Moschea degli Omayyadi
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La Moschea degli Omayyadi è il principale edificio di culto di Damasco, in Siria.
Nel 706 d. C. il califfo omayyade al-Walid I, riprendendo la politica del padre 'Abd al-Malik ibn Marwān che aveva eretto a Gerusalemme la Cupola della Roccia, decise di dare vigore all'opera di monumentalizzazione della capitale Damasco.
Ordinò pertanto che si costruisse la grande Moschea degli Omayyadi, ultimata nel 715, inglobando la parte cristiana residua dell'originale chiesa dedicata a San Giovanni Battista da Costantino a sua volta eretta su di un tempio pagano del I secolo.
In merito le tradizioni non sono concordi perché se ne esiste una favorevole all'Islam che parla di acquisto a ottimo prezzo dell'area sacra che conservava la testa del cugino di Gesù, un'altra tradizione, meno favorevole, parla invece di pretestuoso sequestro della chiesa onde ampliare la moschea già esistente fin dall'epoca dell'ingresso dei musulmani a Damasco.
Questo riguardava le modalità di resa della capitale siriana all'epoca di Khālid ibn al-Walīd. Secondo la più ricorrente tradizione islamica, la città si sarebbe arresa "a condizione", evitando un inutile spargimento di sangue fra la popolazione, lasciata abbondantemente a sé stessa dalla debole politica bizantina. Questo comportava, fra l'altro, il mantenimento all'elemento cristiano (del tutto preponderante a Damasco) di tutti i luoghi di culto e la libera espressione colà della loro fede.
Un'altra tradizione - verosimilmente plasmata per consentire l'azione di esproprio di al-Walīd I - parla invece di una mancanza di comunicazione fra gli Arabi che assediavano la città. Una parte di essi infatti avrebbero trattato coi suoi abitanti (la qual cosa comportava che la resa fosse da catalogare, appunto, tra quelle "a condizione" (in arabo l'avverbio usato era sulhatan, ovvero "pacificamente") mentre un'altra parte, incredibilmente inconsapevole di quanto stava avvenendo, avrebbe preso vittoriosamente d'assalto la parte opposta delle mura di Damasco, prefigurando quindi la conquista manu militari (in arabo si usava l'avverbio anwatan, "violentemente") che non comportava alcuna concessione per i vinti.
Quest'ultima tradizione fu fatta surrettiziamente valere.
Furono quindi dal califfo al-Walīd risparmiate solo le tre torri-campanili, trasformate in minareti: il minareto "di Gesù" ('Īsà), quello "di Qayt Bey" (dal nome di un sultano mamelucco e quello infine detto "della Sposa" ( 'arūsa ).
[modifica] Il Complesso
L'edificio fu completamente rivestito di marmi e mosaici a fondo oro, di cui si occuparono maestranze bizantine che poi rimasero a Damasco per istruire artigiani locali.
Della superficie di oltre 4.000 mq - che rappresentarono la più imponente decorazione a mosaico mai realizzata - sopravvive oggi la sola facciata del luogo di preghiera ( musalla ) a causa della devastatrice azione di alcuni terremoti, malgrado un'opera di restauro negli anni '20 avesse riportato alla luce una parte nascosta sotto uno strato di intonaco, è ricca di motivi fitoformi, di elementi naturali e di raffigurazioni di fabbricati umani, in accordo col crescente sfavore espresso da una parte considerevole del mondo religioso islamico nei confronti delle proposizioni di immagini umane, alla luce di un versetto del Corano ,in realtà tutt'altro che chiaro, che ebbe non poche né trascurabili eccezioni, specie nel campo delle miniature. La facciata est, nella foto in alto, richiama il fronte di un palazzo; sopra al portale vi sono mosaici attualemente asportati per il restauro. Nell'ala ovest del complesso si trova una cupoletta rialzata da terra, di base ottagonale ed affrescata all'esterno, costruita per ospitare il tesoro della moschea.