dell'Eunuchus e del Colax di Menandro. Il pubblico gradì molto questa commedia graze all'utilizzo dell'intreccio che l'accomunava con alcune commedie di Plauto. La protagonista è Taide, una cortigiana amata dal soldato Trasone e dal giovane Fedria. Trasone dona alla cortigiana una schiava di nome Panfilia, di cui si innamora Chèrea (fratello di Fedria) che, travestito da eunuco, si incontra segretamente con lei. Trasone cerca poi di riprendersi Panfila, ma alla fine essa viene liberata grazie alla scoperta della sua vera condizione di cittadina ateniese. Potrà così avvenire il matrimonio tra lei e Chèrea, mentre Taide preferirà convivere con Fedria.
Taide è presente anche nel XVIII canto dell'Inferno della Divina Commedia. Essa infatti è nominata da Virgilio:
«Appresso ciò lo duca "Fa che pinghe"
mi disse "il viso un poco più avante,
sì che la faccia ben con l'occhio attinghe
di quella sozza e scapigliata fante
che là si graffia con l'unghie merdose
e or s'accoscia, e ora è in piedi stante.
Taidè è, la puttana che rispose
al drudo suo quando disse "Ho io grazie
grandi appo te?": "Anzi maravigliose!"
E quinci sian le nostre viste sazie".»
L'ultima parte è tratta proprio dall'Eunuchus. Infatti nella prima scena dell'atto III, il soldato Trasone chiede al mezzano Gnatone (per tramite del quale aveva inviato Panfilia a Taide) se questa gliene sia grata: "Magnas vero agere gratias Thais mihi?"; e Gnatone risponde affermativamente: "Ingentes". Dante conobbe il passo di Terenzio attraverso la citazione di Cicerone (De Amicitia, 26) dove la battuta del dialogo è riferita come un esempio di adsentatio: "satis erat respondere "magnas", "ingentes", inquit: semper auget adsentator id, quod is cuius ad voluntatem dicitur, vult esse magnum". Nel contesto ciceroniano non risultavano chiaramente gli interlocutori delle due frasi citate ed era possibile equivocare, come Dante ha fatto, scambiando Thais per un vocativo e attribuendo alla ragazza la risposta.
[modifica] Phormio
Phormio è un'opera rappresentata con successo nel 161 a.C.; il suo modello greco è l'Epidikazòmenos (Il pretendente) di Apollodoro di Caristo.
Protagonista è il parassita Formione, che riesce con vari stratagemmi a combinare l'unione dei due cugini Fedria e Antifone con le due ragazze di cui sono innamorati, una suonatrice di cetra e una ragazza povera, che Antifone sposa in assenza del padre. Alla fine si scopre che questa è la cugina di Antifone e, per quanto riguarda la citarista, il parassita riesce a ottenere il denaro per riscattarla.
[modifica] Adelphoe
Per approfondire, vedi la voce Adelphoe. |
Commedia di due fratelli e dei relativi padri, con differenti mentalità e metodi educativi; tratta dall'omonima opera di Menandro. Fu rappresentata nel 160 a.C..
[modifica] Differenze tra le commedie terenziane e quelle plautine
Rispetto a Plauto, tuttavia, Terenzio si differenzia in modo sensibile in vari punti. Innanzitutto, il pubblico ideale di Terenzio è più colto di quello di Plauto, infatti in alcune commedie si trovano alcuni argomenti socio-culturali del Circolo degli Scipioni, di cui faceva parte. Inoltre, contrariamente alla commedia plautina, denominata motoria per la loro eccessiva spettacolarizzazione, straniamento e presenza di cantica, l'opera di Terenzio è definita stataria, perché sono relativamente serie, non comprendono momenti di metateatro né cantica. Data la maggiore raffinatezza delle sue opere, si può dire che con Terenzio il pubblico semplice si allontana dal teatro, cosa che non era mai successa prima di allora. Altra differenza è la cura per gli intrecci, più coerenti e meno complessi rispetto a quelli delle commedie plautine, ma anche più coinvolgenti in quanto Terenzio, al contrario di Plauto, non utilizza un prologo espositivo (contenente gli antefatti e un'anticipazione della trama). Particolarmente importante in Terenzio è anche il messaggio morale sotteso a tutta la sua opera, volta a sottolineare la filantropia (in latino humanitas), cioè il rispetto che ogni uomo deve avere nei confronti di ogni altro essere umano, nella consapevolezza dei limiti di ciascuno, ben sintetizzato dalla sua frase più famosa:
(LA)
« Homo sum: humani nihil a me alienum puto »
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(IT)
« Sono un uomo: di ciò che è umano nulla reputo a me estraneo »
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(Heaut., 77)
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E' da sottolineare inoltre la differenza presente tra i personaggi plautini e quelli terenziani. Terenzio infatti creò personaggi in cui lo spettatore potesse identificarsi, e viene messa in risalto la psicologia di questi ultimi. Inoltre la figura dello schiavo, il vero personaggio delle commedie di Plauto, viene notevolmente ridimensionata. Inoltre il linguaggio usato da Terenzio è quello della conversazione ordinaria, molto diverso quindi dallo stile del linguaggio di Plauto, in cui erano presenti neologismi e giochi di parole atti a far ridere lo spettatore.
[modifica] Successo
Il più antico commentatore dell'opera terenziana è Elio Donato. Ma la fortuna di Terenzio si protrasse per tutto il Medioevo e il Rinascimento, come attestano le decine di manoscritti che contengono integralmente o almeno in parte le sue commedie. Questo successo fu dovuto in particolare alla loro costante inclusione nei programmi scolastici del tempo, in virtù del loro carattere edificante e dello stile, semplice ma allo stesso tempo corretto e non banale.
[modifica] Voci correlate
[modifica] Altri progetti
- Wikisource contiene opere originali di o su Publius Terentius Afer
- Wikiquote contiene citazioni di o su Publius Terentius Afer
[modifica] Collegamenti esterni
- Opera Omnia Publio Terenzio Afro: testo con concordanze e lista di frequenza